Ignoranza

Aperto da doxa, 20 Dicembre 2024, 22:21:44 PM

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doxa

Ignoranza: questo sostantivo deriva  dal latino "ignorantia", parola composta dal privativo "in" + la radice del verbo "(g)noscere" = conoscere.

L'ignorante non conosce la "verità", che invece potrebbe sapere se potesse o volesse.

L'ignoranza allude  sia alla mancanza di conoscenza di determinate cose,  sia all'individuo che è ignorante perché privo di istruzione o di bon ton.

Vi ricordate il film "Miseria e nobiltà" ? C'è la scena di Totò scrivano e la lettera che deve scrivere per un "cafone", ignorante, perché non sa scrivere né leggere

Cliccate sul link

https://youtu.be/PL1rngwZ4z4

Il rapporto Censis informa che troppi studenti arrivano al termine degli studi sapendo a mala pena leggere e far di conto.

Il rapporto Ocse certifica che in Italia un terzo degli adulti è analfabeta funzionale: sa leggere e scrivere ma non capisce il significato in un articolo di giornale.

L'ignoranza è un problema sociale: facile dare la colpa ai social, più difficile parlare di fallimento della scuola, ecc..

Nell'antica lingua greca la parola  "conoscenza"  si traduceva con "gnosis".

La conoscenza gnostica si basa su quattro pilastri: scienza, arte, filosofia e religione.

La gnoseologia è una branca della filosofia che studia la natura della conoscenza.

Nell'ambito religioso la gnosi indica una forma speciale di conoscenza, che non procede da contenuti di fede ma si realizza con accesso diretto al divino mediante una sorta di "illuminazione" interiore che permette il raggiungimento della salvezza spirituale. 

Nel Qohelet o Ecclesiaste c'è la frase: "Qui auget scientiam, auget et dolorem" (= Chi accresce la propria sapienza, aumenta le proprie sofferenze).

Commentando questa frase il filosofo Arthur  Schopenhauer conferma che la conoscenza, da non confondere con il sapere astratto,  quando perviene alla chiarezza e la "conscienza" si eleva , cresce nell'individuo anche il tormento.

Invece per il filosofo olandese Baruch Spinoza il detto dell'Ecclesiaste è sbagliato: non è vero che "Chi aumenta la propria sapienza, aumenta anche le proprie sofferenze", ma, al contrario, "Chi aumenta il proprio sapere accresce anche la gioia di vivere".

doxa

#1
Bene ! Proseguiamo.

Gnosis = conoscenza = sapienza = sapere ?

Conoscenza = sapienza ?

Nella lingua inglese knowledge deriva da To Know, in italiano è tradotto con il vocabolo conoscenza e non con sapienza.

La conoscenza è un primo livello del percorso verso la sapienza.

Il sostantivo sapienza, dal latino "sapientia",  allude al sapiente che ha ampia conoscenza e dottrina, derivanti dallo studio, dalla ricerca.

La sapienza  permette di comprendere, discernere, giudicare con saggezza e di agire con prudenza. Questa è la definizione più diffusa della sapienza, ma ha anche altri significati dipendenti dal contesto.

Ad esempio, in ambito filosofico e teologico, la sapienza è una virtù che permette di conoscere e amare Dio, e di vivere in conformità alla sua volontà.

Nella teologia cattolica la sapienza è uno dei sette doni dello Spirito Santo ed anche uno degli attributi di Dio.

Messer Dante nella "Commedia", terzo canto dell'Inferno, seconda terzina,  scrisse:

"Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore"
(vv 4 – 6).

(= Il mio alto fattore (Dio) fu mosso dalla giustizia:
mi creò la potenza divina (il padre)
la somma sapienza (il figlio) e il primo amore (lo Spirito Santo).

La sapienza è distinta dal sapere: questo verbo deriva dal latino "sàpere" (= aver sapore). Dall'ambito gustativo è giunto in quello culturale  con riferimento alle conoscenze o informazioni  acquisite tramite lo studio,  la pratica e l'esperienza. Il sapere non contempla la perfezione morale dell'individuo.

