Il confine tra normalità e disturbo mentale

Aperto da Aleph, 27 Luglio 2016, 18:33:26 PM

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Aleph

salve, il post è più orientato alla psicologia sociale che alla cultura, come da titolo.

E' un luogo comune il definirsi noiosi quando si è troppo normali e interessanti quando pazzi, e credo che molti si siano chiesti quale sia il confine tra la cosiddetta normalità e il disturbo mentale. Vorrei rinnovare la domanda, perché mi è sembrata di solito una questione da ignorare, da mettere tra i casi impossibili e studiarla diventerebbe per molti poco divertente: oggi ci si proclama liberi come da manifesto, in accordo con l'idea di un divenire delle cose che nascono e muoiono quotidianamente, dove un giorno nulla verrà preservato e dunque, la follia ritorna come idea a far parte delle componenti dell'agire, forse più della ragione.
 
Eppure i disturbi mentali ci sono e sono abbastanza classificati, parlando con un mio amico (psichiatra e psicoterapeuta) mi è stato rivelato che in alcuni casi i disturbi si scoprono molto tardi, perché non essendoci stato un caso eclatante di schizofrenia nessuno ha denunciato o fatto chiamare i soggetti, e il caso eclatante in se è una componente diagnostica rilevante, un indicatore, senza il quale il colloquio in alcuni casi potrebbe avere un risultato relativo. Cosa ancora più sorprendente è che i disturbi schizofrenici, depressivi, bipolari, borderline ecc sono considerati come ereditari nella maggior parte dei casi, o comunque hanno una forte componente biologica: a prescindere più o meno da come ti va la vita, o ci sei o ci diventerai per come è fatto il tuo cervello. Questo mi sembra di capire. Da qui iniziano le domande, spero legittime o costruttive. Prima domanda. Se un disturbo di tipo depressivo o dissociativo è considerato come un disturbo primariamente biologico, è possibile che possa essere generato da fattori esterni? Cioè è possibile avere un'infelicità (o una tristezza chiamatela come volete) che diventi depressione? Secondo lo psichiatra a quanto pare non è possibile. Secondo lo psichiatra la tristezza è una cosa ben diversa dalla depressione clinica, come è diverso un lutto. Ma se quella tristezza non fosse un lutto dovuto alla scomparsa di un genitore o di un gatto (che per quanto doloroso prima o poi si puo' realizzare e forse ci siamo evoluti per questo), ma alla scomparsa di alcune certezze, di come si vedeva il mondo prima, allora non credete sarebbe una disfunzione? 
Heidegger ha detto "Nietzsche mi ha rovinato la vita". Non si è capito bene il senso, se fosse per una questione sociale, editoriale, politica, se stesse scherzando... non importa, ma se fosse stato semplicemente per quello che ha detto Nietzsche, per il suo essere dinamite, come avrebbe fatto Heidegger ad uscirne? sarebbe stata una tristezza perenne? In quel caso forse un qualche psichiatra consiglierebbe farmaci, perché non sarebbe più una tristezza, ma il coltivare una convinzione che diventa sempre più forte, e più forte diventa più si sta male, sembrerebbe in effetti simile a una depressione clinica.
Per cui la seconda domande è (e spero di non aver dato una noia ingente finora): è possibile stare molto male, ma non essere depressi o avere disturbi, è possibile stare più male di un soggetto che abbia una patologia mentale eppure essere praticamente sano? A quel punto però il cosiddetto male si deve spiegare, come si spiega il lutto, si deve conoscere la sua origine quantomeno, se non ci fosse l'origine starebbe tutto solo nella materia grigia che non funziona, e non solo, tale origine deve essere però condivisibile...(ad esempio non "i servizi segreti mi vogliono morto"). Ma poniamo la scena di Woody Allen in Io ed Annie, dove il protagonista da bambino è triste dallo psicologo e non vuole fare nulla, perché dice che nulla ha senso perché tanto gli scienziati hanno scoperto che l'universo finirà e collasserà. Per quanto possa sembrare ironico, una persona ha il "diritto" di essere devastata da una cosa del genere? In altre parole è condivisibile? o nella vita vera ci sarebbero solo le due soluzioni: la prima è quella di intristirsi lì per lì, ma poi continui a fare la vita di tutti i giorni, la seconda è quella in cui capisci che già avevi qualche problema, eri predisposto e quindi meglio che vieni trattato come un depresso clinico, l'universo non c'entra.

