Disgregazione dell'occidente?

Aperto da Eretiko, 02 Febbraio 2017, 16:53:39 PM

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Eretiko

In una discussione su questo forum, in un post di donquixote, mi ha particolarmente colpito la seguente proposizione (non riporto tutto il post, eventualmente consultarlo per farsi un'idea del contesto dal quale è stata estratta):
 
Citazione di: donquixote il 31 Gennaio 2017, 23:34:38 PM
L'Europa ha compiuto negli ultimi secoli un suicidio culturale che l'ha progressivamente disgregata

Personalmente non riesco a vedere una disgregazione (forse delle smagliature, questo sì), e soprattutto non riesco a capire quando, come e dove sarebbe iniziato un processo di suicidio culturale e in cosa esso consista.
Mi rivolgo quindi in primis all'autore della citata proposizione, nella speranza che abbia la pazienza di argomentare la sua tesi, e comunque a chiunque ritenga che effettivamente l'Europa è oggi disgregata (culturalmente, socialmente).     

Phil

In attesa di donquixote, suggerirei (in veste di Sancho Panza ;D ), per meglio comprendere la disgregazione, di partire dal considerare come era l'"aggregato" prima di iniziare a disgregarsi e soprattutto se c'è tale aggregato; esiste un'unità socio-culturale che ha iniziato a frammentarsi? Il "suicidio" è solitamente il gesto di un singolo, ma qui c'è un davvero un singolo? Tutte le perplessità sull'identità dell'Europa (dotta giustificazione per finalità commerciali?) non possono restare sullo sfondo: forse nemmeno ai tempi dell'impero romano c'era una identità "europea", e il successivo proliferare di culture e nazioni, l'avvicendarsi di guerre (siano state esse più o meno "mondiali") con la crescente contaminazione di altre culture (per ultima temporalmente, come già ricordato da donquixote, quella americana, se vogliamo sospendere per ora il giudizio su quella islamica), rende davvero difficile, secondo me (e non solo) parlare di una identità europea storicamente affermata (e ridurre tutta la complessità della storia dell'Europa alle sue radici greco-giudaiche mi sembra un po' troppo semplicistico, poiché banalizza gli "intrecci" dei più di duemila anni di storia successivi).
Per cui il "disgregarsi" e il "suicidarsi" sembrerebbero mancare del soggetto di riferimento; l'Europa continua ad essere, come mi pare sia sempre stata, un "crogiolo (geografico) di razze e culture" (tanto per usare una frase fatta), che magari vengono da più lontano che in passato (v. cinesi), ma non compromettono una presunta identità unitaria... tuttavia, come sempre, resta una questione di "messa a fuoco" del contesto: se parliamo in ottica interplanetaria, allora si può legittimamente porre anche un'identità unica del pianeta terra e dei terrestri come ben differente dall'identità di marte e dei marziani (eppure "zoomando", la distanza socio-culturale fra un lappone e un sardo è paragonabile a quella fra un sardo e un cinese, anche se il lappone e il sardo pagano con la stessa moneta...).

P.s. Il titolo del topic allude all'occidente, ma la citazione in questione parla solo di Europa... e gli americani che fine fanno? ;D

Fharenight

#2
E' naturale che le contaminazioni con le altre culture od altre etnie avvengano, così come è avvenuto nei secoli e millenni passati, ed è una contaminazione che di norma si è realizza in maniera molto blanda e graduale in periodi di pace, in maniera più incisiva e cruenta in periodi post bellici.
Un processo si contaminazione normale tra due o più culture dovute alle reciproche influenze comprende anche il mescolamento delle lingue e tradizioni dalle quali tutte possono trarre arricchimento reciproco. Questo processo di contaminazione-assimilazione, dunque, quando non è forzato, si realizza nell'arco di parecchi decenni secoli. C'è da osservare, tuttavia, che gli uomini tendono ad assimilarsi e contaminarsi più agevolmente tra popoli che presentano caratteristiche razziali (differenziazioni biologiche genetiche), culturali e religiose molto simili tra loro. Così come il singolo individuo ha bisogno della propria identità che si esplica attraverso il riflettersi nell'altro per riconoscere la propria individualità e quindi specificità', allo stesso modo anche un popolo, una comunità, una società ha bisogno della propria identità che si realizza nel vivere con individui quanto più simili tra loro sia etnicamente che culturalmente.

Purtroppo, cari miei sinistroidi, la natura si fonda sulla diversità, e diverso significa distinguersi dall'altro, essere anche opposto all'altro. Anche noi in questo contesto esprimiamo idee molto differenti gli uni dagli altri nonostante siamo nati e cresciuti sullo stesso humus culturale. Le differenze sono essenziali in natura e per il proseguimento dell'evoluzione.

Non saprei immaginarla un'unica società mondiale multirazziale, con l'andare del tempo cosa accadrebbe? Svanirebbero le differenze? Oppure si realizzerebbero ulteriori assetti che separerebbe nuovamente i gruppi umani?


I cinesi hanno già sconvolto e degradato alcune aree d'Italia. Sotto il profilo economico il distretto industriale, volano dell'economia toscana, ha subito in questi ultimi anni profonde trasformazioni. Da polo della produzione tessile di rilevanza nazionale, il distretto ha visto progressivamente declinare il proprio comparto manifatturiero, fino a toccare i minimi storici.

L'Identità ( e quindi l'identità europea) nasce dunque dalle nostre radici, dall'idea che siamo il prodotto di una terra, di un lignaggio e di una storia come l'anello di una catena.

L'identità europea nasce come eredità e trasmissione ed è la base delle tradizioni popolari, delle lingue, degli usi e dei costumi ed è l'accettazione e la presa di conoscenza di un passato comune che ci unisce e la volontà di vivere assieme come comunità nei tempi a venire.

L'identità è la celebrazione della vita, è il ricordo dei nostri morti, un modo di concepire il mondo e di raccontarlo, basato su di una comune memoria culturale, etnica e spirituale.
L'identità di ogni popolo rende quest'ultimo incomparabile, inimitabile ed unico.
Seppur siamo tutti uomini, ogni uomo è diverso dall'altro e nessuno è mai uguale a qualcun altro; lo stesso avviene dunque anche per le nazioni ed i popoli. L'identità è plurale e si articola su più livelli: l'identità locale (Lombarda, Sicula, Piemontese, Sarda ecc), l'identità storica (Italiana in tutte le sue forme) e quella di civiltà (Europea). Queste identità sono complementari e mai in conflitto tra loro. Una persona può sentirsi, ad esempio, Piemontese, Italiano ed Europeo, oppure Catalano, Spagnolo ed Europeo, oppure ancora Bavarese, Tedesco ed Europeo. Ciascuna di queste identità rafforza l'altra e costituisce un insieme organico coerente.


Uno dei fondamenti della Civiltà europea sono le sue radici greco-romane, ma il filo conduttore che l'ha unita tutta donandole un profilo umanizzante (che ha sublimato anche nell''arte) verso sé stessa e verso il resto del mondo sono le sue radici cristiane.... E al di là di tutti i pretesti che vogliono riportare alla memoria tutti  i conflitti che sono accaduti anche nella cristiana Europa; purtroppo errare humanum est, ma la qualità derivante dall'humus cristiano c'è e si vede.




Più che "progressisti", definirei più propriamente molti sinistroidi attuali: Sfascisti.

paul11

Condivido pienamente il concetto di suicidio culturale dell'Europa, ma come prodotto storico dell'inautentico avvenuto come scelta nella filosofia greca e divenuta storia dell'Occidente.
Il suicido avviene per effetto di una colpa e la colpa storica è aver creduto che l' episteme fosse nel divenire.
Un concetto fondamentale della filosofia è l'identità (A= A) esplicata in termini logici nella predicazione aristotelica e in quella proposizionale delgli stoici e ripresa da Frege in poi nella contempraneità.

L'argomento è vasto già filosoficamente, in quanto finito il tempo della scuola peripatetica (aristotelica), appare l'umanesimo come fine del Medioevo e apertura a quella modernità filosofica dove l'episteme fuoriuscirà nel contraddittorio dalla filosofia per farsi scienza galileana e newtoniana.Il divenire si fossilizzerà nelle apparenze e manifestazioni fenomeniche e per secoli i filosofi e pensatori si schiereranno dall'una e dall'altra parte.

