Eutanasia e suicidio.

Aperto da Ipazia, 06 Aprile 2020, 15:40:48 PM

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Ipazia

Essendo le due situazioni fatalmente intrecciate - in particolare nella vicenda da cui ha origine la discussione - chiederei agli amministratori di modificare il titolo in "Eutanasia e suicidio".
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simplex sigillum veri

davintro

Citazione di: niko il 08 Aprile 2020, 11:56:56 AM

L'istinto di sopravvivenza si sconfigge in favore della vita (e quindi di altri istinti), non di un ideale.


Come insegna Schopenauer ci si può suicidare al limite contro la vita, non mai contro la volontà di vivere: la disponibilità del suicidio come opzione tra le opzioni è l'intenzionalità della vita umana stessa, che va (o non va) riscelta quotidianamente perché non siamo bestie, perché il nostro vecchio (incrinato) istinto non la sostiene più in tutti i membri della specie dall'inizio alla fine in modo assoluto, e tutto questo è coscienza, è un dato di coscienza: poeticamente è la Morte che ci accompagna, lo scheletro con la falce e il volto della persona amata; filosoficamente ci accompagna -quantomeno- la disponibilità del suicidio. E continuerà a farlo, che ci piaccia o no.


Naturalmente l'intenzionalità della vita non prova (e non sconfessa) il valore della vita, è solo indice di una volontà di vivere che si fa conscia nella mente del vivente, e quindi in assoluto si affievolisce, contempla le prima incontemplate alternative: proprio perché la morte non è una soluzione, perché non esiste una felicità negativa, ci vuole auto dominio assunto come valore fine a se stesso, introiezione dell'istinto proprio e altrui, per suicidarsi. Chi si suicida vuole un'altra vita, protesta contro la sua, di vita, e quindi l'atto definitivo del suicidio è un modo con cui una vita solo virtuale e desiderata, che sta solo nella mente del suicida e magari negli archetipi e nelle priorità della sua comunità, agisce su una vita reale e materiale, distruggendola. Mai come in questo caso la morte "scende" come un fulmine da un mondo spirituale a colpire una vittima corporea, materiale. La vita desiderata e mancante, il vero io.
Si pretende che il nulla sia esperibile, e, se resta inesperibile, allora per frustrazione si nega il tutto.


La storia della de-animalizzazione, della civiltà dell'uomo.





penso di concordare nel punto fondamentale. Non è un ideale di vita degna a confliggere direttamente con l'istinto di sopravvivenza, facendolo soccombere nel caso del suicidio o richiesta di eutanasia, l'ideale indica un modello regolativo in rapporto a cui valutare il livello di adeguazione della vita biologica attualmente vissuta. Oltre un certo livello di inadeguatezza, l'istinto di vivere (che non cessa mai, dato che la prospettiva del Nulla dopo la morte, al di là delle possibili diverse credenze in tema, non può mai essere realmente oggetto di un'aspirazione, dato che ogni attribuzione di un valore positivo ne implicherebbe un qualunque livello di positività ontologica, incompatibile con l'idea di puro Nulla) non coincide più con l'istinto di sopravvivenza, in quanto il vivere a cui fa riferimento è altro rispetto al vivere nella modalità dell'attuale sopravvivenza, che viene rigettata, non perché la vita cessi di essere un valore in generale, ma perché la morte è ammessa come male minore, rispetto a una "vita" che non è più quella che viene reputata sufficientemente degna. Si potrebbe sintetizzare il discorso dicendo che la psiche è, materialmente, il complesso degli istinti/tendenze che implicano la vita e la orientano verso determinate sue modalità, e un sistema di valori/ideali che la strutturano come forma, come una scala di valori entro cui gli istinti assumono diversi livelli di intensità, consentendo di gestirli in libere scelte. La componente razionale della persona non consiste nella repressione e cancellazione degli istinti, ma in una loro gerarchizzazione sulla base di quel sistema di valori entro cui l'Io è unità organica, e non solo spazio vuoto riempito solo dal gioco meccanicistico degli istinti, che lo ridurrebbe a mero somma caotica delle parti (gli istinti, appunto)

