IL CAPITALE E LA MORTE (1/2)

Aperto da Visechi, 24 Novembre 2024, 13:49:43 PM

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baylham

Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 22:54:06 PMPerché mi fai notare questo aspetto della storia del capitale, peraltro più che noto?
In quale punto del mio intervento rilevi confusioni storiche?
"Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate  (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità."

Visechi

Non puoi creare un'artificiosa diretta correlazione, se non addirittura una forzata coincidenza, fra capitale e società capitalista. Il primo è causa della seconda, il che significa che il capitale precedette la formazione di comunità asservite alla sua protervia, ovverosia nazioni capitaliste quali l'Inghilterra.
Ad ogni buon conto, accolgo il tuo rilievo e t'invito a leggere il periodo da te stralciato in maniera più sfumata, forse magari mutando pure la causa: da capitale (che indiscutibilmente giocò il suo ruolo) a potere.

Freedom

#17
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:49:43 PMNovello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.
Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non  può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana.
Cito solo queste poche righe della tua lunga e, per moltissimi aspetti condivisibile, disamina sulla stretta, strettissima relazione tra capitale e morte. Sia fisica che spirituale!

Mi viene in mente quando, tempo fa, per un relativamente breve periodo (pochi anni) svolsi un ruolo sindacale all'interno (e anche all'esterno) della mia Azienda. Ricordo, con una punta di amarezza, la mia strenua difesa della possibilità di sottrarsi alla tirannia del mercato. Ma non ci fu praticamente nulla da fare: erano tutti d'accordo sul fatto che la domanda/offerta generava una catena di causa/effetto inarrestabile, immodificabile, immutabile. O meglio mutabile per effetto di nuovi elementi introdotti dal mercato stesso. Qualcuno osò, con invidiabile coraggio, chiamare questa dinamica "evoluzione".

Eppure il mio ragionamento era molto semplice, lineare: il mercato non è una cosa espressa dalla natura bensì dagli uomini. E dunque quest' ultimi potevano modificarlo, correggerlo. Addirittura migliorarlo :D argomentavo. Il mercato non è assimilabile ad una catastrofe naturale, non è un terremoto, un'eruzione vulcanica, etc.

Il mio modo di vedere non raccolse condivisioni sufficienti a dare gambe alle idee che erano conseguenti a questa prospettiva. Niente da fare. L'unica chance che restava al sindacato (e, ovviamente, ai lavoratori) era di lenire le sofferenze ingenerate dal, a questo punto non credo di esagerare, dal, stavo dicendo, dio mercato.

Perdonami questo lungo incipit ma serve a sostenere il mio punto di vista e cioè che anche il capitale (anche se storicamente successivo al mercato) non è una entità e basta ma un'espressione di esseri umani. Potrà anche auto alimentarsi (ciò è evidente nel mondo finanziario) e, per certi aspetti, sembra addirittura vivere di vita propria ma resta una produzione dell'uomo. Poi, lo dichiaro candidamente, non ho letto (se non pochi stralci) del Capitale di K. Marx anche se ho letto alcune sue cose (Il manifesto per es.). Ma cerco di ragionare appoggiandomi al buon senso e alla mia esperienza.

Vado dunque a bomba ad argomentare il focus che mi preme mettere in evidenza: il capitalismo non è un altro che uno dei tanti sistemi di sfruttamento del pianeta a tutto tondo (quindi nel meccanismo ci stanno dentro anche gli esseri viventi). Non penso nemmeno che durerà in eterno, altri sistemi più appropriati lo sostituiranno. E' dagli antichi egizi che va così, passando dalle forme di schiavitù più disparate, arrivando ai servi della gleba e ai.......proletari. Oggi poi, non certo grazie all'illuminazione delle classi dirigenti, bensì come conseguenza dell'avanzamento tecnologico (che non è casuale ma diretto con ogni evidenza da chi comanda) lo sfruttamento si è fatto leggermente più raffinato e, laddove è possibile, meno sanguinario. Laddove ciò è possibile!

