Il tumore e il suicidio

Aperto da Aspirante Filosofo58, 14 Aprile 2023, 08:04:24 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Aspirante Filosofo58

Buongiorno, ieri sera in un telefilm della serie Hamburg, distretto 21, si raccontava del rapimento di una persona, per restituire la quale è stato chiesto un riscatto. Strada facendo però, è emerso che non si trattava, in realtà, di un rapimento vero e proprio, e che il "finto rapito", in realtà era un malato di cancro al cervello che, a causa dei dolori sempre più forti e numerosi aveva deciso di farla finita. Ovviamente, quando è emerso ciò, la moglie ha guidato la polizia dove era sicura che avrebbe trovato il marito e, prima che lui premesse il grilletto, il pianto e le suppliche della moglie lo hanno fermato. Un poliziotto, tuttavia, ha  chiesto ai colleghi che senso avesse impedire il suicidio di una persona malata di cancro allo stadio terminale, che comunque sarebbe passato a miglior vita in poco tempo. Ecco, io vorrei riflettere con voi su questo particolare. Come interpretate il pianto e le suppliche della moglie, che, pur sapendo della vita breve che rimaneva al marito, ha fatto di tutto per impedirgli di porre fine a quella vita stessa? 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

bobmax

L'amore della moglie per il marito era soprattutto amore per se stessa.
Come d'altronde avviene spesso nell'amore verso qualcuno: si ama se stessi attraverso l'altro.

L'altro diventa indispensabile per il nostro amore per noi stessi.

Non vi è niente di male in tutto ciò, è l'evoluzione dell'amore.
Questo amore interessato verso l'altro è una prima apertura, che rompe la scorza dell'amore totalmente egoistico.

A cui ne seguono altre.
Con balzi avanti e passi indietro, il figlio sta tornando a casa.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

anthonyi

Tutti sappiamo di essere destinati a morire, prima o poi. Che manchino pochi giorni o molti anni é una differenza relativa. Quello che importa é la qualità della vita che vivi in quel tratto di tempo, se quella vita é buona, allora ha senso vivere, anche pochi giorni, altrimenti no. 
Una volta lessi una statistica che rilevava la tendenza degli individui in fin di vita a sopravvivere comunque fino a raggiungere una certa data, per loro importante, o a poter vedere un evento importante per loro.

Socrate78

Io ritengo che non bisogna vivere in vista della morte, perché altrimenti la vita stessa diventa una lunga agonia. La morte può essere per chi crede il passaggio verso una dimensione diversa oppure coincidere con la cessazione della coscienza se si ritiene che l'uomo si riduce alla materia, ma in un caso o nell'altro la morte non dovrebbe essere il criterio per motivare la persona ad agire rettamente, perché altrimenti tutta l'azione diventa qualcosa di interessato, si agisce rettamente non per migliorare veramente la vita dell'uomo su questo pianeta e per il bene altrui, ma per ottenere una ricompensa ultraterrena. Solo in seconda battuta, in quanto credente, io agisco bene ANCHE per raggiungere una pienezza d'amore nel Paradiso, ma ciò che mi muove principalmente è e dev'essere il bene dell'altro (e del mondo) perché è un valore in se stesso. Inoltre io non posso sapere se quando sarà vicino alla morte conserverò la lucidità di ora, anzi, è molto probabile che non l'abbia purtroppo più del tutto, quindi non vedo perché vivere in prospettiva di un qualcosa (il morire) che è in sé un male, poiché è accompagnato dal deterioramento di tutte le funzioni fisiche e cognitive del mio essere.

Discussioni simili (5)