Diseguaglianza giusta ed ingiusta :-)

Aperto da Eutidemo, 22 Luglio 2018, 07:19:44 AM

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Eutidemo

Studiosi ed economisti del gruppo di ricerca CESIFO di Monaco hanno elaborato un modo nuovo di qualificare la disuguaglianza economica, distinguendo tra:
1) La disuguaglianza economica ingiusta, derivante da sperequazioni economiche e sociali, che comportano la mancanza di pari opportunità alla nascita e durante l'età evolutiva e scolastica (ed anche successivamente).
2)  La disuguaglianza economica giusta, che consiste in una differenziazione di "successo economico" tra individui adulti, i quali sono partiti da una situazione di pari opportunità alla nascita e durante l'età evolutiva e scolastica, e che è dovuta a maggiori capacità intellettuali, e maggior impegno lavorativo. 
"Raccomandazioni" a parte!
Attraverso una serie di elaborazioni matematiche, gli studiosi hanno individuato la situazione di ogni Nazione e l'hanno confrontata con quella che dovrebbe essere, teoricamente, la disuguaglianza giusta. Per l'Italia, l'indice è pari allo 0,063 con una disuguaglianza ingiusta del 31,6%; e così scopriamo purtroppo che il nostro Paese è il peggiore dei 31 europei, secondo solo dopo la Lituania che è a 0,066; i migliori sono Olanda e Finlandia.  :-[

anthonyi

Chissà se i rilevatori hanno pesato adeguatamente il nepotismo che caratterizza il nostro paese. In Italia la probabilità di fare lo stesso lavoro dei tuoi genitori è altissima.

baylham

Ho l'impressione che una disuguaglianza giusta produca una disuguaglianza ingiusta. 
Mi limiterei a registrare le disuguaglianze e indicare quali vanno corrette secondo criteri di giustizia.

Eutidemo

Citazione di: anthonyi il 22 Luglio 2018, 16:10:13 PM
Chissà se i rilevatori hanno pesato adeguatamente il nepotismo che caratterizza il nostro paese. In Italia la probabilità di fare lo stesso lavoro dei tuoi genitori è altissima.

Infatti anche io avevo commentato: ""Raccomandazioni" a parte!" ;)

Eutidemo

Citazione di: baylham il 23 Luglio 2018, 09:09:08 AM
Ho l'impressione che una disuguaglianza giusta produca una disuguaglianza ingiusta.
Mi limiterei a registrare le disuguaglianze e indicare quali vanno corrette secondo criteri di giustizia.

In che senso una una disuguaglianza giusta produrrebbe sempre una disuguaglianza ingiusta?
Se io, questo mese, faccio più ore di straordinario di te, ne deriva una giusta una disuguaglianza economica tra noi due, perchè, a fine mese, io ho guadagnato più di te; quale sarebbe la disuguaglianza ingiusta che ne deriva?

baylham

Citazione di: Eutidemo il 23 Luglio 2018, 14:05:03 PMIn che senso una una disuguaglianza giusta produrrebbe sempre una disuguaglianza ingiusta? Se io, questo mese, faccio più ore di straordinario di te, ne deriva una giusta una disuguaglianza economica tra noi due, perchè, a fine mese, io ho guadagnato più di te; quale sarebbe la disuguaglianza ingiusta che ne deriva?

Supponiamo che il genitore utilizzi la giusta disuguaglianza di reddito per migliorare la condizione dei figli, che a sua volta migliora la sua condizione di genitore. 
Una giusta disuguaglianza avvantaggia i figli di questo genitore rispetto agli altri e produce la condizione di ingiusta disuguaglianza tra i figli dei diversi genitori.

anthonyi

Citazione di: baylham il 23 Luglio 2018, 15:42:54 PM
Citazione di: Eutidemo il 23 Luglio 2018, 14:05:03 PMIn che senso una una disuguaglianza giusta produrrebbe sempre una disuguaglianza ingiusta? Se io, questo mese, faccio più ore di straordinario di te, ne deriva una giusta una disuguaglianza economica tra noi due, perchè, a fine mese, io ho guadagnato più di te; quale sarebbe la disuguaglianza ingiusta che ne deriva?