Il nichilismo è il prodotto storico dell'inautentica contraddizione di quella primaria identità logica che si esplicherà nell'identità umana e culturale. Chi porrà le problematiche del nichilismo e della contraddizione porrà il problema della "coscienza".
Lo pone Hegel in "Fenomenologia dello spirito" come coscienza infelice contro il prodotto epistemico della scienza naturale,; lo porrà Nietzsche, lo porrà già nelle prime pagine Heidegger in "Essere e tempo", di nuovo contro la scienza naturale e problematizzando l'Essere come senso e significato esistenziale.Quindi tutto l'esistenzialismo di Schopenauer di Kierkegaard.

La contraddizione dell' Umanesimo fu di mettere il metodo scientifico al centro del suo sistema e non l'uomo, L'effetto è che l'uomo è schiavo della tecnica.

Gli effetti sono la decadenza, l'alienazione, l'ipocrisia e quella colpa originaria che non trovando una sublimazione logica si vota al nichilismo del suicidio. Lo è per la Germania post-nazista, per incapacità di razionalizzare il processo antinomico fra progresso con la tecnica e antimodernità prodotti dal fascismo/nazismo, comunismo e cristianesimo. Quest itre ultimi movimenti rappresentano la distanza fra la coscienza infelice rappresentata dalla cultura borghese positiivsta del progresso per inautenticità e mediocrità..

Le altre culture non hanno questa contraddizione identitaria alla base dell'alienazione dell'inautentico: loro credono ancora , investono il loro essere nel pensiero e azione..

Le nostre vestigie  culturali che si esplicano nelle ISTITUZIONI, sono il correlato, il precipitato della dicotomia fra metafisica originaria e pragmatica.Ma della metafisica hanno preleveto "l'IMAGO" non l'autentico identitario , per cui l'istituzione è immagine retorica della persuasione.

La scienza politica, le scienze umane, sono il prodotto della filosofia politica ,della filosofia morale e di nuovo di quella separazione che ha prodotto l'episteme nell'immagine, nella manifestazione delle apparenze. Il precipitato, il correlato pratico è il diritto privato e pubblico, di nuovo la separazione nelle differenze.

Cosa accadrà? Gli americani sono il prodotto della cultura europea di stampo anglo sassone influiti da Oxford e Cambridge, di scuola pragmatica e analitica, innestato sul calvinismo/protestantesimo: difenderanno a riccio il loro potere pragmatico la loro morale è la finalità dell'azione, non è il senso o il principio motivazionale. Sono loro i primi a mutare il pensiero in funzione di nuove finalità, di nuove teleologie, E' tipico di chi non ha più identità, in quanto privo di postulati fondamentali, di paradigmi.Questa è la cultura "liquida", trasformistica ed opportunistica.
Ho già detto della Germania e della sua colpa nazista non sublimata. La Francia, culla della cultura marxista,ricettacolo del pensiero europeo di sinistra, vive appunto delle forti contraddizioni dei suoi pensatori che hanno prodotto:... il nulla.Guardate oggi i grandeur culturali : hanno fallito i loro intellettuali. Gli inglesi...sono dei postcolonialisti e fin quando alla City arriverà denaro dal petroldollaro arabo, fingeranno con bombetta ed ombrello continueranno ad essere residuo storico di un tempo che l'Occidente uccide come divenire.
Intanto il suicidio per ora è eutanasia.  Dietro a quella istituzione retorica ,chiamata tolleranza, si nasconde la precisa volontà demografica di non dare futuro ai figli europei, non procreando; ci penseranno i nuovi barbari .
Ma accadrà un aspetto importante.
Prima, un tempo fa, il vincitore si prendeva tutto dei vinti , ma non la sua identità.I codici di cavalleria erano codici morali.
Accadeva così che i barbari prendessero la cultura dei vinti.
Domani i nuovi barbari, del dopodomani europei, quale cultura abbandoneranno e quale civiltà preleveranno, per diventare cosa?
Preleverranno il virus del suicidio culturale

InVerno

Citazione di: paul11 il 03 Febbraio 2017, 10:50:32 AMLe altre culture non hanno questa contraddizione identitaria alla base dell'alienazione dell'inautentico: loro credono ancora , investono il loro essere nel pensiero e azione..
Sono tredicimila anni che l'uomo preannuncia il suicidio della società alla quale appartiene, persino insospettabili razionalisti si danno volentieri alle profezie, Newton aveva stabilito sarebbe accaduto nel 2060 per esempio, dimostrando di appartenere ad una categoria di antichi profeti-astronomi, quelli che avevano la premura di specificare la data esatta per intenderci. La spinta è cosi forte che capita persino di imbattersi in "apocalissi inverse" accadute precedentemente, come il diluvio universale. Più modernamente, questa abitudine a voler vedere collassare il mondo insieme alle proprie spoglie ormai consunte, si è "imbarbarita". Mentre prima l'apocalisse era di carattere universale o perlomeno planetaria, uno spiraglio di speranza ci viene dato dal profeta moderno attraverso la citazione di "altre culture" adamantine che se la caverebbero benissimo di fronte a questi problemi. Nel caso in questione, si tratta peraltro di culture già morte, o soggiogate e che piangono giorno per giorno la propria sconfitta, incoscienti della loro primigenia qualità salvifica e resiliente nascosta dal "dominio della tecnica" dei corrotti di turno. Sarebbe comunque interessante esplicitare nomi e cognomi di queste culture che "credono ancora", perlomeno perchè se ci troveremo "invasi" da esse non ci confonderemo nel parlare di "barbari" ma faremo di loro invece i nostri leaders.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

