Eutanasia e suicidio.

Aperto da Ipazia, 06 Aprile 2020, 15:40:48 PM

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Ipazia

Citazione di: Freedom il 13 Aprile 2020, 15:50:07 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Aprile 2020, 11:03:06 AM
Il suicidio rimane un tabù, e non può essere diversamente perchè è un j'accuse contro la vita che chiama in causa tutti i superstititi costringendoli individualmente a interrogarsi sul valore della loro vita e sul patto con essa da dover continuamente sottoscrivere. Il dato quantitativo è un j'accuse pure contro la società, e le norme, nel suo insieme. Questo rafforza il tabù. Liberalizzare la morte è una scommessa importante su se stessa per ogni società umana e l'epidemiologia liberata dovrebbe permettere di interrogarci più a fondo sui dispositivi sociali che abbiamo o no, ratificati, spingendoci a cambiarli. Mettere la polvere sotto il tappeto non può che aumentare la sofferenza sociale e la mistificazione della condizione umana, aggravando la patologia.
Questa, se ho ben capito, è una prospettiva interessante e condivisibile. In buona sostanza, correggimi se sbaglio, sostieni che il fallimento di ogni persona è ANCHE attribuibile al resto della famiglia umana. E dunque ogni persona che desidera e, addirittura, mette in pratica il suicidio, rende una testimonianza negativa alla società nel suo insieme.

In tutta franchezza sono d'accordo.

Sì, penso che in una situazione ideale ciascuno dovrebbe trovare più motivazioni per vivere, che per morire. In ciò si misura il successo di un contesto sociale...

CitazioneL'altro aspetto del ragionamento, su cui tra l'altro abbiamo già dibattuto e cioè il "liberalizzare" il suicidio assistito.....a me mette i brividi. Non so....secondo me c'è qualcosa di malsano nel rendere di "ordinaria amministrazione" una cosa così straordinaria, intima, personalissima.

... e solo la "liberalizzazione della morte" mi dice se il bersaglio è stato raggiunto o se bisogna - epidemiologicamente - aggiustare la mira. Nella libertà non vi è nulla di ordinario; anzi: ogni gesto ha un significato straordinario e gravido di conseguenze.

CitazioneGuarda che, non l'ho forse mai espresso così chiaramente come sto per fare, ma io ricordo perfettamente quando, da bambino, appassionato di storia (e dunque usi e costumi) degli indiani d'America, ne leggevo avidamente tutto ciò che trovavo.

E grande fascino, rispetto e ammirazione suscitava in me il sistema usato da molti anziani di diverse tribù che, una volta raggiunta un'età nella quale non erano in grado di provvedere a sè stessi, si ritiravano in luoghi appartati e si lasciavano morire. (e si suscitava dentro di me un fanciullesco ma non meno autentico desiderio di emulazione quando sarebbe venuto il mio momento) Una legge non scritta certamente dura degna conseguenza, di un'esistenza dura. Dura ma libera, dignitosa, naturale. Come, del resto, tutta la vita degli indiani d'America.

E' anche il mio punto di partenza per la riflessione sulla morte proprio perchè si tratta di un modello sociale in cui mi riconosco totalmente: una società di uguali il cui sostentamento ha un forte carattere comunitario e in cui l'individuo non viene deprivato della sua dignità nemmeno di fronte alla morte che sta a lui decidere quando è giunto il momento. Non per un infantile rivalsa verso la comunità o affermazione di chissà quale velleità individualistica, ma nell'armonia, dura ma perfetta, della conservazione della tribù.

Malgrado la nostra molto meno armonica, omologante, estraniante, realtà sociale, non è che tale atteggiamento di fronte alla morte sia divenuto impraticabile perchè comunque rimane immutato il principio di dignità che ciascun umano ha il diritto di rivendicare nel momento della morte affrontandola, come dice l'imperatore Adriano, con gli occhi bene aperti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Federico Mey2

Condivido la posizione di Davintro, secondo cui:
...la ragione è la facoltà tramite cui possiamo valutare la diversa efficacia dei vari mezzi possibili rispetto a un certo fine, ma non può giudicare in termini oggettivi l'effettivo valore del fine in sé, che resta espressione di una sensibilità morale del tutto soggettiva. Quindi non ha senso dire che l'istinto di sopravvivenza come necessario fine da perseguire sia razionale (così come non avrebbe senso intenderlo come irrazionale), ma che razionale può essere una strategia funzionale al fine che questo istinto indica, ma non il fine in se stesso. E anzi, proprio la ragione, intesa come facoltà di mediare, analizzare, collegare percezioni esprime quella facoltà di astrazione per la quale la vita umana non è mai riducibile alla mera continuazione biologica, ma comprende un livello spirituale/morale indicante un ideale personale di "vita degna di essere vissuta"...


Proprio gli individui superiori (come gli umani, non schiavi di sè stessi come gli animali), con la loro razionalità, sono capaci di superare gli istinti (compreso quello di sopravvivenza) e raggiungere un livello sul quale gestiscono e decidono i loro fini e principi.
La vita degna di essere vissuta è senz'altro un buon argomento, un buon fine (molto migliore dell'essere vittima dei propri istinti), ma al limite non è neanche quello: lo spazio delle finalità è ampio, così come le ragioni della scelta di esse.
La scelta del fine si traduce poi in decisione sulla propria vita, che senz'altro può includere la propria morte, o l'accettazione o la negazione della continuazione biologica della famiglia o della specie.
Purtroppo la massa degli individui, in gran parte incapace di questa visione umana superiore e magari schiava degli istinti, determina oggi (e soprattutto ieri) grossi ostacoli alla possibilità di esprimere le diverse finalità che ho citato.
Ma fortunatamente stiamo viaggiando, anche se molto lentamente, verso la loro ammissione, e eutanasia e suicidio assistito (dal mio punto di vista non c'è gran differenza-sono entrambi da ammettere al 100%) sono in qualche modo fattibili, lo saranno sempre più probabilmente.

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