Cos'è il "populismo"?

Aperto da 0xdeadbeef, 13 Gennaio 2019, 12:57:30 PM

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Ipazia

Lo Stato neutrale esiste solo nel mondo delle idee platoniche.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo. Qualunque forza politica si voglia presentare come "vera rappresentante del popolo", magari in contrapposizione alle altre forze, che invece rappresenterebbero le odiate (e soprattutto invidiate...) elites, mostra di avere una concezione del tutto falsata del "popolo", che tanto retoricamente esaltano come primario riferimento della loro politica. Di fatto, creano una confusione tra il "popolo" inteso come l'insieme dei loro sostenitori, con il "popolo" inteso come totalità dei cittadini, tutti uguali di fronte alla legge al di là delle differenze di ceto, di sesso, di opinioni religiose o politiche.. In pratica, la parte viene presa come fosse il tutto, chi non appoggia le politiche delle forze populiste finisce con l'essere visto quasi (anche quando in modo non così diretto o esplicito) come un corpo estraneo che andrebbe spazzato via, non fa parte davvero del "popolo", che invece viene fatto coincidere con la rappresentazione che ne hanno i populisti. Il populismo snatura il corretto rapporto tra comunità di popolo e istituzione statale. Invece di considerare il popolo come un complesso variegato di differenti interessi economici, e soprattutto di differenti sensibilità ideologiche, politiche, culturali, etiche ecc. e la politica come strumento di mediazione fra queste diversità, al fine di includere più persone possibili nell'azione di tutela dei diritti fondamentali, evitando entro i limiti del possibile ogni discriminazione, ne si fa una caricatura, identificandolo con un modello su misura dell'ideologia della parte politica populista, modello che inevitabilmente taglia fuori tutte quelle componenti che l'ideologia avverte come ostili, e che finiscono per diventare figlie di un dio minore, agli occhi di una politica che invece di farsi umile strumento del benessere della comunità pretende di plasmarla sulla base di un concetto di "giustizia" arbitrario che viene imposto come l'unico possibile. Lo stato non è più un arbitro imparziale che si limita al rispetto delle regole costituzionali, ma diviene parte in causa, con un proprio particolare concetto, non più giuridico, del tutto ideologica e moralista di "popolo" più ristretta della effettiva e reale comunità di cui dovrebbe essere chiamato a fare gli interessi. Esempio tipico di questa impostazione è l'atteggiamento di Salvini, che invece di calarsi con coerenza nel ruolo di ministro degli interni, rappresentante delle istituzioni e di tutti gli italiani, si comporta come fosse in campagna elettorale permanente, non riesce a distaccarsi dal ruolo di leader di una parte (che vede come il vero "popolo", la vera "gente") perdendo tempo a polemizzare continuamente con tutti coloro che a vario titolo contestano il suo operato. Mentre nella corretta visione della dialettica società-politica, il pluralismo dei partiti riguarda principalmente una differenza di metodi e di programmi che però non mette in discussione la condivisione dell'obiettivo, cioè la tutela del benessere e della libertà della società nel suo complesso, nella retorica populista le differenze partitiche non riguardano solo i metodi, ma l'obiettivo stesso: solo il populista è sinceramente interessato al benessere della "gente", tutti gli altri partiti mirano in combutta con qualche potere occulto (l'Europa, le lobby demoplutocratiche, gli ebrei, la massoneria ecc.), mirano a tutelare interessi diversi da quelli del popolo, sono degli irriducibili nemici, che andrebbero spazzati via. Ecco il nesso populismo-totalitarismo: fintanto che con i partiti avversarsi del mio si dissente sulla razionalità e l'efficacia dei programmi possiamo sempre discutere, contestarci, ma nel rispetto dovuto al pensiero che il loro obiettivo è lo stesso del mio, la forza della ragione consente la possibilità di arrivare a una certa sintesi nell'azione politica, se invece essi perseguono intenzionalmente un obiettivo diverso e contrapposto, allora non sono più interlocutori con cui confrontarsi, ma solo nemici da distruggere, eliminare, l'unico partito legittimo è quello che vuole il bene del popolo, e il "popolo" è solo chi aderisce alla mia visione.

Condivido in pieno il ragionamento, davintro, con l'aggiunta che il populismo modifica la democrazia, che è fatta di molti partiti in dialettica tra loro, proprio perché non può stare nella dialettica, non può sostenere il confronto con il vaglio critico, concepisce la comunicazione politica solo come propaganda da un palco o da un balconcino.
Il populismo non può avere congressi politici e non vuole confrontarsi con la dialettica parlamentare, compresa quella degli stessi parlamentari della sua parte politica.