Scusate la prolissità 

Jacopus

Ciao Aleph, ne metti di carne al fuoco, 

CitazioneSe un disturbo di tipo depressivo o dissociativo è considerato come un disturbo primariamente biologico, è possibile che possa essere generato da fattori esterni? Cioè è possibile avere un'infelicità (o una tristezza chiamatela come volete) che diventi depressione? Secondo lo psichiatra a quanto pare non è possibile. Secondo lo psichiatra la tristezza è una cosa ben diversa dalla depressione clinica, come è diverso un lutto. Ma se quella tristezza non fosse un lutto dovuto alla scomparsa di un genitore o di un gatto (che per quanto doloroso prima o poi si puo' realizzare e forse ci siamo evoluti per questo), ma alla scomparsa di alcune certezze, di come si vedeva il mondo prima, allora non credete sarebbe una disfunzione? 

I disturbi psichiatrici sono generati dalla interazione fra mondo interno e mondo esterno e quindi l'ambiente può determinare la cosiddetta pazzia. Basti pensare a situazioni estreme come la guerra o la violenza subita per anni. Esiste anche una componente genetica che per un paio di generazioni è stata piuttosto vilipesa, esagerando le cause socio-ambientali. Attualmente molti studi stanno rivalutando la componente genetica. Non esistono comunque regole comuni. La biologia e la vita umana hanno uno scarto che non si presta in questo genere di cose ad una misurazione precisa. Direi che la componenente genetica può incidere al 50 per cento e l'altro 50 se lo prende l'ambiente.

Occorre inoltre fare una ulteriore premessa. I disturbi psichiatrici si distinguono in minori e maggiori, intendendo con maggiori la schiziofrenia la depressione grave e il bipolarismo, quelli cioè che richiedono una cura assidua e spesso il ricovero. In queste situazioni vi è una percezione della realtà distorta che può condurre a commettere atti di violenza verso se stessi e gli altri e comunque chi ne è affetto non riesce a gestire la propria vita come dovrebbe.
Un momento o più momenti di grande tristezza sono accaduti a tutti e non significano avere un disturbo, neppure lieve. La depressione è uno stato permanente di tristezza, di sfiducia nel mondo e negli altri, di considerare il mondo e la propria vita inutile e di conseguenza ogni attività, fino a lasciarsi vivere per inerzia, sprofondando sempre più in uno stato di asocialità. Questa situazione una volta strutturata diventa sempre più difficile da modificare e pregiudica una vita normale, fatta di attività, di interessi, di desideri, di sogni e progetti.

In breve, ci si deve iniziare a preoccupare quando lo stato di tristezza non ci molla più per giorni e giorni e noi ci sprofondiamo dentro fino al punto di non "agire" più, in senso umano. Se invece di tanto in tanto si è tristi, anche per qualche giorno (ad esempio ci ha mollato la fidanzata) non c'è niente di cui preoccuparsi.

 buona serata.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

Ho vissuto una vita di sofferenza psicologica comunque mai diagnosticata ufficialmente, anche se mi è capitato di avere contatti con psichiatri o psicoterapeuti in momenti difficili. Per la tipologia sintomatologica tendevo ad associare il mio male alla depressione bipolare. All'età di 40 anni scopro che la fonte dei miei problemi è un'infestazione malefica. Da quel momento inizia un iter di scoperta di un modo nuovo di vedere la realtà, al di fuori cioè dell'effetto di quella forza innestata nella mia mente.
Dopo alcuni anni di cura, basata soprattutto sulla preghiera, direi che della mia patologia è rimasta soltanto l'ombra.Vi è stata anche una sorta di "crisi spirituale" perché sono una persona estremamente razionale che tende ad analizzare tutto, e in tal caso ho avuto un accesso particolare, da allora, infatti sento continuamente i sibili della reazione di questa cosa che agisce nella mia mente, a tanti miei pensieri e a tante situazioni sacrali con le quali mi relaziono. Io non so quanto sia particolare la mia esperienza, e quanto rapporto possa avere con altre situazioni di patologia mentale, ritengo però che al riguardo vi sia una certa ortodossia, ad esempio nelle regole assunte dalla Chiesa Cattolica si afferma che per i sospetti infestati bisogna prima verificare che non abbiano patologie mentali con cause ordinarie. Il problema è che questa verifica è impossibile perché non si conosce la causa delle patologie mentali. Mi sembra che nel dibattito, anche in questo, si confrontino la tesi ereditaria (Che nel mio caso potrebbe anche avere conferma visto che ci sono problemi vari in buona parte della famiglia) e quella sociale. Naturalmente vi sono anche posizioni intermedie, che danno peso probabilistico alle due tesi. Mi domando perché la stessa elasticità non possa essere usata anche nei confronti di una tesi spirituale.