E qual è dunque il punto? Che è dentro l'animo umano il problema! Possiamo chiamarlo avidità, paura, egoismo tout court ma secondo me è fuor di dubbio che non esiste e non può esistere un sistema che risolva queste contraddizioni in virtù della "perfezione" del sistema stesso. Sono convinto che sia dentro il cuore e la mente dell'essere umano che è necessario mettere le mani.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Visechi

Son stato sindacalista per lunghi anni ed ho riscontrato più volta l'enorme difficoltà da te segnalata.
Tempo fa, a proposito di questo tema – mercato – scrissi uno sproposito presentato ad un convegno, riguardante tematiche di interesse regionale.

PROGRAMMARE IL FUTURO PER NON MORIRE.
Euroallumina! (Forse puoi anche leggere Ilva di Taranto, Monsanto di Brescia etc...)


Leggevo un commento: "Se non ci fosse il problema del lavoro". Mi è venuto spontaneo pensare che invece c'è! Ed essendo questo dramma incombente, anzi conclamato, il problema deve essere affrontato con grano salis. La chiusura di una qualsiasi attività, se non compensata da altre iniziative che garantiscano l'assorbimento dei lavoratori e purché queste non rappresentino un palliativo temporaneo per tacitare animi esacerbati, è sempre, qui in Sardegna, un autentico dramma, e di questa tragedia non si può non tener conto.
Io sto con gli operai!
Sto con gli operai significa semplicemente che per quelle persone e per le loro famiglie parteggio. In questo senso sono partigiano. Il lavoro è sacro. 
 