Jacopus

Questo intervento si occuperà del populismo esclusivamente dal lato della storia delle idee, tralasciando il campo delle applicazioni pratiche, avendo però a mente che il campo delle idee, se ben analizzato ci permette di capire più a fondo proprio le applicazioni pratiche.
Il populismo è il tentativo di unire in matrimonio logos e mythos. Per questo motivo resterà fra di noi ancora a lungo. Per spiegarmi occorre tornare indietro di 3000 anni, allorquando nell'antica Grecia al pensiero religioso/mitologico si aggiunse il pensiero razionale, alla base del pensiero scientifico moderno. Quel pensiero scaturiva dalle discussioni fra isonomoi, guerrieri alla pari che non dovevano inchinarsi né a un tiranno né a un Dio. Dalla dialettica, dalla esposizione di argomenti, dalla condivisione di un metodo emergeva una nuova concezione del mondo, universale e egalitaria. La stessa che influenzò, attraverso il cristianesimo, la religione monoteistica degli ebrei.
Da allora in poi quel tarlo del : "siamo tutti uguali", non ci ha più abbandonato, fino alle sue esposizioni più radicali e assolute ( marxismo).
L'altra visione del mondo, quella religioso/mitologica, ha sempre sottolineato la distinzione noi/loro, alla base della quale non è possibile alcun "siamo tutti uguali". Ancora più indietro nel tempo, la radice di quel pensiero è quello dei cacciatori/raccoglitori, divisi in clan e popoli di circa 1000 membri. All'interno del clan vigeva un livello di rispetto e di condivisione altissimo, pagato con la micidiale violenza nei confronti degli altri clan, portatori di altri miti, altri amuleti, altre religioni. Il nostro cervello più antico continua a condividere questo modello tribale che ci ha forgiato per 100.000/150.000 anni, mentre il logos compie appena 3000 anni ed ha dovuto sovrapporsi duramente ad un modello preesistente.
Molti sono stati i modi di conciliare queste due diverse visioni del mondo. Cito a titolo di esempio la filosofia scolastica ma potrei continuare a lungo.
Ebbene se il nostro cervello più arcaico è tribale (senza alcuna accezione negativa al termine) ma il nostro pensiero culturale ha fatto questa straordinaria scoperta del logos isonomico, il populismo non è altro che il tentativo talvolta coronato dal successo di mistificare una entità molto grande come uno stato, che necessita di valori universali, come se fosse una tribù. Basti pensare all'accoglienza di Salvini, tributata a Battisti: un chiarissimo esempio di regressione al tribalismo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo.

Ciao Davintro
A parere mio analisi come la tua non tengono nel debito conto di quella crisi della democrazia che è cominciata ben
prima dell'apparire dei partiti cosiddetti "populisti".
Che bisogno c'è di appellarsi al popolo, alla popolazione o all'insieme dei votanti che dir si voglia se già si
sa qual'è la politica da perserguire? Non appare forse spesso anche qui, sulla pagine di questo forum, la figura
(inquietante, se permettete) del "competente"? E chi è che decide della "competenza" quando i legittimi eletti
vengono rimossi con autentici colpi si stato (seppur "soft", come nel caso di Berlusconi)?
Lo decide forse quella "scienza economica" che ha eletto, in quel caso, il "competente" rettore dell'Università Bocconi?
Era forse necessario attendere Salvini e Di Maio per accorgersi dell'indistinguibilità di quelle che una volta erano
la destra e la sinistra? E perchè mai quelle forze politiche sono diventate, nel tempo, indistinguibili?
Qualcuno vuol chiedersi il perchè, prima dell'avvento dei partiti "populisti" (su molti aspetti dei quali il mio
giudizio non differisce molto dal vostro), la gente era schifata dalla politica e non votava più?
Per il momento (per il momento, certo, perchè come dicevo anch'io penso che certe derive siano possibili) a me sembra
che il "totalitarismo" riguardi più la politica cosiddetta "liberale" che il populismo.
Il tentativo c'è stato, molto serio ed ancora in corso, di "pacificare" (nel senso "romano" del termine...) il mondo
sotto l'egida del "mercato"; qualcuno fra gli "intellettuali" ha addirittura profetizzato la "fine della storia" sotto
quel patrocinio.
A volte però la storia replica "duramente" e inaspettatamente, come diceva Hegel...
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Jacopus il 15 Gennaio 2019, 08:55:27 AM
Questo intervento si occuperà del populismo esclusivamente dal lato della storia delle idee, tralasciando il campo delle applicazioni pratiche, avendo però a mente che il campo delle idee, se ben analizzato ci permette di capire più a fondo proprio le applicazioni pratiche.