donquixote

La cultura, antropologicamente parlando, è un insieme di idee, di pratiche e di modelli che costituiscono l'identità in cui un popolo si riconosce: religione, mitologia, filosofia, scienza, economia, letteratura, musica, architettura, alimentazione e un sacco di altre discipline nel complesso formano la cultura, e tutte queste discipline sono fra loro collegate in modo tale da costituire parti necessarie di un modello che ogni popolo ha elaborato nel tempo e ha tramandato di generazione in generazione adattandolo progressivamente ai cambiamenti che intervenivano nell'ambiente e nella mente umana. Se dunque la cultura è un modello, questo veniva elaborato partendo da un'idea di base, da una "filosofia", da un pensiero sul mondo e sull'uomo, e poi strutturato in modo che tale filosofia pervadesse tutta la comunità e ogni sua manifestazione ne evocasse i principi fondanti. La cultura induista, ad esempio, ha come base i principi vedici, e questi sono poi stati adattati alle varie popolazioni presenti nel continente indiano e hanno dato vita alle varie comunità (o subculture) che si differenziano per molti aspetti pratici ma nell'essenza si richiamano tutte ai medesimi principi di base; se dunque la cultura induista è nelle sue innumerevoli espressioni estremamente variegata è comunque possibile risalire da ognuna ai principi di riferimento e ricostruire da questi il modello che ogni popolo ha elaborato per sé, e comprendere inoltre come tali modelli siano intrinsecamente coerenti di modo che ogni manifestazione culturale trovi la propria giustificazione all'interno di ognuno di essi. Queste osservazioni sono valide per ogni cultura tradizionale e hanno dato luogo alla teoria antropologica del "relativismo culturale", che afferma appunto che ogni cultura trova le proprie giustificazioni in se stessa e nel suo modello, per cui non ha alcun senso affermare che una cultura è superiore ad un'altra o addirittura universalizzare delle espressioni culturali come sono ad esempio le norme morali. Tutte le culture tradizionali hanno sempre avuto una visione organica del mondo, che deriva dalla comprensione dell'intima unità di tutte le cose in un principio superiore e poi le giustifica ai livelli inferiori ponendo ogni cosa al suo posto. Questa operazione viene compiuta con la mitologia, la cosmologia, l'epica, l'arte, la filosofia, la letteratura e tutti gli altri metodi che si ritenevano utili per giustificare agli occhi e alla mente degli uomini i fenomeni del mondo, la presenza di tante specie animali e vegetali, i fiumi, i mari e le montagne, e anche i comportamenti umani. La tendenza di base, come dicevo, è quella di fornire una giustificazione accettabile, comprensibile e soddisfacente per ciò che già c'era, per ciò che chiunque poteva vedere, poiché lo scopo non era quello di modificare l'esistente ma di accettarlo come opera di un'entità infinitamente superiore all'uomo (del resto basta guardare il cielo per rendersi conto di quanto l'uomo sia infinitamente piccolo) che se aveva creato il mondo in quella maniera era così che avrebbe dovuto rimanere (e ad esempio nella cultura greca uno dei concetti più significativi era quello di hybris che stigmatizzava il tentativo dell'uomo di usurpare le prerogative degli dei). Le comunità umane si strutturavano quindi come degli organismi microcosmici che imitavano nel loro ambito il macrocosmo universale, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue ciclicità, e al proprio interno riconoscevano ognuno come parte necessaria del tutto (ricordo il famoso apologo di Menenio Agrippa) creando dei meccanismi che consentissero  all'uomo  di relazionarsi  armonicamente  con l'ambiente  in  cui vive,  fornire  significato alla  sua  esistenza e  permettergli  fra l'altro  di  conciliarsi con  la  sofferenza, la  malattia  e  la morte,  sua  e dei  suoi  cari, e  provare  compassione per  gli  altri e solidarizzare con loro.  Come avevo scritto in un altro messaggio le comunità umane sono simili ad alberi che ad ogni stagione cambiano le foglie e spesso anche qualche ramo ma il tronco rimane sempre il medesimo, e se vogliono rimanere culturalmente vitali e unite è necessario che le radici siano sempre ben piantate nella terra che, in una cultura, sono i principi sui quali si basa per strutturarsi.
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione. Senza voler fare la storia della cultura europea mi limito ad evidenziare che nella sostanza sono state quattro le idee che a mio avviso sono a fondamento della disgregazione culturale: la prima è la riscoperta e l'esaltazione dell'antropocentrismo con il secondo umanesimo (il primo fu quello greco classico), ovvero l'idea che l'uomo sia l'ente principe dell'universo e quest'ultimo dovesse e potesse essere piegato ai desiderata umani. La seconda è il ribaltamento del sillogismo aristotelico con la conseguente prevalenza del metodo induttivo come modo per raggiungere la conoscenza, e di conseguenza la progressiva dipartita del concetto di verità come "fondamento". La terza e la quarta sono la libertè e l'egalitè proclamate dalla Rivoluzione Francese ma già in voga dai secoli precedenti che hanno introdotto l'ideologia dell'individualismo, la convinzione che nessun uomo fosse superiore (o inferiore) agli altri ma ognuno era comunque più importante della comunità di cui fa parte, dando quindi luogo alla teoria del "contratto sociale" come modello di aggregazione umana e agli stati costituzionali moderni (la costituzione è appunto il "contratto") che hanno trasformato le comunità in società, e «La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» come annotava Tonnies nella frase che sintetizza alla perfezione i due concetti. Se l'unione della comunità è culturale, quella della società è strumentale; se nella prima prevale lo spirito comunitario, nella seconda prevale l'interesse; se nella prima il valore prevalente è quello dell'organismo comunitario e l'individuo è considerato in quanto parte necessaria di tale organismo (e finché lo è), nella seconda l'interesse prevalente è quello dell'individuo e la macchina sociale (si noti la differenza sostanziale fra la visione organica in un caso, che si sviluppa dall'interno verso l'esterno manifestandosi progressivamente e poi riproducendosi, e quella meccanicistica nel secondo che si sviluppa dall'esterno verso l'interno e ha dato quindi luogo a società come gli Stati Uniti d'America) dovrà mettersi a sua disposizione ogni volta che questo manifesterà delle esigenze che, se troverà gruppi d'interesse sufficientemente agguerriti che le condividano, riuscirà anche a trasformare in "diritti". La comunità ha una finalità che la supera per realizzarsi nel mondo e in prospettiva nell'universo, mentre la società non ha alcun valore intrinseco che vada al di là di essa e nessun oggetto sociale da perseguire, ma è solo uno strumento al servizio degli individui che ne fanno parte. Questo modello non può che portare alla frammentazione di una collettività, alla sua polverizzazione in "atomi culturali" (altro che "società liquida": il liquido ha comunque una forma, un principio di unità e un senso in sé, qualità che invece la polvere non possiede) il cui unico scopo sarà quello di perseguire e salvaguardare i propri interessi, che essendo di questi tempi prevalentemente materiali non potranno che causare una interminabile serie di conflitti di tutti contro tutti per il loro soddisfacimento, dato che la materia è finita e se qualcuno ne vuole possedere di più lo può fare solo a scapito di altri. Tutte queste idee e le prassi che ne sono seguite non sono state importate da qualche landa lontana, non sono venuti i "barbari" ad imporcele con la forza, ma è stata l'Europa stessa, i suoi intellettuali, i suoi letterati, i suoi filosofi ad elaborarle e a orgogliosamente esaltarle come la luce finalmente visibile in fondo al tunnel dell'oscurantismo. Per questa ragione mi sembra ovvio parlare di suicidio culturale, e di sostituzione di un qualcosa che assomigliava da vicino ad una cultura con qualcosa che la distrugge, con una negazione della stessa. Siccome ho già scritto molto ma mi rendo conto che molte cose sono rimaste in sospeso, spero possano emergere nel corso della discussione (sempre se qualcuno avrà interesse a portarla avanti, s'intende).
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Fharenight

