A Roma dimo così...

Aperto da doxa, 04 Novembre 2023, 19:46:08 PM

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Roma, aristocratica e plebea

La celebre invettiva romanesca, "Li mortacci tua" , di solito viene detta con cattiveria quando si guida l'auto ed è  rivolta verso un altro conducente che non rispetta il Codice della strada o per motivi di viabilità.

L'improperio, però, viene anche espresso  con un sorriso per manifestare la propria sorpresa quando s'incontra un conoscente dopo tanto tempo: "Li mortacci tua !, come stai ?"

Nel "Liber pontificalis" si può leggere che nell'anno 545 quell'insulto venne usato contro papa Vigilio (pontificò dal 29 marzo 537 alla sua morte, nel 555) da persone a lui contrarie perché  non aveva voluto accettare l'eresia monofisita.

Il monofisismo (dal greco "monos" (= unico) + "physis" (= natura) è  il termine usato dalla teologia cattolica per indicare la forma di cristologia elaborata nel V secolo dall'archimandrita greco Eutiche, secondo la quale la natura umana di Gesù era inclusa in quella divina, perciò in lui era presente solo la natura divina.

Secondo il Liber Pontificalis, il 22 novembre dell'anno 545  mentre il pontefice stava celebrando la Messa in occasione della festa di Santa Cecilia nell'omonima basilica nel rione Trastevere, il legato imperiale  Antimo, impose al pontefice di mettersi immediatamente in viaggio per Costantinopoli su ordine dell'imperatore bizantino Giustiniano.  Il papa fu condotto sull'imbarcazione nel fiume Tevere,  ormeggiata nel porto fluviale di Ripetta.

Le tante persone presenti alla scena, non sapendo il motivo  dell'urgente trasferimento papale, anziché reagire uniti per difenderlo si divisero per opinioni diverse, chi lo compiangeva e chi  lo malediceva, perché in quel periodo Roma era assediata dai Goti di Totila  e tutta la popolazione versava nella miseria.  Molti pensarono che quella di Vigilio fosse una fuga dalla difficile situazione in città.

Chi lo insultava  gli gridava: "Male fecisti Romanis, male invenias ubi vadis!" (= Hai fatto del male ai cittadini di Roma, che  tu possa trovare il male dove ora vai!). E aggiungeva: "Mortalitas tua tecum pro te" (Tutti i tuoi morti con te e per te!). Da questa frase deriva quella più concisa: "mortacci tua".

Papa Vigilio non rivide più Roma, Durante il viaggio di ritorno  da Costantinopoli morì a Siracusa il 7 giugno dell'anno 555.

A complemento dell'ingiuria c'è da aggiungere un'altra frase, ormai in disuso,  in dialetto romanesco o romano: "Mortacci tua, e de tu' nonno in carriola. . ., con riferimento agli anziani ricoverati  nelle corsie ospedaliere o nelle ali aggiunte durante le epidemie, quando non era possibile curare tutte le persone e non si poteva avere sempre un posto letto. Ma i malati non venivano collocati nelle carriole: erano sedie con ruote, sulle quali venivano adagiati i corpi di vivi o morti..



Gli anziani che non potevano essere assistiti dai loro familiari venivano portati negli "spedali". Ricevevano cure palliative, un po' di cibo, ma sostanzialmente erano parcheggiati in attesa di morire.


Da aggiungere che a Roma e in altre zone del Lazio quando tuona durante i temporali i bambini, specie nel passato, chiedono  "Mamma, cos'è questo rumore?",  e la madre risponde: "Nonno in cariola!" (a Roma si pronuncia con una sola "r").

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Nel 1969 la docente universitaria Nora Galli de' Paratesi scrisse il libro titolato "Le brutte parole. Semantica dell'eufemismo". Uno studio sulla "censura" del linguaggio, sulle parole "proibite". Lo scopo del testo è quello di trovare le motivazioni psicologiche che vietano di pronunciare una parola, una frase.

Per evitare o sostituire le parole tabu si usa l'eufemismo.

Nel passato l'auto-censura entrava in azione per parole che riguardavano il sesso, la "decenza", oggi si esercita sulle parole del politicamente corretto. Quindi, il potere coercitivo dell'eufemismo dipende dalla società.

Il disagio nel pronunciare o scrivere determinate parole può derivare da vari fattori: il timore di offendere l'interlocutore, l'interdizione religiosa, il pudore, ecc..