Ciao Jacopus
Condivido molti aspetti del tuo intervento (che trovo brillante). Però a mio parere manchi di approfondire un
passaggio che trovo dirimente...
"Se il nostro cervello più arcaico è tribale (pur se il nostro pensiero culturale ha scoperto il logos isonomico)",
come affermi, allora il tentativo di creare una società mondiale sotto l'egida del mercato equivale ad innescare
una bomba.
Non sfugga, da questo punto di vista, il completo fallimento della società "multiculturale" (o per meglio dire
il tentativo di annullare le diversità culturali nell'abbraccio della cultura dei fast food e dei centri commerciali).
saluti

Lou

Citazione di: davintro il 14 Gennaio 2019, 16:40:22 PM
il populismo lo intendo come atteggiamento direttamente implicato e implicante con il totalitarismo. Qualunque forza politica si voglia presentare come "vera rappresentante del popolo", magari in contrapposizione alle altre forze, che invece rappresenterebbero le odiate (e soprattutto invidiate...) elites, mostra di avere una concezione del tutto falsata del "popolo", che tanto retoricamente esaltano come primario riferimento della loro politica. Di fatto, creano una confusione tra il "popolo" inteso come l'insieme dei loro sostenitori, con il "popolo" inteso come totalità dei cittadini, tutti uguali di fronte alla legge al di là delle differenze di ceto, di sesso, di opinioni religiose o politiche.. In pratica, la parte viene presa come fosse il tutto, chi non appoggia le politiche delle forze populiste finisce con l'essere visto quasi (anche quando in modo non così diretto o esplicito) come un corpo estraneo che andrebbe spazzato via, non fa parte davvero del "popolo", che invece viene fatto coincidere con la rappresentazione che ne hanno i populisti. Il populismo snatura il corretto rapporto tra comunità di popolo e istituzione statale. Invece di considerare il popolo come un complesso variegato di differenti interessi economici, e soprattutto di differenti sensibilità ideologiche, politiche, culturali, etiche ecc. e la politica come strumento di mediazione fra queste diversità, al fine di includere più persone possibili nell'azione di tutela dei diritti fondamentali, evitando entro i limiti del possibile ogni discriminazione, ne si fa una caricatura, identificandolo con un modello su misura dell'ideologia della parte politica populista, modello che inevitabilmente taglia fuori tutte quelle componenti che l'ideologia avverte come ostili, e che finiscono per diventare figlie di un dio minore, agli occhi di una politica che invece di farsi umile strumento del benessere della comunità pretende di plasmarla sulla base di un concetto di "giustizia" arbitrario che viene imposto come l'unico possibile. Lo stato non è più un arbitro imparziale che si limita al rispetto delle regole costituzionali, ma diviene parte in causa, con un proprio particolare concetto, non più giuridico, del tutto ideologica e moralista di "popolo" più ristretta della effettiva e reale comunità di cui dovrebbe essere chiamato a fare gli interessi. Esempio tipico di questa impostazione è l'atteggiamento di Salvini, che invece di calarsi con coerenza nel ruolo di ministro degli interni, rappresentante delle istituzioni e di tutti gli italiani, si comporta come fosse in campagna elettorale permanente, non riesce a distaccarsi dal ruolo di leader di una parte (che vede come il vero "popolo", la vera "gente") perdendo tempo a polemizzare continuamente con tutti coloro che a vario titolo contestano il suo operato. Mentre nella corretta visione della dialettica società-politica, il pluralismo dei partiti riguarda principalmente una differenza di metodi e di programmi che però non mette in discussione la condivisione dell'obiettivo, cioè la tutela del benessere e della libertà della società nel suo complesso, nella retorica populista le differenze partitiche non riguardano solo i metodi, ma l'obiettivo stesso: solo il populista è sinceramente interessato al benessere della "gente", tutti gli altri partiti mirano in combutta con qualche potere occulto (l'Europa, le lobby demoplutocratiche, gli ebrei, la massoneria ecc.), mirano a tutelare interessi diversi da quelli del popolo, sono degli irriducibili nemici, che andrebbero spazzati via. Ecco il nesso populismo-totalitarismo: fintanto che con i partiti avversarsi del mio si dissente sulla razionalità e l'efficacia dei programmi possiamo sempre discutere, contestarci, ma nel rispetto dovuto al pensiero che il loro obiettivo è lo stesso del mio, la forza della ragione consente la possibilità di arrivare a una certa sintesi nell'azione politica, se invece essi perseguono intenzionalmente un obiettivo diverso e contrapposto, allora non sono più interlocutori con cui confrontarsi, ma solo nemici da distruggere, eliminare, l'unico partito legittimo è quello che vuole il bene del popolo, e il "popolo" è solo chi aderisce alla mia visione.
Concordo assai su questa disanima, del resto mi pare che la stessa affermazione del premier Conte a una domanda mossagli da un giornalista tempo fa su cui si discusse anche su questo forum, rappresenti la presa della parte per il tutto. E ciò è indice, da un lato di un certo ideologismo di base e, dall'altro diviene latrice o, quantomeno, elemento che acuisce disgregazione sociale e comunitaria.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