Phil

I giudizi appartengono alla vita, soprattutto quelli legati al verbo «volere» (sia esso morale, culturale o altro): «non avrebbe dovuto...», «doveva spiegazioni a...», «se si ama allora si deve...», etc. e poter pensare alla morte solo finché si è vivi, è piuttosto inevitabile; quello che si può (non «si deve») evitare è il pensare alla morte con le categorie della vita (e anche questa è una scelta, non una necessità).
La sospensione del giudizio esterno, da parte dei non coinvolti "carnalmente" al suicidio, è ovviamente un pallido sfondo, superfluo come lo è ogni giudizio di fronte alla "interruzione perenne" della vita, delle cure che la mantengono o della volontà di restare vivi (sia per malattia o altro).
Aveva già lasciato andare le figlie nel mondo, ma non voleva lasciar andare il marito nell'al di là? Aveva optato per la plausibile sofferenza minore, fra l'esser vedova e il non-esser-più? Aveva i suoi principi morali ad accompagnarla fieramente nella scelta e nel valicare la frontiera? Narrazioni, trame, interpretazioni, ricerca di un senso in una scelta altrui, di un valore simbolico, magari di un eroe e uno o più antagonisti, di una "morale della favola" in cui lieto fine (se c'è) s'intreccia con il funerale del protagonista, etc. fra voyerismo mediatico e ideologizzazione, si direbbe che nemmeno il suicidio compiuto può essere una questione strettamente personale... e non direi che "in fondo non lo è mai stato", dai tempi (verosimili) di Socrate o da quelli narrativi di Antigone, Giulietta e Romeo, etc, perché in questo caso, nonostante l'indubbia tonalità romantica (nel senso letterario del termine), il narratore ha raccontato solo l'epilogo della loro storia, che staccato dai "capitoli" precedenti risulta un mero fatto di cronaca da esporre a velleitari giudici (dire "informare" sarebbe piuttosto fuori luogo), a cui pare mai abbia fatto appello chi, volendo, avrebbe potuto attirarne molti, da "vivo aspirante-morto". Oltre a voler morire, qualcuno ha anche l'occasione di poter scegliere se e quanto baccano fare prima di andarsene, e qui mi sembra (ma non ho approfondito) che l'intenzione dei protagonisti lasci poco all'interpretazione. Fare del loro caso uno spunto di riflessione forumistica è cogliere la palla al balzo, e i rimbalzi sono certamente interessanti e persino filosofici; la mia perplessità è infatti piuttosto il considerare come "notizia" un evento tale che, nelle intenzioni dei protagonisti, forse non intendeva diventare tale (e qui sicuramente pecco di ingenuità nel considerare il rapporto fra l'esser "mediaticamente schivo" del/i protagonista/i e l'esser "deontologicamente impiccione" del narratore, o la scelta di "elaborazione in buona fede" fatta dalla figlia o da chi ha informato la stampa).

A mio giudizio direi che, alla possibile (non necessaria) sospensione del giudizio dei vivi, ben corrisponde la discrezione nel volontario spegnersi dei morituri in questione. Il problema di assegnare un senso (a momenti di vita vissuta, a storie o scelte di vita, alla vita in toto) credo riguardi chi è ancora al di qua, mentre al cospetto del desiderio di passare al di là, per chi lo contempla "sulla soglia", suppongo (e generalizzo impropriamente) tutti i sensi "narrativi" si sbriciolino, venendo meno la condizione di possibilità di porne la questione... sebbene per i vivi, desideranti restare nel loro al di qua (anche se non si fanno "autenticamente" carico di tale scelta ogni mattina), anche questa può suonare come una assegnazione di senso, o di dissenso.
Di fronte alla scelta solipsistica del suicidio (solipsismo esistenzial-filosofico, non quello ideal-caricaturale dell'«sono l'unico ente dell'universo»), non vedo nemmeno come sensata, almeno per i miei parametri, la questione del "rispettare le scelte altrui", dove "rispettare" significa qualcosa di misto fra il condividere, il non-criticare e il disinteresse, oppure della "vita come bene prezioso", affermazione quasi sarcastica se detta a un aspirante suicida (e a cui corrisponderebbe la "morte come male", in una visione al contempo fantasiosa ed istintiva dell'esistenza, in cui "il bene" trascende l'esistenza, come raccontano in coro schiere di vivi, anziché restare immanente ad essa).


Chiaramente se la morte in gioco non è la propria, i parametri cambiano nettamente e, non a caso, scende anche in campo il diritto a regolamentare i rapporti fra i cittadini (il diritto regolamenta anche eutanasia e casi simili, ma non mi pare questo il mood del topic). Se invece sto per avvelenarmi ed arriva qualcuno a "salvarmi", ci vedo più una sua palese incomprensione del mio gesto o/e autoritaria ingerenza nella mia scelta individuale, piuttosto che un atto di eroismo o benevolenza (come sarebbe invece salvare chi non vuole morire). Giustificare il proprio intervento pensando che, se mi sto per avvelenare, non so quello che faccio e ho bisogno di essere aiutato, è forse più una questione di proiezione (da parte di chi alla sua vita ci tiene) e pregiudizio culturale (la vita come "bene", dono di un dio, etc.). Anche appellarsi all'istinto di sopravvivenza, non terrebbe presente che tutta la nostra "evoluzione", tutta la nostra "intelligenza", tutte le nostre "culture", si fondano perlopiù sul non ascoltare, o quantomeno addomesticare, gli istinti; se a quello di sopravvivenza concediamo la deroga, condannando moralmente la "eterodossia del seppuku", è per me solo una contingenza storico-culturale.


P.s.
Ciò non vuole essere un giudizio né sul tema in generale dell'eutanasia (che non è semplicemente un suicidio), né sul suicidio (che in quanto gesto individuale mal si presta a ragionate categorizzazioni da studio statistico), né sul taglio datogli da questo topic (proficuamente riflessivo), ma solo un commento "terra terra" strettamente sull'"evento di cronaca" che ha funto da spunto per la discussione.

Ipazia

No (wo)man is an island. Non lo è quando permette un approdo attuale o postumo alle sue coste pubblicandone la foto sui giornali. Lo è ancor meno quando la didascalia alla foto entra a gamba tesa in quella che un tempo si sarebbe chiamata pubblica opinione e che i filosofi chiamano il senso della vita. E della morte che ne è suggello o sigillo estremo. Non per impudica e morbosa impiccioneria ho postato questo evento ma per saggiare la coscienza del forum su una questione che mi investe avendo quella campana suonato per me. Con tutta l'empatia che l'analogon, il sensibile, suscita quando una corda risuona con le tue. Una corda nel registro basso, che tutte le armonie sorregge. Con una sua etica ed estetica radicali, consegnate alla critica dell'umano. Il quale non è istruzioni per l'uso e marcatura CE, ma errabonda animula vagula blandula che si incontra con altre animule aperte alla critica dei loro fondamenti ogniqualvolta qualcosa di inusitato accada. Come in questo caso, gettato nel mondo. Dei vivi, s'intende. I morti hanno già detto la loro. E raggiunto il loro nirvana, da cui del nostro silenzio o chiacchericcio poco si curano.
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simplex sigillum veri

Phil

Citazione di: Ipazia il 09 Aprile 2020, 07:48:59 AM
Non per impudica e morbosa impiccioneria ho postato questo evento ma per saggiare la coscienza del forum su una questione che mi investe avendo quella campana suonato per me.
Speravo d'aver postillato a sufficienza per evitare malintesi, ma pare me ne sia maldestramente lasciato sfuggire uno fra i possibili (e proprio quello che maggiormente volevo scongiurare): quando parlavo dell' «esser "deontologicamente impiccione" del narratore»(autocit.) mi riferivo al cronista/giornalista che per deontologia "deve" impicciarsi dei fatti di cronaca elevandoli a pubbliche notizie che attecchiscono, nel nostro orticello, come spunti di riflessione.
Ribadisco che lo spunto filosofico è per me (e non solo) ricco e interessante, ma volevo anche osservare di passaggio come la sua genesi sia apparentemente non voluta dai protagonisti (e qui, come detto, pecco di ingenuità sociologica e mediatica nel ritenerlo un fattore, forse morale forse estetico, da considerare).

