Coerenza vegetariana

Aperto da viator, 18 Novembre 2017, 15:03:41 PM

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viator

Salve. Argomento di tendenza.....come diversi altri (sempre più numerosi) che imperversano nel mondo delle futilità che sono concesse alla nostra civiltà che, avendo la pancia sempre piena, è giustamente ossessionata dai modelli di snellezza e, avendo la coscienza sporca, lo è ugualmente da problemi etici inesistenti che quindi dovranno venir inventati di sana pianta.

Mi riferisco alle scelte di chi, onde risparmiare inutili sofferenze al mondo animale, decide di darsi al vegetarianesimo od al veganesimo. (Poi naturalmente c'è chi fa tali scelte per motivi di vera o presunta maggior igienicità di tali regimi alimentari).

Naturalmente qui non si tratta di mettere in discussione quello che io considero un principio (astratto) che rivesto addirittura di sacralità: il rispetto della vita ed il fatto che essa non possa essere oggetto di diritti di proprietà. Purtroppo però la realtà naturale ci costringe a venire a patti con esso.

Dovremmo astenerci dal sopprimere altrui esistenze pur essendo costretti a cibarci di esseri viventi.

Vegetariani e vegani sembra abbiano trovato un compromesso soddisfacente sia per i loro stomaci che per le loro coscienze.

Eliminando dai loro consumi gli alimenti di origine animale essi non contribuiscono alla morte ed alla sofferenza di milioni di esseri innocenti e dotati comunque della dignità che accomuna tutte le forme di vita !!

Che brave persone ! Hanno capito che occhi umidi, sangue, spasmi, stridii e lamenti sono manifestazioni evidenti ed insopportabili di dolore psicofisico.
Solamente mi permetterei di invitare costoro ad un piccolo sforzo supplementare in nome di una maggiore coerenza.

In fondo basta poco. Perchè non eliminano dalla loro dieta anche la verdura, diventando fruttariani? E' indubitabile che i vegetali siano esseri viventi anch'essi (attendo eventuali contestazioni) e non si capisce perchè per essi debba essere eticamente ammissibile il farne scempio strappandoli alla terra per nutrirsene. I frutti, viceversa - una volta separati dei semi che andranno dispersi in adatto terreno - rappresentano solamente una escrescenza specificamente separabile e riproducibile dell'organismo vegetale.

Qualcuno potrebbe obiettare che i vegetali non soffrono..........come???????.......solo perchè i vegetali non strillano e non si agitano essi sarebbero immuni dal dolore???????? Quindi saremmo noi umani a poter decidere "tu soffri, tu invece no" e quindi - in soldoni - a poter fare i nostri comodi con altri esseri viventi???????

Come sempre, andando a scavare nelle motivazioni umane, si arriva al punto in cui emerge contraddizione, incoerenza........naturale egoismo antropocentrico (lo sapete che, se riuscissimo ad intervistare un pidocchio od un carciofo, ne emergerebbe che essi hanno una visione del mondo spiccatamente pidocchiocentrica / carciofocentrica ??).

Se i principi ci porteranno sempre a contraddirci non ci resta quindi che scegliere una prassi decente ed imperfetta (cioè in qualche misura iniqua).
Diciamo che, mancando il diritto di PROPRIETA' sui viventi, occorrerà utilizzare il principio di POTESTA'.
Si deve ammettere quindi che l'uomo possieda (semplicemente perchè se l'è dato da sè!) la potestà di DETENERE altri viventi a condizione che li abbia allevati (contribuendo a generare la loro esistenza), aspetto questo che genererebbe il diritto umano di DISPORRE della loro esistenza (sfruttarli e condurli a morte). Il tutto "impegnandosi" a non provocare sofferenze non maggiori di quelle umanamente inevitabili per fruire dei prodotti animali o vegetali.
In sintesi quindi all'uomo verrebbe riconosciuto il diritto di disporre fisicamente degli essere vinenti che - anche o soprattutto attraverso il proprio lavoro e le prorie cure - egli ha provedduto a far nascere. E ciò escluderebbe quindi l'attività di caccia la quale ha un'essenza squisitamente predatoria. Ma le implicazioni dell'archetipo venatorio richiederebbero approfondimento separato.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