Una volta dichiaratomi partigiano e guardatomi attorno, mi viene anche da pensare se il diritto sacrosanto di questi uomini possa essere considerato prioritario rispetto all'altrettanto sacrosanto diritto alla salute del territorio che ospita quelle attività e a quella degli altri abitanti presenti e futuri.
Nel bordeggiare fra queste due sacralità non è certo semplice propendere per l'una o l'altra soluzione: lavoro o salute (delle persone e del territorio)? La politica – non molto quella sindacale che è sicuramente e, aggiungo io, sovente insensatamente schierata a prescindere - è sempre stata preda di questo dilemma: preservare il territorio o dar momentanea soddisfazione alle disperate paure dei lavoratori?
Come uscire da questa impasse? 
Forse provando ad immaginare quale dei due possa essere il diritto più sacro, quello che sopravanzi la sacralità dell'altro, o quale dei due sia più durevole e guardi al futuro con un respiro da maratoneta e non con quello da centometrista. Se si tiene presente la storia dell'industria in Italia e, soprattutto in Sardegna, si ottiene con immediatezza un elemento di riflessione. 
L'industria e i suoi sistemi di produzione sono transeunti. Un tempo si modificavano e bruciavano nell'arco di mezzo secolo, oggi, con l'avanzare della tecnologia, variano (se non addirittura muoiono) nell'arco di pochi anni, forse un decennio, ma neppure. 
Le speranze di vita di una tecnologia o di un processo produttivo sono sempre più destinate a ridursi, per cui ciò che vediamo oggi sarà completamente diverso un prossimo domani; qui in Sardegna quel che è disponibile oggi è già morto e sepolto in altre zone d'Europa (un tempo l'attitudine a scaricare attrezzature obsolete e processi produttivi desueti verso le estreme periferie dell'Impero era tipico del colonialismo, ma oggi mica si può parlare di quella vetusta ed anacronistica era geologica). 
Nessuno può scordare quanto fossero definitive le installazioni dell'industria chimica a Portotorres e nelle altre aree geografiche dell'isola. Esisteva un detto: "entri alla Sir e ti sistemi per tutta la vita!". Le stesse cose le abbiamo sentite anche per l'ex Fiat, e, in tempi assai più recenti, per le banche. Poi abbiamo deciso di scuoterci dal torpore ed abbiamo visto che Sir licenziava, Fiat chiudeva stabilimenti e le banche soffrono di serissimi dissesti finanziari e strutturali. Il risveglio è stato amaro e triste e ci ha avvertito che niente è più labile e fugace delle certezze fondate sugli auspici e sui desiderata.
Ebbene, se i processi produttivi e le fabbriche sono provvisori, è sensato immaginare che anche l'occupazione a questi collegati lo sia in grado direttamente proporzionale. Ma se l'occupazione è fuggevole e caduca, i danni correlati e rivenienti non son tali: danni alla salute delle persone e dei territori. Ora, fra una perenne condizione di precarietà lavorativa sempre incombente e una permanenza del danno, suppongo che, gioco forza, anche il meno accorto dei nostri amministratori dovrebbe propendere per evitare il secondo dei due termini di confronto, anche se ciò dovesse comportare il sacrificio del primo.
Ma non si era detto che anche il lavoro fosse sacro? Certo! Lo confermo. Io, infatti, sto con i lavoratori, e, conseguentemente, con il lavoro. Ma quale lavoro? Non certo quello che, pur precario, assicura guasti permanenti.
Come la giriamo la frittata adesso?
Premetto che in assenza di attività industriale sarebbe logico programmare il risanamento dell'ambiente ed in questa attività occupare i lavoratori in CIG.
Esistono due termini, anzi un'unica locuzione che fornisce una risposta al quesito, secondo me più che adeguata. "Programmazione sostenibile" significa semplicemente voler finalmente rinunciare a fare la guardia al 'bidone vuoto', per impiegare risorse, energie intellettuali, esperienze professionali e tempo per fare seria programmazione avendo cura di non infierire sull'ambiente circostante.
Altro vuoto che si aggiunge al parlare arioso dei politicanti succedutisi in questi decenni sugli scranni di Palazzo Chigi e di via Roma?
NO! E lo asserisco in maniera più che perentoria.
Cosa vuol dire fare programmazione seria?
Cercherò di essere il più sintetico possibile, perché il tema è vasto e complesso... giusto un'infarinatura.
Siamo abituati a vedere l'Ente regionale distribuire contributi, incentivi, sussidi, risorse economiche e finanziarie senza un vero e proprio discernimento, senza discrimine e senza aver prima programmato che fare di quelle risorse. Si dice, in questi casi, 'contribuzioni a pioggia'. Questo modus operandi, alla lunga, oltre a fornire un minimo e transitorio riparo economico alle aziende beneficiate dalla 'pioggia', agevola ed incentiva quella che è nota essere l'economia assistita, che tanti danni ha prodotto e continua a produrre nei territori in cui si fa ancora affidamento su questo tipo d'intervento pubblico: la Sardegna, senza dubbio, è proprio uno di questi territori. 
Come ovviare al problema e iniziare ad investire i fondi pubblici in iniziative che siano produttive? Non è un lavoro semplice, ma, se e quando ben organizzato, non tarda a dare i suoi frutti. 
Una preventiva analisi del territorio, anche circoscritto per aeree geografiche, se ben condotta, dovrebbe far emergere non tanto e non solo quali siano le necessità e le istanze che da lì promanano, quanto, invece, le potenzialità di sviluppo economico/produttivo dello stesso. 
Non tutte le zone geografiche sono adatte per il turismo, come non tutte lo sono per l'agricoltura e non tutte si adattano bene ai distretti agroalimentari. Mille e uno fattori concorrono a fornire il segno e la cifra delle potenzialità. Difficilmente una zona geografica priva o con carenti comunicazioni interne può essere proficuamente sviluppata dal punto di vista turistico, anche se fosse ricca e traboccante di bellezze naturali. 