Un aforisma attribuito a Martin Lutero dice: "La medicina crea persone malate, la matematica persone tristi e la teologia peccatori". Pur col paradosso tipico dei motti sintetici, c'è in esso un'importante verità. Il sapere non è di per sé principio di certezza.

C'è chi s'ammala per colpa di terapie non adatte; c'è chi si mette a studiare le scienze per capire, e c'è il teologo che traligna e crea sensi di colpa in altri o li fa sbandare lungo percorsi impervi. Proprio per questo, ferma restando la necessità della razionalità contro ogni irrazionalismo magico, contro cure da stregoni e contro devozionalismi visionari, è importante distinguere tra sapere e sapienza.

daniele22

Citazione di: doxa il 20 Dicembre 2024, 22:21:44 PMIgnoranza: questo sostantivo deriva  dal latino "ignorantia", parola composta dal privativo "in" + la radice del verbo "(g)noscere" = conoscere.

L'ignorante non conosce la "verità", che invece potrebbe sapere se potesse o volesse.

L'ignoranza allude  sia alla mancanza di conoscenza di determinate cose,  sia all'individuo che è ignorante perché privo di istruzione o di bon ton.

Vi ricordate il film "Miseria e nobiltà" ? C'è la scena di Totò scrivano e la lettera che deve scrivere per un "cafone", ignorante, perché non sa scrivere né leggere

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https://youtu.be/PL1rngwZ4z4

Il rapporto Censis informa che troppi studenti arrivano al termine degli studi sapendo a mala pena leggere e far di conto.

Il rapporto Ocse certifica che in Italia un terzo degli adulti è analfabeta funzionale: sa leggere e scrivere ma non capisce il significato in un articolo di giornale.

L'ignoranza è un problema sociale: facile dare la colpa ai social, più difficile parlare di fallimento della scuola, ecc..

Nell'antica lingua greca la parola  "conoscenza"  si traduceva con "gnosis".

La conoscenza gnostica si basa su quattro pilastri: scienza, arte, filosofia e religione.

La gnoseologia è una branca della filosofia che studia la natura della conoscenza.

Nell'ambito religioso la gnosi indica una forma speciale di conoscenza, che non procede da contenuti di fede ma si realizza con accesso diretto al divino mediante una sorta di "illuminazione" interiore che permette il raggiungimento della salvezza spirituale. 

Nel Qohelet o Ecclesiaste c'è la frase: "Qui auget scientiam, auget et dolorem" (= Chi accresce la propria sapienza, aumenta le proprie sofferenze).

Commentando questa frase il filosofo Arthur  Schopenhauer conferma che la conoscenza, da non confondere con il sapere astratto,  quando perviene alla chiarezza e la "conscienza" si eleva , cresce nell'individuo anche il tormento.

