Cos'è il "populismo"?

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Gennaio 2019, 12:57:30 PM

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0xdeadbeef

A Davintro
La tua è una immagine fra le tante del populismo; una immagine che certamente possiede una propria legittimità
(mi sento di condividere alcune tue osservazioni) ma che non esaurisce di certo la tematica.
Alla tua immagine potrei, ad esempio, opporre quella di Chomsky che dicevo in apertura, così come diverse altre
(compresa immodestamente la mia, che sostituisce il termine "popolo" alla "popolazione" di Chomsky).
Naturalmente, e lo dicevo, non mi sfugge che il cosiddetto "populismo" possa avere delle pericolose derive
(soprattutto xenofobe), come del resto le possono avere tutte le forme che la politica può assumere.
Da questo punto di vista, più che polemizzare sterilmente per le uscite di Salvini o di Di Maio (sulle quali
il mio giudizio non è certamente molto difforme dal tuo), riterrei fruttuoso un confronto sul come il populismo
sia potuto riemergere così prepotentemente; ed allora, forse, ad affiorare potrebbero essere certe pesantissime
responsabilità delle classi dirigenti "liberali"...
Affermi: "Per competenza andrebbe intesa la capacità di una adeguata classe dirigente politica di saper sviluppare
in modo più razionale ed efficace possibile una sintesi che tenga conto il più possibile della molteplicità delle
differenti esigenze in seno al popolo".
Io non vedo affatto "competenze" che vanno in tal senso. Vedo invece "competenze" che con il liberalismo classico
non hanno più o quasi nulla a che vedere (vedi anche il mio post: "Il sistema - capitalismo e mercatismo").
Nel liberalismo classico il potere statuale aveva ancora un ruolo (tanto che J.Stuart Mill poteva parlare di uno
stato "redistributore" della ricchezza prodotta dal mercato); nella dimensione ontologica e totalizzante assunta
oggi dal mercato lo stato, e con esso la società o la comunità, non hanno alcun potere di reindirizzare le orrende
storture che la selvaggia competizione mercatistica globale produce.
Oggi non esiste (diciamo...almeno per alcuni paesi) una classe dirigente politica che tiene conto delle differenti
esigenze in seno al popolo. Oggi esiste una classe dirigente politica che serve solo ad attuare le direttive che
altri prendono (in genere i potentati economici e finanziari). E queste direttive consistono essenzialmente nell'
eliminazione progressiva di qualsiasi statualità (globalizzazione) e di qualsiasi corpo sociale intermedio (ad
esempio il sindacato), riducendo la società ad un insieme di individui le cui relazioni interpersonali sono
regolate da un "contratto" di tipo privatistico.
Così come ad esempio ha fatto il governo di A.Tzipras in Grecia, che ha ridotto in braghe di tela il proprio paese
per permettere ai colossi tedeschi di mangiarselo.
Oggi persino Juncker recita il "mea culpa" ributtando indietro molte responsabilità sul Fondo Monetario
Internazionale; ma era evidente a tutti che quei provvedimenti erano irrazionali e sbagliati prima ancora di essere
socialmente ingiusti.
Con ciò non intendo certamente aprire una discussione in merito (la situazione Greca è molto complessa ed articolata),
ma intendo almeno un attimino far riflettere su questi "competenti" e sul come essi gestiscono la "cosa pubblica".
Oggi, parlare di liberalismo nei termini classici è come parlare di comunismo senza avvertire che c'è stata la fine
dell'URSS e il crollo di tutti i regimi nell'Europa dell'est...
saluti

Freedom

Citazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PM
Vorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui
Hai così ben argomentato che, per un attimo, mi hai quasi convinto. 8)
Caspita, mi son detto, come è possibile che sia d'accordo con Davintro che sta sostanziando un punto di vista che, da tempo immemore, è contrario al mio modo di vedere le cose?


Bè, a mio modo di vedere, nella tua pur convincente analisi non hai considerato la prospettiva, decisiva, di chi mette in condizioni le persone di vivere il liberalismo che hai sostenuto. Non si tratta dunque di interpretare e governare i desideri delle persone (anche se due parole sul marketing andrebbero spese....) bensì di non obbligare altri a creare le condizioni per la loro soddisfazione. Nel senso che per tenere aperti gli esercizi la domenica si costringono diverse persone a lavorare. Ma sono disposto a discutere anche di questo (potresti sostenere che i benefici ripagano questo sacrificio tutto sommato, ma solo apparentemente, modesto); quello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria! 


Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Ipazia

Citazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PM
per Ipazia

la politica è prassi, e come ogni prassi consiste nel tentativo di adeguare la realtà fattuale ad un modello ideale di "società giusta", e quindi anche ad un modello di stato il più possibile efficace a garantire benessere e diritto alla comunità.

Ma sempre intesa come comunità reale, non ideale. La democrazia ateniese escludeva le donne e gli schiavi. Quella borghese, fino al 900 inoltrato, escludeva le donne e chi era sotto un certo censo. E così via. Nessuna neutralità nella prassi.

Citazione
Che tale modello ideale sia impossibile da realizzare compiutamente nella storia non gli impedisce di poter fungere come ideale regolativo a cui la prassi politica si ispira, e senza il quale sarebbe cieco affannarsi senza alcuna prospettiva, allo stesso modo di come l'inesistenza dell'idea di "cavallinità" non inficia la necessità che ogni giudizio in cui riconosco di avere di fronte un singolo reale cavallo presuppone come criterio trascendentale l'idea di "cavallo in sé" come parametro a cui raffrontare i reali cavalli particolari.

Perfino nell'orwelliana fattoria degli animali qualcuno era più uguale degli altri. Proprio perchè lo stato è un artefatto sociale concreto non può essere neutrale ma rispecchierà, anche nell'ideale, l'idealità dei gruppi dominanti. Almeno su questo i comunisti non si faccevano illusioni e la chiamavano, com'è del resto quella borghese fondata sul Capitale (i fenomeni Berlusconi, Trump,... non sono nati da dispute filosofiche), dittatura (del proletariato).

Citazione
Allo stesso modo, ogni giudizio sul valore dell'azione statale implica l'assunzione di un ideale sul "cosa" e "come" dovrebbe essere uno stato, in  base a cui valutare il grado di adeguazione dell'effettiva realtà dello stato, n assenza di questo ideale ogni giudizio di valore e ogni conseguente esigenza di trasformazione sarebbe insensata e l'unica cosa logica sarebbe la passiva accettazione dei fatti. Poi, possiamo discutere nel merito della validità dell'ideale liberale dello "stato neutro", ma le eventuali critiche andrebbero poste su un piano diverso rispetto all'accusa di "idealismo", che sulla base di quanto detto sopra, dovrebbe essere rivolta non solo alla visione liberale, ma in generale ad ogni ideologia o dottrina politica (compreso il marxismo, credo) che si ponga come modello fondativo di giudizi di valore sulla società

Le critiche vanno poste su quello che concretamente è sempre stato lo Stato: come dice il suo nome, la sistematizzazione di uno stato sociale di fatto, con le sue differenze sociali assunte a ideale giuridico e politico.

Finora di stati realmente democratici non se ne sono mai visti, al di fuori di qualche piccola comunità spazzata via dalla "civiltà". Quando ci saranno dovranno governare mediando tra istanze popolari diverse che ci saranno sempre. Ma dovranno essere cavalcavia, non montagne sociali invalicabili, perchè questo Stato ideale e neutro si possa realizzare e possa essere credibile. In ogni caso non sarà più un sovrano, ma diventerà un amministratore.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

everlost

Sì, Davintro, argomenti benissimo!
Solo non credo che l'obiettivo della chiusura domenicale (poi che fine avrà fatto la proposta ?) fosse di tipo moralistico-rieducativo come pensi tu. Se sì, avresti naturalmente ragione.
Secondo me però teneva conto di questioni più pratiche, come il diritto dei lavoratori domenicali di stare in famiglia, considerando che la maggior parte di loro sono mamme giovani con figli in tenera età. Poi si preoccupava anche dei piccoli negozi che non possono rimanere aperti e soffrono per la concorrenza impari dei colossi distributivi.
Va benissimo favorire la libertà individuale, ma non a tutti i costi, sacrificando e calpestando i diritti altrui: se no diventa illiberalismo. Io non voglio che qualcuno stia male per permettere a me di divertirmi e fare shopping trenta giorni su trenta...mi sentirei in colpa.  
L'autodeterminazione si esercita nel migliore dei modi possibile permettendo alle persone di votare da casa, come si fa in Svizzera, ad esempio.
Non sarebbe male, oltre a leggere la solita sfilza quotidiana di mail e messaggini, occuparsi ogni tanto della propria comunità con un voto o, se la legge italiana non lo permette, con una consultazione su qualche sito governativo.
Se poi la maggioranza insisterà come in questo caso a volere aperti i centri commerciali anche la domenica e i giorni festivi, voterà a favore della proposta e il governo dovrà adeguarsi. 
Altre scelte mi parrebbero poco democratiche e anche illiberali.
Citaz. da Freedom:
Citazionequello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria! 


Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.
Quoto completamente.

Lou

Citazione di: everlost il 15 Gennaio 2019, 21:51:44 PM
Mi riferivo al fatto che Jacopus ha parlato di filosofia greca e di monoteismo ebraico.
Per essere precisa e corretta avrei dovuto dire, in effetti, non nell'antica Atene ma "presso gli antichi filosofi greci" il Logos era fondamento e legge dell'esistenza, come Yaweh lo era presso gli ebrei. In Grecia le persone colte non sentivano necessità di inventarsi un Dio padre, creatore e regolatore di ogni cosa, ma riconoscevano la legge suprema del pensiero, della ragione.
Tant'è vera - per me- questa analogia con la religione monoteistica derivata dalla Bibbia che il cristianesimo, nel Vangelo di Giovanni, ha cercato di trasfondere il significato di Logos in Dio stesso. Non ho mai capito però perché i cattolici lo abbiano tradotto come 'Verbo'. Mi sembra riduttivo, non penso che renda bene il significato originario.

« In principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e Dio era il Logos
Questi era in principio presso Dio.

Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.

In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla. »  (Giovanni 1:1-5 )

"En archê ên ho Lógos"
Il significato originario è per certi versi, intraducibile.
Grazie per la risposta.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

davintro

Citazione di: Freedom il 16 Gennaio 2019, 17:50:48 PM
Citazione di: davintro il 16 Gennaio 2019, 16:28:29 PMVorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui
Hai così ben argomentato che, per un attimo, mi hai quasi convinto. 8) Caspita, mi son detto, come è possibile che sia d'accordo con Davintro che sta sostanziando un punto di vista che, da tempo immemore, è contrario al mio modo di vedere le cose? Bè, a mio modo di vedere, nella tua pur convincente analisi non hai considerato la prospettiva, decisiva, di chi mette in condizioni le persone di vivere il liberalismo che hai sostenuto. Non si tratta dunque di interpretare e governare i desideri delle persone (anche se due parole sul marketing andrebbero spese....) bensì di non obbligare altri a creare le condizioni per la loro soddisfazione. Nel senso che per tenere aperti gli esercizi la domenica si costringono diverse persone a lavorare. Ma sono disposto a discutere anche di questo (potresti sostenere che i benefici ripagano questo sacrificio tutto sommato, ma solo apparentemente, modesto); quello che però non sarei tanto propenso a prendere in esame è l'incontrovertibile valenza simbolica che questi comportamenti creano: lavorare 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana è cosa buona e giusta. Non esistono più spazi vietati al lavoro ed il feticcio della produttività regna sovrano. Il vero dio del nostro tempo. Ma come, sostengono i fautori di questa mentalità, si offre un servizio a tante persone, si fa girare l'economia, si crea allegria! Non credo. Penso, piuttosto, che sia l'inizio del pensiero unico. Lavorare, consumare, crepare. Ecco la trinità del mondo moderno. Uscire di casa solo per fare una di queste cose qua.


beh, peccato per quel "quasi" nel tuo convincimento! Scherzo...
Arrivare a lavorare 24 ore al giorno tutti i giorni o quasi, non la trovo una prerogativa specifica della società liberale, può tranquillamente essere un'imposizione di un regime totalitario collettivista, ed in questo caso i lavoratori, che anzi, a differenza che nella società liberale, non avrebbero strumenti giuridici per opporsi, non esisterebbe un datore di lavoro alternativo e concorrente al regime titolare dei mezzi di produzione che potrebbe loro offrire condizioni ben migliori. Il punto è che il liberalismo non è portatore di alcuna peculiare concezione etica, l'unico valore a cui si richiama è il rispetto delle libertà individuale, cioè di ciascuna persona di perseguire una vita coerente con i propri valori personali fintanto che non intralciano quelli altrui, e dunque non ha senso accusarlo di ispirare una determinata concezione morale come appunto può essere quella del lavoro come aspetto totalizzante della vita. Personalmente mi considero (magari rivisto un po' a modo mio), simpatizzante del liberalismo e al contempo sono lontanissimo dal moralismo che sostiene che "chi non lavora non mangia", "senza lavoro non c'è dignità" o che il "lavoro nobiliti l'uomo", perché per me la dignità è un dato innato e ontologico che attiene a ogni persona in base al suo modo d'essere, a prescindere dal modo in cui assume un ruolo sociale tramite il lavoro. Cioè, per me il lavoro può essere, a certe condizioni, ambito di espressione esteriore della dignità dell'uomo, insieme ad altri ambiti, ma non principio che la fonda intrinsecamente. E anzi, sono assolutamente convinto che queste due cose si leghino fortemente tra loro: l'idea che la persona possieda una dignità sulla base del suo essere anziché sulla base di come tramite il lavoro si rende utile alla società la trovo molto più legittimata sulla base di una visione liberale, giusnaturalista, umanista, per la quale è la società che esiste in funzione dei diritti naturali che gli individui possiedono a livello essenziale, innato, piuttosto che in una concezione illiberale, collettivista, materialista, nella quale l'individuo si riduce a valere solo nella misura in cui è una ruota dell'ingranaggio del sistema, una funzione, un ruolo, senza poter rivendicare alcun rispetto nella sua sfera intima e autonoma, e se considerati asociali o "buoni a nulla" possono essere distrutti o spazzati via. Stachanov era presentato come modello non certo dai liberali, ma dall'Urss stalinista, e a chiamarsi "laburisti", cioè esaltatori del "lavoro" sono partiti che si rifanno all'ideologia socialista, non certo liberale. Tutto ciò non va ovviamente estremizzato cadendo nell'errore opposto, cioè pensare che il liberalismo disprezzi il lavoro, penso che una concezione che pone la libertà come valore sommo debba tendere a una società nel quale lavorare sia sempre più qualcosa che si fa non spinti da un'urgenza materiale, biologica, ma espressione delle nostre passioni e della nostra personalità, qualcosa che si fa per piacere cioè indice di libertà. Questo però sarà possibile tramite, da un lato, un avanzato sviluppo tecnologico che limiti la necessità dei lavori più meccanici, alienanti, liberando tempo ed energie per attività più intellettuali, creativi, più liberamente gestibili sulla base del tempo della nostra vita, delle relazioni umane, della cura di sé. Il presupposto perché si vengano a determinare queste condizioni non può che essere la produttività, presupposto di tale rivoluzione tecnologica. Quindi associare la necessità oppressiva del lavoro alla produttività non è del tutto esatto, sarebbe come dire che rinunciando alla produttività, tornando in agricoltura dal trattore all'aratro pesante si emanciperebbero più persone dal lavoro, quando in realtà è l'esatto contrario. Poi, immagino, sarà necessario escogitare forme di sussidio per tutelare il reddito di quelle persone che rischierebbero di perdere il posto di lavoro a causa della tecnologizzazione, e un vero liberale non dovrebbe trovare nulla da contestare. Il liberalismo può contestare lo stato sociale col suo sistema di sussidi solo sulla base di motivazioni pragmatiche di contabilità, ma non su questioni di principio etico, del tipo "chi non lavora non mangia", proprio perché l'essenza del liberalismo sta nella distinzione tra giudizio di opportunità politica e giudizio etico. Il liberalismo contesta l'invadenza dello stato quando interferisce pesantemente a livello burocratico nei rapporti sociali tra individui, ma non può avere nulla in contrario per quegli interventi tramite cui si tutela la libertà delle persone, offrendo loro un'alternativa alla costrizione di dover accettar lavori sgraditi. Non è un caso, mi pare ma potrei dire inesattezze, che una sorta di corrispettivo del cosiddetto "reddito di cittadinanza" fosse già stato teorizzato dal liberista Milton Friedman, ministro e collaboratore di Reagan