In questo caso le cose da fare potrebbero essere due, anche in combinazione fra loro: programmare a lungo termine la realizzazione di moderne vie di comunicazione interne, al fine di prospettare in un futuro non troppo prossimo un modello di sviluppo a vocazione turistica, e, nel frattempo sviluppare altri modelli a più immediata 'cantierazione': agroindustriali, artigianali e di allevamento, per esempio. 
In ambito agroindustriale, un'oculata e preventiva analisi di mercato (locale, nazionale ed estero) dovrebbe consentire di presagire un equilibrato sbocco ed assorbimento delle produzioni, perché non è più ammissibile confidare esclusivamente sui consumi interni. 
La predetta analisi di mercato potrebbe far emergere grandi potenzialità d'espansione per una coltura o un tipo di allevamento a scapito di altre iniziative imprenditoriali. Una conseguente analisi merceologica dovrebbe fornire, sempre in anticipo rispetto al piano di realizzazione degli investimenti, un buon livello di certezze circa l'economicità dell'investimento produttivo. 
Sarà stato, infatti, analizzato l'impatto dei costi fissi e di quelli variabili sul costo finale per ogni singola unità di prodotto, e determinato quale debba essere il break even point (fa figo - il punto di pareggio produttivo, al disotto del quale si lavora in perdita e oltre cui si inizia a guadagnare qualcosa) per massa di prodotto (sia monocolturale o genericamente inteso come prodotto orticolo). 
Contestualmente sarà stata valutata l'incidenza dei costi di produzione, raccolta, trasformazione, trasporto e della fiscalità. Per ciascuno di questi componenti sarà stato pure stabilito il livello percentuale di contribuzione al costo. Non mancheranno neppure gli studi adeguati sulle capacità di assorbimento da parte della domanda interna, nazionale ed estera, anche se queste valutazioni sono fortemente interferite da fattori contingenti dovuti alla stagionalità ed altre questioni che sarebbe troppo lungo e tedioso trattare qui. 
L'analisi complessiva sarà dunque in condizione di stabilire quante unità di prodotto dovranno essere messe in vendita per ottenere la giusta remunerazione dell'investimento; quante di queste potranno essere assorbite dalla domanda e quanta forza lavoro si dovrà impiegare per raggiungere i livelli previsti. In definitiva, quante aziende possono sostentarsi grazie a questa attività. 
Avuta nozione di tutti questi elementi imprescindibili, si potrà così stimare quali risorse (come modularle) e investitori attivare (consorzi di comuni, regione, stato e/o fondi comunitari), in concorso con i capitali privati e con il sistema delle banche private (noi pare ci siamo giocate prima 'La banca di casa che cresce con te', ora pure quella 'Ovunque nell'isola', non so se si potrà rimediare). Se l'investimento vale il risultato ipotizzato, si procede con il processo attuativo, diversamente è necessario un ripensamento complessivo che preveda un combinato di iniziative.
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata in maniera tale da mettere in campo più strumenti, che, in combinato fra loro, diano il giusto respiro all'intera iniziativa: agenzie di tuttoraggio, incentivazione all'associazionismo, formazione, informazione e comunicazione, leva fiscale e contributiva, riduzione della burocrazia, incentivazione al reinvestimento di quote di utili, pressione nei confronti degli altri protagonisti del processo (anche e soprattutto in direzione comunitaria) affinché si riconosca all'isola uno status che affranchi l'intervento pubblico dalle stringenti maglie delle complesse e cogenti norme esistenti in materia di aiuti di stato.
Evidente che a questo punto una buona programmazione dovrà aver ben chiaro come strutturare gli interventi: finanziamenti per la gestione, per gli investimenti, per le start up e/o un mix dei tre; a fondo perduto, in conto interessi o sempre un mix dei due.
In pratica, a grandi linee, invece di limitarsi alla valutazione, spesso interessata, di un business plan (anche questo fa figo... piano d'impresa) di una singola o più aziende valutate sempre singolarmente, l'ente pubblico dovrà mettere in cantiere la progettazione di un vero e proprio 'piano economico di zona', avendo particolare cura di tener conto anche dei vincoli comunitari in materia (De minimis, ESL).
Lo stesso processo, con le varianti che le molteplici e differenti condizioni esigono, potrà essere replicato anche per altre attività produttive.
Bravo! Hai scoperto l'acqua calda.
So bene di non aver proposto alcunché di nuovo. 
In soldoni è questa la metodologia utilizzata dalle grandi banche d'investimenti per sviluppare i propri affari: una preventiva analisi settoriale per comparti merceologici intrecciata con una del mercato locale, di quello internazionale, della capacità di assorbimento da parte della domanda (in questo caso non spontanea, bensì spesso indotta artificiosamente) e della remunerazione dell'investimento complessivo, è in grado di fornire agli istituti di credito un ottimo livello di conoscenza circa le prospettive commerciali del prodotto da immettere su quel mercato. 
Ma se è tutto così facile perché la Regione non ci ha ancora pensato? Io credo che la Regione sappia bene che gli interventi che per comodità chiamiamo a pioggia (non tutti sono tali) non assolvono al compito per cui sono erogati... non fanno rinascere il tessuto produttivo della regione. Credo, invece, che non siano attrezzati sia culturalmente che professionalmente a pensare in termini di programmazione economica a lungo respiro.
Una cosa c'è da dire: il sistema economico che per sopravvivere si basi prioritariamente sull'assistenza pubblica è destinato a permanere in una condizione di sudditanza (mi stava scappando schiavitù) nei confronti di chi quell'assistenza la somministra e fintanto che la Sardegna non sarà in condizione di camminare sulle proprie gambe, i mali atavici che l'affliggono continueranno a perpetuarsi, con buona pace delle velleità indipendentiste, autonomiste e di qualsivoglia altro contenitore cui volessimo far riferimento.
 