everlost

Caro Oxdeadbeef,
mi sa che le tue domande cadono nel vuoto. Forse non si può o non si vuole rispondere perché farlo comporterebbe per molti un esame di coscienza con relativo mea culpa, troppo duro da digerire quando si è convinti di aver agito sempre bene e nell'interesse della patria. Errare è umano, un concetto sgradevole e difficile da accettare, soprattutto quando si agisce con ottime intenzioni.
D'altra parte, se i governanti e i vari analisti/commentatori politici in auge si fossero posti un bel po' di tempo prima le tue domande, non saremmo arrivati a questo punto.

Il populismo infatti non nasce oggi e non sarebbe giusto darne tutta la responsabilità ai neopolitici, come se l'avessero tirato fuori dal cappello per intortare gli elettori sprovveduti.

Secondo me nel nostro Paese c'è sempre stato, nell'aria e nella cultura.
C'entra anche molto la religione, nel senso che il cattolicesimo ha sempre avuto un forte connotato populista, malgrado la Chiesa temporale abbia formato una solida struttura antidemocratica  simile a quella feudale.

https://www.tempi.it/omalley-la-chiesa-non-e-una-democrazia-ma-la-volonta-di-dio/

Vale la pena poi di riflettere sul fatto che gli isonomoi greci e le caste sacerdotali ebraiche erano un'élite colta e preziosa all'interno di società fra le più classiste che si possano immaginare. Anche se in passato il classismo era la norma, questo non rappresenta una giustificazione.
Il concetto d'uguaglianza e di agape, quando viene sostenuto dalle gerarchie sacerdotali, suona come un ossimoro. Direi che come minimo è stato concepito ad uso e consumo del popolo più ingenuo e irriflessivo, perché a parole si dichiara che i fedeli sono tutti uguali agli occhi del Signore, ma poi nei fatti qualcuno ai suoi occhi è più uguale ( e meritevole di rispetto) degli altri. Qualcosa allora non torna...
Anche nell'antica Atene, dove il Logos sostituiva Yaweh, esisteva di fatto uno sbarramento sociale fra  i grandi pensatori e i personaggi mediocri e insipienti, che non partecipavano mai ai dibattiti nei ginnasi. Vi erano escluse pure le donne e gli schiavi, che svolgevano tutti i pesanti e noiosi lavori domestici mentre i loro mariti e padroni si sollazzavano con la filosofia.
I filosofi fra una coppa di vino e un'altra si occupavano del mondo, delle società umane, della mente umana, ma non di tutti, perché in realtà non ammettevano che gli esseri umani fossero uguali e avessero pari diritti e doveri, di certo non lo pensavano per quelli appartenenti ai ceti più umili.

Ecco perché questa mi sembra la sostanza dell'autentico populismo: fingere che il popolo conti moltissimo quando si parla e straparla di lui e con lui, ma dentro di sé credere (e fare) tutt'altro.
Una buona base per una tirannia mascherata da regime democratico.

Lou

In che senso sostieni che il Logos sostituiva Yaweh, nell' "antica Atene", everlost?
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

everlost

Mi riferivo al fatto che Jacopus ha parlato di filosofia greca e di monoteismo ebraico.
Per essere precisa e corretta avrei dovuto dire, in effetti, non nell'antica Atene ma "presso gli antichi filosofi greci" il Logos era fondamento e legge dell'esistenza, come Yaweh lo era presso gli ebrei. In Grecia le persone colte non sentivano necessità di inventarsi un Dio padre, creatore e regolatore di ogni cosa, ma riconoscevano la legge suprema del pensiero, della ragione.
Tant'è vera - per me- questa analogia con la religione monoteistica derivata dalla Bibbia che il cristianesimo, nel Vangelo di Giovanni, ha cercato di trasfondere il significato di Logos in Dio stesso. Non ho mai capito però perché i cattolici lo abbiano tradotto come 'Verbo'. Mi sembra riduttivo, non penso che renda bene il significato originario.

« In principio era il Logos
e il Logos era presso Dio
e Dio era il Logos
Questi era in principio presso Dio.

Tutto è venuto ad essere
per mezzo di Lui,
e senza di Lui
nulla è venuto ad essere
di ciò che esiste.

In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini
e questa luce splende ancora nelle tenebre
poiché le tenebre non riuscirono ad offuscarla. »  (Giovanni 1:1-5 )

Ipazia

Forse perchè Verbo é la traduzione letterale latina di Logos. Certo che dire "in principio era il Discorso" suona anche peggio. Sembra roba da politicanti.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve Ipazia. "In principio era il Verbo". Ma il Verbo è la Parola. Io interpreto che sia da intendere come la Parola per antonomasia. Che è "Essere". Radice di ogni possibilità espressiva vocale. Quindi "In principio era la Parola". "In principio era l'Essere". In principio era Dio il quale era ed è il Verbo". Da cui "Io sono Colui che E'", versione maliziosamente ed egoisticamente antropizzata di "Sono ciò che E'".
Quest'ultima è secondo me la defizione definitiva (ahimè, irrimediabilmente tautologica allo scopo di permettere ai filosofi di aver lavoro per l'eternità) dell'Essere il quale, da un mio punto di vista assai più casalingo, consiste ne "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

Citazione di: viator il 15 Gennaio 2019, 22:59:01 PM
Salve Ipazia. "In principio era il Verbo". Ma il Verbo è la Parola. Io interpreto che sia da intendere come la Parola per antonomasia. Che è "Essere". Radice di ogni possibilità espressiva vocale. Quindi "In principio era la Parola". "In principio era l'Essere". In principio era Dio il quale era ed è il Verbo". Da cui "Io sono Colui che E'", versione maliziosamente ed egoisticamente antropizzata di "Sono ciò che E'".
Quest'ultima è secondo me la defizione definitiva (ahimè, irrimediabilmente tautologica allo scopo di permettere ai filosofi di aver lavoro per l'eternità) dell'Essere il quale, da un mio punto di vista assai più casalingo, consiste ne "la condizione per la quale le cause producono degli effetti". Saluti.

Concordo. Così suona meglio. E' la Parola il principio della specificità antropologica, l'origine della sua trascendenza che ha popolato uno mondo parallelo di discorsi e di numi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: everlost il 15 Gennaio 2019, 19:48:31 PM
Caro Oxdeadbeef,
mi sa che le tue domande cadono nel vuoto. Forse non si può o non si vuole rispondere perché farlo comporterebbe per molti un esame di coscienza con relativo mea culpa, troppo duro da digerire quando si è convinti di aver agito sempre bene e nell'interesse della patria. Errare è umano, un concetto sgradevole e difficile da accettare, soprattutto quando si agisce con ottime intenzioni.
D'altra parte, se i governanti e i vari analisti/commentatori politici in auge si fossero posti un bel po' di tempo prima le tue domande, non saremmo arrivati a questo punto.

Il populismo infatti non nasce oggi e non sarebbe giusto darne tutta la responsabilità ai neopolitici, come se l'avessero tirato fuori dal cappello per intortare gli elettori sprovveduti.

Secondo me nel nostro Paese c'è sempre stato, nell'aria e nella cultura.
C'entra anche molto la religione, nel senso che il cattolicesimo ha sempre avuto un forte connotato populista, malgrado la Chiesa temporale abbia formato una solida struttura antidemocratica  simile a quella feudale.


Ciao Everlost
Diceva (giustamente) G.Sartori che il potere politico o è democratico o è autocratico: non vi è una "terza via" (in
realtà sulla scia di Machiavelli: "nella storia si son visti o repubbliche o principati").
Per cui io questa storia dei "competenti" non solo non la capisco; ma non capisco come facciano persone
indubitabilmente intelligenti ed acute a tirarla sempre in ballo (assieme ad una presunta "complessità" di cui questi
"competenti" sarebbero i soli sacerdoti possibili...).
Evidentemente siamo al platoniano "governo dei filosofi", una espressione che la storia ha ben dimostrato essere
null'altro che un ossimoro.
Perchè il filosofo, come il competente, non governa; ma governa il "potente" (come diceva quel tale: "è necessario
rendere giusto il forte, perchè rendere forte il giusto è molto più difficile").
In realtà questa storia dei "migliori"; dei "filosofi"; oggi dei "competenti" è servita e serve per tener buono il "popolo",
ed asservirlo con le buone ai propri scopi particolari.
Bisogna dunque sempre e comunque andare dietro ai mal di pancia del popolo? No, nel tempo abbiamo "inventato" la democrazia
rappresentativa proprio per ovviare a questo. Ma prendo atto che neppure più questo basta ai sostenitori della
"competenza"...
Mi permetto allora un suggerimento: si dica chiaramente che da domattina non si vota più, che avendo trovato la "scienza"
definitiva ed indubitabile della politica e dell'economia il "debolismo" del voto "popolare" risulta ormai superfluo.
Sarà un passaggio magari crudo, ma ci eviterebbe tutto questo mare di ipocrisia.
saluti

Sariputra

Anche se mi prenderete in giro io sono fautore di un socialismo dhammico buddhista, come terza via:

...Non credere che il socialismo è morto! Questo è solo la propaganda degli irriducibili capitalisti neo-conservatori.
Il vero socialismo non è mai stato provato su larga scala.Il socialismo è la prospettiva e l'orientamento che considera il bene della società nel suo complesso come centrale, piuttosto che il bene personale, individualista. Così, il socialismo è l'opposto dell' individualismo con cui siamo irretiti oggi. Per i buddhisti impegnati, il socialismo deve essere radicato nel Dhamma. Così, si parla di " socialismo dhammico".Non si tratta dello stalinismo dittatoriale. Il socialismo Dhammico non è servile conformismo, in quanto rispetta e nutre gli individui. Tuttavia, lo scopo della vita dell'individuo non può essere solo il proprio piacere di successo. Nel socialismo dhammico, lo scopo e il significato della vita dell'individuo va al di là del nostro piccolo "io" e si ritrova nella società, nella natura, e nel Dhamma.Il socialismo Dhammico è l'espressione di due fatti fondamentali: uno di questi è che noi siamo inevitabilmente e ineluttabilmente esseri sociali che devono vivere insieme in una forma di società che dà la priorità all' interrelazione, alla cooperazione, e all' aiuto vicendevole, per risolvere il problema della sofferenza. Pertanto, il principio della giusta relazione o giusta inter-parentela è il cuore di una tale società.
Tan Ajarn concepì questa forma di società come essere il vero significato del socialismo, che può differire dalla comprensione di scienziati e politici marxisti.
Tan Ajarn amava utilizzare certe parole a modo suo e noi lo fraintendiamo se non ci rendiamo conto di questo. Sangkom-niyom, la parola thailandese per socialismo, letteralmente significa "preferenza per la società", o "a favore della società", piuttosto che favore dei singoli (cioè l'individualismo), come è stato spesso il caso in Occidente o nella società capitalista e del consumismo.
Il suo socialismo si radica nel fatto che noi dobbiamo vivere insieme, e quindi per sopravvivere si deve dare importanza alle strutture e ai meccanismi della società che ci permetteranno di farlo nelle maniere più idonee.
Siamo tutti responsabili per la promozione, e la cura di questi mezzi.
Questo è il nostro modo di comprendere il socialismo.
l secondo fatto è che il socialismo può andare storto. Ci sono stati diversi approcci al socialismo, e alcuni sono stati incorretti, hanno assunto forme autoritarie, violente e corrotte. Ajarn Buddhadasa insiste sul fatto che il socialismo deve essere modificato dal Dhamma buddhista per tenerlo onesto, morale, e non violento.
Così, si parla di socialismo Dhammico. Non vogliamo un socialismo che è principalmente materialistico o economico. Esso non sposa l'idea di un socialismo basato sul conflitto di classe o sulla vendetta.
Piuttosto, crediamo in quel socialismo che è in armonia con il Dhamma.
Per essere in armonia con il Dhamma significa che esso si deve basare sulla realizzazione dell' interdipendenza umana.
In altre parole, il nostro socialismo deve essere morale, radicato nel siladhamma (moralità, normalità). Il Siladhamma consiste in relazioni e attività che non opprimono o si approfittano di nessuno, incluso se stessi, e che sono volte al reciproco beneficio, di noi stessi, degli altri, e del collettivo.
... l'oppressione sociale è radicata nella personale e strutturale presenza dei kilesa, che è l'egoismo.
L'eliminazione di questo egoismo è il compito del siladhamma, della religione, e del socialismo dhammico.
Se il nostro socialismo può andare oltre il livello morale e realizzare una società in cui tutti sono liberi non solo da un comportamento egoista, ma anche da un attitudine egoistica non deve essere discusso in questa sede.
Credo che sia sufficiente per ora concentrarsi sullo sviluppo di una società in cui il comportamento egoistico è ridotto al minimo.
...La gente richiede una visione che mostra come la felicità sta nel socialismo dhammico e in una società nibbanica, piuttosto che nell' egoismo, nel consumismo, nel materialismo, e simili.

Da "Quali possibilità per il socialismo dhammico", di Santikaro Bhikkhu (2009)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

davintro

#29
per Ipazia

la politica è prassi, e come ogni prassi consiste nel tentativo di adeguare la realtà fattuale ad un modello ideale di "società giusta", e quindi anche ad un modello di stato il più possibile efficace a garantire benessere e diritto alla comunità. Che tale modello ideale sia impossibile da realizzare compiutamente nella storia non gli impedisce di poter fungere come ideale regolativo a cui la prassi politica si ispira, e senza il quale sarebbe cieco affannarsi senza alcuna prospettiva, allo stesso modo di come l'inesistenza dell'idea di "cavallinità" non inficia la necessità che ogni giudizio in cui riconosco di avere di fronte un singolo reale cavallo presuppone come criterio trascendentale l'idea di "cavallo in sé" come parametro a cui raffrontare i reali cavalli particolari. Allo stesso modo, ogni giudizio sul valore dell'azione statale implica l'assunzione di un ideale sul "cosa" e "come" dovrebbe essere uno stato, in  base a cui valutare il grado di adeguazione dell'effettiva realtà dello stato, n assenza di questo ideale ogni giudizio di valore e ogni conseguente esigenza di trasformazione sarebbe insensata e l'unica cosa logica sarebbe la passiva accettazione dei fatti. Poi, possiamo discutere nel merito della validità dell'ideale liberale dello "stato neutro", ma le eventuali critiche andrebbero poste su un piano diverso rispetto all'accusa di "idealismo", che sulla base di quanto detto sopra, dovrebbe essere rivolta non solo alla visione liberale, ma in generale ad ogni ideologia o dottrina politica (compreso il marxismo, credo) che si ponga come modello fondativo di giudizi di valore sulla società


Per Oxdeadbeef

il costante richiamo alla centralità del popolo sovrano che fa il populismo è solo un artificio retorico, una falsificazione nella quale il concetto di "popolo" non esprime più il significato che dovrebbe assumere in una democrazia, "popolo" come totalità giuridica dei cittadini, ma un significato ristretto, escludente, proiezione dell'ideologia del populista, per il quale il popolo può essere rappresentato, a secondo della natura di tale ideologia, come un determinato ceto sociale, una determinata confessione religiosa, una determinata etnia, l'insieme di coloro che seguono una specifica etica, uno specifico orientamento politico (ovviamente lo stesso di quello della forza populista). E tutti coloro che stanno al di fuori della rappresentazione particolare, sono anche esclusi dal popolo, diventano "elite", nemici del popolo, privati della legittimità a sentirsi depositari degli stessi diritti e doveri di coloro che invece si rispecchiano nel concetto di "popolo" nella mente del populista", a sentirsi parte integrante della stessa comunità. Che bisogno ci sarebbe di richiamare ossessivamente il fatto di essere rappresentanti del popolo da parte del populista, se per "popolo" si intendesse, come dovrebbe intendersi" la totalità giuridica dei cittadini"? Lo si dovrebbe dare per scontato... il popolo si esprime eleggendo il parlamento, e da quel momento in poi ogni atto politico esprime un mandato e una rappresentanza popolare... se si sente la necessità di continuare a richiamare in modo così retorico e sistematico il "popolo" è chiaro segno che con questo termine non si intende la comunità giuridica nel suo complesso, ma un concetto caricato di un peso politico parziale, il popolo nella particolare visione del mondo etica/economica/religiosa/filosofica del populista, che però non può esaurire l'effettiva realtà della comunità nel suo insieme. In pratica, una mistificazione. La verità è che il popolo non è un monolite, a immagine e somiglianza del populista, ma un unità composta da differenze di ogni ordine, che le istituzioni sono chiamate a rappresentare e soddisfare (entro i limiti del possibile) in modo più comprensivo possibile, ed è a questo punto che arriviamo alla necessità della "competenza". Per competenza andrebbe intesa la capacità di una adeguata classe dirigente politica di saper sviluppare in modo più razionale ed efficace possibile una sintesi che tenga conto il più possibile della molteplicità delle differenti esigenze in seno al popolo, differenze di tipo economico e culturale, che nei fatti non produrrà mai un mondo perfetto per tutti, ma che è l'unico modo per avvicinarci a una società che massimizzi nel modo più equo possibile il benessere e la rappresentanza. Ecco la necessità dello stato imparziale come luogo di mediazione tra le esigenze della comunità e la traduzione in termini di azione politica tesa a soddisfarle, in assenza di questo filtro, contro cui si scaglia la retorica populista, il popolo verrebbe lasciato a se stesso, nell'irrazionalità di un conflitto interno fra le diverse componenti da cui non potrà che derivare la legge del più forte, delle parti materialmente più potenti che schiacciano le più deboli, oppure la dittatura della maggioranza, nel quale il potere politico populista che identifica il "popolo" con la maggioranza politica che lo sostiene, si sente legittimato a discriminare o perseguitare la minoranza.