Aleph

grazie per le risposte :)  credo di essere stato troppo prolisso e potrei esprimere di nuovo il pensiero con una domanda più corta:
Di solito una persona affetta da disturbi vede la realtà in maniera diversa, o vede del tutto un'altra realtà, e questo puo' farla star male. Quindi, se una persona vede la realtà in maniera oggettiva, lucida e sana, puo' secondo voi stare male? e stare male costantemente, alla pari di uno che ha un disturbo, poiché la realtà incombe su di lui quotidianamente, e tale realtà "vera" e per lui la peggiore? In questo caso sarebbe una persona "normale" o malata?
Come diceva Jacopus, la guerra puo' fare impazzire e lo considero un buon esempio. Un soldato ha visto una realtà, è stato messo di fronte ad una verità che lo ha cambiato e devastato psicologicamente, e per questo puo' avere sintomi simili a quelli nevrotici o psicotici, allucinazioni, umore  oscillante ecc. Però c'è una cosa, ovvero, credo che la guerra o la violenza domestica debba essere considerata un trauma, al seguito del trauma possono esserci complicazioni, ma ci si augura una guarigione.

Diverso potrebbe essere chi non è andato in guerra, ma è come se la vedesse e ne risentisse quotidianamente, come se stesse permanentemente nel campo di battaglia. La competizione, il possesso, la paura di perdere ciò che si ha, già una visione leopardiana non vedo perché non possa annichilire una persona. Quindi forse il problema è che chi sta male per queste cose che forse si potrebbero reputare secondarie, non è chi vede una realtà diversa, ma chi non ha difese contro la realtà più condivisibile, la realtà che si considera tale, vera a livello collettivo.

Per quanto riguarda l'aspetto religioso mi ritengo scettico, ad esempio Caterina da Siena, da una parte la vedrei una donna molto devota, fatta tra l'altro santa, dall'altra puo' benissimo sembrarmi un caso clinico, di chi sente la voce di dio ed ha un delirio di onnipotenza tale da scrivere frequentemente al papa per ordinargli cosa fare e rimproveragli la condotta, fino a che si è ammazzata di digiuno. E ciò prescinde incontrovertibilmente dal consenso che all'epoca riceveva. Non mi stupirei se una persona fortemente dissociata dalla realtà riuscisse a trarre grande consenso dalla massa, specie se fa leva sulla misticità, le masse di certo non sono un indicatore per capire l'equilibrio di un singolo, la storia ce lo dice chiaramente.

Jacopus

Ciao Aleph. Quello che descrivi secondo me potrebbe rientrare in una visione pessimistica della vita. Giustamente citi Leopardi. Però Leopardi non era un depresso. Svolgeva delle attività, scriveva, viaggiava, amava per quanto fosse possibile. Se alla visione pessimistica aggiungiamo il "sentirsi annichiliti", se non riusciamo a svolgere le attività quotidiane perché oppressi da un senso di inutilità assoluto, allora si rientra nel campo del malessere psicologico più o meno grave. Non essendoci una distorsione della realtà, ovvero essendoci solo nel senso di considerare il mondo un posto terribile e irredimibile, si è nel campo della depressione, come hai già pensato anche tu.
Eugenio Borgna ha scritto un paio di libri molto interessanti sulla depressione. Se preferisci un romanzo c'è "il male oscuro" di GIuseppe Berto.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

verdeidea

Il metro di misura per delineare il confine tra normalità e disturbo mentale, lieve o più o meno grave, credo possa benissimo essere l'adattamento all'ambiente. Se la persona, anche con una visione pessimistica dell'esistenza, riesce ad adattarsi alle varie situazioni della vita e a godere degli aspetti positivi che la vita comunque offre, allora può definirsi una persona normale. Anche se alcuni disturbi mentali gravi possono convivere in soggetti che sembrano normali e bene adattati all'ambiente; è il caso di certi serial killer.
Mi chiedo piuttosto come distinguere, qual è il confine tra la cattiveria (si veda il caso del bambino ucciso a Cogne)  o l.'esaltazione dovuta al fanatismo religioso e la pazzia. Mi pare di aver letto che l'assassino che ha sgozzato il prete in Franciaa avesse superato bene anche dei test psicologici.