Sariputra

@Davintro
il problema del liberismo però, a mio parere, è quello di creare enormi diseguaglianze sociali, come stiamo vedendo un pò dappertutto. Se anche si dà l'"elemosina" ( reddito di cittadinanza) a tutti quelli che, progressivamente, con la tecnologizzazione, l'industria 4.0, l'IA, ecc. perderanno via via il lavoro questo non basterà a creare una società nemmeno minimamente coesa.  Avere un reddito minimale che al massimo ti potrà permettere di placare la fame, senza che i tuoi figli possano nemmeno aspirare...che so... a studi superiori perché troppo costosi  e quindi a carriere professionali retribuite decorosamente,  creerà un malcontento sociale che via via aumenterà fino a determinare una situazione esplosiva ( e qualche avvisaglia, vedi Francia, comincia a manifestarsi...). Il liberismo deve essere controbilanciato da politiche sociali (l'avidità si dovrebbe almeno limitare...sappiamo benissimo che, al contario di quel che si crede, i top manager vengono retribuiti in maniera mostruosa anche se portano al fallimento, da incompetenti avventurieri, le loro banche o aziende...questa è un'aberrazione tipica del liberismo/mercatismo economico odierno, che non premia le capacità ma ben altro, ossia la speculazione finanziaria selvaggia). 
Le paghe odierne sono molto basse nella maggior parte dei paesi. In molti sono vergognosamente basse. Il lavoro è così difficile da trovare per un giovane, che alla fine lo si costringe ad accettare lavori temporanei mal pagati, festivi, con contributi pensionistici minimi che saranno causa della sua sicura povertà futura, da anziano. Quasi la metà dei giovani sono senza lavoro e l'altra metà si 'arrangia', spesso migrando...Non è questione di 'far la morale' ma certo che un minimo criterio di giustizia sociale mi sembra necessario affinche il liberismo non diventi semplicemente, come per me sta avvenendo, la "libertà dei ricchi di diventare ancor più ricchi"... :(
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

anthonyi

Citazione di: davintro il 17 Gennaio 2019, 00:13:33 AM
  Il liberalismo contesta l'invadenza dello stato quando interferisce pesantemente a livello burocratico nei rapporti sociali tra individui, ma non può avere nulla in contrario per quegli interventi tramite cui si tutela la libertà delle persone, offrendo loro un'alternativa alla costrizione di dover accettar lavori sgraditi. Non è un caso, mi pare ma potrei dire inesattezze, che una sorta di corrispettivo del cosiddetto "reddito di cittadinanza" fosse già stato teorizzato dal liberista Milton Friedman, ministro e collaboratore di Reagan

No non sbagli davintro, l'idea di un reddito garantito in moneta ha proprio origine nel pensiero liberale, ti dirò di più anche nel partito di Almirante sono state portate avanti proposte analoghe. L'antitesi rispetto al reddito garantito è invece proprio in una certa cultura labourista che fa dei diritti dei lavoratori il centro della socialità.
Un saluto