Ipazia

Parafrasanfo il titolo: Il capitale è lavoro morto. Il suo verbo è il profitto. L'imperialismo è solo un mezzo per ottenerlo a buon mercato anche con la guerra  come quelle del petrolio iracheno e siriano. Della tutela ambientale gliene frega solo quando può diventare un business, dopo avere avvelenato tanto territori e salute umana.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

Citazione di: baylham il 25 Novembre 2024, 12:03:55 PM Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare,
Ma non scordiamo neanche che quelli prima in teoria non c'entravano niente col capitalismo. Il topic è troppo denso e non saprei dove iniziare a rispondere ma mi ha colpito l'immagine dei tentacoli, perché sono invisibili, un po' come la famosa mano. Solo che la mano è la strumento dell'ingegno, il tentacolo l'arma della avidità. Chissà che invece non sia una coscia di pollo invisibile a governare il mondo..
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

iano

#21
Ovviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata....tu scrivi Visechi, cosciente al contempo del fatto che una programmazione è possibile solo in un mercato che , messa nero su bianco la programmazione , non si già mutato, per la velocità con cui si susseguono le innovazioni tecnologiche, il cui impatto non si può più far finta di non vedere, presentandosi come una cambiale a sempre più breve scadenza.
Il problema è che la corta visuale di sopravvivenza del lavoratore in un sistema democratico diventa assenza di programmazione, finché l'alluvione non diventa un problema di sopravvivenza più pressante della mancanza di lavoro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#22
La non lungimirante ottica del ''tengo famiglia'', dispiace dirlo, solo le catostefofi ambientali può scuotere, se l'alluvione ogni anno rischia di portartela via la famiglia.
Forse è arrivato dunque il momento di capire che la ristretta ottica del ''tengo famiglia'' è sempre più incompatibile con una economia sempre più globalizzata, dove perfino l'attaccamento al proprio territorio, sempre in un ottica ristretta, può diventare un problema.
Oggi la migrazione è un problema, quando una volta l'essere nomadi era la normailtà, una normalità forse da riscoprire.
Se questo mondo è globalizzato è a questa terra intera che dovremmo estendere il nostro attaccamento, superando lo steccato dell'orto familiare.
Il localismo e la richiesta crescente di autonomia potrebbero essere solo la disperata difesa ad oltranza di una famiglia costretta comunque ad allargare i suoi confini al paese o alla regione, sopratutto in un Italia che storicamente non è comunque riuscita mai a portarla a una dimensione nazionale.
Una cosa è che una nazione sia fatta di famiglie, altro è che su di esse si fondi costituzionalmente, perchè l'interesse della famiglia non coincide con quello della nazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