Stasera la frase che ho scelto nel dialetto romanesco è "colorita, "sorge spontanea dal profondo dell'antro, specie per motivi di viabilità: "fijo de na mignotta". Nel Nord Italia prevale "figlio di puttana", nel Sud, in particolare in Campania, "figlio 'e 'ntrocchia".

La frase a me interessa soltanto dal punto di vista etimologico e storico, non mi suscita ilarità.

Se non è gradita, "no problem":  i moderatori possono togliere i tre post che dedico a questa locuzione.


Secondo un'interpretazione diffusa, l'espressione "fijo de na mignotta", deriva dalla frase "filius matris ignotae" (= figlio/a di madre ignota) che veniva scritta sui registri anagrafici per i neonati abbandonati.

Frequentemente l'annotazione veniva abbreviata in: "m. ignotae". Nel parlato popolare le due parole vennero unite, composte, e formarono il neologismo "mignotta".

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La "Ruota degli Esposti" e i "Filius di Matris ignotae".

Adesso vi faccio vedere la foto di una "ruota degli esposti" (tutelata da una grata), visibile a Borgo Santo Spirito, vicino al Vaticano.

E' nel lato esterno della "Corsia sistina" (da non confondere con la "Cappella Sistina), che faceva parte dell'antico ospedale di  "Santo Spirito in Sassia".



Vicino  la "ruota" è visibile la cassetta per le offerte. Sul marmo  c'è scritto: "Elemosine per li poveri projetti dell'hospidale"  "proietti" significava "trovatelli", "fanciulli abbandonati", poi usato come cognome del neonato, idem "Diotallevi". A Napoli  da "esposti" è derivato il cognome "Esposito" e similari. 

Nei secoli la ruota del Santo Spirito ha salvato tanti neonati dalla morte ( ipotizzano circa mille ogni anno). Fu abolita  nel 1923. 

Le famiglie povere non potevano permettersi di mantenere un altro figlio, di solito non voluto.

Papa Innocenzo III (pontificò dal 1198 al 1216) per non far uccidere i neonati (anche gettandoli nel Tevere) nell'ospedale di Santo Spirito fece creare  la "ruota degli esposti", tramite la quale le madri o loro parenti, in modo anonimo, potevano abbandonare i piccini per affidarli alle cure dell'ospedale e delle balie che lo frequentavano per allattare neonati non loro,  in cambio di denaro.

La "ruota degli esposti" era simile ad un ruotante  barilotto di legno con sportello. Dall'esterno  vi veniva adagiato in forma anonima, l'"esposto",  il neonato di genitori ignoti.


Foto di un'altra ruota degli esposti.

Chi lasciava "er pupo" tirava la corda di una campanella per avvertire dell'abbandono. Dall'interno la suora, faceva girare la "ruota" e prelevava il "pargolo" per affidarlo alla cura e tutela all'interno dell'ospedale. 

Quando quei bambini raggiungevano l'età adulta (la minoranza, altri morivano di malattie) il loro destino cambiava in base al sesso: i maschi apprendevano un lavoro e venivano avviati all'attività lavorativa,  le femmine, invece, venivano addestrate alla cura della famiglia.  Per loro ogni anno venivano svolte le cosiddette "processioni" in date prestabilite, a cui erano invitati i giovani  che cercavano una moglie.  Se  avveniva il "fidanzamento la donna era libera di andare, se invece restava nubile era destinata a diventare suora oppure a lavorare come domestica di un vescovo o cardinale  oppure  in una famiglia nobile.

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Nel linguaggio contemporaneo la locuzione  "fijo de na mignotta" o "figlio di mignotta"  può avere diversi significati: una persona da disprezzare, un individuo astuto, un "cordiale saluto tra amici durante un  casuale incontro: "a fijo de na mignotta, come stai ?".

I più precisi distinguono nel dire "fijo de mignotta" come complimento  ad una persona furba,  invece "fijo de 'na mignotta", come insulto ad una persona, mirando alla immaginaria "professione della madre".

"Vviè cqua, a fijo de 'na mignotta",  anche questa tipica espressione può essere detta in modo minaccioso oppure in senso ironico, dipende dal contesto.