0xdeadbeef

A Davintro
Perdonami la schiettezza ma quest'idea così, "naive", che tu hai del liberalismo sarebbe andata bene per un
opuscolo di propaganda anticomunista degli anni 50...
Di poco posteriore a tale data (mi sembra 1962) è l'idea dell'"imposta negativa", che M.Friedman formulò
probabilmente proprio per motivi politici e propagandistici (spero si ammetterà che quella fu un'idea ben
singolare sulla bocca di chi pronunciò il celebre: "in economia non esistono pasti gratis").
Il liberalismo che tu tratteggi è quello tipico dei J.Stuart Mill, dei F.D.Roosevelt, cioè un liberalismo nel
quale il potere politico è ancora preminente su quello economico (esemplare, dicevo in un intervento precedente,
è l'idea di J.Stuart Mill di uno stato che redistribuisce secondo criteri di giustizia sociale la ricchezza
prodotta dal mercato secondo criteri economicistici), ma non è più così ormai da un pezzo...
Con ogni evidenza il liberalismo, oggi, è profondamente cambiato. Ed è cambiato essenzialmente da quando si
è avuta una commistione fra la teoria classica (Smith, Spencer etc.) e la teoria della Scuola Marginalista.
All'interno della Scuola Marginalista infatti abbiamo quello che a parer mio è il "cantore massimo" del
liberalismo moderno, quel F.A.Von Hayek che pubblicò quell'opuscolo, "Liberalismo", cui G.Urbani curò la
traduzione in italiano in occasione della nascita di "Forza Italia" (1994).
La tesi (filosofica) centrale di Von Hayek è lo "spontaneismo", cioè il movimento di interscambio fra
individui che crea, esso, il diritto, quindi la "politica" e le istituzioni statuali.
Su questa base, Von Hayek teorizza un "laissez faire" radicale, che deregola ogni cosa e tutto lascia
alla contrattazione privata, con lo "stato" ridotto a garante della sola sicurezza e validità dei contratti
(come nello "stato minimo" teorizzato dal filosofo del diritto R.Nozick).
Queste, in breve sintesi, sono le basi da cui sorge l'esigenza di eliminare qualsiasi statualità (con la
globalizzazione); qualsiasi corpo sociale intermedio (ad esempio il sindacato) che potrebbe frapporsi
nella contrattazione privata fra individui.
Ma, soprattutto, questa è la base per cui oggi sempre più è l'economia che detta le regole alla politica...
Non comprendere la mutazione cui è andato incontro il liberalismo dalla fine della Guerra Fredda vuol dire
non comprendere lo stesso liberalismo e, per quel che qui ci interessa, non comprendere perchè è sorto
il "populismo" come movimento di reazione all'estremismo liberale.
saluti

Ipazia

Finchè la società umana si reggerà sul lavoro umano il lavoro sarà una discriminante antropologica insuperabile. Il superamento del lavoro e l'avvento dell'otium è auspicato da tutte le visioni del mondo umanistiche, marxismo compreso, il quale si spinge oltre predicando una equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli umani. A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce, nel comunismo non esiste l'alternativa tra morire di lavoro o di disoccupazione. Nell'umanesimo marxista il lavoro è un mezzo, non un fine. E neppure una fine. Esso serve solo nella misura in cui è necessario alla riproduzione della vita umana nei modi che lo sviluppo tecnoscientifico e l'ambiente naturale consentono. In una società a misura d'uomo, e non di capitale, la supervalorizzazione del lavoro è fondata solo quando vi sono grandi gap sociali da colmare, come nella Russia post zarista o nella Cina maoista e in qualsiasi situazione di superamento di calamità naturali o sociali.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
Finchè la società umana si reggerà sul lavoro umano il lavoro sarà una discriminante antropologica insuperabile. Il superamento del lavoro e l'avvento dell'otium è auspicato da tutte le visioni del mondo umanistiche, marxismo compreso, il quale si spinge oltre predicando una equa divisione del sacrificio lavorativo tra tutti gli umani. A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce, nel comunismo non esiste l'alternativa tra morire di lavoro o di disoccupazione. Nell'umanesimo marxista il lavoro è un mezzo, non un fine. E neppure una fine. Esso serve solo nella misura in cui è necessario alla riproduzione della vita umana nei modi che lo sviluppo tecnoscientifico e l'ambiente naturale consentono. In una società a misura d'uomo, e non di capitale, la supervalorizzazione del lavoro è fondata solo quando vi sono grandi gap sociali da colmare, come nella Russia post zarista o nella Cina maoista e in qualsiasi situazione di superamento di calamità naturali o sociali.


"Invidio" l' ottima, sintetica esposizione (é contro il regolamento del froum, ma mi é proprio scappato)

anthonyi

Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce,

Ipazia, una società liberale (Se è veramente liberale) non ha fini propri ma rispetta i fini specifici delle persone, se poi queste persone hanno fini capitalistici, allora l'accumulazione sarà un fine, ma non certo per effetto della liberalità.
Anche in una società comunista pianificata l'accumulazione può essere un fine, basta che questo sia il desiderio dello Stalin di turno.

InVerno

Si potrebbe cominciare a dire cosa non è il populismo .. non è un movimento anticapitalista/antiliberalista , non è un revanscismo fascista/marxista , non è un nuovo modo di intendere il rapporto cittadino/eletto (soprattutto nuovo) , non è una rivisitazione del populismo sudamericano (spiace per Moretti?), non è giacobismo rrivoluzionario e in ogni caso  non è né la resurrezione  delle proprie idee storicamente fallite o i propri mostri che si pensavano curati. Beppe Grillo , genio istrionico la cui capacità di lettura sociale verrà capita solo post mortem , l ha inteso meglio di tutti (o forse il suo deceduto compare) e noi italiani per questo partiamo avvantaggiati nel capirlo. E ha a che fare intrinsecamente con internet ( altro elemento vastamente sottovalutato nonostante i profluvi di analisi non ancora minimamente sufficienti ) e con il post modernismo. L idea che ogni analisi della realtà abbia valore unita alla possibilità tecnica di esprimerla urbi et orbi. Spiace per chi ci vede la rivincita di qualche mostro del passato, ma è quanto di più moderno e futuribile a nostra disposizione.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

sgiombo

#43
Citazione di: anthonyi il 19 Gennaio 2019, 06:43:49 AM
Citazione di: Ipazia il 17 Gennaio 2019, 14:04:17 PM
A differenza della società liberale/liberista, in cui il fine sociale è l'accumulazione capitalistica ottenibile solo attraverso la crescita infinita del lavoro e della merce,

Ipazia, una società liberale (Se è veramente liberale) non ha fini propri ma rispetta i fini specifici delle persone, se poi queste persone hanno fini capitalistici, allora l'accumulazione sarà un fine, ma non certo per effetto della liberalità.
Citazione
Perfetto esempio di ideologia (= falsa coscienza)





Anche in una società comunista pianificata l'accumulazione può essere un fine, basta che questo sia il desiderio dello Stalin di turno.
Citazione
Prescindendo dal riferimento personale (o meglio storico; che richiederebbe la valutazione di numerosi, intricatissimi fattori ed eventi), in linea teorica l' affermazione é vera.

Infatti rapporti di produzione comunistici sono solo la conditio sine qua non (necessaria, non sufficiente) del libero sviluppo di ciascuno come condizione del libero sviluppo di ciascun altro, della liberazione dal lavoro come condanna allo sfruttamento e all' alienazione (che é invece oggettivamente del tutto incompatibile con rapporti di produzione capitalistici e classistici in generale; appunto per questo quella liberale é un' ideologia).

Così come d' altra parte anche di una pianificazione complessiva delle attività produttive e consumative umane che sia sufficientemente parsimoniosa e prudente da assicurare il rispetto degli equilibri naturali necessari alla sopravvivenza della nostra specie fino alla sua inevitabile estinzione naturale (alla prosecuzione della storia umana come "caso peculiare" nell' ambito della storia naturale).

sgiombo

Citazione di: InVerno il 19 Gennaio 2019, 10:17:55 AM
Si potrebbe cominciare a dire cosa non è il populismo .. non è un movimento anticapitalista/antiliberalista , non è un revanscismo fascista/marxista , non è un nuovo modo di intendere il rapporto cittadino/eletto (soprattutto nuovo) , non è una rivisitazione del populismo sudamericano (spiace per Moretti?), non è giacobismo rrivoluzionario e in ogni caso  non è né la resurrezione  delle proprie idee storicamente fallite o i propri mostri che si pensavano curati. Beppe Grillo , genio istrionico la cui capacità di lettura sociale verrà capita solo post mortem , l ha inteso meglio di tutti (o forse il suo deceduto compare) e noi italiani per questo partiamo avvantaggiati nel capirlo. E ha a che fare intrinsecamente con internet ( altro elemento vastamente sottovalutato nonostante i profluvi di analisi non ancora minimamente sufficienti ) e con il post modernismo. L idea che ogni analisi della realtà abbia valore unita alla possibilità tecnica di esprimerla urbi et orbi. Spiace per chi ci vede la rivincita di qualche mostro del passato, ma è quanto di più moderno e futuribile a nostra disposizione.


Costanza e mutamento sono aspetti complementari, entrambi sempre presenti, almeno in una qualche minima misura, nella storia umana come nella storia naturale.

L' importante (e quasi sempre assai difficile) é saper discernere, onde comprendere e negli stretti limiti del possibile "dominare" consapevolmente, intenzionalmente i fatti reali.

Per la cronaca: di Beppe Grillo, senza ignorarne i tutt' altro che irrilevanti limiti ho anch' io una certa stima; non così del suo defunto compare.