Citazione di: donquixote il 03 Febbraio 2017, 14:32:38 PM
La cultura, antropologicamente parlando, è un insieme di idee, di pratiche e di modelli che costituiscono l'identità in cui un popolo si riconosce: religione, mitologia, filosofia, scienza, economia, letteratura, musica, architettura, alimentazione e un sacco di altre discipline nel complesso formano la cultura, e tutte queste discipline sono fra loro collegate in modo tale da costituire parti necessarie di un modello che ogni popolo ha elaborato nel tempo e ha tramandato di generazione in generazione adattandolo progressivamente ai cambiamenti che intervenivano nell'ambiente e nella mente umana. Se dunque la cultura è un modello, questo veniva elaborato partendo da un'idea di base, da una "filosofia", da un pensiero sul mondo e sull'uomo, e poi strutturato in modo che tale filosofia pervadesse tutta la comunità e ogni sua manifestazione ne evocasse i principi fondanti. La cultura induista, ad esempio, ha come base i principi vedici, e questi sono poi stati adattati alle varie popolazioni presenti nel continente indiano e hanno dato vita alle varie comunità (o subculture) che si differenziano per molti aspetti pratici ma nell'essenza si richiamano tutte ai medesimi principi di base; se dunque la cultura induista è nelle sue innumerevoli espressioni estremamente variegata è comunque possibile risalire da ognuna ai principi di riferimento e ricostruire da questi il modello che ogni popolo ha elaborato per sé, e comprendere inoltre come tali modelli siano intrinsecamente coerenti di modo che ogni manifestazione culturale trovi la propria giustificazione all'interno di ognuno di essi. Queste osservazioni sono valide per ogni cultura tradizionale e hanno dato luogo alla teoria antropologica del "relativismo culturale", che afferma appunto che ogni cultura trova le proprie giustificazioni in se stessa e nel suo modello, per cui non ha alcun senso affermare che una cultura è superiore ad un'altra o addirittura universalizzare delle espressioni culturali come sono ad esempio le norme morali. Tutte le culture tradizionali hanno sempre avuto una visione organica del mondo, che deriva dalla comprensione dell'intima unità di tutte le cose in un principio superiore e poi le giustifica ai livelli inferiori ponendo ogni cosa al suo posto. Questa operazione viene compiuta con la mitologia, la cosmologia, l'epica, l'arte, la filosofia, la letteratura e tutti gli altri metodi che si ritenevano utili per giustificare agli occhi e alla mente degli uomini i fenomeni del mondo, la presenza di tante specie animali e vegetali, i fiumi, i mari e le montagne, e anche i comportamenti umani. La tendenza di base, come dicevo, è quella di fornire una giustificazione accettabile, comprensibile e soddisfacente per ciò che già c'era, per ciò che chiunque poteva vedere, poiché lo scopo non era quello di modificare l'esistente ma di accettarlo come opera di un'entità infinitamente superiore all'uomo (del resto basta guardare il cielo per rendersi conto di quanto l'uomo sia infinitamente piccolo) che se aveva creato il mondo in quella maniera era così che avrebbe dovuto rimanere (e ad esempio nella cultura greca uno dei concetti più significativi era quello di hybris che stigmatizzava il tentativo dell'uomo di usurpare le prerogative degli dei). Le comunità umane si strutturavano quindi come degli organismi microcosmici che imitavano nel loro ambito il macrocosmo universale, con le sue gerarchie, le sue dinamiche e le sue ciclicità, e al proprio interno riconoscevano ognuno come parte necessaria del tutto (ricordo il famoso apologo di Menenio Agrippa) creando dei meccanismi che consentissero  all'uomo  di relazionarsi  armonicamente  con l'ambiente  in  cui vive,  fornire  significato alla  sua  esistenza e  permettergli  fra l'altro  di  conciliarsi con  la  sofferenza, la  malattia  e  la morte,  sua  e dei  suoi  cari, e  provare  compassione per  gli  altri e solidarizzare con loro.  Come avevo scritto in un altro messaggio le comunità umane sono simili ad alberi che ad ogni stagione cambiano le foglie e spesso anche qualche ramo ma il tronco rimane sempre il medesimo, e se vogliono rimanere culturalmente vitali e unite è necessario che le radici siano sempre ben piantate nella terra che, in una cultura, sono i principi sui quali si basa per strutturarsi.
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione. Senza voler fare la storia della cultura europea mi limito ad evidenziare che nella sostanza sono state quattro le idee che a mio avviso sono a fondamento della disgregazione culturale: la prima è la riscoperta e l'esaltazione dell'antropocentrismo con il secondo umanesimo (il primo fu quello greco classico), ovvero l'idea che l'uomo sia l'ente principe dell'universo e quest'ultimo dovesse e potesse essere piegato ai desiderata umani. La seconda è il ribaltamento del sillogismo aristotelico con la conseguente prevalenza del metodo induttivo come modo per raggiungere la conoscenza, e di conseguenza la progressiva dipartita del concetto di verità come "fondamento". La terza e la quarta sono la libertè e l'egalitè proclamate dalla Rivoluzione Francese ma già in voga dai secoli precedenti che hanno introdotto l'ideologia dell'individualismo, la convinzione che nessun uomo fosse superiore (o inferiore) agli altri ma ognuno era comunque più importante della comunità di cui fa parte, dando quindi luogo alla teoria del "contratto sociale" come modello di aggregazione umana e agli stati costituzionali moderni (la costituzione è appunto il "contratto") che hanno trasformato le comunità in società, e «La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono» come annotava Tonnies nella frase che sintetizza alla perfezione i due concetti. Se l'unione della comunità è culturale, quella della società è strumentale; se nella prima prevale lo spirito comunitario, nella seconda prevale l'interesse; se nella prima il valore prevalente è quello dell'organismo comunitario e l'individuo è considerato in quanto parte necessaria di tale organismo (e finché lo è), nella seconda l'interesse prevalente è quello dell'individuo e la macchina sociale (si noti la differenza sostanziale fra la visione organica in un caso, che si sviluppa dall'interno verso l'esterno manifestandosi progressivamente e poi riproducendosi, e quella meccanicistica nel secondo che si sviluppa dall'esterno verso l'interno e ha dato quindi luogo a società come gli Stati Uniti d'America) dovrà mettersi a sua disposizione ogni volta che questo manifesterà delle esigenze che, se troverà gruppi d'interesse sufficientemente agguerriti che le condividano, riuscirà anche a trasformare in "diritti". La comunità ha una finalità che la supera per realizzarsi nel mondo e in prospettiva nell'universo, mentre la società non ha alcun valore intrinseco che vada al di là di essa e nessun oggetto sociale da perseguire, ma è solo uno strumento al servizio degli individui che ne fanno parte. Questo modello non può che portare alla frammentazione di una collettività, alla sua polverizzazione in "atomi culturali" (altro che "società liquida": il liquido ha comunque una forma, un principio di unità e un senso in sé, qualità che invece la polvere non possiede) il cui unico scopo sarà quello di perseguire e salvaguardare i propri interessi, che essendo di questi tempi prevalentemente materiali non potranno che causare una interminabile serie di conflitti di tutti contro tutti per il loro soddisfacimento, dato che la materia è finita e se qualcuno ne vuole possedere di più lo può fare solo a scapito di altri. Tutte queste idee e le prassi che ne sono seguite non sono state importate da qualche landa lontana, non sono venuti i "barbari" ad imporcele con la forza, ma è stata l'Europa stessa, i suoi intellettuali, i suoi letterati, i suoi filosofi ad elaborarle e a orgogliosamente esaltarle come la luce finalmente visibile in fondo al tunnel dell'oscurantismo. Per questa ragione mi sembra ovvio parlare di suicidio culturale, e di sostituzione di un qualcosa che assomigliava da vicino ad una cultura con qualcosa che la distrugge, con una negazione della stessa. Siccome ho già scritto molto ma mi rendo conto che molte cose sono rimaste in sospeso, spero possano emergere nel corso della discussione (sempre se qualcuno avrà interesse a portarla avanti, s'intende).

Tutta questa analisi  andava BENISSIMO nel topic "Multiculturalismo e multirazzialità" ed è perfettamente in tema molto piú delle digressioni sugli errori di comunismo e capitalismo in cui si stava affossando il topic aperto da me.

Mi dispiace che "puzziate" quasi tutti di snobismo, altrimenti non si capisce perché  sia nato il desiderio di spostare un argomento MOLTO attinente e consecutivo al mio, mentre invece si è lasciato indugiare su argomenti davvero ot per cui sarebbe stato piú oppotuno aprire un altro filone.

Che tristezza...

InVerno

Rispondo a Donquixote non tanto per vincere l'argomento retorico di cui mi frega poco, ma per aggiungere carne al fuoco e dare qualche spunto di approfondimento tra parentesi.


La supposta armonia organica in cui vivevano le società tradizionali non fa altro che parte di una delle fasi identitarie degli "stati nascenti" (Alberoni). L'età dell'oro dove le utopie sono realizzate, l'evento dirompente che corrompe la società, e la susseguente creazione di uno "stato nascente" (e le profezia di sventura in caso dalla nascita si passi ad un aborto spontaneo). L'ipotesi di un età dell'oro è necessaria per chiunque voglia ipotizzare un nuovo sistema ordinato ed è funzionale a questo scopo più che ad altro. Prive o quasi ne sono le culture orientali per via del dispotismo imperante nelle stesse di origine millenaria (Wittfogel) e questo spesso incanta l'osservatore occidentale senza considerare i contrappesi che mantengono l'ordine di una società scarsa di "agenti corruttori" e incapace di rigenerazione (per questo rigida e instabile). Gli studi antropogeografici degli ultimi decenni hanno fatto luce riguardo a una moltitudine di concause che hanno delineato il decesso di gran parte delle culture "tradizionali" legandole inesorabilmente (ma non unicamente) alla loro incapacità di interpretare la propria esistenza in coesione con il territorio (Diamond). E mentre il vecchio continente è rimasto generalmente vigoroso per via della sua vastità, ogni volta che una civiltà tradizionale ha colonizzato un sistema isolato, l'ha completamente disintegrato fino ad autoannientarsi (es. Isola di Pasqua) o a rendersi succube del vicino. Solamente attraverso "sacche di territori vergini" disponibili solo in grandi territori, siamo sopravvissuti all'inettitudine alla coesione con la natura di ogni cultura tradizionale. (sebbene è vero che le società antiche conoscessero la valenza di queste "riserve-sacche"). Gli stessi Elleni e il loro hybris diedero il colpo finale alla desertificazione anatolico-siriana di cui Petra potrebbe essere oggi un simbolico monito(so che è fuori confine), ma che era cominciata già millenni prima come testimoniato da vari templi protoagricoli. La nascita stessa dell'agricoltura un tempo incensata dai positivisti oggi appare come la conseguenza diffusa e costretta di un approccio completamente sbilanciato verso le risorse naturali e in particolare quelle animali nel periodo di espansione post glaciale e di un impoverimento sistemico che ci ha "piegato alla terra e ai sovrani" (Harris). Ma anche le società che si sono rifiutate di coltivare (es. Mongoli) hanno lentamente ma certamente disintegrato il loro loro habitat fino al crollo. E mentre è possibile e certamente valido avvocare la causa dalle loro "buona volontà" nel tentare un approccio organicista, rimane quasi certo che essi non avessero gli strumenti necessari da applicare a questa visione ad una realtà complessa e inadatta all'uomo senza che l'artificialità la bonifichi. Sarei propenso a sostenere che solo attraverso lo sviluppo della tecnica e il dominio della natura, oggi possediamo la conoscienza tale da poter attuare nei fatti una relazione con il mondo organica, ma sopratutto funzionante, e non avremmo mai potuto ottenere questo senza passare per il disincantamento (Weber) che oggi alcuni vorrebbero far passare come il vertice del nostro distacco emotivo dal naturale (es. Teosofisti). Questo non significa che la sfrutteremo. L'occidente imperialista, che rifiuta la conseguenza diretta di quello stesso atteggiamento di dominio militare verso il mondo, ovvero la globalizzazione dei propri valori (Huntington) è l'occidente che affronta una crisi morale (Chomsky) più che una crisi migratoria, e se vogliamo identitaria. E' l'occidente che tutto ad un tratto rilegge il De Bello Gallico ed anziché sentirsi tronfio, lo riconosce come il libro nero di un genocidio (Canfora). Ma siamo "questi qui" come dicono alcuni, le nostre radici sono queste, anche se siamo diventati "troppo umani per non provarne ripugnanza" (Goethe). Il relativismo culturale (che i "non politically correct" tanto amati bollano come "becero terzomondismo"), tanto piacque che oggi chi può dirsi franco e salvo dall'accusa di orientalismo formulata quarant'anni or sono (E.Said)? Nel '92 Fukuyama scriveva "la storia è finita, gli occidentali hanno vinto e ci annoiamo a morte" chissà se avrebbe mai immaginato la corsa furiosa di tantissimi "vittoriosi" a suonare le campane a morto. Ma le campane suonano si per allarmare il paese, ma sopratutto per conveire un messaggio, una sorta di imperialismo uditivo che dal paesello dovrebbe raggiungere i villaggi "barbari", perchè la campana funziona ancora benissimo e ne sono convinti anche quelli che dicono "che non funziona più niente". L'istinto di sopravvivenza ha varie forme, anche nei bramamorte. Di sicuro sempre Hungtinton lo avvertì (litigarono duramente), lo scontro di civiltà sarebbe avvenuto e l'occidente avrebbe perso il proprio dominio per via della modernizzazione dei "barbari", che avveniva sotto gli occhi troppo accecati dal nostro universalismo, per non riconoscere la modernizzazione solo perchè essa non si esplicava sotto spoglie occidentali. Eh già, mentre il dito indica il migrante (problema universalista), la luna (mezza luna) si converte dal fossile al rinnovabile, e gli states puntano al carbone e a cercare petrolio negli anfratti (problema culturale). Nel mentre avvenne il furto del secolo, il furto di una singola e semplice parola : globalizzazione. Motto di ogni internazionale e sindacato, la finanza la rapì e la stuprò ripetutamente in una stanza piena di soldi, la libera circolazione delle persone e l'integrazione degli uomini, divenne la libera circolazione del capitale e l'integrazione dei mercati. Boom. Ma come tu sei di sinistra e proteggi il sistema principe dell'impoverimento e della diseguaglianza? Che cosa bisognava rispondere, quella parola suonava cosi bene, era la nostra, ci eravamo tanto affezionati, le volevamo bene.. ma che cosa voleva dire? Non c'è solitudine peggiore di quella di uomo a cui è stata mozzata la lingua, un uomo senza lingua è un uomo senza patria (Cioran) e invece che diventare cittadino del mondo ne diventa il vagabondo.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

maral

#8
A parte l'assurdità di riportare le diversità culturali e i problemi che esse generano a differenze razziali biologiche (non occorre essere intellettuali sinistroidi per sapere che un norvegese può differenziare geneticamente da un ottentotto ben di più di quanto non si differenzi dal suo vicino di casa, norvegese pure lui da generazioni, basta informarsi un minimo sui risultati delle ricerche genetiche ormai ampiamente diffuse e accessibili a chiunque non voglia mantenersi analfabeta in biologia per tutelare i propri preconcetti), non capisco proprio il motivo di tutto questo dovere assoluto a preservarsi nella purezza delle proprie radici. Non capisco come non ci si renda conto del fatto che questa purezza è del tutto immaginaria, frutto magari di necessità esistenziali che vanno comprese, ma che resta sempre immaginaria, quindi è una pretesa che cerca fondamento nell'immaginazione. E' immaginaria nella storia di qualsiasi cultura che è sempre il risultato di incontri tra modi di vivere e di praticare il mondo diversamente: la cultura occidentale è il risultato dell'incontro di popolazioni recanti tradizioni estremamente diverse, pur nel comune modo di sentire umano, di antropologie diverse. Gli antichi popoli mediterranei non erano gli Achei che venivano, come tutti i popoli indoeuropei, dagli altopiani iranici e dal cui incontro nacque quella cultura greca che poniamo all'inizio della storia culturale europea e che fu preservata nei regni islamici che si stabilirono in Spagna, mentre l'Europa tutta veniva distrutta da altri popoli di diversa cultura: i Germanici, provenienti dalle propaggini nord orientali del continente. Il cristianesimo, altro grande contrassegno della cultura europea, è anch'esso il risultato di una contaminazione culturale, proveniente dal Medio Oriente che si fuse con la tradizione greca e raccolse poi in sé le tradizioni di quegli stessi selvaggi germanici che ridiedero vigore al percorso culturale europeo, lo trasformarono nel corso di secoli di storia.
Anche la cultura vedica è il frutto di un'ibridazione e così ogni cultura, perché ogni cultura che si isola per mantenersi pura è da sempre una cultura che si autodistrugge, inevitabilmente.

I punti che Donquixote assume come inizio della disgregazione dell'Occidente sono certo accadimenti che mutarono la visione del mondo e delle cose, ma non hanno nulla di radicalmente o ontologicamente sbagliato di per sé, sono invece conseguenze inevitabili di una storia, di un'archeologia i cui effetti si riflettono continuamente nei significati vissuti producendo degli spostamenti, per cui il mondo cambia e non può più essere come prima. E certo ci si potrà trovare spaesati e angosciati quando questo accade, ma non accade per errore o follia di esseri malvagi, accade per necessità, ove la necessità sta in quello che si fa e si riconosce fattibile. Non è che il passaggio dall'armonia del tempo ciclico del greco all'hybris del tempo progressivo e salvifico del cristiano contaminato da testi semitici, all'umanesimo rinascimentale fino (scandalo di ogni scandalo) al pensiero illuministico della ragione sufficiente sia il percorso di una follia crescente a cui si può pensare di porre rimedio ripercorrendo la storia a ritroso in nome del sogno di una purezza originaria e arcaica, tanto rassicurante, ma mai esistita e men che meno si può dire "ognuno a casa propria" a crepare con la porta ben chiusa e il muro alto attorno all'orto, perché nessun uomo dall'inizio dell'antropocene, è mai stato a casa propria, ogni uomo si è sempre sentito chiamato dall'altrove e proprio e solo per questo il genere umano, nel bene e nel male fino a oggi non si è estinto.
Poi è chiaro che l'incontro culturale è sempre rischioso, è sempre anche scontro come ogni incontro, che il cambiamento è angosciante, perché ogni volta siamo chiamati a ritrovarci e riconoscerci daccapo e può essere quanto mai faticoso e doloroso. Ma questo significa solo cercare di attuarlo gestendolo, per quanto ci è consentito, nel modo meno impattante possibile, non nell'evitarlo a tutti i costi, perché di là dal riparo dell'illusione dei muri fisici e mentali la forza dell'impatto cresce e crescendo finirà per travolgerci tutti, quando l'illusione del riparo all'improvviso svanirà e noi non saremo per nulla pronti.
Lo impararono già i Cinesi quasi 2 millenni or sono quando si illusero di ripararsi dai Mongoli con la Grande Muraglia per ritrovarsi con l'essere governati da sovrani Mongoli e i Romani con i loro valli il cui risultato fu finire sotto imperatori Germanici: i muri fisici o mentali che siano non servono assolutamente a nulla, si aggirano, si demoliscono e si disgregano sempre.
Il problema non è la liquidità, il problema è come ritrovarsi nella liquidità inevitabile delle cose, senza sognare di mantenersi ben fissi su solidità imperturbabili ed eterne.

paul11

#9
Inverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-

Donquixote

La prima fase della società, o come vuoi chiamarla comunità, in quanto la differenzi, è tipica praticamente di tutte le tradizioni.E' un ordine come giustamente argomenti che è dentro un'altro ordine(micro e macrocosmo,ma si può
denotarlo in altri modi).Giustamente dichiari le modalità del suo funzionamento.

Aggiungo io; questa è la società deduttiva e chiusa, perchè il micro è derivato dal macro.

Il salto culturale che compie l'Occidente, e lo fa solo l'Occidente , è proprio quello che chiami conoscenza induttiva.Ma due cose devono essere chiarite: perchè lo fa e le altre culture no e perchè lascia alla fine il "mondo deduttivo".Capire queste due ragioni è fondamentale per correlare le altre culture che non hanno le discipline scientifiche che portano alla tecnica e al potere tecnologico, vera differenza e caratteristica dell'Occidente,

L'Europa non decade per interessi e valori, perchè sono comunque sempre motivazioni ad esistere ,a pensare ed agire.