Aleph

Citazione di: verdeidea il 31 Luglio 2016, 14:35:40 PM
Il metro di misura per delineare il confine tra normalità e disturbo mentale, lieve o più o meno grave, credo possa benissimo essere l'adattamento all'ambiente. 

Ecco qui. In tutte le mie congetture avevo dimenticato completamente il termine che bilancia i membri di ogni equazione: adattamento. Illuminante, generalizzare con un pensiero esteso troppo al comunitario puo' far dimenticare questa parola, perché per quanto si siano evolute specie e civiltà, è sempre stata opera del singolo che prima si è adattato e tale componente è probabilmente così forte che giustifica ogni mezzo. E il fatto che molti rifiutino questa società non significa assolutamente che non ci si adattino... anzi, per l'appunto rifiutarla è diventato un luogo comune. Forse è vero che le problematiche di un individuo dunque sorgono dal suo adattamento, e la coazione a ripetere potrebbe ridursi alla preservazione di quella identità quale unica che abbia avuto successo ad adattarsi. Molto prima che si aggiungesse il pensiero evoluzionistico Aristotele diceva che chi non si integra nella società puo' essere solamente o un animale o un dio.

Jacopus

CitazioneIl metro di misura per delineare il confine tra normalità e disturbo mentale, lieve o più o meno grave, credo possa benissimo essere l'adattamento all'ambiente. Se la persona, anche con una visione pessimistica dell'esistenza, riesce ad adattarsi alle varie situazioni della vita e a godere degli aspetti positivi che la vita comunque offre, allora può definirsi una persona normale. Anche se alcuni disturbi mentali gravi possono convivere in soggetti che sembrano normali e bene adattati all'ambiente; è il caso di certi serial killer.
Mi chiedo piuttosto come distinguere, qual è il confine tra la cattiveria (si veda il caso del bambino ucciso a Cogne)  o l.'esaltazione dovuta al fanatismo religioso e la pazzia. Mi pare di aver letto che l'assassino che ha sgozzato il prete in Francia avesse superato bene anche dei test psicologici.

L'adattamento è sicuramente un criterio valido. E' quello che possiamo anche chiamare, secondo la psicoanalisi, principio di realtà. Se sono nato in Australia e vivo in Australia da venti anni, senza aver visto mai il mare, ed avendo sempre fatto il contadino, non posso dire da un giorno all'altro: "farò l'attore ad Hollywood ed impersonerò il capitano Achab in un'opera da me scritta".
Questo in una visione banale. Il problema si pone se tutta la società da segni di pazzia, oppure per quieto vivere, lascia che una pazzia conduca la direzione politica ed economica: è quello che accadde con il fascismo, con il comunismo e oggi vediamo accadere con il radicalismo religioso. Era pazzo forse Giordano Bruno? Un eretico che insegnava la realtà, cioè che la terra gira attorno al sole e non viceversa. Questo tema è molto dibattuto fra coloro che negano un disturbo psichiatrico collettivo e chi invece lo teorizza.
Il vivere al di fuori degli eccessi, in modo piccolo-borghese è sicuramente un metodo sicuro per non essere considerati pazzi.
Eppure è soltanto "osando", "eccedendo" che si costruisce la storia. Immagino che chi inventò la ruota fu magari avversato dai tradizionalisti del carretto a strascico. Il disturbo mentale è da sempre connesso con la creatività. I decadenti parlavano di "genio e sregolatezza", ad esempio. Nell'Uomo senza qualità vi sono pagine magistrali su Moosbruger, l'assassino considerato pazzo, per non parlare di Holderlin, Nietzsche, Van Gogh, Hemingway, Rimbaud o di tutti quelli con seri problemi pur non essendo pazzi, Allen, Lawrence, Dostoevskij, Gogol, Mishima.