La globalizzazione è stata una lente di ingrandimento su questa contraddizione che ha impattato di più su un Italia che nazione non è mai stata.
Quindi se nella sostanza siamo stati fin qui un accocchino di famiglie,  le rivendicazioni di autonomia paradossalmente potrebbero essere una tensione delle famiglie a farsi per gradi nazione, piuttosto che la negazione di una dimensione nazionale che non vi è mai stata.
Non vorrei con ciò che mi scambiasse per un leghista, per carità.
E' solo la proposta di un diverso punto di vista sui problemi vecchi e nuovi che ci affliggono, laddove alcuni dei nuovi potrebbero essere solo quelli. vecchi messi sotto una lente di ingrandimento, da farli apparire una novità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#24
Citazione di: iano il 27 Novembre 2024, 23:17:45 PMOvviamente, una corretta programmazione può e deve essere strutturata....tu scrivi Visechi, cosciente al contempo del fatto che una programmazione è possibile solo in un mercato che , messa nero su bianco la programmazione , non si già mutato, per la velocità con cui si susseguono le innovazioni tecnologiche, il cui impatto non si può più far finta di non vedere, presentandosi come una cambiale a sempre più breve scadenza.
Il problema è che la corta visuale di sopravvivenza del lavoratore in un sistema democratico diventa assenza di programmazione, finché l'alluvione non diventa un problema di sopravvivenza più pressante della mancanza di lavoro.
Mi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano,  che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro. Non è necessario un padrone capitalista, il cui unico obbiettivo è il profitto per comprendere ed attuare queste misure. Qualunque produttore e amministratore di beni comuni lo può fare meglio del capitalista avendo come  obbiettivo non il lucro individuale, ma il benessere sociale il quale comporta anche innovzione tecnologica che restituisce tempo di vita e non perdita di mezzi di sussistenza come in un sistema capitalistico.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2024, 09:10:20 AMMi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano,  che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro.
Non ho detto il contrario, una società solidale e consapevole possiede la giusta visuale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

misummi

#26
Citazione di: Ipazia il 28 Novembre 2024, 09:10:20 AMMi permetto di dissentire. Una società solidale è consapevole del valore di scambio dei valori d'uso e riesce a programmare tale necessità sia in rapporto al consumo umano,  che alle infrastrutture e tutela ambientale necessarie per conservare e trasferire i prodotti del lavoro. Non è necessario un padrone capitalista, il cui unico obbiettivo è il profitto per comprendere ed attuare queste misure. Qualunque produttore e amministratore di beni comuni lo può fare meglio del capitalista avendo come  obbiettivo non il lucro individuale, ma il benessere sociale il quale comporta anche innovzione tecnologica che restituisce tempo di vita e non perdita di mezzi di sussistenza come in un sistema capitalistico.
una perfetta sintesi,sono d'accordo!
Da ognuno secondo le sue capacità,a ognuno secondo i suoi bisogni come disse Marx.
"Io dico che l'idea statale leninista è stata la migliore del novecento."
così disse Cossiga, il noto presidente Italiano, a una esterefatta conferenza stampa molti anni fa!
E aveva ragione: siccome era il migliore poteva essere usato nel modo peggiore e cosi accadde come succede spesso sulla Terra.
 

green demetr

Ve lo dico subito io ero di sinistra, ma avevo una lettura molto romantica della cosa.
Ora francamente mi sono rotto le scatole di farmi prendere per i fondelli.
In questo momento storico sto con le posizioni di Anthony, ossia su posizioni liberali.
Sto cercando dei riferimenti intellettuali ma non ve ne sono.
La sinistra ha fatto un ottimo lavoro di distruzione del pensiero.
Basta vedere i casi Cina e Russia.

A me non interessa come a Antonhy difendere il sistema del libero scambio.
Rimane il fatto che è così che funziona.
La sinistra e i suoi discorsi ampollosi, lacunosi, ignorante non dico dell'opera complessiva, ma almeno delle prime pagine di Marx.
Avevo già aperto topic. Ne discutiamo là.