Ipazia

C'era un'ombra di dubbio che mi fa piacere sia stata rimossa. Del resto il tuo post, accurato come sempre, solleva molteplici questioni in replica ad altri interventi sui quali in generale concordo, ma lascio agli interessati la replica. Mi sono premurata di chiarire quanto di mia competenza.
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Ipazia

La pentola scoperchiata sulle RSA in fase epidemica porta ulteriore acqua al partito dell'eutanasia e del suicidio consapevole, posto che esiste anche una qualità della morte. Col senno di poi, quanto fu saggia la scelta di Oriella Cazzanello!
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baylham

Gli ospizi hanno una valenza positiva, sono parte della qualità della vita, gli errori commessi sono uno stimolo a migliorarli, non certo a sostituirli con la "buona" morte.
Posso comprendere, rispettare, ma non trovo affatto saggio il suicidio assistito della donna.

giopap

Miglioramento dell' assistenza agli anziani ed eutanasia (che può essere decisa unicamente dal diretto -a interessato -a direi "per definizione": solo io so se é per me preferibile morire bene che continuare a vivere male da parte mia) non sono affatto alternative reciprocamente escludentisi.

baylham

Distinguerei tra eutanasia e suicidio assistito. L'eutanasia implica una sofferenza fisica o psichica intollerabile del soggetto, il suicidio assistito no; l'eutanasia è assimilabile all'omicidio più che al suicidio.
Sono favorevole all'eutanasia e al suicidio assistito come servizio pubblico in presenza di condizioni fisiche o psichiche dolorose e ineliminabili del soggetto. Al di fuori di questi casi il suicidio rimane una scelta individuale, privata, che rispetto.

Ipazia

Il suicidio rimane un tabù, e non può essere diversamente perchè è un j'accuse contro la vita che chiama in causa tutti i superstititi costringendoli individualmente a interrogarsi sul valore della loro vita e sul patto con essa da dover continuamente sottoscrivere. Il dato quantitativo è un j'accuse pure contro la società, e le norme, nel suo insieme. Questo rafforza il tabù. Liberalizzare la morte è una scommessa importante su se stessa per ogni società umana e l'epidemiologia liberata dovrebbe permettere di interrogarci più a fondo sui dispositivi sociali che abbiamo o no, ratificati, spingendoci a cambiarli. Mettere la polvere sotto il tappeto non può che aumentare la sofferenza sociale e la mistificazione della condizione umana, aggravando la patologia.
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niko

#26

Io ci andrei piano a dire che lo stato deve aiutare a morire anche un individuo non malato, non paralizzato, pienamente cosciente e fisicamente in grado di suicidarsi da solo: non ho dubbi che sia giusto aiutare a morire chi è paralizzato o a vario titolo imprigionato nel suo stesso corpo, ma quando si arriva all'individuo sano e deambulante che chiede il bicchiere di veleno allo stato perché "fare da solo" con l'atto pratico del suicidio lo turba in qualche modo, qualche dubbio mi viene, ho l'impressione che la giusta misura sia stata passata, e una pratica di per sé giusta strumentalizzata.


Il suicidio assistito dovrebbe essere un aiuto a morire, idealmente da parte di uno stato che ama così tanto i suoi cittadini da essere disposto a lasciarli andare, nella misura in cui amare è anche saper lasciare andare: ma in amore si aiuta chi non può scegliere, aiutare chi già di suo può (benissimo) scegliere, mi sa più di condizionare la sua scelta, che non di aiutare.