InVerno

#1
Indubbiamente i vegetali "soffrono" infatti il classico sentore di erba tagliata (tipico dopo un accurato passaggio con il tosaerba) deriva da un ormone rilasciato quando l'erba è "stressata". E' evidente il perchè questi verbi debbano essere virgolettati quando si parla di vegetali, la tua è semplicemente una falsa equivalenza. Ma il pratino "inglese" ci può suggerire altri spunti. L'usanza del prato inglese è un lusso sorto durante l'industrializzazione londinese, gli agricoltori trasformatisi in operai dimostravano il loro supposto salto qualititativo tenendo il prato di casa incolto, in sfregio alla necessità magari di avere qualche pomodoro in più, perchè "potevano permetterselo", e potevano permettersi molta più carne (sopratutto non avevano più tempo, visti gli orari di fabbrica) Uno dei tanti esempi di consuetudine mista alla dieta che ha molto più a che fare con profonde trasformazioni sociali, che con le supposte e plateali ragioni di chi la propugna (come la bellezza del pratino). Il vegetarianesimo non diversamente è un lusso, che il consumatore moderno può permettersi per decine  di motivi che solo in ultima analisi possono essere giustificati con la sua beneamata morale e ridicola compassione (il vegetariano "affondate i barconi" è sempre in agguato). Questo porta alla prima seria critica al vegetarianesimo: seppur possa essere una dieta in qualche modo fruibile e bilanciabile nel civiltà del "primo mondo", se applicata su larga scala metterebbe in seria difficoltà le economie dei paesi in via di sviluppo e dei paesi sottosvillupati, altresi di tutte quelle economie di "sussistenza" che non hanno alcun vantaggio nel buttare nel bidone proteine di animali utili (1*). Secondo problema è l'importanza nutrizionale delle proteine animali in bambini e anziani,  il vegeterianesimo è un lusso nel lusso, nel senso che può essere facilmente bilanciato nell'età adulta ma presenta un certo fattore di rischio per le fascie deboli della popolazioni (nonostante le decine di dietologi fai-da-te disponibili). E  anche in chi ancora (si ostina,  come me) a lavorare con le braccia e le gambe - le giornate "in campo" si fanno cupe (il noto spot del "non ci vedi più dalla fame")se mangi solo l'insalatone, con rischi di infortunio annessi. Altro problema facilmente identificabile è il problema degli animali stessi. La maggior parte delle razze allevate (industrialmente o meno) non ha granchè da spartire con la "natura", e vista la rarità delle "mucche selvatiche" ci sarebbe semplicemente da pensare che lo stop agli allevamenti dei cattivoni onnivori avrebbe un unico risultato, l'estinzione di una gigantesca porzione di biodiversità animale esistente. Ma d'altro canto è una vecchia tradizione delle ideologie quelle di propendere per le "soluzioni finali" anzichè le soluzioni ragionate. Un altra critica facile facile riguarda lo sfruttamento di ettari di suolo necessario a sostenere una tale ipotesi (colinizzare altri pianeti non è ancora possibile) per cui rimando al link (2*)Le religioni sapevano quali animali era meglio non allevare, se  qualcuno ancora si sorprendesse del perchè  Allah abbia detto agli arabi di evitare i maiali nel deserto.

Queste ed altre (non vorrei tediare) sono critiche un po più importanti al vegeterianesimo. Il problema è che dall'altra parte della barricata ci sta una disgrazia, ovvero la dieta assurda di una porzione di pianeta nettamente più ampia. In Italia è persino difficile rendersene conto per via della cosidetta "dieta mediterranea", ma farsi un viaggetto in America ed in Cina e considerare la quantità abominevole che gli stessi riescono a ingerire di rispettivamente vitelli e maiali, fa venire qualche dubbio, sopratutto se si considerano gli studi sulle conseguenze ambientali e sanitarie di questo tipo di dieta sregolata. A questo si aggiunge la terribile ignoranza e sconsiderata capacità di mangiare carne, i cosidetti "pezzi non pregiati" che in alcune culture sono valorizzati attraverso processi non sono sufficienti per combattere l'idiozia di chi va in macelleria e conosce solo "cotoletta" e "bistecca" e consegna al macero decine di milioni di quintali di proteine. Ad aggravare il tutto c'è il non rispetto per gli animali, allevati e uccisi cosi lontani dal consumatore che lo stesso può permettersi una libertà "morale" al di fuori di qualsiasi razionalità (non diversamente della distanza che i fucili misero tra l'assassino e la vittima) Se servisse una patente per mangiare carne e per superare l'esame bisognasse uccidere un animale, la maggior parte dei cosidetti "onnivori da ufficio" scapperebbe a gambe levate.

Riassunto: Delle tante critiche che possono venire in mente riguardo ai cosidetti vegani, la sconsiderata attitudine al cibo dei cosidetti "onnivori" e la commercializzazione di massa della carne con annessi e connessi non mi fa che propendere verso l'idea che i vegani rappresentino "il minore dei mali". Non mi soffermo sulla cosidetta "morale" della questione nonostante tu vi abbia posto tanto accento semplicemente perchè la considero una baggianata derivata da un lusso sociale, un uomo che ha fame (fame davvero) attiva dei processi di autoconservazione che gli possono persino rendere appetibile l'idea del cannibalismo. Siamo grassi e seduti, l'insalata "morale" è un idea come un altra per non annoiarsi e per sentirsi migliori di "altri".


(1*) una fattoria di tipo familiare bassamente industrializzata utilizza gli animali per valorizzare e trasformare in proteine scarti di vario tipo che se non cosi riciclati si trasformerebbero in immondizia anzichè carne e fertilizzanti "green" (tanto amati dagli amici naturopati)

(2*) https://www.ted.com/talks/jonathan_foley_the_other_inconvenient_truth#t-902280
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

baylham

#2
La crescita del numero di vegani e vegetariani va benissimo da punto di vista ecologico, è un abbassamento della catena alimentare che dà spazio ad altre specie animali, diverse da quelle domestiche.
Il problema non è invece risolvibile dal punto di vista della sofferenza degli animali: per la concorrenza intra e inter specificasulle risorse alimentari, su cui le scelte vegane o vegetariane incidono limitatamente e parzialmente, gli animali continueranno a morire mangiati da altri animali o per fame.

paul11

Ci sarebbero parecchie considerazioni da fare, nello specifico e a latere.
La prima è che più cresce la consapevoelzza(che non è detto sia accompagnata da ragione intelligente) di difendere l'ambiente e spesso vien e contrabilanciato da una spiacevole sentore di odiare il prossimo nostro. più si ama la diversità e più si odia la normalità, più si amano gli animali e vegetali e più si odiano gli umani.

Le ricordo ancora mia madre, nonna............."mangia mangia che ti fa bene". Venivano dalla guerra, forse avevano mangiato più gatti che coniglie, carne di bovini era no un lusso.  Il mangiare, le portate del boom economico con l'idea che mangiare è uguale a stare bene, ha portato obesità. la velocità della modernità comportò, con le donne non più in casa, a dover mangiare piatti pronti e veloci, indirizzando i consumi. Infine ecco il vegetariano e all'estremo il vegano. Come dire: si nutrivano meglio in guerra quando facevano la fame, con il pane nero e il cibo contingentato, che oggi con lipidi, glucidi di sintesi e raffinati.
Premesso che ognuno è libero di mangiare ciò che gli pare, forse la classifcazione animale, tinee conto delle dentizionin e degl iapparati digerenti, con relativi enzimi per digerire e assimilare il cibo.
Premesso che ritengo anch'io un lusso il vegetariano o il vegano specialmente, digerire la cellulosa è una delle cose più lunghe e faticose per l' apparato digerente che esistano. Noi abbiamo uno stomaco ghiandolare, i ruminanti come le vacche ne hanno ben cinque , i ruminanti hanno i picozzi come denti, non  i canini, perchè la prima masticazione in bocca con tanto di enzima, è rompere fisicamente e chimicamente le fibre vegetali.

E' vero che gli allevamenti intensivi, soprattutto di maiali, sono altamente inquinanti se non vi sono opportuni accorgimenti e generano parecchia anidride carbonica, ma  è altrettanto vero che se si estende a carattere sempre intensivo l coltivazioni in campo, implicano maggiori risorse e taglio di boschi per coprire i fabbisogni mondiali.

Personalmente ritengo che una dieta naturale ed equilibrata non ha necessità di estremizzazioni e apporta, comprese le vitamine e proteine animali quella quantità necessaria al fabbisogno corporeo, senza eccedere in lipidi che il corpo tiene come riserve e quindi costituendo l'obesità.

Ma dobbiamo anche sapere che ad ogni latitudine e altitudine corrispondono vegetali animali di cui l'uomo si nutre comprese l e malattie.
E' ben difficile dire ad un esquimese di fare il vegetariano.
 E' ben difficile dire ai nostri montanari che hanno la cultura della polenta, castagne e burro(perchè questo gli dava la terra e il bestiame), di mangiare pesce ed olio di oliva e ad un pescatore siciliano d i fare l'inverso.

Penso che il DNA abbia registrato, se così si può dire, generazioni e generazioni di fattori ambientali, l'epigenetica.
Di punto in bianco passare da un tipo di alimentazione ad un'altra non so se faccia bene o abbia controindicazioni.

.........ma è bello essere radical chic anche come alimentazione.......sì, è la spocchiosità di chi è ricco

Angelo Cannata

#4
Mi sembra che l'argomento sia stato affrontato in maniera scorretta. Cioè, sono state attribuite ai vegetariani delle pretese ideologiche, quindi pretese di essere pervenuti a soluzioni definitive, conclusive, di certi problemi del mondo, per poi attaccare queste pretese.

Un mare di discussioni che mi accade di leggere contengono tutte questo meccanismo. In sostanza si dice all'altro: "La tua idea non vale niente perché non è una soluzione definitiva dei problemi del mondo". In questo modo si trascura, si dimentica, che l'altro potrebbe rispondere: "Ma chi ha mai preteso di risolvere i problemi del mondo? Chi ha mai detto che le mie idee debbano considerarsi conclusive e definitive?".

Tutte le obiezioni al vegetarianismo che avete posto crollano se si considera questa cultura non come un'ideologia, ma come un umile lavoro di crescita spirituale, che non ha alcuna pretesa di risolvere i problemi del mondo o instaurare nuovi ordini della natura.

In altre parole, se è possibile fare qualcosa affinché nel mondo ci sia un po' meno violenza, perché non farlo? A questo proposito può essere utile osservare che non esiste solo il vegetarianismo, o il veganismo, ma possono benissimo esistere anche forme intermedie, temporanee, parziali: per esempio, per oggi proverò a mangiare meno carne e più vegetali. E questo non per impelagarsi nelle discussioni infinite sulla quantità di sofferenza individuabile negli animali o nei vegetali, ma semplicemente perché noi umani abbiamo queste sensibilità, sensibilità verso la sofferenza.

In altre parole, ciò che il vegetariano cerca non è una limitazione oggettiva, esterna, delle sofferenze presenti nel mondo, ma piuttosto un provare a dare spazio alle nostre sensibilità umane verso le sofferenze e vedere cosa succede, senza alcuna pretesa di aver scoperto l'America.

Sappiamo già che nessuna visione è mai riuscita a descrivere in maniera fedele, completa, oggettiva, la situazione di come funziona la natura in merito alla sofferenza. Dunque, se non esistono visioni complessive, oggettive, perché non compiere tentativi di limitare le sofferenze nel mondo, qui e ora? Per altri luoghi e altri tempi si vedrà, ma se qui e ora io posso provare a fare qualcosa di positivo, perché non farlo?

Come avevo detto, se entriamo in questa diversa visione, tutte le critiche che avete scritto spariscono. Senza dubbio possono esistere vegetariani fanatici o con idee sbagliate, ma anche in questo caso si tratta di vedere come vogliamo gestire le discussioni: non ha senso pensare di demolire un movimento, un'idea, un'attività, dopo che in realtà nella discussione si è scelto di selezionare il peggio di quel movimento. È lo stesso meccanismo di tante critiche, per esempio, alla Chiesa: si seleziona nella discussione il peggio della Chiesa, per poi criticare la Chiesa intera. Si seleziona il peggio della filosofia per poter concludere che la filosofia non vale niente; si seleziona il peggio tra gli psicologi per dimostrare che la psicologia non vale niente.

È un modo di affrontare le questioni poco corretto, se non intellettualmente disonesto.

paul11

Angelo C,
e per quale motivo sarebbe scorretto argomentare che nutrirsi da vegeteriani è un fatto culturale, non direi  ideologico , forse ideologico sono i vegani, un estremismo vegetariano.
E' un fatto culturale, è una scelta, non certo gli è cresciuto un rumine , si sono dileguati gli enzimi delle proteine animali per la digestione ,quindi è una scelta.
Se poi questa scelta è giusta o sbagliata, ha dei pro o dei contro, è tutto da discutere.
Noi siamo onnivori e frugivori non siamo nella catena alimentare dei vegetariani tout court.

Il fatto poi che sia stato "pompato" da autori di libri come "Ecocidio" di Rifkin, da "guru" culturali, ha dei pro, ma anche dei contro.

Angelo Cannata

Citazione di: paul11 il 26 Novembre 2017, 00:47:17 AM
...per quale motivo sarebbe scorretto argomentare che nutrirsi da vegeteriani è un fatto culturale...?