Che senso ha parlare di capitalismo se non si capisce cosa è il mercato?
Direi di partire da qui.
Anzi vi aiuto perchè sennò è inutile (anche se penso sia inutile lo stesso, perchè voi siete i radical chic, è inutile che vogliate sbolognare l'evidenza dando la colpa a qualcun altro).

Numero uno non avete ancora risposto alla obiezione di Anthony: il capitalismo per voi è un entità?
Secondo il mercato lo dice la domanda dell'offerta e della domanda, e ci siente.
Ma di cosa santo cielo? Suggerimento: andate a leggere le prime pagine di Marx....
vabbè non lo farete mai, e nemmeno recuperate il mio topic.
Ve lo dico io: la merce.
L'uomo è libero di viaggiare o no?
L'uomo è libero di conoscere il valore delle cose, che altri popoli non vogliono o non sanno conoscere?
Come lo volete chiamare questa cosa qui?
Colonialismo?

Voi fate una gran confusione, trattate il capitale manco fosse un Dio, gli affibiate doti mortifere, che invece sono semplici accordi commerciali, LIBERI.
Perchè almeno in occidente dovete farmi capire esattamente dove stiamo rubando?
Il petrolio iracheno lo rubiamo?

Per i sindacalisti faccio veramente fatica molta fatica a parlare con voi, che mi avete rovinato la vita.
Oh no! il mondo è cattivo, e allora io firmo per il male minore nevvero?
Miserabili, avete capito o no che avete VOTATO per il male? che fosse minore lo avete deciso poi voi! Lo capite o no che mi avete rovinato la vita?
Siete ridicoli, siete l'incarnazione stessa del tutto parole e zero fatti. Radical Chic.
E avete anche la presunzione di parlare di NOI, di società, di decidere VOI cosa devono o non devono fare i LIBERI PRIVATI, e le LIBERE BANCHE?

Abbiamo visto cosa è successo in Russia. E' caduta per vostra informazione.
E' bastato l'errore di un organismo (l'unico) ossia lo stato stalinista, non dissimile da quello leninista, eh voilà con il culo per terra, e in più con la distruzione totale di una delle culture più giovani e fiorenti come era quella della russia dell'800 che ha surclassato la produzione europea.
Dove sono finiti questi grandi autori? Nei Gulag!
Buttate giù la maschera: voi siete contro l'individuo.
Siete voi la morte nera, e il neo-feudalesimo cinese che sta distruggendo le capacità amministrative della nostra cara vecchia Europa.
Il sangue futuro, e per quel che vale, quello delle migliaia di poveracci, a cui mi onoro di aver appartenuto per un pò nella vita, è sulle vostre mani.
Mi è bastato vedere nelle anime abbruttite dal lavoro umiliante che facevamo, il disprezzo per qualsiasi parola che non attenesse al loro miserabile interesse.
Provo ribrezzo, e insieme disperazione per le loro vite.
La società  :))
Voi non sapete moderarvi.
Purtroppo per voi, qui c'è gente che risponde per le rime.

Ho fatto le domande, le ho fatte anche nei forum comunisti: risposte? ZERO.
Voi sapete tutto voi.
Almeno mi son sfogato.
Bè ho quasi finito il turno.
Saluti.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Ipazia il 26 Novembre 2024, 21:12:04 PMParafrasanfo il titolo: Il capitale è lavoro morto. Il suo verbo è il profitto.
Sono d'accordo, però non il profitto in sè perchè sennò non ci sarebbe la ridistribuzione, bensì la massimizzazione del profitto  che si ottiene o aumentando i prodotti, magari obbligandone l'acquisto, tipo le macchine elettriche e i vaccini, così tanto per iniziare.
Oppure abbassando o fissando gli stipendi rispetto all'inflazione.
Avevo scritto molto di più, mi si è cancellato tutto  :D
Va bene così, la mia vena polemica si è spenta poco fa  ;) .

Ecco una critica era quella di dire, magari invece che sull'ambientalismo radical chic, che favorisce la vendita di macchine cinesi (i geni dell'economia europea non sapevano ci fosse il libero mercato?  :D ), di fare proteste su queste cose reali, come la scala mobile o tipo la scala mobile.
Ma il discorso è lungo, lascio i comunisti a parlare a favore dei capitalisti: siete troppo accecati dall'odio.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Visechi

Al di là delle farneticazioni...
È evidente che una programmazione economica ben calibrata, che produca benefici effetti nei riguardi di un'area geografica o un territorio più o meno vasto (questo è il mio angolo di visuale, la collettività, la comunità prima dell'individuo) possa sviluppare al meglio le sue potenzialità di sostegno allo sviluppo economico e sociale se il contesto ambientale e giuridico è il più favorevole e vantaggioso possibile. Questa è a dir poco una tautologia. Non si costruisce alcunché in un deserto. Ma quale può essere questo contesto, che caratteristiche deve avere, quali aspetti deve curare con maggior attenzione? Può, infine, esistere un methodos codificabile e che sia valido in tutte le situazioni? Il tema della corretta collocazione del methodos e della sua strutturazione è assolutamente dirimente. Va anche considerato che sebbene la politica rappresenti certamente uno degli attori principali della messa in scena, poiché a lei è richiesta la predisposizione di un coerente quadro normativo imprescindibile per i diversi players che si avvicenderanno sul terreno di gioco, da sola non può creare le condizioni. Ma chi sono questi players?
Parliamo prima di tutto del contesto generale. L'esperienza ed il buon senso tendono ad escludere che il liberismo puro possa offrire le giuste coordinate per lo sviluppo armonico di un territorio. Il Capitalismo, se lasciato agire senza regole o parametri ferrei da rispettare, tende all'ipertrofia solipsistica, ovverosia a gonfiarsi avendo come unico fine quello della remunerazione, sempre crescente, dei possessori del capitale. Massimizzazione del profitto, questo è il suo must. Tende all'ipertrofismo omnifagocitante, uccidendo qualsiasi altra possibilità di iniziativa economica. Le leggi antitrust son nate per ovviare a questo rischio. Nel libero mercato non può dunque essere il liberismo il basamento su cui possa poggiare un'efficace programmazione economico, dovere imprescindibile di chi governa. Però, osservata dall'altro versante, neppure la programmazione declinata in stile sovietico, con i suoi piani quinquennali che tanto danno hanno prodotto, può rappresentare il modello da adottare. Entrambe, liberismo e pianificazione statale (non scrivo comunismo perché di fatto quella sovietica fu tutto tranne che applicazione delle dottrine marxiste), tendono a inaridire il territorio, soffocando la libera imprenditoria e dissanguando l'ambiente. Il libero mercato non può dunque essere declinato nella formula del liberismo, come pure non può svilupparsi in un contesto di assoluta totalizzazione statale.
Se lo Stato ha il precipuo compito di predisporre le necessarie infrastrutture, svolgere pienamente il proprio ruolo d'indirizzo (anche attraverso la leva fiscale e contributiva) e di mettere a punto un quadro normativo fruibile (regole anti duping ed anti trust, per esempio), l'imprenditoria privata deve svolgere appieno il ruolo che più gli si attaglia: convogliare il capitale privato – liquido o finanziario - in attività economiche 'autosostentanti', intendendo con ciò attività che siano armoniche rispetto al mercato ed all'ambiente in cui vanno ad inserirsi, senza che siano prefigurate, fin dal piano d'impresa, situazioni e condizioni in cui il sostentamento dell'attività economica sia affidato all'aiuto pubblico. Ad ognuno il suo ruolo. Stato ed imprenditoria privata, in concorso fra loro, piaccia o meno, rappresentano i due principali players che entrano in gioco in un progetto di sviluppo economico di un'area geografica. Il terzo giocatore è impersonato dal complesso sistema distributivo che affianca la produzione.
Il discorso è lungo e complesso. Non intendo esaurire tutti gli argomenti in un unico post.

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