I "commons"

Aperto da maral, 07 Dicembre 2016, 15:03:23 PM

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maral

Nel medioevo i "commons" erano quei terreni in comune destinati a garantire la sussistenza degli abitanti di un villaggio. Erano terreni situati fuori dai recinti delle proprietà private, ai limiti del villaggio. prima delle zone selvagge delle foreste o delle brughiere. Ad essi potevano accedere tutti gli abitanti del villaggio per coltivare ciò di cui avevano bisogno per la loro sussistenza e quella delle loro famiglie, ma ciò che raccoglievano nei commons non poteva venire venduto al mercato, doveva servire solo a soddisfare i bisogni di sopravvivenza del villaggio. I commons vennero via via privatizzati con l'avvento della rivoluzione industriale e l'affermazione della visione competitiva capitalistica, incamerati in proprietà private da chi aveva più disponibilità di denaro per essere poi messi a profitto secondo i dettami di un'economia di mercato. Questo provocò tra l'altro la migrazione massiccia di molti che si trovarono così privati dei mezzi di sussistenza fondamentali un tempo condivisi, verso le città in via di industrializzazione. fornendo quella manodopera di miserabili a bassissimo costo indispensabile per la produzione industriale in condizioni di totale ricattabilità.
Quando oggi si parla di privatizzazione dei beni pubblici e delle istituzioni di pubblica assistenza in nome dell'efficientizzazione economica e della crescita di produttività mi pare si stia ripetendo lo stesso disegno, con la differenza che oggi c'è, in virtù del progresso tecnologico, assai meno bisogno di una forza produttiva umana per l'industria, quanto piuttosto di gente disposta a svolgere "lavori ombra" (ossia non formalizzati e non riconosciuti come lavori) economicamente indispensabili, tra i quali, in primo luogo quello di consumare. C'è la necessità assoluta di miserabili disposti a tutto pur di consumare indefessamente.
Mi chiedo però se nel contesto globalizzato attuale il concetto di commons non possa trovare una nuova possibilità di affermazione, intendendo per esso una zona franca, libera dagli interessi economici del mercato e del fare profitto monetizzabile, in cui poter trovare, produrre e mettere in condivisione ciò di cui più si ha bisogno, non solo per quanto riguarda le necessità fisiche di sussistenza (salute, alimentazione, abitazione), ma anche gli aspetti culturali, senza che nessuno ne rivendichi la proprietà per farci profitto sopra.
Cosa ne pensate? In che termini potrebbe esistere oggi questa possibilità nel villaggio globale che si va allestendo?       

InVerno

#1
In Italia le "comunaglie" sono esistite fino a poco tempo fa, o meglio, a livello catastale esistono ancora anche se nessuno le sfrutta più per quello che sono,
o hanno cessato di esserlo per esproprio. L'idea di base, non sarebbe malvagia, però bisogna considerare che gli strumenti vanno usati dalle persone.

Lavoro e vivo in un contesto che ha fatto della produzione biologica il suo fiore all'occhiello (che oggi significa "perlomeno si va avanti") e in passato
ho teorizzato diversi tipi di coordinazione tra le aziende del luogo, un tipo di collaborazione che non fosse incentrata sul profitto privato diretto,
ma una collaborazione che per sinestesia creasse un contesto più produttivo nel complesso. In tutta onestà? Fallimenti. Motivo? Semplice, si continua a preferire
la concorrenza al ribasso..Posso mettere tranquillamente in conto che le mie idee fossero dei fallimenti in forma embrionale e che queste persone hanno fatto benissimo a rifiutarle ed a cercare di guadagnare abbassando di 0.01 i loro prezzi di volta in volta.. Però è un tipo di coordinazione che ha bisogno di catalizzatori
esterni. Insomma..

Se l'idea delle comunaglie viene gestita da privati, in qualsiasi forma di associazione, io non vedo granchè futuro. Se ci entrasse un profilo  pubblico che grazie a sgravi fiscali e altre forma di mancia facesse accettare l'idea... chissà, onestamente non lo so. Tendo a non vederlo come uno strumento eccezionale semplicemente per il fatto che il problema oggi non è tanto la terra che manca, quasi tutte le aziende hanno dell'incolto da poter sfruttare ulteriormente perchè sono ridotte all'osso dalla crisi...Però il problema della scarsissima coordinazione tra vicinati c'è ed è preponderante, se la comunaglia si trasforma anche in un laboratio culturale della zona..Allora le ricadute non sono semplicemente di sussistenza, sono culturali, e allora l'importanza della questione cambia radicalmente. Ma se c'erano prima e il campanilismo è rimasto.. bah

Non so valutare invece la fattibilità ne la sostenibilità in contesti urbani o periferici.. Non so proprio. So che se vuoi approfondire, in Mongolia le comunaglie
ci sono e sono ancora funzionanti (addirittura i capi di bestiame sono in comunaglia nei villaggi) io le ho vite e ho visto anche le ricadute, le persone sono molto solidali e si rafforzano i rapporti reciproci (ma anche le tensioni). Però non è un esempio compatibile con il contesto Italiano, è folklore :)

doxa

"Commons", "comunaglie":  perché usare termini inusuali ? In Italia si chiamano "Usi civici", ancora regolamentati da una legge di epoca fascista del 1927 e dal regolamento di attuazione del 1928. Altre norme nazionali e regionali furono emanate in seguito in materia di usi civici.  

Gli usi civici vengono distinti in due categorie: terre di proprietà collettiva (demanio civico)  e terre di proprietà privata su cui grava il diritto di uso civico in favore della comunità locale.
C'è da dire che nel nostro tempo sulle terre civiche dilaga l'appropriazione indebita, usate anche per costruire edifici privati. Ormai più che di usi civici si dovrebbe parlare di "abusi civici".

L'istituto degli usi civici è di epoca medievale, adatto per le comunità rurali. Serviva per la sussistenza e l'autoconsumo: la raccolta della legna, il pascolo, il taglio dell'erba, l'uso delle acque per l'irrigazione, ecc..

maral

Molto interessante la risposta e l'esperienza di InVerno. Forse quello che manca è la capacità di collaborare insieme non per profitto. Un intervento pubblico potrebbe essere di grande stimolo. ma non dovrebbe essere a mio avviso determinante, pena il pericolo di creare un controllo troppo centralizzato e burocratico, una sorta di soviet supremo che imposta e decide dall'alto ogni programmazione. Le ricadute culturali (nel senso di fare cultura) potrebbero davvero essere notevoli, anche se , per quanto mi riguarda, le idee restano piuttosto vaghe. Certo, il rischio è che la cosa si riduca a un livello folcloristico, una sorta di rievocazione del passato per turisti più o meno nostalgici.
So che gli usi civici sono esistiti anche in Italia ed esisto ancora in alcune località (in un paese sull'Appennino Tosco Emiliano in cui mi reco fin da quando ero bambino esistono ancora zone destinate comunitariamente alla raccolta della legna ad esempio, risalgono addirittura ai tempi di Matilde di Canossa), però prevalentemente questi terreni di demanio civico vengono lasciati in stato di abbandono, in attesa di lottizzazioni private con successive speculazioni.   

acquario69

chissa se possa davvero tornare a realizzarsi qualcosa del genere...secondo me si,forse pero i tempi non sono ancora maturi.
infatti mi sembra che tutti i tentativi,finiscono per abortire e spesso ancora prima di nascere,oppure come già detto si trasformi il tutto in turismo/folcloristico.
se e' come sopra allora secondo me vuol dire che esiste ancora un radicale fraintendimento che fa si che si rimane sempre dentro le stesse logiche e alla fine agli stessi errori.

forse per prima cosa,bisognerebbe non avere proprio più in testa l'economia e tutto cio che ne consegue..tipo profitto,utile,produzione,concorrenza,quantita'...ma anche il lavoro inteso allo stesso modo e con gli stessi criteri..il lavoro non dovra' più essere un lavoro!

tutto cio ci e' talmente diventato estraneo che risulta difficile persino immaginarlo!

temo che prima si dovra assistere al completo collasso del sistema vigente di modo che saremo costretti per forza maggiore ad un "economia" locale e di sussistenza..tornera il dono e il controdono che prendera il posto del denaro.

re-impareremo forse a fare di nuovo affidamento su noi stessi,senza che si vengano ad interporre entità astratte e prive di qualsiasi concretezza 

l'uomo sarà nuovamente a contatto col suo -sacro- territorio con il grande spirito e con madre terra.. 

pare un sogno (quasi sicuramente per noi lo e',forse pero' non lo sarà' per l'umanità di un futuro prossimo...che penseranno di noi come a dei pazzi scatenati..esseri snaturati completamente rimbecilliti!)...

..e forse (la cosa più importante) arriveremo finalmente a capire e a mettere in atto le parole di gesu quando disse;

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?  Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?  E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?  Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena»