Comminare o irrogare?

Aperto da Eutidemo, 30 Aprile 2020, 13:47:55 PM

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Eutidemo


Ho appena letto l'opinione di Bice Mortara Garavelli nella risposta ad un quesito apparsa sulla "Crusca per voi" n° 32", concernente l'utilizzo del verbo "comminare", in luogo del verbo "infliggere", che lei ritiene ormai legittimo in quanto entrato nell'uso.
https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/uso-del-verbo-comminare-nel-senso-di-infliggere-una-condanna/240
Al riguardo osservo che, a mio parere, non è sufficiente che un pugno di distratti legislatori, avvocati e magistrati, e, sul loro fallace esempio, una folta schiera di giornalisti e scrittorucoli, utilizzi in modo "assolutamente" erroneo e "fuorviante" un termine, perchè questo possa ritenersi linguisticamente "legittimato".
Ed infatti, secondo me, non è ammissibile che un uso insipiente e travisato di una parola, per quanto diffuso, possa consentire di confondere tra di loro dei termini che hanno un significato completamente differente, come:
- "comminare" (cioè stabilire in astratto il minimo ed il massimo della pena da parte della legge);
- "irrogare, infliggere o applicare" (cioè determinare in concreto, da parte del giudice, la pena da infliggere, "tra" il  minimo ed il massimo della pena stabiliti dalla legge).
Se la lingua perde la sua logica, non si "evolve", ma semplicemente "degenera"; e  "decade" nel pressapochismo confusionario dei popoli incolti.
Ed infatti, se taluno mi chiedesse, in relazione ad un processo appena concluso: "Potrei conoscere la pena comminata per il reato commesso da Pinco Pallo?", la risposta esatta, trattandosi di un processo per truffa, è: "La reclusione da sei mesi a tre anni."
Se, invece, si omologa il significato di "comminare" e di "irrogare", come se significassero la stessa cosa, la risposta potrebbe essere tanto:
- "la reclusione da sei mesi a tre anni."
quanto
- " sei mesi di reclusione".
Il che, ovviamente, non è possibile!
Per cui, a mio avviso, occorre tenere ben distinti i due significati, e sanzionarne severamente l'uso improprio, per quanto diffuso esso sia; per favore, non estendiamo l'esiziale "fallacia di consistenza" anche alla linguistica!
"Nomina sun consequentia rerum", come cita Dante (Vita Nuova XIII, 4), traducendo: "Con ciò sia cosa che li nomi seguitino le nominate cose".
Se l'uso di una parola produce conseguenze illogiche, contraditorie e confusionarie, secondo me, esso non va avallato, bensì aspramente riprovato da tutti i linguisti.
Di confusione di idee, nel nostro sventurato Paese, ce n'è già abbastanza!




Jacopus

#1
Si tratta, mutatis mutandis, dello stesso fenomeno per cui i politici si guardano bene dall'assumere una posizione di guida, limitandosi a cavalcare le mutevoli opinioni degli elettori, oppure la erronea convinzione che ignoranza e confusione linguistica siano valori da tutelare perchè i portatori di quella ignoranza devono comunque essere rispettati nella loro libertà. Quell'opinione, dell'esimia cruscologa, riassume un comandamento che la guida di un popolo dovrebbe sempre evitare: accettiamo ciò che è, invece di ciò che dovrebbe essere. E' lo stato etico, signori, una cosa piuttosto fuori moda da circa 30 anni, e queste sono le avanguardie di quanto avverrà, quando le ultime generazioni educate eticamente non vi saranno più.
E' un ammainabandiera epocale, perchè sostanzialmente veicola questo messaggio della classe dirigente: "rinunciamo al nostro ruolo di guida. Sprofondiamo insieme nel caos e in cambio noi non avremo alcuna responsabilità su di voi, popolo gaudente. Noi gestiremo la nostra res privata, grazie ai nostri mastini, voi potrete liberamente dire la vostra opinione presso l'Università della strada".

Ed è anche il risultato di un decadimento complessivo della capacità di distinguere concetti diversi, che parte da questa confusione linguistica. Un decadimento della scuola, dalla sua incapacità a reggere il confronto con la modernità, che avrebbe bisogno di affinare i concetti, invece che di semplificarli e renderli confusionari e caotici come in questo caso.
E' "ugaglio" nel senso di " è uguale", diceva padre Antonino da Scasazza, nella trasmissione di Arbore, "Quelli della notte" di, appunto, trenta anni fa.
Mi rendo conto che l'accademia della Crusca non ha grossi poteri per modificare questa tendenza, ma almeno nell'articolo si potevano sottolineare questi aspetti, invece che rifarsi alla tradizione latina, che anch'essa, a sua volta, estendeva e trasmutava i significati delle parole (come è sempre accaduto, ma le parole possono essere affilate e rese più vicine al loro oggetto, oppure perdere quella corrispondenza e diventare materia sporca, incapace di dare conto delle differenze e della loro corrispondenza simbolica o concettuale).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve. Mi associo ai due interventi - profondamente saggi - di Eutidemo e Jacopus.


D'altra parte l'inevitabile slittamento socioculturale verso il baratro di quello che fra non molto verrà chiamato non Paese, bensì Rottame, viene pure favorito dalle attuali vicende morbili combinate con le riforme più o meno striscianti dell' istruzione pubblica (le minuscole sono volute), per cui l'anno scolastico "monco" vedrà tutti promossi d'autorità e comunque - anche per il futuro - viene stabilito che le bocciature saranno vietate essendo semplicemente uno strumento discriminatorio. Auguri a tutti!.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Eutidemo


Un'altro esempio di uso assolutamente aberrante del linguaggio, tanto più riprovevole in quanto chi ne fa uso pensa di essere "snob", è quello di "piuttosto che" nel senso della disgiuntiva "o".
Anche in tale caso, ciò può provocare esiziali ambiguità nella comunicazione, compromettendo la funzione fondamentale del linguaggio.
Potrei citare:

1)
Dal settimanale L'Espresso, del 25.5.2001, l'"incipit" dell'articolo a p. 35: "È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley"; questo "piuttosto" che pretende di surrogare la semplice disgiuntiva "o", induce il lettore a chiedersi come mai i giovani studiosi italiani sbarcati negli Stati Uniti snobbino i prestigiosi centri di ricerca della Silicon Valley, per andare, invece, nelle grandi università americane.

2)
E ancora: "... di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati": frase pronunciata dal noto (e benemerito)  dott. Gino Strada nel corso del Tg3 del 22.1.2002; in questo caso, la prospettiva d'una persecuzione concentrata protervamente sulla prima categoria avrà reso perplesso più di un ascoltatore.
E l'elenco di simili "storture" del linguaggio, potrebbero continuare a lungo!


Un saluto a tutti ;)