Invece per il filosofo olandese Baruch Spinoza il detto dell'Ecclesiaste è sbagliato: non è vero che "Chi aumenta la propria sapienza, aumenta anche le proprie sofferenze", ma, al contrario, "Chi aumenta il proprio sapere accresce anche la gioia di vivere".
Ciao doxa, questo tuo scritto ben informante merita senz'altro un commento. Che noi si distingua due forme del sapere è un dato di fatto. In merito a ciò viene spesso tirato in ballo il socratico "So di non sapere". Io contesto però l'interpretazione più in uso di detta formula. Per me il "So di non sapere" indica chiaramente che si debba considerare l'ignoranza come una conoscenza acclarata. Con un suo peso. Infatti, oltre a sapere che tante persone sanno cose che io non so, resta comunque il fatto che tanto io quanto gli altri non sappiamo per certo cosa accadrà entro due secondi a partire da ora. Questa ignorante sapienza andrebbe quindi soppesata.
Analfabetismo funzionale. Dovrebbe essere noto che ho accusato più volte i forumisti di essere analfabeti funzionali. Citandoti:
"il rapporto Ocse certifica che in Italia un terzo degli adulti è analfabeta funzionale: sa leggere e scrivere ma non capisce il significato in un articolo di giornale."
Ordunque, possono esservi varie cause per cui ciò accada, ma penso che in determinati casi la spiegazione del fenomeno sia ascrivibile al fatto che l'interprete si "fissa" per vari motivi solo su una parte del testo trascurando il senso generale di questo.
Per fare un esempio, quando nel messaggio nr 21 in capo a "Tematiche Culturali - Le politiche repressive" dissi che non era certo un mio onere quello di pulire la strada, a parte che secondo me il senso era abbastanza chiaro, qualcuno avrebbe magari potuto chiedermi se pensassi che lo Stato debba occuparsi di tutto senza il supporto del cittadino. Va da sé che gli avrei risposto che non pensavo che il cittadino non dovesse essere in certa misura parte attiva nello Stato, ma invece ne è uscito quel che ne è uscito. Il guaio è che le persone non riflettono su ciò che leggono o sentono. Se poi guardi i tólksció il fenomeno è lampante .. in mezzo secondo hanno sempre una risposta pronta e quasi sempre del calibro esposto nel mio esempio personale. Molti lo fanno apposta, per vari motivi, ma purtroppo sembra pure che molti non se ne rendano proprio conto.
Prima di procedere eventualmente sulla gnosi e la diatriba tra l'Ecclesiaste e Spinoza mi fermo intanto a questa prima riflessione. Un saluto

Koba II

Per quanto riguarda il fallimento della scuola, cioè il fatto che negli ultimi 40-50 anni almeno si assiste ad una diminuzione graduale delle performance degli alunni, una diminuzione che a quanto pare riguarda anche i risultati dei test di intelligenza, in tutto l'Occidente, non solo in Italia, anche nei paesi Scandinavi presi di solito come esempio, ebbene, su questo inquietante fenomeno io mi sono dato questa risposta: il sistema produttivo ha sempre meno bisogno di persone preparate all'analisi e alla soluzione di problemi complessi, cosa destinata ad aumentare ulteriormente con l'introduzione, in tutti i settori, dei sistemi di intelligenza artificiale capaci di fornire un'assistenza efficace nelle normali attività lavorative.
Un solo esempio: nell'informatica come è cambiata in un paio di decenni l'attività della programmazione, dalla scrittura riga per riga in editor minimalisti, che presupponeva una formazione seria su algoritmi e linguaggi, a composizioni super assistite in piattaforme sofisticate.
Per cui la scuola, nella sua decadenza, rispecchia i bisogni del mondo produttivo.
La scuola è sempre stata soggetta alle esigenze della politica. Ci sono stati periodi e luoghi in cui doveva essere strumento di indottrinamento. Altri in cui, all'opposto, esprimeva il fine di costruire cittadini tolleranti e liberi. Negli ultimi anni ha forse dominato l'idea che dovesse formare alle professioni.
Ora, nel pieno della crisi dell'Occidente, per poter decidere quale sia il suo fine, bisognerebbe prima avere un'idea almeno generale di quale possa essere il futuro della nostra civiltà.
È pura retorica asserire semplicemente che deve avere l'obbiettivo di formare la capacità critica dei ragazzi. Perché se le cose non cambiano, se la nostra società dovesse perseguire in questo andazzo di smobilitazione generale, allora la priorità non potrà che essere l'apprendimento di tecniche per la pura e semplice sopravvivenza (cioè essere pronti ad emigrare da un stato all'altro etc.).

doxa

Daniele e Koba, vi ringrazio per il vostro intervento e l'espressione delle vostre opinioni.