L' errore è dimenticare l'agente conoscitivo, l'uomo che sposta l'episteme storicamente.Non avere il soggetto, signifca perdere di vista la sua coscienza e implicitamente il sistema epistemologico.
Noi, in realtà agiamo siamo induttivamente ,come le scienze naturali moderne(ma quì sarebbe da discutere anche sull'epistemologia avversa fra Popper e Feyerabend), che deduttivamente, vale a dire spostiamo  e relazioniamo il micro al macro e poi il macro al micro, il particolare al tutto e il tutto al particolare.
La razionalità scientifica, quella che certa epistemologia definisce razionale, forma le leggi universali come matematica, quindi sposta l'osservazione fisica nel dominio metafisico(piaccia o non piaccia ma la matematica non è un sasso) e si ferma quì, perdendo tutto il dominio che  rende l'uomo, umano.

La prima fase storica è stata deduttiva e caratterizzava un modo di costruire le relazioni sociali.
La seconda fase storica , attualmente in corso, è induttiva e si caratterizza all'opposto.
La terza fase......" ha da venì"

La società liquida, che definisco come trasformista e opportunista, è contrapposta alla solidità.
Perchè il liquido non ha  forma fisica, prende la forma del contenitore, in questo caso culturale in cui è immersa.

E' ciò che è ancora umano nell'uomo che si contrappone psichicamente spiritualmente e chi riesce a definirlo, concettualmente alla modalità al prodotto storico di un uomo prigioniero della sua stessa cultura.

Non approfondisco di più.o ci sono valide analisi o è meglio tacere che essere capito male.
Quindi dipende dal livello del dibattito.

InVerno

Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

paul11

#11
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 20:39:17 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Lo dico in termini pacati, da bon ton come impone il forum.
Come al solito fai battute per mancanza di argomentazioni, mostrandoti per quello che sei, e spero per te che quel che mostri non sia veramante tu.
Se ritieni, come troppi, che sia all'interno dell'attuale scienza, che sia la pollitica, sociologia, antropoogia, la possibilità di costruire una seria analisi si fa apologia dell'attuale potere culturale,anche quando si è contrari. Questa cultura ha delle radici e caratteristiche, o si è in grado di capire dove sono e quali sono oppure la medicina sarà sempre funzionale alla malattia, perchè interna al dominio stesso.
Chiarisco per la seconda  volta a te. Non ho mai detto che le società primiitive siano migliori, Ma quelle popolazioni  hanno delle certezze, che siano vere o presunte è un'altro paio di maniche, che le rendono serene per molti versi, sanno cosa accettare e sanno cosa cambiare, ma sempre dentro un loro ordine culturale.
Noi ,inteso come occidentali, ma prodotto storico di una cultura che è sumerico/accadica, egiziana, ebrea, fenicia, greca, ecc. siamo attitudinalmente diversi dal resto delle culture che si sono "fermate".Lo si vede dalla tecnica e la tecnologia. Se lle nostre caratteristiche sono queste e non ci siamo fermati come loro, dovremmo chiederci il perchè. Noi siamo diventati storia lineare, mentre altri non hanno questo tipo di storia,
Se allora diciamo che l' Europa è suicida, almeno per me, lo intendo come prodotto storico in cui vi sono costanti e determinanti culturali che la spingono, la motivano per questa strada. Se la caratteristica è la tecnica e la tecnologia, implica la capacità di categorizzare, organizzare, conoscenze in una determinata finalità focalizzando metodi e fini. Il capitalismo, tanto per intenderci, non può nascere in quelle tradizioni ferme.
Il capitalismo si sposa benissimo con forme democratiche e allora dobbiamo intenderci cosa veramente siano capitalismo e democrazia.Perchè i nemici del capitalismo e positivismo cuturale sono stati nazismo, fascismo, comunismo, cristianesimo?Perchè pur con ovvie differenze sono ideologie e in quanto tali mettono in discussione l'ordine scelto esplicato nella modernità  e la natura, quindi l'ambito e il significato dell'esistenza umana.
Le ideologie sono ancora deduttive, perchè esiste una storia come premessa,certo è un'interpretazione diversa per ogni forma deduttiva, ma viene discusso una forma di ordine con contenuti e significati diversi dal sistema induttivo. Si richiamano tutte a forme che sono proprie del sistema deduttivo e non induttivo,che implica il focus sul fenomeno in sè e solo su questo,anche se  si contraddice.
Insomma, se le ideologie hanno fallito è perchè l'occidentale attuale ha scelto il mondo induttivo e si affida alle scienze, non più alle filosofie o religioni. Gli scontri culturali non sono date dalle razze , ma dalle interpretazioni delle tradizioni. Le scienze, come la tecnica e per ricaduta le tecnologie, danno il potere "fisico" delle armi,danno la volontà di potenza a continuare  e proseguire.Le altre culture o si riducono a nicchia o saranno ineluttabilmente invase, o dovranno migrare.Si dovranno occidentalizzare, perchè questa è la regola della terra : il più forte vince.

Questo uomo forte occidentale lo è davvero? Le popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.
Se mi sono fatto capire, non dò giudizi di valore se sia giusta la tradizione ferma  e chiusa, o quella in evoluzione culturale e aperta. Entrambe hanno limiti che sono nella coscienza del soggetto umano.

donquixote

Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 11:13:58 AMLa supposta armonia organica in cui vivevano le società tradizionali non fa altro che parte di una delle fasi identitarie degli "stati nascenti" (Alberoni). L'età dell'oro dove le utopie sono realizzate, l'evento dirompente che corrompe la società, e la susseguente creazione di uno "stato nascente" (e le profezia di sventura in caso dalla nascita si passi ad un aborto spontaneo). L'ipotesi di un età dell'oro è necessaria per chiunque voglia ipotizzare un nuovo sistema ordinato ed è funzionale a questo scopo più che ad altro.

Se questa supposta "fase identitaria" dura da diecimila anni forse bisognerebbe rivedere la tesi e chiamarla diversamente (equilibrio?) E l'ipotesi (se di ipotesi si tratta) dell'età dell'oro è una normale deduzione e non certo un punto di partenza per l'invenzione di tutte le utopie da essa ispirate, e questa "ipotesi" esiste eccome anche nelle culture orientali, anzi molto probabilmente Esiodo l'ha mutuata da esse che la descrivono come  la prima dei quattro "yuga".  Inoltre anche il "paradiso terrestre"  presente nel libro della  Genesi è un'altra immagine dell'età dell'oro perduta, e anche questo viene da oriente. Per il resto è difficile commentare una serie di affermazioni fuori contesto che nel loro insieme si possono riassumere in "tutti dobbiamo morire", culture comprese ovviamente (Spencer). Ma comunque anche se tutti dobbiamo morire un conto è farlo a 60 anni dopo aver trascorso una vita serena e significativa lasciando la tua casa così come l'hai trovata, un altro è farlo a 20 anni drogato marcio dopo aver distrutto ciò che ti sta intorno e ammazzato tutti i tuoi vicini in una serie di impeti di follia o crisi d'astinenza.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMA parte l'assurdità di riportare le diversità culturali e i problemi che esse generano a differenze razziali biologiche (non occorre essere intellettuali sinistroidi per sapere che un norvegese può differenziare geneticamente da un ottentotto ben di più di quanto non si differenzi dal suo vicino di casa, norvegese pure lui da generazioni, basta informarsi un minimo sui risultati delle ricerche genetiche ormai ampiamente diffuse e accessibili a chiunque non voglia mantenersi analfabeta in biologia per tutelare i propri preconcetti), non capisco proprio il motivo di tutto questo dovere assoluto a preservarsi nella purezza delle proprie radici. Non capisco come non ci si renda conto del fatto che questa purezza è del tutto immaginaria, frutto magari di necessità esistenziali che vanno comprese, ma che resta sempre immaginaria, quindi è una pretesa che cerca fondamento nell'immaginazione. E' immaginaria nella storia di qualsiasi cultura che è sempre il risultato di incontri tra modi di vivere e di praticare il mondo diversamente: la cultura occidentale è il risultato dell'incontro di popolazioni recanti tradizioni estremamente diverse, pur nel comune modo di sentire umano, di antropologie diverse. Gli antichi popoli mediterranei non erano gli Achei che venivano, come tutti i popoli indoeuropei, dagli altopiani iranici e dal cui incontro nacque quella cultura greca che poniamo all'inizio della storia culturale europea e che fu preservata nei regni islamici che si stabilirono in Spagna, mentre l'Europa tutta veniva distrutta da altri popoli di diversa cultura: i Germanici, provenienti dalle propaggini nord orientali del continente. Il cristianesimo, altro grande contrassegno della cultura europea, è anch'esso il risultato di una contaminazione culturale, proveniente dal Medio Oriente che si fuse con la tradizione greca e raccolse poi in sé le tradizioni di quegli stessi selvaggi germanici che ridiedero vigore al percorso culturale europeo, lo trasformarono nel corso di secoli di storia. Anche la cultura vedica è il frutto di un'ibridazione e così ogni cultura, perché ogni cultura che si isola per mantenersi pura è da sempre una cultura che si autodistrugge, inevitabilmente.

