Disgregazione dell'occidente?

Aperto da Eretiko, 02 Febbraio 2017, 16:53:39 PM

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donquixote

Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2017, 14:48:58 PMQuando il proprio pensiero porta a fare apologie di bombaroli che pensano di vivere in un videogioco, uno potrebbe anche porsi delle domande, se il risultato delle tue corse nei verdi campi del noumeno è questo, auguri a te, e auguri alla filosofia.

InVerno, cerca di lasciare da parte per un momento i tuoi pregiudizi e soffermati a riflettere un secondo, visto che in qualche occasione hai mostrato di saperlo fare. Come si fa a ribaltare completamente la realtà e scrivere che il "bombarolo" pensa di vivere in un videogioco? Forse non ce l'ha una famiglia? degli amici? una fidanzata? magari dei figli? dei sentimenti? delle prospettive? Forse che tutte queste cose non sono importanti per lui, magari più di quanto lo siano per noi? Forse che non sacrifica tutto questo per qualcosa che ritiene superiore addirittura alla propria vita? Dici che si rivolge contro obiettivi civili e non militari? Chi furono a teorizzare, per primi, i bombardamenti "a tappeto" di Lipsia e Dresda, privi di obiettivi militari, per "fiaccare la resistenza del popolo tedesco"? Quali obiettivi militari avevano le bombe atomiche sganciate sul Giappone? E il napalm in Vietnam? Chi furono dunque i primi terroristi se con questa parola si intende chi sparge terrore fra i civili in modo da causare panico, insicurezza e sommosse popolari? Chi pensa di vivere in un videogioco: il "bombarolo" che si fa esplodere in prima persona o il sottufficiale che davanti ad una console manovra un drone con il joystick e ammazza qualche decina di persone concludendo la giornata ubriacandosi di birra e magnificando le proprie imprese "eroiche"? Qual è il "senso della vita" di costui? Anzi, qual è la "vita tout court" di costui? Fino a non molti anni fa avremmo esaltato colui che, consapevolmente, si immolava per qualcosa che riteneva superiore alla sua stessa vita, anche se non ne condividevamo le ragioni. Adesso chiamiamo costoro "vigliacchi" mentre il manovratore di joystick a 10.000 km. di distanza dal "bersaglio" è un eroe, un difensore del bene. Anche queste cose, pur se in misura inferiore a quelle già nominate, sono dimostrazione di quanto non solo la nostra cultura non sia più degna di essere chiamata tale, ma di come abbiamo anche abdicato al ruolo puro e semplice di "esseri umani", trasformandoci in vermi privi di spina dorsale e completamente dipendenti dalle macchine che, per forza di cose, non potranno che superarci non tanto per la loro perfezione tecnica quanto per la nostra diminuita e quasi annullata "umanità". Cosa insegnano le culture a proposito dell'uomo (tutte, compresa la nostra prima questa era)? insegnano a coltivare il coraggio, la lealtà, il senso dell'onore e del dovere, il senso del rispetto e della giustizia , il senso di responsabilità nei confronti di Dio, della Patria, della famiglia e di noi stessi, in rigoroso ordine gerarchico. Cosa insegna la nostra "cultura" attuale? a coltivare ed esaltare le debolezze; a soffocare i nostri istinti; ad essere orgogliosi di avere paura; a non vergognarci di piangere in pubblico; a mostrare i nostri sentimenti (solo quelli buoni, s'intende); a non farci turbare da una ragazza in minigonna perchè anche se lei ce la mostra sotto il naso ne ha tutto il diritto e noi abbiamo il dovere di non avere reazioni, come le macchine; a non prendere in giro, da ragazzini,  il diverso, l'handicappato, il nero, il debole, il gay perchè poverini ci possono rimanere male; a sostituire l'intelligenza con l'istruzione per diventare come macchine sempre più prevedibili e controllabili; a mortificare tutto ciò che è forza e virilità (anche dal punto di vista intellettuale) , ed esaltare il femminile, il sentimentale, l' emotivo, l'empatico (quindi, dal punto di vista intellettuale, il dubbioso e lo scettico), e se ci penso un po' potrei andare avanti una buona mezz'ora a scrivere. In buona sostanza a sostituire la nostra umanità con la meccanizzazione, in modo da rendere davvero chiunque uguale  a chiunque altro riducendo tutti al livello della parte inferiore della massa, e a questo punto la nostra meccanizzazione, necessariamente imperfetta, sarà sostituita da quella molto più perfetta delle macchine che nascono già per essere tali.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Freedom

#46
Non ho rilevato nessuna apologia di bombaroli. Tutt'altro. Semmai il timore che i bombaroli posano entrare in azione. Paura assolutamente attuale poichè i conflitti, montanti oramai in ogni parte del mondo occidentale, si stanno dimostrando in forte e rapida crescita. Non tutti lo avvertono perchè i media, del tutto asserviti al potere, lo nascondono. Ma quando la contraddizione insanabile e irrisolvibile comincia a riguardare il mio parente, il mio amico, il mio vicino di casa, etc. allora non c'è oscuramento mediatico che tenga: lo scontro divampa incontrollabile e mi tocca da vicino. Rendendomene, in qualche modo, partecipe. Non so se torneranno le Brigate Rosse o i Nar ma certamente bisogna considerare la probabilissima eventualità che la società si prepari a scontri importanti e diffusi. Di cui, fra parentesi, i più attenti osservatori ne ravvisano già le prime avvisaglie.

Per quanto riguarda il confinare la vita del proprio interlocutore ad un videogioco, mi dispiace, ma non è una gran figura. Specialmente in considerazione del fatto che questa discussione è tra le più dotte e approfondite che si siano mai viste in questo Forum. Un peccato svilirla.