Essere fisicamente non più in grado di suicidarsi per una malattia o un deterioramento fisico avanzato, è una condizione oggettivamente patologica, di un corpo che non funziona più al meglio delle sue possibilità; al contrario voler morire ma essere spaventati da alcune difficoltà pratiche connesse all'atto pratico del suicidio è una condizione interiore ed esistenziale, connaturata alla condizione umana in senso lato, e non certo patologica: lo stato che si immischia in questa seconda condizione (puramente emotiva, mentale) non è come lo stato che si immischia nella prima condizione (fisica, di paralisi) e proprio da un punto di vista liberale mi fa un po' paura: preferisco lo stato che non imponga la vita, criminalizzando il suicidio, ma nemmeno semplifichi la naturale difficoltà della morte quando una volontà disperata sfida l'istinto di sopravvivenza, fornendo veleno ad aspiranti suicidi fisicamente abili.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Io preferisco una società che rimuova all'origine le cause che spingono una persona a scegliere la morte. E che la conceda quando può affermare in buona coscienza di aver fatto tutto il possibile per evitarla.
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niko

Citazione di: Ipazia il 13 Aprile 2020, 14:02:39 PM
Io preferisco una società che rimuova all'origine le cause che spingono una persona a scegliere la morte. E che la conceda quando può affermare in buona coscienza di aver fatto tutto il possibile per evitarla.





Le cause per scegliere la morte sono spesso individuali, non è la società che deve indurci a vivere (come se la definizione di voglia di vivere fosse la stessa per tutti...) e il singolo individuo difforme che sceglie la morte e "accusa" la vita ci sarà sempre; per questo dicevo che la morte, in particolare nella forma del suicidio assistito, la si dovrebbe "concedere" caso per caso quando aggiunge qualcosa di utile per l'autodeterminazione e rimuove un ostacolo reale, non a mani basse e non come se fosse un diritto spettante a tutti, perché secondo me non lo è.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Freedom

Citazione di: Ipazia il 13 Aprile 2020, 11:03:06 AM
Il suicidio rimane un tabù, e non può essere diversamente perchè è un j'accuse contro la vita che chiama in causa tutti i superstititi costringendoli individualmente a interrogarsi sul valore della loro vita e sul patto con essa da dover continuamente sottoscrivere. Il dato quantitativo è un j'accuse pure contro la società, e le norme, nel suo insieme. Questo rafforza il tabù. Liberalizzare la morte è una scommessa importante su se stessa per ogni società umana e l'epidemiologia liberata dovrebbe permettere di interrogarci più a fondo sui dispositivi sociali che abbiamo o no, ratificati, spingendoci a cambiarli. Mettere la polvere sotto il tappeto non può che aumentare la sofferenza sociale e la mistificazione della condizione umana, aggravando la patologia.
Questa, se ho ben capito, è una prospettiva interessante e condivisibile. In buona sostanza, correggimi se sbaglio, sostieni che il fallimento di ogni persona è ANCHE attribuibile al resto della famiglia umana. E dunque ogni persona che desidera e, addirittura, mette in pratica il suicidio, rende una testimonianza negativa alla società nel suo insieme.

In tutta franchezza sono d'accordo.

L'altro aspetto del ragionamento, su cui tra l'altro abbiamo già dibattuto e cioè il "liberalizzare" il suicidio assistito.....a me mette i brividi. Non so....secondo me c'è qualcosa di malsano nel rendere di "ordinaria amministrazione" una cosa così straordinaria, intima, personalissima.

Guarda che, non l'ho forse mai espresso così chiaramente come sto per fare, ma io ricordo perfettamente quando, da bambino, appassionato di storia (e dunque usi e costumi) degli indiani d'America, ne leggevo avidamente tutto ciò che trovavo.

E grande fascino, rispetto e ammirazione suscitava in me il sistema usato da molti anziani di diverse tribù che, una volta raggiunta un'età nella quale non erano in grado di provvedere a sè stessi, si ritiravano in luoghi appartati e si lasciavano morire. (e si suscitava dentro di me un fanciullesco ma non meno autentico desiderio di emulazione quando sarebbe venuto il mio momento) Una legge non scritta certamente dura degna conseguenza, di un'esistenza dura. Dura ma libera, dignitosa, naturale. Come, del resto, tutta la vita degli indiani d'America.

Questo per dire che non sono contrario in linea di principio al tema così delicato che hai proposto.

E' solo che avverto stridenti contraddizioni, discussioni sfacciate e strumentali, pregiudizi, che mi hanno fatto prendere "in strino" tutto quanto il tema. (non è questo il caso)
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

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