A parte il fatto che sono esistiti popoli che per migliaia e migliaia di anni hanno vissuto senza alcun contatto con culture aliene (avranno magari avuto dei vicini ma erano sicuramente molto simili a loro, come i romani coi sabini o i Sioux coi Cheyenne) prima che qualcuno decidesse di attraversare gli oceani per andare dalla Patagonia alla Papuasia a divulgare al mondo il verbo razionalista appena scoperto e renderli partecipi della scienza occidentale (e magari qualcuno si sarà anche chiesto come potessero essere ancora al mondo uomini che non avevano mai potuto godere dei benefici delle scoperte occidentali, e forse la risposta che si è dato è che non potevano ovviamente essere uomini, tanto che di conseguenza cominciarono a trattarli da animali) e a parte il fatto che determinate differenze sono evidenti di per sé e non c'è alcun bisogno di ricerche biologiche che le confermino o le smentiscano (che l'uomo bianco caucasico sia sempre stato più portato all'azione che al pensiero è un fatto, non un'opinione: basta vedere, già nel pensiero stesso, la grande quantità di azione che ha espresso con miliardi di volumi  rispetto alla minima qualità che ne è risultata) e comunque affidarsi alle ricerche della biologia in campo genetico per fare valutazioni sulle diversità culturali è, ancora una volta, andare alla ricerca della ghiandola pineale chiamandola con un altro nome e dunque essere vittime di un pregiudizio materialista, la questione non è l'ibridazione in sé, che indubbiamente è sempre avvenuta fra popoli che entravano in contatto fra loro, ma la spontaneità e la volontarietà di tale ibridazione, e soprattutto la compatibilità di ciò che si acquisisce con la cultura già in essere. Un conto è cambiare un simbolo o adottare una diversa manifestazione culturale perchè le si ritiene un'espressione migliore della cultura che si possiede, e farlo volontariamente, altro è invece subire l'imposizione violenta di culture "altre" (o di parti di esse) incomprensibili dal popolo e incompatibili con la visione del mondo e l'organizzazione sociale vigenti, che ovviamente non potranno arricchire ma solo disgregare una cultura. Inoltre è fondamentale considerare il tempo in cui tutto ciò avviene, che deve essere tale da consentire al popolo di assimilare le "novità" senza creare scompensi, salvaguardando così l'equilibrio interno.


Citazione di: maral il 04 Febbraio 2017, 13:08:28 PMI punti che Donquixote assume come inizio della disgregazione dell'Occidente sono certo accadimenti che mutarono la visione del mondo e delle cose, ma non hanno nulla di radicalmente o ontologicamente sbagliato di per sé, ma sono conseguenze inevitabili di una storia, di un'archeologia i cui effetti si riflettono continuamente nei significati vissuti producendo degli spostamenti, per cui il mondo cambia e non può più essere come prima.

Dato che "panta rei" nessuno si sogna di auspicare una immobilità "pratica" (che peraltro viene perseguita più qui da noi che altrove con le nostre costituzioni e le nostre innumerevoli leggi scritte), ma ciò che è auspicabile (e fondamentale) è l'immobilità dei fondamenti (che se sono tali devono essere anche immobili). Un popolo può cambiare alcune abitudini culturali se quelle nuove sono più confacenti alla sua mutata mentalità e più comprensibili dalle persone di quelle precedenti, ma queste devono essere comunque riconducibili ai principi su cui la propria cultura si basa e devono essere compatibili e coerenti con una visione unitaria della stessa, quindi devono in qualche modo "migliorare" una cultura e non distruggerla. I quattro punti che ho indicato in precedenza sortiscono l'effetto opposto dell'unità, e più questi verranno applicati con costanza e rigore più alimenteranno la disunione, la frammentazione, la polverizzazione. Una cultura che ha quelle come basi significa che è una cultura ove tutti sono uniti sul fatto che bisogna essere tutti divisi, perché se non esiste un punto di riferimento superiore all'ego individuale a cui questo possa essere "sacrificato" ogni individuo si sentirà naturalmente il centro del mondo e della sua società alimentando le proprie pretese (i "diritti") senza dar nulla in cambio. Se dunque la cultura di un popolo è ciò in cui lo stesso si riconosce questa cultura è esattamente l'opposto, poiché ognuno si riconosce solo in se stesso e il "popolo" (ovvero la società, lo stato) dovrà essere a sua disposizione per garantire il soddisfacimento di ogni sua pretesa, anche la più insensata, e le linee di tendenza già citate sono quindi, dal punto di vista "culturale", radicalmente e ontologicamente sbagliate. Che poi si possano considerare conseguenze inevitabili della storia e che non si possa cambiare la situazione è altra questione che non attiene il giudizio su di esse, che rimane il medesimo.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Eretiko

Citazione di: donquixote il 03 Febbraio 2017, 14:32:38 PM
Se questa dunque è la cornice di riferimento di una cultura bisogna vedere in cosa, e da quando, l'Europa ha iniziato ad edificare la sua cultura su basi completamente differenti, opposte  a quelle precedenti, costruendo quindi nei fatti una controcultura (o una non-cultura) che ovviamente non avrebbe potuto che, col tempo, portare ad una disgregazione.

Galileo Galilei affermava (giustamente) che il sillogismo Aristotelico rischiava di essere una tautologia quando applicato alla filosofia naturale (oggi diremmo alle scienze naturali), e noto che dopo 4 secoli ancora non siamo convinti di questo.
Per non restare sulla sterile retorica faccio un esempio concreto, mutuato da Galileo, relativo alla sua scoperta che il pianeta Venere presentava le fasi così come il pianeta Luna; il ragionamento è il seguente:
A - se il sistema planetario fosse eliocentrico, allora Venere ci presenterebbe le fasi (proposizione vera a priori)
B - Venere presenta le fasi, quindi il sistema planetario è eliocentrico.
Ovviamente la proposizione B non è corretta secondo la logica formale (come fece notare ironicamente Russel), in base alla quale la proposizione B corretta sarebbe:
BB - il sistema planetario è eliocentrico, quindi Venere presenta le fasi.
Credo non bisogna aggiungere altro per capire che la versione corretta BB non aggiunge nulla alla conoscenza, perchè ammette vera a priori l'ipotesi che il sistema planetario è eliocentrico.
E forse vale la pena sottolineare che nel ragionamento di Galilei non si usa semplicemente il metodo induttivo, ma un misto induttivo-deduttivo che sicuramente scandalizzò i teologi scolastici.
E' proprio questo sottile uso misto che è difficile da accettare, come hanno dimostrato e continuano a dimostrare molti filosofi ancora convinti che esista una conoscenza che trascenda le scienze naturali, e forse è per questo che ancora oggi la società occidentale sembra frantumarsi, stretta tra miti mediorientali, tecnologia, scienza e trascendenza, dimostrando semmai la non raggiunta maturità piuttosto che la disgregazione.
E lo dimostra il fatto che ancora stiamo a discutere di illuminismo, di Rivoluzione Francese, di materialismo, di meccanicismo, di razionalismo, di individualismo e liberalismo, come se ci fosse un "prima" bello, e un "dopo" orrendo, con la scienza che fa da spartiacque.
Se questo è il suicidio culturale, sono contento di essermi suicidato, sommessamente ricordando che non sono stati certo i miti mediorientali e il cristianesimo (dove molti pretendono ancora di porre le nostre radici) a farci scrivere la carta dei diritti fondamentali dell'uomo, e che prima ancora di esportare il nostro "sapere razionale" abbiamo esportato, con esiti tragici, il nostro "sapere irrazionale" nella convinzione di avere una "missione" nel mondo.