A proposito di come distinguere la cattiveria dalla pazzia o dalla follia religiosa fai una bella domanda. Ti posso soltanto dire che il DSM, cioè il manuale dei disturbi psichiatrici adottato dalla comunità internazionale di psichiatria considera la "cattiveria" un disturbo, una malattia mentale, che si chiama disturbo antisociale della personalità, quello che una volta si chiamava psicopatia (ai temi di arancia meccanica). Sul delitto di Cogne non credo si possa parlare di cattiveria: una madre che uccide il proprio figlio non è cattiva: farla stare in galera tutti questi anni è servito a noi per poterci dire "giustizia è fatta" ma non credo alla cattiveria della Franzoni, anche se ovviamente non ne so niente di specifico: ha avuto i suoi periti che l'hanno considerata sana di mente, ma il dubbio mi resta. L'antisociale comunque è quella persona che non ha rimorsi, che commette reati, è violento e lo fa solo quando sa di non essere beccato. Agisce razionalmente e non passionalmente. Prende in considerazione solo il rischio di finire in galera o di subire qualche altro disagio ma per lui le persone sono strumenti per soddisfare i suoi interessi e basta. Questo è l'ideal-tipo dell'antisociale. Nella realtà il delinquente concreto, il cattivo concreto può avere porzioni di antisocialità che convivono con altre diverse. Ti faccio l'esempio di Donato Bilancia. Un altro cattivissimo. Per anni ha fatto il ladro di professione: di alta classe, come Arsenio Lupin, nè più nè meno. Mai arrestato. Colpi all'estero dove studiava le case da svaligiare anche per un mese prima di agire. Freddo, cinico, razionale. Però aveva bisogno di contatti umani al di fuori del "lavoro" e questo lo condusse nel mondo delle scommesse, dove incontrò delle persone, che a loro volta, lo sfruttarono, bararono con lui al gioco per farlo perdere. Scattò qualcosa in lui ed iniziò ad uccidere in modo quasi insensato e in modo quasi industriale, come se volesse essere fermato, o come se volesse dire in modo non funzionale qualcosa al mondo: mi hanno tradito, non mi volevano bene. Ma chi non voleva bene a Donato Bilancia? Forse quella madre che stendeva le sue lenzuola bagnate di orina, quando era un bambino, per umiliarlo? O forse suo padre che lo spogliava davanti alle sue cuginette per umiliarlo anche in questo caso?
La vita umana è un gran rompicapo, anche perché non bisogna neppure dimenticare i processi di ereditarietà genetica del comportamento, ma la genetica a sua volta, nel lungo periodo, è influenzata dall'ambiente. Vivere in un contesto aggressivo, renderà possibile una selezione di caratteri aggressivi, e questa valenza dapprima ambientale, nel corso del tempo si consoliderà in valenza genetica. Mi fermo qui.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

verdeidea

#8
Citazione di: Jacopus il 02 Agosto 2016, 00:47:00 AM

Il problema si pone se tutta la società da segni di pazzia, oppure per quieto vivere, lascia che una pazzia conduca la direzione politica ed economica: è quello che accadde con il fascismo, con il comunismo e oggi vediamo accadere con il radicalismo religioso.

Quando tutta (o quasi) la società dà segni di pazzia o quando per quieto vivere lascia che una pazzia conduca la direzione politica ed economica (che secondo te era individuabile nel fascismo, ma forse confondi col nazismo, o forse col fascismo degli ultimi anni, diciamo da '37 in poi), nel comunismo e nel fanatismo religioso, a mio parere non è un fatto immediatamente riscontrabile, la si diagnostica sempre troppo tardi, quando cioè i disastri sono stati ormai realizzati. Pare esserci una specie di ineluttabilità nelle follie sociali, storiche. Anche attualmente stiamo vivendo un periodo storico di grande follia politica, economica e sociale sia nazionale che internazionale, ma i più (tra cui le anime belle come te, Jacopus) sembrano non accorgersene o non dare il giusto peso, a molti sembra che sia tutto normale e si lascia correre o si volge lo sguardo altrove, magari i più astuti guardano solo gli aspetti utilitaristici di questa follia.

Così come il mondo non si accorse in tempo della follia nazista che insanguinò l'Europa intera, oggi gli europei non si accorgono della follia del multiculturalismo, degli aspetti più nefasti che positivi della globalizzazione e, cosa ancor più assurda, dell'ancor più devastante islamismo che lasciamo radicare senza alcuno ostacolo in Europa. Ai posteri l'ardua sentenza? Speriamo che i posteri possano ringraziare una consistente parte degli europei attuali così come noi ringraziamo infinitamente i Crociati di secoli fa.

Scusate la digressione, ma il nesso c'è, a proposito di follia del nazismo e della seconda guerra mondiale in confronto con la situazione attuale e o il peggio che potrà ancora venire...