Vorrei soffermarmi un attimo su questo discorso della "competenza", per togliermi un sassolino dalla scarpa (ora non sto polemizzando con Oxdeadbeef o con un altro utente in particolare, ma con una certa linea di pensiero che ogni tanto emerge), Mi viene da pensare in particolare all'esempio del topic sulla chiusura domenicale dei centri commerciali, dove alla posizione liberale per cui ogni limitazione della libertà individuale (compresa quella di voler lavorare o consumare in un centro commerciale di domenica) è illegittima, fintanto che non limita direttamente la libertà degli altri, veniva opposta l'idea, che molti dei desideri (e dunque delle libertà di soddisfarli) delle persone non siano davvero genuini, ma il portato di condizionamenti sociali, di cui la maggior parte delle persone non si renderebbero conto, ma che possono essere smascherati da dei sociologi, magari orientati in una certa direzione ideologica, che potrebbero insegare a tutti quali sono i desideri naturali che meriterebbero di essere soddisfatti e quali invece frutto della manipolazione sociale/comunicativa, da rimuovere. Le conseguenti implicazioni di tali premesse sono evidenti: una volta rimossa l'idea del libero arbitrio e della responsabilità individuale e considerate le persone alla stregua di come bambini incapaci di discernere il loro "vero bene", e la loro "vera libertà", ecco la necessità ci creare una ELITE COMPETENTE di sociologi o intellettuali, che alla luce della loro cultura provvederanno a stabilire per tutti la lista dei desideri esprimenti la "vera natura" delle persone, da soddisfare (come può essere ad esempio, quello di comprare i loro libri), e la lista dei desideri fittizi, (come quello di andare al centro commerciale di domenica), che paternalisticamente, "per il nostro bene" andrebbero repressi, perché non rispecchianti la "vera natura delle persone", natura che essi presumerebbe di conoscere meglio degli individui a cui tale natura appartiene. A questo punto mi chiedo: non è paradossale e ipocrita accusare il liberalismo di voler sottrarre spazi di sovranità ai popoli in favore di elite tecnocratiche, quando poi l'accusa viene da proprio da degli antiliberali che pensano che le persone siano incapaci di conoscere la loro vera libertà e che i loro desideri debbano essere approvati da dei sociologi che stabiliscono quando essi provengono davvero dalla loro personalità, e quando invece sono veicolati dai mezzi di comunicazione? Non è forse doppiopesismo contestare la tecnocrazia quando si parla di scelte economiche che i governi farebbero in contrapposizione alle esigenze sentite dai popoli, per poi farla rientrare dalla finestra quando si pensa che la sociologia (come se questa fosse una scienza più esatta e rigorosa dell'economia...) sia capace di decifrare meglio del sentire diretto delle singole persone comuni, l'autenticità dei desideri, e dunque di ispirare una serie di impedimenti moralistici al soddisfacimento dei desideri etichettati come inautentici? Al contrario Il liberalismo, proprio in quanto pone la libertà individuale come valore supremo, è la dottrina politica in cui è necessariamente più forte il richiamo al principio di autodeterminazione e di autconsapevolezza delle proprie esigenze degli individui, e conseguentemente dei popoli, che nella concretezza del loro contenuto, altro non sono che insiemi di individui