Il punto della questione non è l'essere un fatto culturale. Al contrario, riguardo ai modi di nutrirsi come fatto culturale, veniamo a risultare tutti d'accordo in questa discussione:

Citazione di: InVerno il 18 Novembre 2017, 16:26:57 PM... i cosidetti "pezzi non pregiati" che in alcune culture sono valorizzati...

Io stesso l'ho definito cultura:
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Novembre 2017, 11:37:14 AM...le obiezioni al vegetarianismo che avete posto crollano se si considera questa cultura...

Il punto della questione riguarda l'opposto: il vegetarianismo è stato criticato come se esso avesse la pretesa di poter dettare al mondo un modo di nutrirsi definitivamente non violento, perfetto, finalmente pacifico. È stato presentato non come una cultura, ma come una pseudocultura, una non-cultura, un'invenzione senza radici serie, una pretesa di vivere un'illusoria pace definitiva con gli animali. Ma questo tutt'al più può essere il peggio del vegetarianismo e, come ho detto, non ha senso criticare un fenomeno nella sua globalità dopo aver selezionato solo il peggio delle sue manifestazioni.

sgiombo

Le questioni secondo me sono sostanzialmente due, ma hanno un' unica possibile (ma difficilissima!) soluzione (sociale).
Questione etica: far soffrire é male.
Questione ecologica: distruggere le condizioni naturali necessarie ala sopravvivenza delle specie umana é malissimo.
 
Questione etica
Per soffrire (e d essere felici) bisogna essere dotati almeno di coscienza; e si può soffrire (ed essere felici) di più se si é dotati anche di autocoscienza.
I vegetali, come i minerali, non presentano coscienza: a prescindere dai diritti delle generazioni umane e animali future, se ne può fare ciò che si vuole, senza scrupoli.
Gli animali hanno in maggiore o minor misura coscienza, ma tranne l' uomo, non hanno autocoscienza.
Quindi bisogna ridurne il più possibile le sofferenze.
Il che significa che si possono "eticamente" allevare, macellare e mangiare, alla condizione di limitare non poco il consumo umano medio attuale (pro capite; e complessivo, riducendo la popolazione umana) di carne, latte e derivati, uova, ecc. (non necessariamente eliminandolo del tutto) e adottando determinati, sufficientemente severi criteri negli allevamenti e nelle macellazioni (per esempio uccidendo gli animali di cui cibarsi con un colpo ben assestato alla testa singolarmente, senza che ci sia una fila di "condannati a morte" che si rendono conto della propria sorte imminente assistendo a quella dei propri conspecifici che li precedono; infatti gli animali non umani non pensano a se stessi e al proprio futuro, se non immediato, e non possono ricavare motivi di sofferenza dal timore di morire, se non nell' imminenza consapevole del proprio decesso).
 
Questione ecologica
Per non determinare l' estinzione "prematura e di sua propria mano" dell' umanità é (sarebbe, se ci si riuscisse; periodo ipotetico della -scarsissima- possibilità) necessario (non sufficiente; occorrono anche altri "accorgimenti") ridurre drasticamente le attuali produzioni e gli attuali consumi umani (pro capite; e globali, riducendo la popolazione umana complessiva; ovviamente non violentemente ma attraverso un accurato e il più possibile equo controllo delle nascite).
 
Fin qui il facile.
Il difficilissimo é realizzare queste condizioni eticamente ed ecologicamente necessarie (e non sufficienti).
Il che a sua volta necessita inevitabilmente come conditio sine qua non il sovvertimento dei vigenti rapporti sociali capitalistici e la sostituzione ad essi di rapporti sociali comunistici (che implicherebbe anche la realizzazione della giustizia sociale fra gli uomini attuali al posto delle mostruose ingiustizie vigenti; ma questo é un altro discorso).

Infatti sono i vigenti rapporti sociali capitalistici che inevitabilmente impongono in generale produzioni e consumi umani tendenzialmente crescenti e illimitati (in un ambiente realisticamente -e non: fantascientificamente- praticabile limitato), oltre che iniquissimamente distribuiti (ma questo é un altro discorso) fra l' altro di carne, dal momento che necessariamente impongono la concorrenza fra imprese produttrici private a breve termine e a qualsiasi costo (etico ed ecologico, fra gli altri), mentre entrambi i problemi necessitano (come condizioni necessarie; non sufficienti) inderogabilmente, per essere risolti, un' oculata e prudente pianificazione di produzioni e consumi, che a sua volta ha come inderogabile conditio sine qua non la proprietà sociale collettiva dei mezzi di produzione.