Daniele ha scritto
Citazioneil socratico "So di non sapere". Io contesto però l'interpretazione più in uso di detta formula. Per me il "So di non sapere" indica chiaramente che si debba considerare l'ignoranza come una conoscenza acclarata. Con un suo peso. Infatti, oltre a sapere che tante persone sanno cose che io non so, resta comunque il fatto che tanto io quanto gli altri non sappiamo per certo cosa accadrà entro due secondi a partire da ora
Come darti torto ?

Citazione"il rapporto Ocse certifica che in Italia un terzo degli adulti è analfabeta funzionale: sa leggere e scrivere ma non capisce il significato in un articolo di giornale."
Ordunque, possono esservi varie cause per cui ciò accada, ma penso che in determinati casi la spiegazione del fenomeno sia ascrivibile al fatto che l'interprete si "fissa" per vari motivi solo su una parte del testo trascurando il senso generale di questo.

Uno dei motivi può essere l'ideologia politica ?

La "fissazione" psicologica che induce a non capire, alla decodifica aberrante, di ciò che si legge può dipendere da tratti caratteriali ?  Da carenze culturali ?
 
Koba ha scritto
CitazioneLa scuola è sempre stata soggetta alle esigenze della politica. Ci sono stati periodi e luoghi in cui doveva essere strumento di indottrinamento. Altri in cui, all'opposto, esprimeva il fine di costruire cittadini tolleranti e liberi. Negli ultimi anni ha forse dominato l'idea che dovesse formare alle professioni.
 Ora, nel pieno della crisi dell'Occidente, per poter decidere quale sia il suo fine, bisognerebbe prima avere un'idea almeno generale di quale possa essere il futuro della nostra civiltà.

ai detto bene Koba: "La scuola è sempre stata soggetta alle esigenze della politica": l'esempio nel periodo fascista, con l'indottrinamento politico degli studenti,  la severità degli insegnanti verso gli studenti, la facilità nel dare voti bassi.  

Dopo la scuola elementare c'era la selezione: i meritevoli, che erano una minoranza, potevano accedere alla scuola media e poi proseguire verso il liceo o le scuole tecniche,  gli altri, la moltitudine, se proseguiva gli studi finiva alle scuole di avviamento professionale per avere un po' di cultura e imparare l'inizio di un mestiere. Di solito era alto l'abbandono della scuola da parte dei bambini che abitavano nelle periferie ed erano figli di genitori semi analfabeti.  

Poi ci fu il capovolgimento con le varie riforme scolastiche. Dalla quinta elementare tutti i bambini potevano, giustamente, accedere nella scuola media. Dopo di questa ci fu il via libera per l'accesso a qualunque tipologia di scuola secondaria, dal liceo, alle scuole tecniche, ecc..

Il libero accesso ha permesso a tanti adolescenti di poter arrivare all'università. Ma la fregatura li aspettava e li attende dopo il conseguimento della laurea: le reti di relazioni familiari facilitano il rapido accesso al lavoro in grandi aziende e con lavori che facilitano la rapida carriera.

Ai figli delle famiglie emarginate tutto è difficile: trovare subito il lavoro, fare concorsi e se tutto va bene l'assunzione avviene dopo anni. Gli insegnanti precari ne sono l'esempio.

doxa

Il noto cardinale teologo tedesco Nikolaus Krebs von Kues, da noi conosciuto col nome di Nicola Cusano (cognome derivante dal toponimo Kues),  nel 1440  scrisse in lingua latina il "De docta ignorantia" (= La dotta ignoranza),  testo in tre libri: il primo dedicato a Dio, il secondo all'universo, il terzo a Gesù Cristo.
 
Cusano nel testo citato afferma che la Verità è sempre al di là della conoscenza (I, 3) ed è importante determinare la natura della conoscenza, basandosi come modello sulla conoscenza matematica. Secondo questo cardinale la possibilità della conoscenza è nella proporzione tra l'ignoto e il conosciuto.
 