Supponiamo che il genitore utilizzi la giusta disuguaglianza di reddito per migliorare la condizione dei figli, che a sua volta migliora la sua condizione di genitore.
Una giusta disuguaglianza avvantaggia i figli di questo genitore rispetto agli altri e produce la condizione di ingiusta disuguaglianza tra i figli dei diversi genitori.

Questo è il problema dell'educazione, se io sono stato educato sono più produttivo per cui "merito" di guadagnare di più. Ma questo merito non è mio ma di coloro che mi hanno educato.
In realtà per i principi liberali, nei quali conta il merito per incentivare la produttività, anche l'educazione è da considerare un merito perché il genitore educa con l'idea che il figlio vivrà una vita migliore e quindi è giusto che questo impegno sia premiato.

davintro

I concetti di "giusto" e "sbagliato" sono soggettivi e arbitrari. Secondo un'ideologia egualitaria radicale, qualunque diseguaglianza, sia essa determinata dalla nascita, o conseguenza dei diversi comportamenti sociali, è ingiusta, secondo un'ideologia meritocratica vanno distinte le diseguaglianze per nascita da quelle determinate dal "merito", di cui si pretende che si possano ottenere parametri di riconoscimento del tutto oggettivi e condivisi. La mia personale posizione si differenzia da entrambe e cerca di attenersi all'idea del liberalismo classico. Il piano politico non deve intervenire sulla base di un concetto moralistico di "giustizia" o di "merito", sempre soggettivo e discutibile, ma ha il compito di tutelare il benessere complessivo della comunità, cercando di massimizzarlo, lasciando massima libertà di agire agli individui, con l'unico limite di impedire che la libertà di qualcuno danneggi i diritti fondamentali di altri, in quanto solo la libertà è la condizione in cui ciascun singolo può agire sulla base delle sue esigenze soggettive e personali, diverse le une dalle altre e in questo senso va affermato decisamente il primato della libertà rispetto l'uguaglianza: la libertà, entro certi limiti, è ciò che permette a ciascuno di poter realizzare i propri desideri, senza che qualcuno pretenda di imporre ad altri la sua personale idea di "cosa va fatto e cosa no", quindi è sempre un valore positivo, portatore di benessere e di realizzazione individuale. L'uguaglianza invece non è mai un valore positivo in assoluto, ma è positivo se intesa come livellamento verso l'alto, verso il benessere, mentre se è livellamento verso il basso, verso il malessere, diventa qualcosa di negativo. Cioè, ciò che va considerato ingiusto è la povertà, non le diseguaglianze, a meno che per "giustizia" non si intenda il soddisfacimento degli istinti di invidia verso chi, senza aver danneggiato nessuno, sta meglio di loro. Il compito di uno stato dovrebbe essere quello, non di livellare il livello di ricchezza complessivo (che non coinciderebbe con una reale equità del benessere, dato che ciascuna persona vincola il suo benessere a delle esigenze materiali diverse da individuo a individuo, abbiamo Socrate che viveva più o meno come un barbone ed era pienamente appagato dalla sua vita, e un amante del lusso che non è felice di avere un'utilitaria anziché un auto di lusso...), ma di permettere a più individui possibili di accedere a delle condizioni di benessere che rispondano alle loro esigenze soggettive. Sarà quindi fondamentale favorire la mobilità sociale DAL BASSO VERSO l'ALTO, ma non quella DALL'ALTO VERSO IL BASSO, in nome di un astratto principio di eguaglianza, perché la tutela delle esigenze nei confronti di chi "sale" sarebbe annullata dal torto nei confronti di chi viene costretto a "scendere", mentre l'obiettivo dovrebbe quello di far sì che più persone possibili possano vivere un'esistenza adeguata ai loro bisogni, ma siccome i bisogni variano da persona a persona sulla base delle diverse personalità individuali, la strategia più efficiente non può essere quella dell'omologazione effettiva delle ricchezze, ma favorire la massima libertà individuale per ciascuno, perché più persone possibili  possano avere facilitazioni per vivere in base alle loro esigenze senza che ciò comporti danneggiare l'esistenza di altri (penso ad esempio all'eliminazione o riduzione di impacci sociali, come tasse o burocrazia)