Per quanto concerne l'oggetto del thread consentitemi un'entrata "gordiana" e sciogliere il nodo con una brutale ma verace affermazione: questa civiltà fa schifo e la nostra vita lo rappresenta egregiamente. Una frustrazione, un obbrobrio che non si può spiegare. E vale per tutti. Chi non lo rileva è perchè non vuole rilevarlo. Le comodità, gli agi, le medicine, le scoperte scientifiche insomma lo straordinario progresso tecnologico e quant'altro non fanno che rendere questa infelicità universalmente diffusa la prova del più grande tradimento della storia umana. Avremmo tutto per essere felici (diciamo quasi perchè certe problematiche esistenziali sono affrontabili solo spiritualmente) e siamo invece infelici. Che amarezza!
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

maral

#47
Citazione di: donquixote il 06 Febbraio 2017, 23:11:21 PM
Io non ho mai espresso il pregiudizio della non violenza. La violenza ha sempre fatto parte della storia non solo dell'uomo ma della natura in generale. La natura si sviluppa attraverso i conflitti ("Polemos è padre di tutte le cose" diceva Eraclito) e quindi la guerra non è, per me come per chiunque nella storia tranne l'occidente odierno, un tabù, ma spesso l'aggressività e la violenza venivano ritualizzate, controllate, canalizzate attraverso forme simboliche. Poi quando c'era la guerra vera la si faceva, ma anche in quella vi era un'etica, una moralità, che con la modernità sono andate perdute. Abbiamo letteratura epica di ogni parte del mondo che racconta di guerre memorabili, e anche il più grande poema dell'induismo, testo sacro di uno dei popoli meno guerrafondai della storia, utilizza la storia di una guerra per raccontare Dio, l'uomo e il mondo. Ora la guerra, che ha perso ogni caratteristica etica, romantica, eroica, epica, umana,  si fa sparando missili coi droni controllati da diecimila chilometri di distanza contro uomini armati di machete, e il bello è che questi ultimi non sono solo i nemici, come sono sempre stati, ma sono anche i "cattivi" ai quali non si può concedere l'onore delle armi ma bisogna processare se li si fa prigionieri. Solo uno come Kant poteva scrivere, del resto, un libretto intitolato "Per la pace perpetua", che ricorda tanto il "riposo eterno".
E' vero che combattere con le spade e i bastoni è diverso che combattere con i missili e i droni teleguidati, è vero che la guerra non sappiamo più cosa sia, tanto da chiamare missioni di pace le guerre che si fanno altrove, ma questo non toglie che anche un tempo le guerre non fossero balletti simbolici. Né i Romani né i Barbari o i Mongoli (ma neanche Greci, Persiani e Ittiti) quando si combattevano e devastavano le città inscenavano rappresentazioni simboliche della violenza, la praticavano con gusto e ferocia. I Crociati fecero un massacro orrendo a Gerusalemme e così i cavalieri teutonici con le croci sul petto nelle loro crociate contro gli Slavi. Ci furono battaglie in passato dove furono massacrate intere legioni e migliaia di combattenti anche se solo con picche, spade e coltellacci. E' vero piuttosto che in passato la guerra era celebrata come una specie di grande festa crudele in cui l'elemento simbolico era sempre presente e forse questo fa la differenza principale, ma l'elemento simbolico non tramuta la violenza in rappresentazione, l'esatto contrario, almeno finché il simbolo vive e vivere per un simbolo significa annunciare l'assoluto che dirompe, altrimenti anche una croce è solo una X, letteralmente niente. L'uomo dei tempi andati non era di certo migliore di quello attuale in termini di violenze e i pii e buoni contadinelli e pastorelli di un Arcadia felice stanno solo nei sogni.  

Citazione di: maral il 05 Febbraio 2017, 23:50:37 PM
Quando è iniziato il colonialismo delle americhe il Cristianesimo era già in declino, in Europa, da un paio di secoli almeno, e nessun sovrano europeo (nemmeno il Papa) ha mai armato degli eserciti con l'obiettivo di esportare il cristianesimo, anche se al seguito degli eserciti andavano i missionari a distruggere (sia pur in buona fede, al contrario dei soldati) ciò che le armi avevano risparmiato.
Prima, molto prima e proprio nel cuore dell'Europa. I Sassoni pagani furono quasi sterminati dai Franchi cristiani che godevano dell'amicizia e dei solleciti papali, per non parlare degli Slavi pagani, cacciati come bestie dai cavalieri teutonici, per non parlare dei "Dio lo vuole!" pronunciati da pii fondatori di ordini monastici, per non parlare delle feste con rogo e torture in piazza, per non parlare dei Catari e degli Albigesi, per non parlare di vescovi e papi che non solo sobillavano e tramavano, come di antico uso tra ecclesiasti, ma che indossavano pure mazze e armature (e ben venga!). Certo, la religione era spesso un pretesto, ma quel pretesto forniva il simbolo e il simbolo che rappresenta il Dio unico e salvifico per tutti ha sempre diviso nel modo più feroce, scatenando gli odi più devastanti. Perché il simbolo o è tutto o è nulla. Quando si rimpiangono i vecchi valori, le sacrosante tradizioni, si ha una minima idea del prezzo pagato in sangue e dolore che quei valori e tradizioni portano con sé?

CitazioneIn Europa i Romani hanno prima acquisito volontariamente molta parte della cultura greca, poi si sono convertiti al Cristianesimo che ha una struttura dottrinale completamente diversa. Poi tutti i popoli del nord Europa si sono volontariamente cristianizzati. In Asia il Buddhismo è stato abbracciato volontariamente da numerose popolazioni senza essere imposto con la violenza. Se i simboli si impongono da sé significa che sono convincenti e funzionali, se invece vengono imposti con la forza sarà molto difficile integrarli in una cultura e la distruggeranno.
Il Cristianesimo si impose nell'impero, per ragioni politiche, oltretutto ai tempi i cristiani erano fortemente divisi in sette tra loro ostili, i Romani pagani erano disgustati dalla litigiosità rissosa di quelle sette che metteva di continuo a repentaglio l'ordine pubblico. Il Cristianesimo ecumenico era stata certamente un'idea geniale di Paolo (un rabbino ebreo), occorre riconoscerglielo e nel tempo finì con l'innestarsi sulla cultura ellenica, ma all'inizio non fu certo così. Teodosio, l'imperatore che per primo dichiarò il Cristianesimo religione di stato, chiuse definitivamente la scuola di Atene, non fu certo una fusione. Quanto ai barbari del Nord Europa il problema era corrompere e convertire i principi, i popoli si adeguavano, in caso contrario venivano massacrati dai loro stessi capi tribù o da altri barbari che non aspettavano altro, come fu il caso dei Sassoni. Soprattutto nelle campagne la conversione non fu certo facile né tanto meno pacifica.

CitazioneLe fondamenta ci sono, e sono immobili, e il fatto che il tempo sia lento o meno non conta visto che esse si trovano di là dal tempo e non sono condizionate da questo. Poi che le cose stanno come stanno, che sempre meno persone possono comprendere queste fondamenta e che la tecnica (e quindi l'ignoranza di cui è il sostituto) domini e dominerà il mondo sono cose che in sé non impediscono di vedere che si sta viaggiando veloci verso l'autodistruzione che già migliaia di anni fa era prevista e descritta da coloro che sapevano guardare lontano e non erano affetti dalla terribile miopia dell'uomo moderno.
Le fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?

donquixote

Curioso che continui a raccontare (a modo tuo ovviamente), episodi di storia europea mentre io confrontavo i popoli europei (e in parte anche quelli mediorientali) con altre etnie che non hanno la stessa natura aggressiva. Gli europei si sono sempre combattuti fra loro anche quando la religione era la medesima (e la nascita del Cristianesimo riformato è stata una ulteriore scusa per combattersi ancora più ferocemente) e il fatto che in quei secoli in Europa si sia svolto uno scontro costante fra chi sosteneva la supremazia dell'imperatore e chi invece quella del papato significa che non si è mai compresa la corretta gerarchia dei poteri e delle autorità e quindi non si è mai raggiunta una vera stabilità. Ma se questi sono problemi peculiari dell'Europa e degli europei (che si sarebbero presi a mazzate qualunque fosse la cultura dominante) il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.

Citazione di: maral il 09 Febbraio 2017, 22:18:31 PMLe fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?

L'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque, ma anche se un popolo basasse la propria cultura su di una menzogna è ovvio che lo farebbe perchè crede che questa sia la verità. Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna, altrimenti  non potrebbe vivere e getterebbe i popoli nella più profonda disperazione. Dunque un popolo che si basa su un assoluto "falso" non dovrebbe fare alcuna violenza nei confronti di se stesso, ma va considerato che se l'assoluto è il fenomeno, il fatto (come nella cultura scientifica) questo si sgretola in un attimo mentre se l'assoluto comprende una porzione sufficientemente grande della realtà potrà avere una giustificazione intellettuale più duratura. L'ambiente, la natura, non è certo un assoluto, ma essendo un concetto molto più ampio non solo di un popolo o una cultura ma anche di tutta la specie umana il fatto di porlo come assoluto poichè dal suo mantenimento e dal suo rispetto dipende tutto ciò che chiamiamo "vita" in senso biologico ha un senso. Il sole non è un assoluto, ma essendo la sua luce e il suo calore a rendere possibile la vita sulla terra lo rende "più assoluto" ancora della natura. Poi gerarchicamente viene tutto ciò che da questo dipende ove ciò che è più stabile sarà anche più importante di ciò che è più effimero, più evanescente. Le culture eliocentriche o ecocentriche non si basano su assoluti, ma comunque su valori durevoli, che fra l'altro sono affidabili poichè sia il sole che la natura sono prevedibili nella loro ciclicità, e inoltre non ha alcun senso l'imposizione violenta di questi "assoluti" poichè si impongono già da sé, e l'uomo non può fare le veci della natura o del sole, mentre le culture antropocentriche, etnocentriche o addirittura economicocentriche, oltre ad essere molto più instabili poichè basate su valori molto più relativi si scontreranno con altri relativismi simili dovendo imporre la propria superiorità ad esempio sulla natura che essendo considerata gerarchicamente inferiore dovrà essere piegata all'assoluto umano, o razziale, o economico.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

InVerno

Ho poco tempo per rispondere la violenza delle frasi è dovuta a questo, cercherò di farlo

a) Non si tratterà di apologia vera e propria ma il contrasto tra i "decerebrati occidentali" (da cui ovviamente l'autore si esclude) e i bombaroli che "hanno capito il senso della vita" è evidente e lo inserisco in un contesto più ampio di discussione.

b) Avrà famiglia e tutto quello che vuole, si tratta comunque di pedine, e l'avvocato che si era incaricato di difendere il sopravissuto di parigi ha parlato (e io cito) di "imbecilli completi che pensano di vivere in un videogioco, incapaci di riconoscere la destra dalla sinistra se non gli viene ordinato" E gli altri casi a vedere le biografie non si discostano, e non ci sarebbe da meravigliarsi, stiamo parlando di pedine che non hanno nulla a che fare con la questione.
Peraltro, quando si parla di terrorismo recente generalmente si parla di attentatori occidentali che hanno colpito in occidente, nati e vissuti in occidente alcuni da generazioni che hanno semplicemente trovato un pretesto per fare "la cazzata della vita" e non conoscono un acca della cultura islamica fuori dalle loro puerili letture su wikipedia.


  • io sono il primo a considerare il terrorismo di casa nostra, aspetto ancora giustizia storica per il vietnam, timor est (etc etc etc) fino ai droni in yemen che ammazzano un bambino ogni dieci fottuti minuti. Ma questo non ha nulla a che fare con l'argomento (o meglio ne avrebbe molto, quando scenderemo di grado dai massimi sistemi)

d) Il virus occidentale, in Italia sublimato alla perfezione nella frase "chiagni e fotti" è sempre tra noi (il terrorismo poi è la cristallina dimostrazione di questa crisi morale). La globalizzazione può essere usata al contrario, come una patente pirandelliana, si prende un aereo e si emigra nei paradisi del senso della vita. Se la società attuale non combacia con i propri desideri il trivio è semplice, si cambia società, si cambia la società, o si cambia i propri desideri. Preferiamo vivere in un dramma di Ibsen, Hedda prende il manoscritto del marito scrittore dove lo stesso aveva enunciato come sarebbe finita l'umanità e lo getta nella stufa, nel terribile atto di privare l'umanità di conoscere il proprio destino. E' bello immaginare che ci sia una Hedda per ognuno di noi, e che il dramma si consumi nella stufa invece che "li fuori". Ma non è cosi, il dramma è li fuori, tangibile e ha bisogno di risposte.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna
Credo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il  rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca).
Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...).

In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei...  altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...).


P.s.
Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).

paul11

Apologia vuol dire difendere e se questo termine è utilizzato allusivamente in un atto di un bombarolo, o lo si dimostra o è diffamare.
C'è l'intera discussione a provare che il sottoscritto non ha mai dato giudizi di valore sulle differenze culturali, tant'è che avevo scritto che l'una non va santificata e l'altra non va demonizzata,ognuna ha limiti.
L'esempio dell'uomo bomba è un fatto da anni, non un allusione  o l'invenzione di una trama fantasiosa dove si mettono in bocca ad altri fatti e giudizi supposti,strumentalizzando non una frase ,ma tutti post di una discussione precedenti.

Allora specifico un concetto implicito nel "crudo" esempio.
La cultura induttiva ha portato la forza tecnica e tecnologica, ma ha perso nella convinzione umana.
La forza delle comunità/società deduttive, come le ho chiamate, è che la vita stessa di ogni individuo è vissuta in un  DESTINO(parola chiave per capire le differenze). vale a dire la vita ha un significato dentro un ordine più grande, indipendentemente che questo ordine sia ritenuto vero o falso giusto o sbagliato il paradigma di quell'ordine  Il fatto di credere come propria esistenza in qualcosa motiva molto di più  di chi si arrovella a pigiare tastiere di smartphone per scrivere stupidaggini su Facebook (questi sono i decerebrati),che nascondono bullismo, istinti persecutori,irrisioni.

il sottoscritto non crede di essere fuori dallla decadenza e degenerazione occidentale, ci vivo dentro ,ho per forza relazioni. Posso solo costruirmi contenuti ,forme che aumentino la mia personale consapevolezza, vale a dire alazare il sistema immunitario

Eretiko

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
...il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.

Nei 1.000 anni da te citati c'era sicuramente un unico modello culturale: quello plasmato dalla religione che si è dimostrata molto utile per gli scopi di re, signori, signorotti e feudatari. Onestamente non mi sembra un eccellente modello culturale quello dove la sofferenza reale viene giustificata in vista di un ideale premio futuro post-morte; "gli ultimi saranno i primi", ma soltanto dopo: intanto qui, sulla terra, rimani ultimo, adesso. Un modello unico dove i fenomeni del mondo venivano ricondotti e spiegati solo in funzione di una divinità importata dal medio oriente, dove gli sforzi intellettuali, nel migliore dei casi, erano rivolti a dimostrare l'esistenza di qualcosa impossibile da dimostrare, e nel peggiore dei casi a interrogarsi se Gesù avesse o meno sfondato le sfere cristalline nella sua ascesa al cielo.       

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
L'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque

Ti sbagli. Il limite consiste proprio nel fatto che la ragione umana diventa inconsistente quando tenta di addentrarsi nei terreni paludosi degli "assoluti": lo hanno dimostrato i greci, lo ha dimostrato Kant, lo ha dimostrato Goedel, lo ha dimostrato Tarski, eppure qualcuno ancora è convinto che si possa parlare di "assoluti".

Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante.

Ancora con questa storia del "sapere induttivo", che poi non si comprende che cosa vuol dire. Il fatto sconcertante è che si continua a non (voler) capire che il ragionamento logico, e quindi il linguaggio che ne è sua espressione, è si coerente quando segue determinate regole formali, ma lo fa sempre e soltanto partendo da postulati che si assumono veri quando si parla di oggetti reali (o perché derivano da altre proposizioni corrette), ma che diventano indimostrabili quando si parla di oggetti o concetti trascendentali.
 
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna, altrimenti  non potrebbe vivere e getterebbe i popoli nella più profonda disperazione. Dunque un popolo che si basa su un assoluto "falso" non dovrebbe fare alcuna violenza nei confronti di se stesso, ma va considerato che se l'assoluto è il fenomeno, il fatto (come nella cultura scientifica) questo si sgretola in un attimo mentre se l'assoluto comprende una porzione sufficientemente grande della realtà potrà avere una giustificazione intellettuale più duratura.

La cultura scientifica fornisce conoscenze approssimate ma almeno queste possono essere definite veramente "cattoliche", nel senso di universali, perché non ci sono trucchi, sotterfugi, inganni linguistici, visto che il linguaggio che viene utilizzato (quello matematico) è universale e tutti quelli che lo sanno usare lo comprendono. Dunque dove sarebbe la menzogna?
Il problema della nostra società è che non abbiamo cultura scientifica: usiamo la tecnologia (e rischiamo di venirne travolti), ma non sappiamo da dove viene e come viene.

acquario69

#53
Nell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Infatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti.
ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.

——————

Una persona a me molto vicina,per via del lavoro che fa,mi racconta delle cose che trovano perfetta corrispondenza a quanto scritto sopra (anche se probabilmente molti non ci vedranno nessun tipo di collegamento)
Nel suo lavoro -manager di un enorme sala cinematografica- multisale e multiservizi che infatti non ci avrebbero proprio nulla a che fare nell'andarsi a vedere un film ma creati solo ed esclusivamente per i "consumatori" ..e al pari della stessa "qualità" dei film proiettati,con inerente lavaggio del cervello.

Insomma venti anni di "customer service" a tutti i livelli e mi racconta che in questi ultimissimi anni non sembra più avere a che fare con persone ma con qualcosa che si potrebbe definire come la loro ombra medesima, o magari una "virtualità",dove le loro reazioni sono la riproduzione più o meno inanimata e percio meccanica,dovuta in primo luogo all'uso ormai intensivo di internet.
In sostanza la gente ha perso appunto quelle capacita che si può dire non la rendono più umana..ad esempio non ha più pazienza e cio che e' ancora più grave, non arriva più a capire quando può capitare il momento di averne, abituata come' a ritrovarsi sola davanti a un monitor, (gli basta un click per cambiare o cancellare pagina se questa non gli piace o se non rientra nei suoi schemi..che pero sono gli stessi che gli vengono "offerti" cosi che si sentirà pure "libero" di scegliere!) e che di fatto non consente alcun dialogo reale, cioe che corrisponde alla realtà dei fatti e di un preciso e logico momento...

e' l'IO e basta!..il TU (o altro dall'IO) e' praticamente abolito, cancellato dalla mente e da qualsiasi visione.

Un altro effetto che mi dice e' che non esiste più il concetto di "integrazione" o anche di "visione complessiva" per cui ognuno, in questo caso anche dei suoi subordinati,tendera' ad isolarsi e a deresponzabilizzarsi,ma non per evitare il lavoro in se,in fondo quelli ci sono sempre stati,ma proprio perché e' l'unica maniera che ora viene concepita,sicche nel momento che capita un inconveniente, un problema improvviso,nessuno e' veramente più in grado di capirlo e ad arrivarne a capo..se non per vie lunghe e traverse e tra l'altro solo grazie a quei pochi rimasti che detengono un bagaglio esperenziale che gli proviene da lontano quando ancora era consentito e possible l'uso autonomo del cervello,insieme e coerente ad una più ampia personalità.

se fosse percio solo questione di adeguarsi a dei paradigmi come sarebbero appunto quelli "attuali" di sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.

Phil

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMNell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Direi che, al contrario, è proprio partendo dalla consapevolezza della "disgregazione" (ammesso e non concesso che sia tale, ma prendiamola per assodata) che bisogna adeguare i propri paradigmi e non, inversamente, adeguarsi ad essi: se alcune generazioni fa la realtà sociale era comprensibile con alcune categorie, oggi bisogna ripensare tali categorie alla luce della società attuale, altrimenti è inevitabile o l'incomprensione o la nostalgia... ad esempio, oggi c'è un proliferare di associazioni benefiche, onlus, volontariato etc. mai visto in precedenza; come valutarlo? Aggiornando i propri paradigmi di lettura del sociale, considerando pregi e difetti, rischi e opportunità insite in tale dilagare di apparente filantropia nella trama sociale attuale. Se provassimo a valutare questo fenomeno dell'impegno sociale con categorie rinascimentali, non riusciremmo a capirlo fino in fondo, perché all'epoca c'era magari il mecenatismo ma non l'assistenzialismo laico, ovvero i paradigmi di strutturazione e lettura della società erano totalmente differenti (è un esempio drastico, lo so, ma spero mi aiuti a spiegare ciò che intendo...).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMInfatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti. ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.
La fede in un principio eterno ed immutabile appartiene ad un paradigma antico (è una constatazione, non un giudizio negativo!), ma proprio il pluralismo e il relativismo, che tale principio critica aspramente, lo rendono ancora attuale e addirittura lo tutelano (pur non venendo ripagati con la stessa moneta  ;D ). La possibilità di leggere l'attualità con categorie di epoche passate è sempre percorribile, ma il contraccolpo può essere lo scoramento nel verificare l'incompatibilità fra tali categorie e il mondo che adesso gli si oppone (o sono loro a fare anacronistica opposizione al mondo?).
L'affermazione
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMdi sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
lascia intendere un pessimismo storico fondato sulla sfiducia nel presente, a sua volta radicata in una lettura dell'attualità come degenerazione del passato, ma il giudizio di valore (passato=meglio, presente=peggio) è appunto innestato in un paradigma precedente all'epoca attuale, per cui è quasi inevitabile il pessimismo. Fra il serio e il faceto si potrebbe ricordare che da sempre i nonni di ogni generazione dicono "ai miei tempi c'erano i valori giusti, adesso ci sono cattive abitudini, la società è allo sbando... magari avevamo di meno ma avevamo dei principi!" e non lo dicono perché sono bisbetici o brontoloni, ma perché, dopo una certa età, aggiornare il paradigma è davvero arduo, poiché non sono solo le articolazioni corporee a perdere di elasticità... 

P.s. 
Ovviamente non sto dando del "nonno" ad acquario69, né sto condannando il suo modo di leggere la realtà, lo uso solo come spunto per proporre considerazioni...

InVerno

Io capisco bene il contesto delle cose, ciò che è a mio avviso è più preoccupante è una sorta di chiaroscura invidia\simpatia per il "fattore efficienza" delle società verticistiche\assolutistiche per cui l'oggetto diventa irrilevante. Credano in quel che credano, perlomeno sono più efficienti(soddisfatti, felici etc) questa non è onesta intellettuale, è utilitarismo morale e spirituale. Se voglio la massima efficienza militare e organizzativa (e la produzione di invasati) è ovvio che voglio una società totalitarista, non c'è nessun segreto vodoo dietro. E ci sono contesti storici in cui questo è persino giustificabile, durante l'intervento degli states nella seconda guerra mondiale, gli stessi avevano contratto i gangli della società a tal punto da poter essere considerati uno stato totalitario. Stavano subendo un fortissimo stress economico, sociale, industriale, senza una trasformazione temporanea dell'apparato sociale si sarebbero disciolti sotto il peso del loro intervento stesso. E questo è solo un esempio estremo, ma è perfettamente normale che una società si contragga nel momento in cui essa viene sottoposta a stress enormi. Questo non significa tuttavia che questo sia lo stato sociale "desiderabile", non tanto per chi governa che tende per natura del potere ad accentrarlo, quanto per chiunque altro che la componga, principalmente i suoi cittadini, che hanno a mio avviso il dovere di indagare la liceità dell'autorità ogni volta sia loro possibile per contrastare l'accentramento di potere che avviene naturalmente, basta stare zitti (ma questo è un punto di vista anarchico che volutamente fin ora ho evitato di mettere in campo, anche se poi bisorrebbe parlare del salariato e la liceità di quella autorità).

Prima di considerare le società arabe come "superiori" sarebbe necessario fare un analisi storica invece che porre la questione come una mera emergenza culturale, l'autoderminazione dei popoli è un povero e meschino sogno infantile. (banalità in arrivo) Ci sono evidenze enormi riguardo a come i processi democratici dei paesi arabi siano stati bloccati costantemente nell' ultimo secolo, sarebbe una dimenticanza ridicola non ricordare che chi comanda questi stati e da a loro forma, nella maggior parte dei casi ce lo abbiamo messo noi e ci fa comodo esattamente cosi, se si democratizzassero avremmo gravi difficoltà a controllare le loro risorse. Esistono pochissimi casi di stati assoluti che non rispondono alle necessità dell'occidente, forse si parla solamente della Nord Korea e l'Iran se consideriamo la Russia come "non occidentale", tutti gli altri devono la loro "divina situazione" al vassallaggio che gli abbiamo imposto e che occasionalmente ci sfugge di mano, compresi i wahabiti ispiratori del jihadismo moderno della Saudi Arabia, famiglia al potere piazzata da noi. Alcuni di questi stati usano il potere ideologico come catalizzatore per uscire dal vassallaggio (vedi Cina) ma non sono gli stati che ci preoccupano maggiormente. Occasionalmente ci ricordiamo che avremmo bisogno di nuovi acquirenti per i nostri prodotti e guardiamo speranzosi alle primavere arabe. Stesso vale per l'Africa, di cui si può fare un esempio che non siano i classici medio orientali che penso annoierebbero giustamente. Il Congo, nazione che per ricchezza complessiva di ogni parametro (compreso quello culturale) aveva tutte le carte in regola per trasformarsi nel volano dell'intero continente negli anni 60 stava avviando un processo democratico di eccellente qualità terminato nell'elezione di Patrice Lumumba. Il candidato venne ovviamente brutalmente assassinato (squartato) dai belgi e venne messo al suo posto Mobutu che mise a ferro e fuoco il paese per trent'anni. Ora nel 2017 guardiamo il Congo e diciamo "ah vedi te che cosa produce la loro cultura!" e ne diamo un giudizio positivo\negativo, ma la storia non è un optional che si può attivare\disattivare premendo su una spunta.

Che l'occidente manchi di utopie di riferimento è acclarato, ma è altrattanto acclarato che chi era responsabile per sognarle si è messo a fare altro, ed è allo stesso modo acclarato che anche i progetti già disponibili sono guardati con sospetto. Parliamo delle meccanizzazione, di certo è un fattore che destabilizza l'economia, ma non tanto per il fatto in se quanto per il fatto che la società non è pronta e non ha alcuna intenzione di prepararsi perchè è ancora sottomosse all'ideologia della virtù della "fatica-lavoro". E questo quando già un secolo fa Bertrand Russel auspicava il dimezzamento dell'orario di lavoro proprio per contrastare la disoccupazione meccanizzata. Paradossalmente la meccanizzazione riporta il lavoro a noi che sappiamo produrre quelle macchine invece che lasciarlo nel terzo mondo dove le stesse non esistono. E per quanto i posti di lavoro siano bassi è sicuramente meglio di averli in Bangladesh, sia dal punto di vista dei nostri posti di lavoro che dell'autodeterminazione del Bangladesh. E chi non hai mai sognato di cucire scarpe otto ore al giorno? Ringraziamo le macchine (le stesse che ci curano negli ospedali, verso le quali le ribellioni sono brusii assai soffusi) e cerchiamo sistemi che le integrino nel nostro contesto economico? Parliamo dei problemi del lavoro salariato in generale "jobs act" o che dir si voglia, e parliamo della totale cecità di una classe politica. Lincoln oltre a fare ciò che tutti sappiamo ha fatto fece una fortissima battaglia contro il lavoro salariato chiamato "chattel slavery" (schiavitù mobile). Guardate di cosa si preoccupano i repubblicani di oggi (e non importa l'inversione di schieramento) e capite di quale cecità sto parlando. E ho detto Lincoln non Bakunin o Rosa Luxemburg.Pensate che non ci siano ideologie oggi giorno? Provate ad andare in pubblico e dire "il lavoro salariato è schiavitù mobile" come Lincoln stesso disse, e guardate che risposte avrete, la violenza , quella col sangue negli occhi. E poi ci preoccupiamo di non avere ideologie! Di sicuro se si comincia a parlare di "schiavitù mobile" parlare di "precariato\mobilità" connessa ad esso ha tutto un altro sapore, sbaglio?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

donquixote

Citazione di: Phil il 10 Febbraio 2017, 19:39:46 PMCredo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca). Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...). In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei... altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...). P.s. Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).


Il pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato. Se poi diventa un orpello estetico come troppo spesso è accaduto negli ultimi secoli al pari delle cosiddette "opere d'arte" che da rappresentazioni simboliche ed evocative dell'inesprimibile, forme di linguaggio destinate agli analfabeti (che non è per niente sinonimo di non intelligenti o ignoranti ma frequentemente è il suo opposto) e che raccontano molto più di quanto non riesca a fare un testo scritto si sono ridotte a banali stimoli sentimentali o emotivi, o tutt'al più a espressioni personali dell'autore (una sorta di facebook ante litteram)  che al popolo non dovrebbe interessare per nulla, allora il pensiero diventa, come del resto è diventato,  una effimera spirale di congetture edificata attorno al proprio ombelico,  una esibizione di erudizione fine a se stessa, una grossa e colorata bolla di sapone che al momento suscita meraviglia ma un attimo dopo è svanita nel nulla. Più che pensare il mondo ora si pensa il pensiero (solitamente quello altrui) e di questo se ne pensa solo una parte di cui si fa oggetto di ricerca perdendo di vista obiettivo, contesto e tutto l'essenziale di cui questa minimo frammento è parte, in sé, insignificante. Tutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. Ora non si pensa più cosa (e se) fare, ma si pensa solo "come" fare qualunque cosa; certo poi vi è sempre qualcuno che porrà la famosa "questione etica", ma questa essendo nei fatti inesistente in quanto sganciata da qualunque principio si ridurrà solo a ritardare di un poco qualcosa, qualsiasi cosa, che comunque si farà, come è sempre accaduto negli ultimi decenni. La ricerca odierna è la ricerca del fare, e il pensiero si è ridotto da guida dell'azione a sua giustificazione. Non è più il pensiero che guida la vita ma la vita determina il pensiero, l'essere (inteso in senso relativo) prevale sul dover essere, il fare sul dover fare, e dunque il pensiero è diventato talmente libero da essere anche totalmente inutile, una vana perdita di tempo che non ha più alcuna ragione di sussistere, in ossequio al famoso rasoio. "Se l'uomo può fare qualcosa, prima o poi la farà", disse un giorno Carlo Rubbia; perché dunque perdere tempo a pensare quando questo può essere impiegato più proficuamente dal fare?  Che senso avrà mai? "entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem" diceva Guglielmo da Occam. Dunque perché mai tenere in vita l'ente "pensiero" se la sua necessità è venuta meno? Hanno quindi ragione coloro che esaltano la cosiddetta "cultura del fare", poiché questo mondo è nei fatti tutto qui, nella interminabile agitazione intorno al nulla, nella ininterrotta costruzione e decostruzione di qualunque cosa, nel keynesiano "scava la buca, riempi la buca" per raggiungere la "piena occupazione"  e nel contempo dimenticare di vivere, o perlomeno di vivere in modo umano. Quindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine. Molto meglio allora produrre, consumare e crepare, facendo attenzione che non rimangano cinque minuti liberi che, chissà mai, possa sorgere il dubbio che forse non si sta vivendo una vita da uomini, e nemmeno da animali, ma da "bruti" danteschi.
 
P.S. Ho affermato che in principio furono i fisici intendendo con "principio" il periodo in cui convenzionalmente si indica l'inizio della cultura occidentale, ma quello era già un periodo di decadenza, come notato anche da Platone in più occasioni. Giorgio Colli, nel suo libro intitolato "La nascita della filosofia", afferma infatti: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto».
Quindi i metafisici erano venuti ben prima dei fisici ellenistici, e successivamente vi fu un periodo in cui la metafisica ebbe una reviviscenza per poi, con il cosiddetto "Rinascimento" (mai vocabolo fu più tragicamente ironico di questo), tornare ad esaltare la decadenza antica e portarla a compimento.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

acquario69

Citazione di: Phil il 11 Febbraio 2017, 16:17:25 PM
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMNell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Direi che, al contrario, è proprio partendo dalla consapevolezza della "disgregazione" (ammesso e non concesso che sia tale, ma prendiamola per assodata) che bisogna adeguare i propri paradigmi e non, inversamente, adeguarsi ad essi: se alcune generazioni fa la realtà sociale era comprensibile con alcune categorie, oggi bisogna ripensare tali categorie alla luce della società attuale, altrimenti è inevitabile o l'incomprensione o la nostalgia... ad esempio, oggi c'è un proliferare di associazioni benefiche, onlus, volontariato etc. mai visto in precedenza; come valutarlo? Aggiornando i propri paradigmi di lettura del sociale, considerando pregi e difetti, rischi e opportunità insite in tale dilagare di apparente filantropia nella trama sociale attuale. Se provassimo a valutare questo fenomeno dell'impegno sociale con categorie rinascimentali, non riusciremmo a capirlo fino in fondo, perché all'epoca c'era magari il mecenatismo ma non l'assistenzialismo laico, ovvero i paradigmi di strutturazione e lettura della società erano totalmente differenti (è un esempio drastico, lo so, ma spero mi aiuti a spiegare ciò che intendo...).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMInfatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti. ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.
La fede in un principio eterno ed immutabile appartiene ad un paradigma antico (è una constatazione, non un giudizio negativo!), ma proprio il pluralismo e il relativismo, che tale principio critica aspramente, lo rendono ancora attuale e addirittura lo tutelano (pur non venendo ripagati con la stessa moneta  ;D ). La possibilità di leggere l'attualità con categorie di epoche passate è sempre percorribile, ma il contraccolpo può essere lo scoramento nel verificare l'incompatibilità fra tali categorie e il mondo che adesso gli si oppone (o sono loro a fare anacronistica opposizione al mondo?).
L'affermazione
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMdi sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
lascia intendere un pessimismo storico fondato sulla sfiducia nel presente, a sua volta radicata in una lettura dell'attualità come degenerazione del passato, ma il giudizio di valore (passato=meglio, presente=peggio) è appunto innestato in un paradigma precedente all'epoca attuale, per cui è quasi inevitabile il pessimismo. Fra il serio e il faceto si potrebbe ricordare che da sempre i nonni di ogni generazione dicono "ai miei tempi c'erano i valori giusti, adesso ci sono cattive abitudini, la società è allo sbando... magari avevamo di meno ma avevamo dei principi!" e non lo dicono perché sono bisbetici o brontoloni, ma perché, dopo una certa età, aggiornare il paradigma è davvero arduo, poiché non sono solo le articolazioni corporee a perdere di elasticità...