Possiamo giudicare ciò che non sappiamo solo in relazione a ciò che sappiamo; ma questo è possibile solo se ciò che ancora non sappiamo ha una certa proporzionalità (cioè omogeneità) con ciò che sappiamo.
 
La conoscenza è tanto più facile quanto più vicine alle cose conosciute sono quelle che cerchiamo. Da ciò consegue il fatto che quando ciò che ignoriamo non ha alcuna proporzione con la conoscenza in nostro possesso, non ci resta che proclamare la nostra ignoranza.
 
Questo riconoscimento dell'ignoranza, questo socratico  "so di non sapere", che Nicola Cusano collega all'antica saggezza di alcuni antichi filosofi (Pitagora, Socrate, Aristotele) e alla saggezza biblica di Salomone, è denominato "dotta ignoranza", secondo un ossimoro  derivante dalla "Lettera CXXX" di  Agostino di Ippona, scritta nel 411 circa e diretta a Proba: la vedova Anicia Faltonia Proba. Questa famosa lettera tratta esplicitamente della preghiera.

daniele22

Alla prima domanda posta da doxa evidenziata nel post numero 5 sul tipo di analfabetismo che avevo esposto risponderei sì, ma pure in beghe tra atei e credenti, e, fuori porta, pure nei rapporti di coppia. Purtuttavia secondo me da sole non basterebbero per giungere a tali livelli di incomprensione cronica. E infatti alla seconda domanda risponderei che di questo tipo di analfabetismo sarebbero responsabili più che altro i tratti caratteriali (prelinguistici) influenzati dalla cultura in cui si è immersi, rispetto a quelli che invece sarebbero dovuti a una incomprensione da ascriversi alla cultura, intendendo questa come livello di scolarizzazione. Però c'è da dire che in alcuni media ho letto dati che tale disfunzione cresce con l'età anagrafica, il che non collimerebbe con quanto sostengo. Bisognerebbe anche sapere com'è organizzato l'esperimento.
Sulla dotta ignoranza, che è comunque la questione che più mi affascina, avrei invece qualcosa da dire. Perché chiamarla dotta ignoranza anziché dotta sapienza? Mi sembra infatti questo un atteggiamento di umiltà dissimulata, che in fondo sarebbe lo stesso che percepisco oggi quando sento quella formula. Dotta sapienza perdinci!! Dotta è la sapienza che sa che la forma di sé stessa contiene ineluttabilmente l'ignoranza ... e così si definisce meglio quelli che sono i due tipi di conoscenza. Quella delle cose terrene e quella cosiddetta gnostica. Mi fermo qui a sentire i vostri eventuali pareri, anche se a mio vedere nel pensiero di Cusano ci sarebbe qualcosa che non torna, ma ho sonno ... meglio andare a dormire

daniele22

"Cusano nel testo citato afferma che la Verità è sempre al di là della conoscenza (I, 3) ed è importante determinare la natura della conoscenza, basandosi come modello sulla conoscenza matematica. Secondo questo cardinale la possibilità della conoscenza è nella proporzione tra l'ignoto e il conosciuto. 
Possiamo giudicare ciò che non sappiamo solo in relazione a ciò che sappiamo; ma questo è possibile solo se ciò che ancora non sappiamo ha una certa proporzionalità (cioè omogeneità) con ciò che sappiamo. 
La conoscenza è tanto più facile quanto più vicine alle cose conosciute sono quelle che cerchiamo. Da ciò consegue il fatto che quando ciò che ignoriamo non ha alcuna proporzione con la conoscenza in nostro possesso, non ci resta che proclamare la nostra ignoranza."

Mi sfugge intanto del suo pensiero il riferimento alla matematica, ma non sarebbe questo il problema. Ciò che viene dopo, ovvero il giudizio sull'ignoranza, varrebbe però solo per le cose che sono sconosciute a me, ma conosciute da altri; e da questo, la giusta umiltà nel proclamare la nostra ignoranza. Ma vi chiedo: che giudizio si può dare sull'ignoranza che avvolge tutti? Dobbiamo ancora proclamare la nostra ignoranza e fine dei giochi, oppure si può dare altro giudizio?
 

doxa

#8
Buongiorno Daniele, non ho le informazioni necessarie per rispondere in modo esauriente alle tue domande.

Per quanto riguarda la "docta ignorantia"  Cusano si riferisce alla consapevolezza dei limiti della conoscenza umana. Di fronte all'infinito la conoscenza è sempre parziale, incompleta, perciò consiglia di avere sempre atteggiamenti di umiltà, nel contempo incoraggia a cercare continuamente la verità e a essere consapevoli della complessità della realtà.

Per questo cardinale bisogna iniziare cominciando a determinare la natura della conoscenza, usando come modello la conoscenza matematica. Dice che la possibilità della conoscenza sta nella proporzione tra l'ignoto e il conosciuto.

L'insieme delle conoscenze che si acquisiscono tramite l'apprendimento, lo studio e l'esperienza formano il sapere.

Nella "società della conoscenza" il sapere appare come un evento ordinario e naturale. Chiunque per  gran parte dei propri anni giovanili è obbligato a studiare e accumulare  quel patrimonio basilare di conoscenze (linguistiche, logico-matematiche, scientifiche, storiche) che sono  importanti in diverse attività.

A che serve dunque il sapere? Serve anche a trasformare il nostro modo di essere al mondo, ci fa fare esperienza.

La visione dominante oggi è che il valore della conoscenza risieda nella sua utilità.

La conoscenza è un valore in sé stessa,  a prescindere dalla sua utilità pratica o dalla sua utilità per l'acquisizione di ulteriore conoscenza e quale che sia l'oggetto della nostra conoscenza.  :)

p.s. nel post n. 4 c'è un refuso: involontariamente ho scritto: "ai detto bene Koba" anziché il verbo "hai"...

daniele22

Citazione di: doxa il 23 Dicembre 2024, 10:13:25 AMLa visione dominante oggi è che il valore della conoscenza risieda nella sua utilità.
Buona sera doxa. Per come la vedo si tratta di una visione giusta, ma traviata nella sua interpretazione.  Dato che ti mancano informazioni lascio allora in sospeso la domanda rivolta. Se mi riconosco un pregio "strategico" è quello di avere modificato il concetto di estensione. Ovverosia, le parole e i discorsi appartengono alla res extensa, e vi appartengono perché sono sensibili o all'udito o alla vista. Mi spiace per Cartesio, ma la penso così. ¿Cosa mi legittima ancora a dire, come conseguenza di tale scelta, che una cosa è tutto ciò che la mia mente riesce a imbrigliare tanto da poterne parlare, anche a vanvera? A legittimarmi sarebbe il notare che nell'hic et nunc io utilizzo quelle astrazioni, frutto della nostra conoscenza e molte delle quali traducibili in un sostantivo quale Dio, marxismo, liberismo etc, generando un comportamento che si confronti con tali realtà. Cioè, le parole muovono l'individuo nella società tanto quanto le cose, o almeno questo è quello che mi sembra. Chiaro resta che se non mangio e non bevo, muoio. Ora, Nicola Cusano era un credente e anche le sue parole saranno le parole di un credente. L'osservatore influenza il campo di osservazioni.
Non penso che ciò che ho detto ti dia l'informazione per rispondere alla domanda, ma qualcosa sul carattere utilitario della conoscenza penso di averlo messo in evidenza. Un saluto