 

Per quanto riguarda l'ideologia della meritocrazia, che scinde le diseguaglianze per nascita (ingiuste) da quelle ottenute "per merito" (giuste) essa ricade nello stesso errore moralistico. Come già provato ad argomentare nel topic, su "liberalismo e tassa di successione", l'idea che il compito della società sia redistribuire il reddito sulla base del "merito" è di fatto un abuso di potere nei confronti degli individui, perché comporterebbe l'esistenza di un'elite governativa che si arrogherebbe la pretesa di stabilire in modo oggettivo dei parametri meritocratici, non considerando che ciascun criterio è sempre riconoscibile o meno in base ai valori soggettivi dei singoli. Prendiamo ad esempio il lavoro: qualcuno potrebbe pensare che il "merito" debba consistere nella quantità di ore lavorative, ma è facile accorgersi che l'effettivo impegno e l'espressione delle proprie capacità non può sempre essere valutato in termini quantitativi, è possibile che una persona serie e onesta che lavora 4 o 6 ore al giorno si impegni ed esprima le sue qualità più che un lavoratore che per contratto lavora 10 ore, lavorando però di malavoglia, in modo inefficace e irrispettosi verso colleghi o pubblico/clienti. Solo una concezione di un meccanicismo da catena di montaggio ottocentesca estremo può valutare la qualità di un lavoro solo in termini quantitativi (per non parlare del fatto che sulla base di questo criterio dovremmo considerare come "immeritevoli" tutti gli autonomi o liberi professionisti, che lavorano senza vincoli di orario fisso, gestendo liberamente il loro tempo, ma che non per questo vanno necessariamente reputati come dei nullafacenti...) La volontà di impegnarsi è un fatto interiore, non è qualcosa di riconoscibile sulla base di un contratto, non può essere oggetto di una valutazione politica-sociale, lo stato non è uno psicologo. Inoltre, calcolare la ricchezza ottenuta per merito contrapponendola in termini assoluti a quella determinata dalla nascita la trovo una forzatura demagogica, chi ci dice che l'eredità non possa beneficiare anche persone che, al di là della fortuna di trovarsi a essere nati in una famiglia anziché in un'altra (fortuna, che ricordo, non è mai una colpa, da scontare con una vendetta sulla base dell'invidia di chi non ha avuta quella fortuna), sono effettivamente persone di valore, e "meritevoli" nel contesto dell'ambito professionale o intellettuale a cui decideranno di dedicarsi? L'istituto dell'eredità è ciò che ha permesso a giganti della cultura come Platone, Aristotele, Seneca, Cartesio, di poter godere di quella tranquillità economica che ha loro concesso di potersi dedicare all'Otium letterario, allo studio, alla ricerca, alla produzione di quei capolavori della cultura in modo disinteressato, senza sovrapporre alla pura esigenza culturale delle istanze commerciali, rivendicando l'autonomia spirituale della cultura dai criteri del mercato, del successo economico. Dovremmo forse dire che il "merito" di chi scrive libri col fine primario di arricchirsi, scrivendo libri di barzellette (molto vendibili) piuttosto che il Discorso sul Metodo (molto più di nicchia) è maggiore di chi, potendo beneficiare di cospicue eredità, può permettersi di dedicarsi ad ambiti di ricerca di grande spessore culturale, anche se con scarse prospettive di profitto e remunerazione economica (le lettere non danno pane)? Il punto è che la valutazione del "merito" è nella natura umana costantemente relativizzata e condizionata da dei sentimenti valoriali insiti nella soggettività delle persone, tra cui rientrano anche i sentimenti di affetto verso i nostri familiari e discendenti, ed è assurdo pretendere di stilare criteri universali e pseudo-oggettivi di "merito", sarebbe solo un'imposizione moralistica del potere che finisce col discriminare e limitare la libertà di chi pone dei criteri alternativi e non per questo necessariamente meno validi

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