P.s.
Ovviamente non sto dando del "nonno" ad acquario69, né sto condannando il suo modo di leggere la realtà, lo uso solo come spunto per proporre considerazioni...

Ribadisco che non si tratta di leggere l'attualita con categorie di epoche passate e nemmeno di riproporre di tornare indietro nel tempo.
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento" (parola questa che forse andrebbe a mio avviso anche rivisitata) e che al contrario significa davvero tornare indietro, ma nel senso regressivo del termine.
Mutare solo per mutare oltre a non avere senso, non corrisponde alla realtà...a me fa venire in mente l'immagine del criceto che gira a vuoto sulla ruota rimanendo sempre fermo sullo stesso punto

Phil

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMIl pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato.
Se "il pensiero deve pensare la verità" (cit.) allora è un pensiero privo di ricerca, consolatorio, solido, autoritario, ma povero di domande e di autentico lavorio mentale; è un pensiero dogmatico, legittimo e certamente appetibile (che propone la verità, non la trova...), Ma credo possa esserci anche (e al suo fianco, se siamo pluralisti) un pensiero indagatore, che prima di "guidare l'azione" (cit.) si interroga con onestà intellettuale ed umiltà, senza fare appello a ricette già scritte per preparare una verità storicamente affermata. Se il pensiero rifiuta a priori "ipotesi potenzialmente false" (cit.), se ha paura di sbagliare o di esitare, allora, secondo me, non è pensiero filosofante, ma citazione o adesione dogmatica (che resta una prospettiva percorribile e non esecrabile). Inoltre non scommetterei sul fatto che un pensiero operoso, indagante e fallibile, con paradigmi aperti ed in fieri finisca con il "perdere qualsiasi utilità e anche significato"(cit.), sarebbe come dire che avere una matita ed una gomma è inutile perché bisogna usare solo penna indelebile (è un questione di metodo e di gusti, no?  ;) ).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMTutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. 
Probabilmente non mi sono espresso chiaramente: gli aggiornamenti di cui parlo sono proprio volti ad essere sincronizzati con la realtà attuale per poter operare al suo interno, contestualizzando le scelte e le "letture" di ciò che accade... sono aggiornamenti (faticosi, difficili e fallibili) che evitano proprio la chiusura in una dotta speculazione che non guarda all'accadere, al mondo che la circonda, a ciò che intendo con "attualità". Non sono aggiornamenti di nozionismo, ma aggiornamenti del proprio paradigma prima interpretativo poi operativo (e non certo per cultura personale!).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMQuindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine.
Pensare significa, secondo me, "leggere" e interpretare ciò che ci circonda (quindi direi che c'è sempre molto, anzi, troppo, da leggere) e se si trova scoraggiante il provare a "leggere" una realtà dinamica, mutevole e complessa, allora ci sono risposte e paradigmi preconfezionati che hanno una loro utilità, sostituendosi alla "lettura individuale" come delle "istruzioni per l'uso" che forniscono risposte, non domande (e usare tali istruzioni, fidarsi di loro, è una scelta rispettabilissima, una scorciatoia semplificata più che legittima, ma che non trovo attraente).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"
Questi Valori e Principi sono indubitabili, eterni ed imprescindibili all'interno del paradigma che essi stessi fondano, ma è oggettivamente così, oppure è possibile pensare ed agire secondo altri paradigmi in cui tali Principi e Valori sono differenti o non eterni o dubitabili? Che appoggiarsi a loro sia "l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"" è davvero inconfutabile o ci sono anche altre maniere per "aggiornare" la propria visione del mondo? Secondo me valori e principi ermeneutici (di interpretazione del mondo e del "senso") possono cambiare (a differenza dei principi della fisica, direi), ma ciò non toglie che sia comunque possibile ricorrere agli stessi principi e valori per tutta una vita...

acquario69

Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AM
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"
Questi Valori e Principi sono indubitabili, eterni ed imprescindibili all'interno del paradigma che essi stessi fondano, ma è oggettivamente così, oppure è possibile pensare ed agire secondo altri paradigmi in cui tali Principi e Valori sono differenti o non eterni o dubitabili? Che appoggiarsi a loro sia "l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"" è davvero inconfutabile o ci sono anche altre maniere per "aggiornare" la propria visione del mondo? Secondo me valori e principi ermeneutici (di interpretazione del mondo e del "senso") possono cambiare (a differenza dei principi della fisica, direi), ma ciò non toglie che sia comunque possibile ricorrere agli stessi principi e valori per tutta una vita...

Io credo che cio a cui tu arrivi comunque a riferirti, seppur in diversi modi, rimane solo nell'ambito del sensibile e dell'esperibile e allora le diverse "regole" possono modificarsi e cambiare, ma rimarrebbe un cambiamento fine a se stesso, quindi ritengo che sia proprio questo il paradigma chiuso..ovvio che se non ritieni nemmeno concepibile il fatto che noi non siamo soltanto qualcosa che sia solo in relazione a tale dimensione fenomenica (non mi viene un altro termine di paragone) sarà' piuttosto difficile che riesca a intravedere altre possibilità.

Quindi mi viene da aggiungere che non ce veramente niente da aggiornare ma solo da comprendere ed io penso (e lo esprimo come mi viene meglio) che sia fondamentalmente questo il motivo di tale disgregazione, nel momento che si sarebbe verificato un inversione in tal senso.