daniele22

Va bene, proseguo da solo ... ultimo post dell'anno, giuro. Ritorno quindi alla dotta sapienza ignorante, quella che dovrebbe farci da guida sicura nell'attimo del "qui e ora". Solidarietà a PhyroSphera per il suo post nr. 251 nel tema Psicanalisi in cui denuncia la mancanza di chiarezza di un utente. A suo tempo ebbi la stessa impressione nei confronti dello stesso utente; decisi di lasciarlo a sé stesso. Fu una scelta condizionata da una forma di egoismo che attingeva a una sapienza tradizionale per cui non è utile perdere tempo con uno che non capisce, o non vuol capire, o vuol far finta di non capire. Troppe incognite a cui badare, meglio sfruttare proficuamente la propria ignoranza; so di non sapere, ma devo andare comunque avanti.
A me invece non è chiaro il comportamento di anthonyi che in quanto liberale, sarebbe per me, un anarchico sui generis, il nemico numero uno. Anthonyi dimostra però di usare rettamente la propria intelligenza. Pertanto, con lui non mi è altrettanto facile abbandonarlo a sé stesso, nonostante che contro di me ... figuriamoci, contro il messia ... non potrebbe proprio nulla, ma non è mica vero. In una scala da uno a dieci, lui può nove punto cinque e io posso uno punto due in sovrastima. Vengo al dunque. Tempo fa l'ho accusato di avere fatto comunella con Eutidemo su di una certa faccenda. Lui negava, io non ho mostrato le carte ben sapendo che ne avrei ricavato al massimo un riconoscimento del mio modo di vedere e una contrarietà in virtù del fatto che io avrei valorizzato troppo una semplice coincidenza. La dotta sapienza ignorante mi ha fatto allora lasciare il gioco scherzando patafisica-mente. Passa nel frattempo del tempo e, rispondendo quindi a un suo augurio di buon Natale, assieme allo scherzo sulle sue possibilità di concedermi un salvacondotto per la guida dell'auto gli ho offerto come regalo, qualora l'avesse voluto, la spiegazione della mia accusa di quattro mesi prima. Lui mi risponde che dico cose senza senso, ovvio, la richiesta del lasciapassare a un agente segreto, ma la spiegazione dell'accusa non sarebbe stata una cosa senza senso ... e di fatto il regalo non l'ha nemmeno nominato. A questo punto cosa dovevo fare? Dire che questa è la prova che lui si era messo d'accordo...et etc, ben sapendo che non è prova di nulla? Ho fatto invece quello che ho fatto, cioè ho ancora una volta fatto finta di niente. La dotta sapienza che sa della propria incontrovertibile ignoranza appunto, quella che dovrebbe avere chiaro cosa si deve fare senza che ci si faccia trasportare, non dico da pulsioni forse ingovernabili, ma dai sentimenti. Ma allora sarò sempre costretto a far finta di niente? Nel momento in cui cesserò di sperare lo abbandonerò. Una cosa è certa: lui ha "informato" la mia ignoranza, perché so, conosco quello che mi ha detto. Posso solo sperare, risposta personalizzata alla terza domanda kantiana, che anthonyi stia cercando di assimilare la mia cultura .. ah ah ah ah ah ah aaaaaaah! ... e questo proprio per quanto ha detto a Jacopus poco tempo fa: "Sollevi una questione grande, jacopus. Hai mai sentito parlare di genio e sregolatezza? La creatività umana rompe l'ordine tradizionale, forse per migliorarlo, forse no. Il punto é che in ogni caso l'ordine tradizionale difende se stesso e cerca di ridurre l'impatto della creatività in ogni caso, al limite cerca di assimilarla."
E infatti è proprio così che accade. Insomma, io punto a che si giunga al limite ben sapendo il rischio che comporta per daniele22 il verbo essere assimilato. D'altra parte non posso certo abbandonare la mia fede. In ogni caso, in ragione della mia richiesta di un salvacondotto, anthonyi mi ha sprezzantemente invitato a servirmi dei mezzi pubblici ... buon fine anno

iano

#11
Citazione di: doxa il 22 Dicembre 2024, 18:31:08 PMPossiamo giudicare ciò che non sappiamo solo in relazione a ciò che sappiamo; ma questo è possibile solo se ciò che ancora non sappiamo ha una certa proporzionalità (cioè omogeneità) con ciò che sappiamo.

Grazie per avermi fatto conoscere il pensiero di Cusano, che sento risuonare coi miei recenti pensieri, e che perciò mi sembra di ben comprendere, proprio per il motivo che Cusano dice.
I miei recenti pensieri riguardano il fatto che occorrerebbe chiudere il cerchio aperto da Socrate con il suo ''sapere di non sapere'' con un ''non sapere di sapere''.
Il punto della mia riflessione recente è che se non riesco a portare ad omogeneità ciò che non so rispetto a ciò che so, comprendendolo, posso provare a fare il contrario.
Credo in sostanza che per ''comprendere la natura del sapere'' un buon modo potrebbe essere provare a disimparare ciò che si sà, rendendo omogeneo a ciò che non si sa ciò che si sa, che ammetto sembrerebbe essere la promozione di un programma per l'ignoranza funzionale, che da questa si distinguerebbe solo per il fatto di essere volutamente perseguita.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#12
A voler essere obiettivi, mi pare infatti, che senza averlo perseguito in modo programmatico, colui che non sa di sapere, il computer, tende sempre più a prendere il posto di colui che sa di non sapere, cosa non proprio bella da vedersi, con la speranza che perseguire ciò in modo consapevole possa sortire altro effetto.
Sicuramente mi sembra pretestuoso lamentarsi del fatto che su ciò che fa il computer, alias intelligenza artificiale, noi non abbiamo il controllo, come se della nostra intelligenza invece l'avessimo.
Però appunto, provare a disimparare ciò che sappiamo non dovrebbe essere  fine a se stesso, ma un mezzo per giungere all'origine della nostra intelligenza, anche se devo confessare che io non tendo a considerare la coscienza come un bene in se, ma più una tendenza a cui l'evoluzione sembra averci destinato, per cui saggiamente direi di fare buon viso a questa sorte non potendo determinare a priori se sia mala  oppure no, cosa che solo il tempo potrà dirci, posto che saremo ancora qui ad ascoltare quella sentenza.
Forse sarebbe ancora più saggio attribuire la coscienza all'essere vivente, più che all'uomo, senza fare delle differenze sostanza, legando quindi la coscienza al destino dell'essere vivente, più che dell'uomo in particolare, come cosa che non si può fuggire dunque se non annichilendosi a priori, senza attendere il responso dell'evoluzione, considerando comunque che anche solo cercare di attenuarla mi sembra velleitario, per quanti dolori essa, con la conoscenza ''consapevole'' che produce, possa addurci, con buona pace del Qohelet .
Però non si può escludere che essa possa naturalmente arretrare, come sembrano dirci le statistiche da te citate, cosa che naturalmente ci preoccupa nella misura in cui siamo ancora essere coscienti per quanto in misura residuale.
Obiettivamente mi sembra difficile che un essere cosciente, quando la coscienza viene messa in discussione, riesca a dare su ciò un giudizio obiettivo. :))
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#13
Mi viene ancora da riflettere su quanta antica, ma ancora attuale saggezza, ci sfugga, come a me sfuggiva quella di Cusano, finché accidentalmente il libero, o presunto tale, corso dei nostri pensieri non diventi accidentalmente ad essa omogenea. Io in effetti sono convinto che non ci sia altro modo di assimilare questa saggezza se non affrontandola in questo modo indiretto, attendendo con pazienza il giusto momento in cui potremo comprenderla.
la mia naturale pigrizia unita a questo convincimento credo , o mi piace pensare, siano causa della mia ignoranza funzionale in filosofia.
Quanto capiamo veramente di ciò che leggiamo anche quando crediamo di comprenderlo?
Questo comprendere temo altro non sia che riuscire a piegare, rendendo obtorto collo omogeneo ciò che vogliamo apprendere a ciò che già sappiamo, snaturandolo di fatto, mentre quando si realizza una accidentale omogeneità, la comprensione ha più il sapore di una illuminazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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