InVerno

#14
Citazione di: paul11 il 05 Febbraio 2017, 00:15:48 AM
Citazione di: InVerno il 04 Febbraio 2017, 20:39:17 PM
Citazione di: paul11 il 04 Febbraio 2017, 19:05:08 PMInverno
come al solito non hai capito l'essenza del discorso. Almeno impara ad argomentare Attenderò PrimaVera-
Io non ho niente in contrario se hai voglia di parlare di storia della filosofia, ma è quando teorizzi presente futuro e passato di tutte le nazioni Europee + un virus del suicidio culturale in incubazione dai tempi di Aristotele in una manciata di righe che mi inchino alle tue doti per l'argomentazione. Hai imparato dai pellerossa?
Lo dico in termini pacati, da bon ton come impone il forum.
Come al solito fai battute per mancanza di argomentazioni, mostrandoti per quello che sei, e spero per te che quel che mostri non sia veramante tu.
Se ritieni, come troppi, che sia all'interno dell'attuale scienza, che sia la pollitica, sociologia, antropoogia, la possibilità di costruire una seria analisi si fa apologia dell'attuale potere culturale,anche quando si è contrari. Questa cultura ha delle radici e caratteristiche, o si è in grado di capire dove sono e quali sono oppure la medicina sarà sempre funzionale alla malattia, perchè interna al dominio stesso.
Chiarisco per la seconda  volta a te. Non ho mai detto che le società primiitive siano migliori, Ma quelle popolazioni  hanno delle certezze, che siano vere o presunte è un'altro paio di maniche, che le rendono serene per molti versi, sanno cosa accettare e sanno cosa cambiare, ma sempre dentro un loro ordine culturale.
Noi ,inteso come occidentali, ma prodotto storico di una cultura che è sumerico/accadica, egiziana, ebrea, fenicia, greca, ecc. siamo attitudinalmente diversi dal resto delle culture che si sono "fermate".Lo si vede dalla tecnica e la tecnologia. Se lle nostre caratteristiche sono queste e non ci siamo fermati come loro, dovremmo chiederci il perchè. Noi siamo diventati storia lineare, mentre altri non hanno questo tipo di storia,
Se allora diciamo che l' Europa è suicida, almeno per me, lo intendo come prodotto storico in cui vi sono costanti e determinanti culturali che la spingono, la motivano per questa strada. Se la caratteristica è la tecnica e la tecnologia, implica la capacità di categorizzare, organizzare, conoscenze in una determinata finalità focalizzando metodi e fini. Il capitalismo, tanto per intenderci, non può nascere in quelle tradizioni ferme.
Il capitalismo si sposa benissimo con forme democratiche e allora dobbiamo intenderci cosa veramente siano capitalismo e democrazia.Perchè i nemici del capitalismo e positivismo cuturale sono stati nazismo, fascismo, comunismo, cristianesimo?Perchè pur con ovvie differenze sono ideologie e in quanto tali mettono in discussione l'ordine scelto esplicato nella modernità  e la natura, quindi l'ambito e il significato dell'esistenza umana.
Le ideologie sono ancora deduttive, perchè esiste una storia come premessa,certo è un'interpretazione diversa per ogni forma deduttiva, ma viene discusso una forma di ordine con contenuti e significati diversi dal sistema induttivo. Si richiamano tutte a forme che sono proprie del sistema deduttivo e non induttivo,che implica il focus sul fenomeno in sè e solo su questo,anche se  si contraddice.
Insomma, se le ideologie hanno fallito è perchè l'occidentale attuale ha scelto il mondo induttivo e si affida alle scienze, non più alle filosofie o religioni. Gli scontri culturali non sono date dalle razze , ma dalle interpretazioni delle tradizioni. Le scienze, come la tecnica e per ricaduta le tecnologie, danno il potere "fisico" delle armi,danno la volontà di potenza a continuare  e proseguire.Le altre culture o si riducono a nicchia o saranno ineluttabilmente invase, o dovranno migrare.Si dovranno occidentalizzare, perchè questa è la regola della terra : il più forte vince.

Questo uomo forte occidentale lo è davvero? Le popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.
Se mi sono fatto capire, non dò giudizi di valore se sia giusta la tradizione ferma  e chiusa, o quella in evoluzione culturale e aperta. Entrambe hanno limiti che sono nella coscienza del soggetto umano.
Quello che ha cominciato con le battute e il dibattito "non a livello" non sono io, cosa descrivono di te? Ma guarda che io non me la prendo con la tua tesi centrale e le tue interpretazioni di storia della filosofia, in linea generale sono pure d'accordo seppure mi continui a sembrare un approccio semplificativo. Quello con cui non sono d'accordo sono innanzitutto le "certezze" foriere di "serenità" delle popolazioni primitive, e ho chiesto nomi e cognomi, per vedere se c'è materiale per "chiedere a loro" come vivono questa "serenità", almeno evitiamo di farne una questione personale. A me pare roba da bancarella new age, e ho vissuto in prima persona alcune di queste società primitive, ma magari sbaglio ed erano già corrotti "dal virus", il che appunto non si capisce come tenga in piedi la chiosa
popolazioni asiatiche e africane sono nettamente superiori a quella occidentale.L'uomo occidentale induttivo si è relativizzato, non procede più per certezze scientifiche e nemmeno per assoluti.E' destinato a soccombere dal più debole, ma quel debole imparerà la nostra cultura e sarà il prossimo europeo.

Ma quali popolazioni africane? I boscimani?I beduini? Tutta l'africa\asia è declinata all'occidentalizzazione postcoloniale (ancora di più se si tratta di una mera differenza induttiva\deduttiva). Ho citato Fukuyama proprio per rimarcare questo, seppure la tesi sia evidentemente provocatoria, il mondo rimasto "non occidentale" finito il colonialismo è un mondo residuale e minimo, chiuso in riserve. Ma pensi che ci siano i boscimani sui barconi che vengono a farsi instillare il virus occidentale? Prendi un mappamondo fallo girare, fermalo con il dito dove vuoi tu e dimmi : non sono occidentali? Per me la risposta non è chiarissima, perchè l'occidente è una questione complessa e ramificata, ma prendiamo per buono il tuo "virus induttivo". Lo hanno già o no? La risposta si, ovunque il tuo dito si fermerà, persino in groenlandia. Non c'è nessuna popolazione che viene a varsi appestare, le abbiamo già appestate tutte. E' un virus del suicidio? Potrebbe, ci sono teorie che vedono all'intelligenza (definita dalla nostra prospettiva etnocentrica-induttiva) come un fattore ostativo alla sopravvivenza, ma a quel punto l'età dell'oro non è rapprensentata dalle società primitive, ma dai batteri.

Citazione
Se questa supposta "fase identitaria" dura da diecimila anni forse bisognerebbe rivedere la tesi e chiamarla diversamente (equilibrio?) E l'ipotesi (se di ipotesi si tratta) dell'età dell'oro è una normale deduzione e non certo un punto di partenza per l'invenzione di tutte le utopie da essa ispirate, e questa "ipotesi" esiste eccome anche nelle culture orientali, anzi molto probabilmente Esiodo l'ha mutuata da esse che la descrivono come  la prima dei quattro "yuga".  Inoltre anche il "paradiso terrestre"  presente nel libro della  Genesi è un'altra immagine dell'età dell'oro perduta, e anche questo viene da oriente. Per il resto è difficile commentare una serie di affermazioni fuori contesto che nel loro insieme si possono riassumere in "tutti dobbiamo morire", culture comprese ovviamente (Spencer). Ma comunque anche se tutti dobbiamo morire un conto è farlo a 60 anni dopo aver trascorso una vita serena e significativa lasciando la tua casa così come l'hai trovata, un altro è farlo a 20 anni drogato marcio dopo aver distrutto ciò che ti sta intorno e ammazzato tutti i tuoi vicini in una serie di impeti di follia o crisi d'astinenza.
E' certamente una forma di equilibrio, seppur basato sul mutamento dei paradigmi invece che sulla staticità. Che questo sia presente anche in oriente io non sarei convinto, o almeno non ne è convinto Alberoni le cui spiegazioni a riguardo ti rimando se vorrai. Anche se il paradiso terrestre fosse migrato da oriente (oriente rispetto alla siria suppongo), sarebbe un oriente protoagricolo e non caratterizzato da quel dispotismo che ad avviso di alcuni, ha bloccato poi successivamente questo tipo di archetipo. Dove è oggi, lo stesso archetipo in oriente? Non siamo destinati tutti a morire, ma siamo destinati a contraddirci parecchie volte, e attraverso istanze perlomeno assurde da un punto di vista oggettivo. Per esempio questo vittimismo occidentale che ci vede suicidi inconsapevoli, era una volta una bandiera di certi ambiti, oggi a quanto pare è cosa per conservatori.. Ho come l'impressione che ci sia sempre questo "virus induttivo" che ci tenda agguati e ci costringa a trasporre la morte di alcuni valori (personali, familistici, partitici) in senso assoluto, continentale...
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia