Cos'è il "populismo"?

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Gennaio 2019, 12:57:30 PM

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anthonyi

Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:08:58 AM
(che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).



Sgiombo, io non ho capito ne cosa tu intendi per ideologia, ne la ragione per la quale sostieni che "la società liberale è ideologica". Quando poi parli di rapporti di produzione classicistici direi che rappresenti qualcosa di ben lontano da una società liberale.
E' vero che i rapporti di forza generati dalla proprietà privata creano meccanismi classistici nelle società che conosciamo, ma da una parte tali meccanismi non hanno rapporto con il pensiero liberale, o almeno con la sua versione veramente liberale, che ha ampiamente dimostrato l'indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico, dall'altra questi stessi rapporti sono proprio il risultato di questa efficienza (Efficienza non è altro che la definizione tecnica di quella che tu definisci "emancipazione dalla gravosità del lavoro) che è differenziata tra individuo ed individuo.

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 13:26:49 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:08:58 AM
(che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).



Sgiombo, io non ho capito ne cosa tu intendi per ideologia, ne la ragione per la quale sostieni che "la società liberale è ideologica". Quando poi parli di rapporti di produzione classicistici direi che rappresenti qualcosa di ben lontano da una società liberale.
E' vero che i rapporti di forza generati dalla proprietà privata creano meccanismi classistici nelle società che conosciamo, ma da una parte tali meccanismi non hanno rapporto con il pensiero liberale, o almeno con la sua versione veramente liberale, che ha ampiamente dimostrato l'indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico, dall'altra questi stessi rapporti sono proprio il risultato di questa efficienza (Efficienza non è altro che la definizione tecnica di quella che tu definisci "emancipazione dalla gravosità del lavoro) che è differenziata tra individuo ed individuo.

La mia convinzione é che in presenza di rapporti di produzione classisti pretendere che sia possibile (realmente) la libera affermazione delle capacità personali di ognuno (con connessa diversa "efficienza del risultato economico", se si ammette -ma personalmente non lo concedo- che sia più efficiente in generale e ceteris paribus l' iniziativa economica privata rispetto a un' inizativa economica sociale collettiva) sia irrealistico; e che crederlo possibile sia falso.
Non é mai esistita realmente da nessuna parte una società del tipo di quella vagheggiata dal pensiero liberale, con proprietà privata dei mezzi di produzione e pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.

Una società fondata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione é già classista in sé (anche solo per definizione); semmai vi si creano meccanismi che tendono ad esacerbare le differenze di classe (in assenza di controtendenze, come dimostrano gli effetti qui in Occidente e nel fu "terzo mondo" del "socialismo reale", finché é stato tale).

Ipazia

Liberale e liberista sono le due facce della stessa medaglia borghese. Storicamente è socialmente la libertà liberal/liberista riguarda solo l'elite borghese e non gli schiavi toutcourt o salariati che lavorano per un padrone liberale/liberista nella sua veste economica di capitalista.

Concordo  con InVerno sulla demagogia contenuta nella propaganda mainstream quando interpreta l'antagonismo sociale attuale con i modelli del populismo storico. Ma forse semplicemente hanno realizzato che dopo la sosta post '89 la storia ha ripreso a girare. E quindi non resta loro che agitare fantasmi. Teniamo conto peró che dispongono sempre dell'artiglieria pesante finanziaria per contrastare il "populismo".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.


Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.

davintro

per Everlost

A livello individuale non trovo abbia senso provare sensi di colpa perché andando al centro commerciale di domenica si costringerebbe il centro commerciale a tenere aperto e a far lavorare le persone. I responsabili, i dirigenti di un'attività commerciale non hanno la palla di vetro, non stabiliscono gli orari di apertura potendo prevedere le persone che effettivamente verranno, come se, nel caso, la singola persona non verrà il negozio resterà chiuso. Mi è capitato spesso di recarmi un negozio e trovarlo chiuso, non è certo rimasto aperto ad aspettarmi. Tenendo aperto in un determinato momento il centro commerciale si limita a determinare una possibilità di consumo, ma ciò non implica la realizzazione effettiva di questo, questo resta alla libertà e disponibilità dei singoli clienti. Se fosse vero che le scelte in fatto di orari di apertura dei negozi fossero determinate dalla volontà dei consumatori, allora sarebbe inconcepibile la possibilità di fallimento di ogni attività commerciale, Ogni negozio potrebbe prevedere il flusso effettivo dei clienti e stabilire gli orari migliori, o addirittura se è il caso o meno di aprire l'attività commerciale, valutando se i ricavi supereranno le spese di gestione, ogni apertura di un'attività commerciale sarebbe un investimento sicuro, perché la si potrebbe operare a perfetta ragion veduta. Ovviamente, non è così, l'esperienza ci mostra purtroppo tanti esempi di negozi falliti, dovuti proprio al margine di imprevedibilità delle scelte dei consumatori rispetto alle aspettative di partenza dei responsabili dell'attività.

Portando il discorso su un piano più sociale e generale, è certamente vero che i comportamenti dei consumatori, intesi non come singoli individui ma coma totalità della massa, determinano le scelte dei negozi ed anche il loro destino, quindi dovremmo chiedersi quali sarebbero le conseguenze di una minore attitudine al consumo sulle persone sul lavoro delle persone. Rinunciando a consumare di domenica e demotivando il centro commerciale a tenere aperto quel giorno, credo che l'effetto principale consisterebbe nel disincentivarlo a progettare una redistribuzione del carico di orario lavorativo tramite turni e forme di part time: quanto più il tempo di apertura è ampio tanto più sarà possibile far lavorare più persone con orario ridotto, per cui chi sceglie di lavorare di domenica potrebbe restare libero in giorni infrasettimanali e viceversa. Forse ad oggi, ciò non si realizza, ma resta comunque una possibilità che finirebbe con l'essere ancor più inpraticabile, nel momento in cui si sceglie di operare una sorta di illogico boicottaggio teso a condurre l'attività commerciale a diminuire il tempo di apertura complessivo. Tale diminuzione sarebbe in realtà controproducente in relazione alla ricerca di carichi lavorativi meno opprimenti nella vita delle persone, in quanto proprio una più possibile ampia apertura oraria è ciò che può consentire un minor carico lavorativo per i singoli lavoratori, il cui minor contributo in carico di tempo lavorativo andrebbe meno a impattare sulla produttività, che ciò che perderebbe facendo lavorare meno il singolo lavoratore, lo recuperebbe allargando le possibilità di consumo complessive stando aperti più tempo possibile (senza contare gli ovvi benefici per i consumatori...). Continuo a pensare che la strategia migliore per l'obiettivo di far sì che più persone possibili possano svolgere il lavoro che più risponde alle loro esigenze resti quello di rafforzare ulteriormente il carattere concorrenziale del mercato del lavoro, con un'offerta sempre più variegata, di modo da stimolare i datori di lavoro, consapevoli della possibilità che un suo lavoratore che si sente sfruttato abbia tutte le possibilità di dimettersi per andare a lavorare in un'ente concorrente che gli possa offrire condizioni ben migliori, a fornire, per evitare che ciò accada, a sua volta condizioni di rapporto retribuzione/carico orario sostenibile migliori possibili, cosa che va in una direzione opposta rispetto a ciò che accadrebbe in un sistema collettivista/monopolista.

per Oxdeadbeef

a quel che so, il liberalismo non nasce come dottrina economica, ma come concezione giuridico-politica ispirata al giusnaturalismo, penso in particolare a Locke, cioè all'idea che gli individui possedessero diritti e una dignità naturale, presociale, mentre gli stati e le società esistono solo in funzione degli interessi degli individui che li fondano, senza avere alcuna legittimità morale instrinseca, sia essa di origine laica o religiosa. Mi pare che il liberismo economico sia la lineare conseguenza di questa impostazione, cioè l'economia, intesa come libera interazione e scambi tra individui e libera gestione delle risorse sulla base dei differenti interessi, come appannaggio della responsabilità dei singoli, senza un'imposizione governativa che gestisca la società sulla base di convincimenti morali, che altro non sarebbero che arbitrari e soggettivi assunti dei governanti, che finirebbero con l'essere imposte dall'alto. L'amoralità (non immoralità) della visione dell'economia fa sì che il liberismo non possa aver nulla da opporre a garantire una certa protezione sociale a chi ne ha bisogno, dato che l'autonomia dell'economia dalla politica non consiste in una presa di posizione morale di tipo economicista e materialista per il quale il valore delle persone coinciderebbe con la loro capacità di arricchirsi tramite il lavoro, che i poveri sarebbero tali per mancanza di meriti e operosità, e andrebbero lasciati al loro destino senza alcun supporto. Un'impostazione di tal genere, sarebbe a mio avviso, un'altra rappresentazione di "stato etico" (seppur di tipo ideologicamente antitetico a quello di tipo collettivista), che in base a una determinata concezione morale, cioè chi si arricchisce vale, chi non ci riesce non merita alcun tipo di aiuti, sulla base del sceglie di agire, o anche di NON AGIRE. Non mi trovo d'accordo sul fatto la rappresentanza dei corpi intermedi come i sindacati sia inconcepibile all'interno di una società liberale/liberista. Anzi, è proprio nel momento in cui la società viene concepita come complesso di diversi interessi, che allora ha senso pensare a degli organi di mediazioni che rappresentino istanze di determinate categorie di individui, che, liberamente, appunto possono trovare la loro condizione come non soddisfacente all'interno dei luoghi di lavori, e possono intervenire, per il tramite di persone competenti nella contrattazione, per migliorare la loro situazione. Invece, proprio nel momento, in cui, come nei regimi illiberali e totalitari, si pone una totale coincidenza fra chi offre lavoro e la comunità dei lavoratori, gli organi di mediazione tra parti diverse non hanno più senso di esistere, per il semplice motivo che non esistono più "parti diverse" tra cui mediare. Lo stato, unico proprietario dei mezzi di produzione, e dunque unico possibile datore di lavoro coincide con la collettività dei lavoratori, che così non potrebbero più auspicare alcuna modifica in senso migliorativo della loro condizione, in quanto i loro interessi, vengono, artificiosamente, fatti coincidere con quelli di chi il lavoro lo dà. Di qui la sostanziale staticità sociale dei modelli politico/economici totalitari. Tornando in topic, è invece proprio il populismo il modello in cui i corpi intermedi sono annientati: il populista fa coincidere se stesso e le sue idee con il "popolo" nella sua totalità, ed è chiaro che stando così le cose, non ha alcun senso mediare nulla, dato che viene posta una coincidenza diretta e immediata tra politica e popolo, mentre ogni differenza o dissenso viene considerata come del tutto esterna al "popolo", e dunque indegna di ogni forma di rappresentatività.


Per Ipazia

l'espressione "equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli uomini" è quella che mi mette più in sospetto, perché mi pare confermi dei presupposti che non posso condividere, perché consistenti in una visione non solo sociologica ma prima di tutto antropologica, di tipo materialista e "oggettivista" che trovo quantomeno molto discutibile. Il principio per cui l'equa distribuzione del benessere dovrebbe coincidere con un eguale possesso di ricchezza o con un eguale tempo di lavoro, avrebbe senso nel momento in cui il benessere soggettivo delle persone viene fatto coincidere con delle oggettive e standardizzate condizioni oggettive, come un' oggettiva quantità di tempo o ricchezze, non tenendo conto della diversità delle personalità individuali, da cui discendono diverse esigenze di quantità di beni materiali, e ancor più di lavoro, a seconda che il lavoro sia gradito o meno, sulla base delle differenti passioni o interessi, tramite cui lo stesso identico lavoro può risultare piacevole a un singolo e spiacevole all'altro. Accettando invece la diversità degli interessi e delle personalità, non avrebbe alcun senso mirare a raggiungere una media di orari di lavoro uguale per tutti, in quanto quella media risulterebbe inevitabilmente ancora troppo ampia per chi non ama quel lavoro, e troppo ristretta per chi non lo apprezza e preferirebbe lavorare ancora meno, senza contare tutte le persone che preferirebbero lavorare senza rigidi vincoli di orario, e quindi sarebbero maggiormente orientati al libero professionismo anziché al lavoro dipendente. In pratica permarrebbe, se non aumenterebbe, un'insoddisfazione e un'infelicità complessiva. Perché si riesca ad esaudire in modo più ottimale possibile le istanze di benessere di tutti, sulla base della realtà delle differenti preferenze individuali, il lasciare gli individui liberi di operare in modo spontaneo le loro scelte di vita, senza imposizioni aprioristiche e omologanti di uno stato totalitario programmatore, incapace di tener conto di tutte le diversità individuali, resta dunque l'orientamento più adeguato. Non è per fare un libello propagandistico anticomunista, mi spiace se i miei interventi risultino eccessivamente e superficialmente astiosi o polemici, comunque non è mia intenzione, è propria una consequenzialità logica che mi porta a pensare che questo egualitarismo applicato dall'altro presupponga una visione dell'essere umano tutta esteriorista e materialista, cioè l'idea di poter dedurre il livello di benessere interiore sulla base dell'osservazione della condizione sociale esterna in cui l'individuo vive, senza che una libera soggettività interiore, che nessuno meglio dell'individuo stesso può conoscere in quanto la vive in se stesso, possa intervenire a relativizzare il giudizio, rielaborando e reinterpetando il dato materiale oggettivo, che invece appare così del tutto vincolante e "appiattente"

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 17:47:15 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.


Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.

Ma, ammesso che concorrenza e mercato siano più efficienti di una pianificazione generale  (ma dipende da: per quali scopi? Aumento del PIL o piena occupazione? Tanto per fare un esempio banalissimo di finalità per lo meno in buona misura reciprocamente incompatibili), si rimarrebbe comunque nell' ambito di una società classista.

Nel capitalismo reale (e non immaginario) la proprietà si eredita; casomai nel socialismo (o per lo meno in caso di proprietà pubblica: che peraltro dopo l' '89 -chissà perché?- nel capitalismo "latita") ci si potrebbe invece vedere attribuita la gestione di un' impresa per "merito" indipendente dal DNA (sia pure secondo criteri discutibilissimi; fosse pure quello della "fedeltà allo Stalin di turno", che comunque non sarebbe alla portata esclusivamente dei figli dello stesso con esclusione di tutti gli altri).
E infatti mi vengono in mente tre esempi (e tieni conto che non mi interesso affatto delle dinastie dei "capitani d' industria") assai istruttive circa le capacità e la competenza di gestori di imprese (in quanto proprietari ereditari) di proprietà privata: Edoardo Agnelli (probabilmente troppo un buon uomo per potere efficacemente comandare in FIAT e "provvidenzialmente suicidatosi" se non "siucidato"- con parenti e azionisti che hanno tirato un sospiro di sollievo); Andrea Rizzoli (fallimento in pochi anni); e Vittorio Cecchi Gori (idem).

A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.

0xdeadbeef

Ciao Davintro
Naturalmente non c'è bisogno che io ti spieghi come il liberalismo politico emerga dal sostrato filosofico
anglosassone; un sostrato che già da G.d'Ockham pone al centro della riflessione l'importanza della singolarità
(tanto che non è peregrino pensare che il celebre "rasoio" rappresenti la prima enunciazione di "economia" nel
senso moderno di questo termine).
In sostanza, tutta la storia del mondo anglosassone, e più in generale del mondo protestante, è la storia del
progressivo emergere dell'individuo. Un individuo, fra l'altro, non "libero" nel senso della filosofia "continentale"
e del cattolicesimo (l'individuo anglosassone è un individuo fortemente necessitato, cioè privo di quel libero
arbitrio che connota la visione cattolica).
In forza (o in debolezza...) di ciò l'individuo così come inteso dalla tradizione anglosassone è un individuo
sostanzialmente "buono" (tranne che in rari casi, come ad es. in Hobbes); un individuo che la "simpatia" lega
agli altri individui (in definitiva l'uomo è, come in Spinoza, "homo homini, deus").
Questa scandalosa sintesi per illustrare che già sono presenti tutti quegli elementi che Adam Smith adopererà
nella sua teoria filosofica ed economica; una teoria che ancor oggi rappresenta il fondamento assoluto del
"liberismo" e che è così riassumibile: l'utile individuale coincide con l'utile collettivo.
Sono questi gli elementi che F.A.Von Hayek usa nella sua grandiosa costruzione teoretica (da fiero avversario
ne riconosco comunque il valore). Questi e molti altri, naturalmente...
Von Hayek sostiene che le "entità collettive", semplicemente, non esistono. E' chiara l'influenza della negazione
ockhamiana degli universali come di tutta la tradizione filosofica anglosassone; esse esistono solo negli individui
che le pensano; perciò sono loro, gli individui, le solo entità che possiedono una esistenza "reale".
Ogni "entità collettiva" è il frutto del continuo relazionarsi degli individui; è dall'intescambio fra questi che
nascono gli stati, le leggi ed ogni corpo di intermediazione.
La seconda tesi fondamentale di Von Hayek è, dicevo, lo "spontaneismo". Ogni cosa che nasce "spontaneamente" dall'
interscambio fra gli individui è la migliore possibile (naturalmente perchè, come in Smith, l'utile individuale
coincide con l'utile collettivo), per cui bisognerà adoperarsi affinchè questo sorgere spontaneo delle cose non
sia disturbato da pretese "costruttiviste" (la filosofia continentale, per Von Hayek, è appunto "costruttivista").
Insomma, ho cercato in poche righe di sintetizzare la radice filosofica di quegli elementi che oggi ritroviamo
nell'ideologia mercatista e liberista.
I "corpi intermedi", come ad esempio i sindacati, vengono sempre più tagliati fuori da una contrattazione che è
sempre più fra parti "private" (vedasi come i contratti nazionali di lavoro sono sempre meno importanti). Le stesse
leggi e gli stessi stati, in quanto "entità collettive", sempre più vengono sopravanzati da politiche deregolative
e globali.
Il "mercato" ha ormai assunto connotati ontologici e, direi, totalitari. La tendenza a che esso sempre più sia
"libero" trova la sua evidente radice nella convinzione che ciò che emerge spontaneamente dall'interscambio
fra individui sia la sintesi migliore fra quelle possibili.
Francamente trovo inquietante come un pensatore del calibro di Von Hayek, che non esito a definire come il padre
della modernità, sia così poco conosciuto.
Tutto ci parla di lui, dai programmi di insegnamento delle più prestigiose facoltà di economia ai toni sussiegosi
dei più alti dirigenti economici e politici mondiali. Ma molto altro ci sarebbe da dire...
saluti

sgiombo

Caro Mauro (Oxdeadbeef)

Trovo in gran parte condivisibile quanto scrivi.

Rilevo però che non si deve troppo esagerare nello stabilire (come fanno spesso i marxisti superficiali; ma non é il tuo caso, soprattutto ma non solo per quanto riguarda l' aggettivo) rapporti immediati fra ideologia e "materialità sociale" (sovrastrutture e struttura).

La concezione degli universali di Ockam e prima ancora di altri nominalisti ha solo vaghi rapporti con l' individualismo delle ideologie borghesi capitalistiche; mentre a mio parere é oggettivamente "verità in sé e er sé" costituendo, oltre che un valore fine a se stesso, uno strumento utile di dominio della realtà per chiunque voglia agirvi efficacemente, a pro dei privilegiati e sfruttatori (anche promuovendo ideologie individualistiche), ma anche a pro degli oppressi e sfruttai (anche promuovendo ideologie socialistiche e collettivistiche).

Inoltre mi sembra che, soprattutto col venir meno della forza economica e ideale dell' URSS e del "socialismo reale", già alla metà degli anni '70 del secolo scorso (e ovviamente molto peggio dopo l' '89), I "corpi intermedi", come ad esempio i sindacati, siano stati ben disposti per così dire "in prima persona" o " molto di buon grado" a venire sempre più tagliati fuori da una contrattazione che è sempre più fra parti "private", a limitarsi a un meschinissimo ruolo simile a quello delle peggiori esperienze delle Trade Unions o adirittura dell' AFL-CIO. 

anthonyi

Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 20:00:03 PM
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 17:47:15 PM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 14:59:45 PM
pretesa indipendenza tra le attribuzioni originarie dei diritti di proprietà, e l'efficienza del risultato economico.


Sgiombo non è una pretesa, è una dimostrazione formale, oltretutto con conclusioni che potrebbero portare acqua proprio al tuo mulino, perché toglie legittimazione a priori a uno stato di diritto preesistente. Essa dice che in teoria sarebbe possibile redistribuire la ricchezza ed ottenere gli stessi risultati di efficienza preesistenti, perché l'efficienza dipende dal meccanismo (concorrenza, mercato, etc.), e non dalle attribuzioni individuali. E' un modo per farti capire quello che secondo me è un errore metodologico del tuo ragionamento che mette insieme il sistema liberale e lo stato di diritto. Tu puoi pensare che lo stato di diritto non sia equo, ma la stessa affermazione riferita al sistema liberale non ha senso, perché se anche osserviamo dei risultati iniqui, questi sono il prodotto dello stato di diritto.

Ma, ammesso che concorrenza e mercato siano più efficienti di una pianificazione generale  (ma dipende da: per quali scopi? Aumento del PIL o piena occupazione? Tanto per fare un esempio banalissimo di finalità per lo meno in buona misura reciprocamente incompatibili), si rimarrebbe comunque nell' ambito di una società classista.

Nel capitalismo reale (e non immaginario) la proprietà si eredita; casomai nel socialismo (o per lo meno in caso di proprietà pubblica: che peraltro dopo l' '89 -chissà perché?- nel capitalismo "latita") ci si potrebbe invece vedere attribuita la gestione di un' impresa per "merito" indipendente dal DNA (sia pure secondo criteri discutibilissimi; fosse pure quello della "fedeltà allo Stalin di turno", che comunque non sarebbe alla portata esclusivamente dei figli dello stesso con esclusione di tutti gli altri).
E infatti mi vengono in mente tre esempi (e tieni conto che non mi interesso affatto delle dinastie dei "capitani d' industria") assai istruttive circa le capacità e la competenza di gestori di imprese (in quanto proprietari ereditari) di proprietà privata: Edoardo Agnelli (probabilmente troppo un buon uomo per potere efficacemente comandare in FIAT e "provvidenzialmente suicidatosi" se non "siucidato"- con parenti e azionisti che hanno tirato un sospiro di sollievo); Andrea Rizzoli (fallimento in pochi anni); e Vittorio Cecchi Gori (idem).

A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.

Ciao Sgiombo, sono proprio gli esempi che hai fatto che dicono che non esistono aristocrazie per il mercato, ti faccio un altro esempio, un abruzzese di origine popolare emigrato in Canada, che studia Filosofia e Diritto e poi si specializza in scienze manageriali e che salva nel 2004 la FIAT e qualche anno dopo la Chrysler, acquisendo un tale prestigio negli Stati Uniti che Obama lo mette nella sua campagna elettorale per il secondo mandato.
Poi certo con società classista tu puoi intendere il fatto che la società sia ineguale ed è cosi, lo è per tante ragioni, legali, biologiche, sociali, ma non è con una eguaglianza economica formale che risolvi queste differenze, se anche tu appiattisci l'economia la società rimane organizzazione, stato, e quindi c'è chi comanda e chi obbedisce, c'è chi ha il potere di condannare ed arrestare, c'è chi ha il potere esclusivo di usare le risorse di proprietà pubblica, risorse che dovrebbe usare nell'interesse collettivo, ma l'esperienza concreta ci dice che l'interesse individuale devia questo uso, anche quando non c'è mercato. E se vuoi controllare e sanzionare queste deviazioni devi dare a qualcuno il potere di definire le regole dell'interesse collettivo fino al più piccolo particolare, e a qualcun altro il potere di sanzionare chi devia. Poi c'è il problema di chi controlla i pianificatori e i controllori.
L'idea di un socialismo realmente egualitario è appunto solo un'idea.
Un saluto.

sgiombo

Citazione di: anthonyi il 20 Gennaio 2019, 09:08:52 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 20:00:03 PM
A me interessano non le teorie sulla carta (che formalmente dimostrano senza ombra di dubbio che la misticissima e trascendentissima "mano invisibile" di Adam Smth porta benessere e ricchezza a tutti, ma i fatti reali, che invece di tutti sono sotto gli occhi di fatto.

Ciao Sgiombo, sono proprio gli esempi che hai fatto che dicono che non esistono aristocrazie per il mercato, ti faccio un altro esempio, un abruzzese di origine popolare emigrato in Canada, che studia Filosofia e Diritto e poi si specializza in scienze manageriali e che salva nel 2004 la FIAT e qualche anno dopo la Chrysler, acquisendo un tale prestigio negli Stati Uniti che Obama lo mette nella sua campagna elettorale per il secondo mandato.
Poi certo con società classista tu puoi intendere il fatto che la società sia ineguale ed è cosi, lo è per tante ragioni, legali, biologiche, sociali, ma non è con una eguaglianza economica formale che risolvi queste differenze, se anche tu appiattisci l'economia la società rimane organizzazione, stato, e quindi c'è chi comanda e chi obbedisce, c'è chi ha il potere di condannare ed arrestare, c'è chi ha il potere esclusivo di usare le risorse di proprietà pubblica, risorse che dovrebbe usare nell'interesse collettivo, ma l'esperienza concreta ci dice che l'interesse individuale devia questo uso, anche quando non c'è mercato. E se vuoi controllare e sanzionare queste deviazioni devi dare a qualcuno il potere di definire le regole dell'interesse collettivo fino al più piccolo particolare, e a qualcun altro il potere di sanzionare chi devia. Poi c'è il problema di chi controlla i pianificatori e i controllori.
L'idea di un socialismo realmente egualitario è appunto solo un'idea.
Un saluto.

Resta per me un mistero impenetrabile come il fatto che degli incapaci e semimentecatti ereditino (e distruggano) imprese floridissime e più o meno "gloriose" possa dimostrare che "non esistono aristocrazie per il mercato".
Quel tale abruzzese (da me non compianto) ha acquisito due grandissime imprese plurisalvate ripetutamente dai rispettivi governi (soprattutto quella italiana) a spese dei rispettivi contribuenti (senza di che non avrebbe avuto proprio niente da acquisire e su cui lucrare sulla pelle dei lavoratori da lui sfruttati con imposizioni di tipo letteralmente schiavistico, e anche andando in Inghilterra per non pagar le tasse).
 
Una società classista non é solo ineguale (in una ragionevole misura lo erano anche i paesi del "socialismo reale" e lo saranno -se, come mi ostino a sperare ce ne saranno- i futuri socialismi per ora non reali), ma iniquamente diseguale: in essa le diseguaglianze (peraltro di entità decisamente scandalosa, assolutamente sproporzionatissime rispetto a qualsiasi pretesa "meritocrazia" anche nei decisamente pochissimi casi che costituiscono eccezioni confermanti la regola) non dipendono quasi mai dal merito (per l' appunto questa é casomai l' eccezione -rarissima- che conferma la regola), ma dalla fortuna nei casi migliori, da imbrogli, ruberie, violenze, estorsioni in quelli -di gran lunga più numerosi- peggiori.
Che ci sia chi comanda e chi obbedisce, distinti (fatto salvo l' ineliminabile "fattore culo") in base a capacità e impegno oppure in base a privilegio dinastico o mancanza di scrupoli nel fregare il prossimo fa una bella differenza!
 
IL socialismo é stato almeno in qualche misura realizzato, sia pure pesantemente condizionato dalle continue aggressioni capitalistiche di tutti i tipi e non solo letteralmente belliche (e, malgrado non trascurabili difetti ed errori, a quanto pare anche dai sondaggi-bidone decisamente tendenziosi degli attuali detentori del potere é sempre più rimpianto dalla "gente" che l' ha conosciuto, e successivamente sta sempre meglio conoscendo il capitalismo reale).

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
Certamente non voglio con ciò arruolare G.d'Ockham fra i padri del liberismo...
Però trovo interessante ricercare come una cultura o modo di vedere le cose del mondo venga a costituirsi così
com'è e non in altra maniera.
Da questo punto di vista la filosofia di Ockham (ma prima ancora direi del Francescanesimo) mi sembra uno snodo
cruciale della storia del pensiero anglosassone (così come quella tomista lo è della filosofia continentale).
Naturalmente poi la storia è stata molto lunga, e molti sono stati i momenti cruciali che hanno determinato
un certo evolversi piuttosto che un altro (su tutti, come dicevo, l'ancora attualissimo pensiero di A.Smith).
Sulla tempistica cui accenni non saprei. Sicuramente il pensiero liberale (che in economia noi italiani chiamiamo
"liberista" - ma è la stessa cosa) ha attraversato forti cambiamenti di prospettiva, e da ormai più di un secolo
è andato sempre più strutturandosi sulle posizioni del Marginalismo; ma chiaramente l'ingombrante presenza dell'
URSS ne ha, per motivi propagandistici, impedito lo "scoprirsi" di quegli aspetti più, diciamo, "ferini" che invece
oggi vediamo chiaramente esplicati.
saluti

InVerno

Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:15:32 AMCostanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.

L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.
Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia non esiste, essendo Salvini un semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica, nel mare magnum della confusione postmodernista (di cui "uno vale uno" è la sintesi più pacchiana ma anche efficace). Il populismo è il risultato della quarta grande rivoluzione dell'informazione, a cui la sperequazione sociale aggiunge gravose richieste di riequilibrio, ma non è a mio avviso l'origine prima di un movimento tellurico che sta investendo l'intero globo al di la di condizioni sociali, ma invece la riedizione del vecchio mito della torre di Babele, la reazione uguale e contraria al relativismo, il ritorno scassato alla mal parata della "verità" di cui con tanta audacia - ma anche infantilismo - pensavamo di non aver più bisogno.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Sariputra

cit. inVerno:Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia non esiste, essendo Salvini un semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica,"

Se non ricordo male, all'indomani delle elezioni politiche si tentò un'analisi del voto e quasi tutti gli 'esperti' valutarono il successo del M5S costruito sui voti dei delusi dal PD e quello della Lega/Salvini come una cannibalizzazione di Sforza l'Italia del Berlusca. In realtà i veri reietti dell'altro pianeta (parafrasando U.K.Le Guin) sembra che, nella maggior parte dei casi, non siano nemmeno andati a votare, talmente sfiduciati e disillusi e ( proprio perché reietti) con l'olfatto ormai talmente sviluppato ad 'annusare' piuttosto che a magnare da non credere più molto alle varie promesse di chicchessia...Il populismo come movimento della classe media borghese impoverità dal mercatismo finanziario selvaggio e impaurita dall'arrivo dei nuovi 'saraceni'  (Alla "mamma li turchi!")?
Condivido ampiamente la tua analisi.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

sgiombo

Citazione di: InVerno il 20 Gennaio 2019, 11:24:03 AM
Citazione di: sgiombo il 19 Gennaio 2019, 11:15:32 AMCostanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.

L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.
Il punto è che vi ostinate a vederci motivazioni economiche, e anche se è vero che una discretta fetta degli elettori "populisti" vivono condizioni economiche precarie e di sfuttamento (il cosidetto "popolo degli abissi" come giustamente li chiama Sapelli), soprattutto al populismo più destrorso (che in Italia non esiste, essendo Salvini un semplice nazionalsocialista) partecipa in realtà una vasta fetta di popolazione "borghese" che non ha nessun reale reclamo di natura economica, quanto un bisogno di identità politica e direi anche personale e filosofica, nel mare magnum della confusione postmodernista (di cui "uno vale uno" è la sintesi più pacchiana ma anche efficace). Il populismo è il risultato della quarta grande rivoluzione dell'informazione, a cui la sperequazione sociale aggiunge gravose richieste di riequilibrio, ma non è a mio avviso l'origine prima di un movimento tellurico che sta investendo l'intero globo al di la di condizioni sociali, ma invece la riedizione del vecchio mito della torre di Babele, la reazione uguale e contraria al relativismo, il ritorno scassato alla mal parata della "verità" di cui con tanta audacia - ma anche infantilismo - pensavamo di non aver più bisogno.

A parte il fatto che non vedo come questa tirata possa costituire un' obiezione alle mie generalissime e astrattissime considerazioni, a me pare invece che l' esperienza confermi sempre di più che determinanti in ultima analisi negli eventi sociali e politici siano i fattori economici; anche se i mutamenti culturali non sono certo irrilevanti, e le novità -quelle positive e quelle negative- degli ultimi decenni nel campo della (ma per lo più -la dis-) informazione hanno contribuito alla ripresa e sviluppo dei cosiddetto "populusmo"; che però esistevano già a fine ottocento; uno dei primi scritti di Lanin é intitolato "Chi sono gli amidi del popolo e come lottano contro i socialdemocratici").

0xdeadbeef

A Inverno e Sariputra
Mi sembra di rilevare che la classe media, la borghesia, sia scomparsa o perlomeno che vada scomparendo.
Quindi non mi sembrerebbe molto vero che essa non ha nessun reale reclamo di natura economica...
Poi è chiaro che le motivazioni del populismo non sono soltanto economiche, come già dicevo in apertura.
C'è un forte bisogno di identità culturale, di etica comune, di sicurezza cui la sinistra storica, con la
sua visione eccessivamente spostata sull'economicismo, non sa dare risposte.
Ma il reclamo di natura economica c'è eccome, e sarebbe grave miopia non vederlo. Come hanno votato le
periferie degradate? E' forse curioso che partiti (cosiddetti...) "di sinistra" abbiano preso quei pochi
voti cha hanno preso nei centri cittadini dove abitano i più benestanti?
E' forse inspiegabile il perchè C.Calenda stia di fatto proponendo un fronte di tutti i partiti europeisti
e liberali contro la "minaccia" populista?
saluti