Nell'uso della lingua italiana il ricorso al turpiloquio  è generalmente utilizzato in situazioni specifiche, come sfogo alla propria aggressività. Invece a Roma la parolaccia  a volte è considerata parte integrante di tranquilli dialoghi, è percepita come rafforzativo di alcuni concetti, diventando  essenziale in alcune circostanze per far capire meglio all'interlocutore.

Dipende dal tono di voce (scherzoso o adirato), dalla situazione in cui viene detta la parolaccia, dal linguaggio non verbale: la gestualità. 

Nei secoli passati  il "panorama espressivo"  era usato anche dall'alto clero e dai nobili, specie quando parlavano con la "plebe".

Un aneddoto vuole  che sia stato "parolacciaro" il papa Benedetto XIV: Prospero Lorenzo Lambertini, che pontificò dal 1740 al 1758.




fine

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Le tante parole che molti italiani usano, anche lontano da Roma, forse senza sospettarne l'origine capitolina:

bùfala
= notizia falsa;

caçiara = confusione;

fregnaccia e frescaccia = sciocchezza;

jella = sfortuna;

pènnica = sonnellino;

peracottaro = persona inattendibile e pasticciona;

scanzonato
= scherzoso, disinvolto, ironico;

sfottere = prendere in giro;

sturbo = svenimento;

zozzo = sporco;

cecagna = sonnolenza;

daje, eddàje = usato come segnale d'impazienza o di disappunto quando accade una cosa  spiacevole;

stacce = rassegnarsi;

ce pò sta = è possibile, è plausibile, è accettabile.

Per chi volesse saperne di più vi segnalo il recente "Vocabolario del romanesco contemporaneo",  edit. da Newton Compton, pagg. 480, euro 14,90, elaborato da Paolo D'Achille e Claudio Giovanardi.

Il dialetto romanesco è come un cocktail: un terzo di origine meridionale, un terzo dal toscano (che risale agli sconvolgimenti demografici avvenuti nell'Urbe tra la fine del Medioevo e l'inizio dell'età moderna), e un terzo dalle successive importazioni e innovazioni, che da Roma capitale si sono irradiate in tutta la penisola.

Il romanesco contemporaneo, quello che oggi si parla a Roma è un misto di dialetto e lingua "colta", che produce un "italiano di (de) Roma".

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Roma, piazza Trilussa, monumento dedicato al poeta romanesco Carlo Alberto Salustri, detto "Trilussa".

Piazza Trilussa è situata tra il Lungotevere della Farnesina ed il Lungotevere Raffaello Sanzio, di fronte a Ponte Sisto, fatto costruire dal pontefice Sisto IV in occasione del giubileo del 1475.

Sulla destra, guardando la foto, c'è l'epigrafe marmorea con incisa la sua ironica poesia titolata "All'ombra"



La traduzione: "Mentre mi leggo il solito giornale sdraiato all'ombra di un pagliaio vedo un porco e gli dico: – Addio, maiale! vedo un asinello e gli dico: – Addio, somaro! Forse queste bestie non mi capiranno ma provo almeno la soddisfazione di poter dire le cose come stanno senza paura di finire in prigione".

Ed ora alcune parole quasi in disuso che incitano un individuo alla violenza verso un altro: sfonnalo, sdrumalo, gonfialo, spaccalo,  arompilo, sventralo, aricomponilo.

Parole dialettali ancora in uso:

"a bizzeffe" = in gran quantità;

"a bonbisogno" = all'occorrenza, se serve;

"a bracalone" = chi indossa pantaloni larghi;

"na caterva" = gran quantità;

" a cecio", oppure "a faciolo"
= al momento giusto;

" te la fai a fette" = camminare a piedi;

" a pedagna" =  camminare a piedi;

" a sbafo"
= senza pagare"; per esempio: mangiare senza pagare;

" a scrocco" = a spese di altri.  

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#6
Buongiorno Eutidemo,

cia sapevi questa ?

clicca sul link e senti che dice

https://www.instagram.com/anima_di_roma/reel/C3DeilUtFza/

Eutidemo risponde: cio so, cio so !  ??? :))


ascolta pure quest'altra:

https://www.instagram.com/anima_di_roma/reel/C20JlUhNCzl/

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"Me so' magnato er fegato": 

fegato in senso metaforico, non "frattaglia" ma il suo fegato per la delusione ricevuta dalla partner 

Gigi Proietti

cliccare sul link

https://www.youtube.com/watch?v=8nTq-EHqtDU

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