"Il primo componente del genocidio è lo sterminio intenzionale di civili e principalmente di bambini, così da eliminare le generazioni future, il secondo è lo stupro etnico.
Lo stupro etnico è stato un'arma di guerra ufficiale nella seconda guerra mondiale, non solo in Europa. L'armata giapponese si è coperta di disonore, prima a Nanchino, poi in tutta la Cina. Lo stupro etnico è stato protagonista in Bosnia e in Rwanda.

"Quando per il favore divino la fortezza fu espugnata, il nemico perdette ogni forza e fu incapace di reagire. Il popolo fedele non incontrò più ostacoli e pose mano al saccheggio in piena sicurezza. Si potrebbe dire che la vista della possibilità di poter fare bottino di ragazzi e belle donne devastasse i loro cuori e i loro animi. Trassero fuori da tutti i palazzi, che uguagliavano il palazzo di Salomone e si avvicinavano alla sfera del cielo, trassero nelle strade strappandole dai letti d'oro, dalle tende tempestate di pietre preziose, le beltà greche, franche, russe, ungheresi, cinesi, khotanesi, cioè in breve le belle dai morbidi capelli, uguali alle chiome degli idoli, appartenenti alle razze più diverse, e i giovinetti che suscitavano turbamento, incontri paradisiaci."

Questa è la descrizione della presa di Costantinopoli da parte di Maometto II. Il brano è tratto da "Storia del signore della conquista" di Tarsun Beg Kemal, vale a dire che è il racconto ufficiale, quello su cui i bambini turchi studiano la storia. (vale a dire la storia ufficiale dello Stato ai turchi comincia con abbiamo stuprato le donne e i ragazzini). Sicuramente anche i Crociati hanno commesso atti del genere, però hanno dovuto farlo di nascosto: era vietato. E punito. C'era la castrazione e il taglio del naso per un crociato che si facesse pescare con le mani su una donna araba. Noi giudichiamo sempre i Crociati con standard attuali: a quei tempi la ferocia era la norma, al punto tale che la castrazione e il taglio del naso viene minacciato ai loro stessi soldati. I crociati lo hanno fatto, ma poi non lo hanno scritto e sicuramente dove è vietato viene fatto parecchio di meno.
La presa di Costantinopoli, invece comincia ufficialmente con: abbiamo messo le mani sulle donne e sui bambini, che avevano il merito di essere belli.
Gli altri sono stati passati a filo di spada mentre i difensori agonizzavano sugli spalti su cui i crocefissi si alternavano agli impalati. E dopo Costantinopoli il Mediterraneo diventa un mare islamico e non sono più contabili gli uomini e le donne rubati alle coste cristiane per morire come schiavi. Nell'islam è vietato che gli schiavi si riproducano, quindi di loro non resta nulla, come non resta nulla dei milioni di schiavi africani morti in Arabia e in Persia. In Arabia la parola africano è sinonimo di schiavo. Nulla resta dei nostri antenati, se non i grandi monumenti che hanno costruito.
La caduta di Costantinopoli avvenne il 29 maggio 1453 ed era martedì, e fu una tale catastrofe che fu messa quasi sullo stesso piano della crocefissione di Cristo. Di Venere e di Marte non ci si sposa e non si parte. In questa filastrocca è raggrumata la storia d'Europa. La superstizione è una specie di cabala dei poveri, un tentativo di trovare una prevedibilità in una realtà atroce. La realtà atroce è stata la vittoria dell'Islam.

Ma con il coraggio e l'onore delle armi lo abbiamo affrontato. Ora il momento è tornato di avere di nuovo quel coraggio".



(S. De M. 23 luglio 2016).

verdeidea

#9
A meno che, Aleph,  tnon ci si riferisca alla perdita  di senso della propria vita per motivi reali che riguardano, appunto, la propria vita, e non dell'esistenza in generale. Allora credo si possa entrare in uno stato mentale molto simile alla depressione oppure, in una maniera più sfumata, con un fondo costante di malinconia ma che, anche secondo me, non è proprio malattia ma semplice constatazione dell'ineluttabilità del proprio destino che si vorrebbe o si avrebbe voluto completamente diverso. Chissà, magari dipende anche dal grado di sensibilità e introspezione che la persona  ha sviluppato. Ma anche in questo caso penso che piccole differenze con la depressione patologica ci siano.Ad esempio la persona può conservare il gusto, il piacere di svolgere alcune attività, o se coinvolta in qualcosa attività non si rifiuta di dedicarsi perché si distoglie dal flusso del suo destino. Non so se mi sono spiegata...

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