"SOCIAL NETWORK" e "CENSURA": il caso TRUMP.

Aperto da Eutidemo, 18 Gennaio 2021, 15:16:49 PM

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Eutidemo

PREAMBOLO
In tutti i Paesi democratici, in maggiore o minore misura, è riconosciuto a chiunque il diritto di poter manifestare liberamente il proprio "pensiero" e le proprie "opinioni" in tutte le forme consentite, senza che nessuna entità, sia essa pubblica o privata, possa permettersi di censurarlo in alcun modo; il problema, però, riguarda appunto  quali siano "le forme consentite", come meglio vedremo più avanti.
Restando all'"aspetto soggettivo", il problema della "censura" si pone oggi in modo alquanto diverso rispetto al passato; ed infatti, storicamente, il "soggetto censore" poteva essere soltanto il potere costituito, attraverso eventuali leggi restrittive.
Per questo, non a caso, il Primo Emendamento USA stabilì "Il Congresso non farà alcuna legge che limiti la libertà di parola o di stampa".
Però, in passato, un "soggetto censore" privato non esisteva!
E' vero che i giornali non erano certo obbligati a pubblicare tutte le "Lettere al Direttore" che ricevevano; ma a nessuno passò mai per la mente di considerarla una sorta di "censura" (anche se a volte, di fatto lo era).
Come non passò mai in mente a nessuno di considerare una sorta di "censura" la rimozione di "post-it" ritenuti impropri, dalla bacheca di un ufficio (privato o pubblico che esso fosse), da parte del titolare del medesimo.
Ma, con l'avvento di INTERNET, e, in particolare, dei "social network" nati alla fine degli anni novanta e divenuti molto più popolari nel decennio successivo, le cose sono molto cambiate, e, quindi, il problema si pone in modo un po' diverso.
Ed infatti il "social network" è come una immensa "bacheca virtuale" in cui, a determinate condizioni, una volta registratosi, ciascuno può affiggere i propri "post it" con messaggi di tutti i generi; però, in ogni caso, anche la "bacheca virtuale" un "soggetto proprietario" ce l'ha, il quale, quindi, detiene determinati diritti ed è soggetto a determinati doveri riguardo ai suoi contenuti.
Ma questo è solo un brevissimo preambolo storico-orientativo circa gli "attori" in campo, per introdurre un discorso che si presenta molto più complesso di quanti molti pensano.
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IL PRINCIPIO DELLA LIBERA MANIFESTAZIONE DEL PENSIERO, ED I SUOI LIMITI
In via molto generale, possiamo dire che il diritto di esprimersi liberamente, sia in privato che in publico, incontra un limite nel diritto degli altri cittadini di non essere lesi da tali espressioni.
Quindi, gli stessi "soggetti" che potrebbero limitare o condizionare la libera manifestazione del "pensiero" di alcuni cittadini (come i "social network"), a volte potrebbero a loro volta essere condizionati e/o indotti ad applicare la censura anche quando non vorrebbero, in quanto costretti a farlo dall'interpretazione della legge che altri cittadini potrebbero invocare a loro tutela; e che potrebbero agire in giudizio contro di loro, per responsabilità indiretta (talvolta anche con massive "class action").
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Per ora, limitiamoci a tener presente, per sommi capi, in che modo la legge italiana (in questo molto simile alle leggi di tutto il resto del mondo civile) "riconosce" e, nel contempo, "limita" la libertà di espressione, in vari modi.
Al riguardo, l'art.21 della nostra Costituzione stabilisce che, in via di principio: "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione." Tuttavia, il sesto comma di detto art.21,  precisa che è vietata ogni manifestazione che risulti contraria al "buon costume".
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Concetto, questo, alquanto arduo da definire, ma che appare un po' in tutte le Costituzioni dei Paesi Democratici; ad esempio, in U.S.A., il "Communications Decency Act" pone dei paletti al Primo Emendamento in materia di "decenza" (soprattutto a tutela dei minori, ma non solo).
In entrambi i casi, che approfondiremo in seguito, ed in quelli analoghi riscontrabili in tutto il mondo, a parte l'"oscenità visiva", cioè la "pornografia", il problema si pone più che altro per quanto concerne la formulazione su INTERNET (o altrove) di teorie che sostengano delle tesi contrarie alla "morale" corrente; ed infatti, postare su INTERNET una fotografia del proprio sedere, può essere considerato lecito o meno, ma difficilmente può considerarsi una "libera manifestazione del proprio pensiero".
Per quanto, invece, concerne le teorie che sostengono delle tesi contrarie alla "morale" corrente, di primo acchito, verrebbe da rispondere che, al riguardo, non dovrebbe venir posto alcun limite, perchè si tratta di mere manifestazioni del pensiero; però, in alcuni casi, secondo me, la questione non è poi così semplice.
Ad esempio, può considerarsi lecito formulare pubblicamente delle tesi che giustifichino la "pedofilia"? Il tema è così delicato che merita di essere trattato a parte, come mi riservo di fare.
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LE RESPONSABILITA' LEGALI PER I CONTENUTI
Più in particolare, la libertà di manifestare il proprio "pensiero" e le proprie "opinioni", incontra un limite nella libertà degli altri di non essere "ingannati", "diffamati" o "minacciati".
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A) LE "BUGIE".
Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè, in generale, le "bugie",  chiunque diffonda notizie false, esagerate o tendenziose, dette volgarmente "bufale", per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico, non è protetto dall'art.21 della Costituzione, ed è quindi punito ai sensi dell'art. 656 Codice Penale (d'ora in poi C.P.) con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 309; sempre che  il fatto non costituisca un più grave reato, come molto spesso accade, nel qual caso le pene sono molto più severe (265, 269, 501, 658 ecc.C.P.).
In U.S.A., l'art. 768 del PENAL CODE, punisce con l'arresto o con la multa chiunque diffonda "bufale" atte a turbare l'ordine pubblico o la pubblica tranquillità ("Whosoever, announces, spreads, publishes or reports false, exaggerated or biased news intended to or capable of perturbing public order or tranquillity, is punishable with fine or arrest.").
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A parte i reati di cui sopra (e qualche altro su cui ho sorvolato per brevità), dire "bugie", sia dentro che fuori INTERNET, di per sè non costituisce affatto un reato; altrimenti, a cominciare dal sottoscritto, dovremmo finire tutti in galera.
Tuttavia occorre tenere presente che l'art.21  tutela il diritto di libera manifestazione del proprio "pensiero", ma non certo quello di dire "bugie"; ed infatti, raccontare balle, non costituisce certo una manifestazione del proprio "pensiero", o delle proprie "opinioni", bensì, semplicemente, una manifestazione della propria "disonestà intellettuale"!
Il che, almeno "concettualmente", è una cosa ben diversa.
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Va bene, direte voi, ma come si fa a distinguere un'"opinione" da una "bugia"?
Per rispondere, farò appello al mio usuale esempio, in base al quale, se adesso sta piovendo:
- qualora io dicessi, "secondo me, tra poco smetterà di piovere e spunterà il sole", starei soltanto esprimendo una opinione (più o meno giusta che poi essa si possa rivelare);
- qualora, invece, io dicessi, "adesso non piove", starei semplicemente mentendo.
Sotto l'aspetto "concettuale", non credo che questo possa essere messo in dubbio da nessuno; e, a ben vedere, neanche sotto l'aspetto "pratico", perchè, se si scopre che un testimone ha detto una "bugia", finisce in galera.
Ed infatti, in tal caso, non si sarebbe limitato ad esprimere liberamente il proprio pensiero...ma avrebbe mentito!
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In molti casi, purtroppo, anche avendo a disposizione un "poligrafo", distinguere il vero dal falso non è come scoprire se piove o non piove; io, anche per deformazione professionale, di solito ci riesco "quasi sempre", però, se affermassi che ci riesco "sempre", allora sarei io ad aver una bugia!
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E' fuori di dubbio, peraltro, che alcune professioni (non solo i pubblicitari) usano il "falso" come "strumento narrativo"; ma, in genere, in tali casi si sa che la menzogna "fa parte del gioco", per cui nessuno può lamentarsi di essere stato ingannato.
Ad esempio, se qualcuno citasse in giudizio una ditta di profumi, perchè con la sua pubblicità, anche per mezzo dei "social network", gli aveva garantito che tutte le donne sarebbero cadute ai suoi piedi -ma questo non è accaduto-, il giudice gli tirerebbe in testa il flacone, e lo manderebbe a farsi friggere.
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Inoltre, bisogna distinguere nettamente tra:
- "bugie";
- "truffe".
Ed infatti, se io dipingessi una copia della Gioconda, e poi mi piazzassi ad un semaforo (o la postassi su un "social network") cercando di venderla, asserendo che si tratta della famosa opera di Leonardo, starei semplicemente dicendo una grossolana "bugia"; ed infatti, non avrei posto in essere "artifici e raggiri" idonei per poter configurare il reato di "truffa" ex art.640 C.P. (Cass. pen., Sez. VI, 28 ottobre – 31 ottobre 2016,  n. 45856).
Tale norma, infatti, quando parla di "artifici o raggiri", vuole intendere una vera e propria macchinazione nei confronti dalla vittima, una messa in scena preparata ad arte, fatta con l'unico scopo di trarre in inganno per trarne un profitto (anche non economico); la semplice "bugia",  invece, di per sé, è troppo poco per poter integrare il reato di "truffa", a meno che essa non si inserisca in un piano più complesso.
Per capire la differenza, basta guardare il bellissimo film "F come falso" (Vérités et mensonges), un film del 1973, diretto e interpretato da Orson Welles.
Merita di essere visto!
https://www.youtube.com/watch?v=fuhuZS-NMDw
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Diciamo che alcune bugie sono facili da scoprire, altre meno, e, quelle di tipo fraudolento, ancora meno; ma da questo a dire che il vero equivale al falso, o che le bugie non possono essere scoperte, ce ne corre!
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B) LA DIFFAMAZIONE
Al riguardo la giurisprudenza è unanime, in quanto con la sentenza numero 40083 del 6 settembre 2018,  la Cassazione ha ribadito che offendere una persona pubblicando frasi diffamatorie su un "social network", non costituisce manifestazione del pensiero garantita  dall'art.21 della Costituzione, ed è quindi punibile ex articolo 595 C.P. con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032; in caso di "calunnia", però, ai sensi dell'art.368 C.P., la pena va da un minimo di due anni di reclusione, ad un massimo di sei.
Lo stesso, più o meno, vale anche in U.S.A., in quanto, eventuali dichiarazioni (su INTERNET o altrove) che danneggino la reputazione di una persona possono portare a responsabilità civile e persino a punizioni penali (New York Times contro Sullivan (1964).
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Al riguardo, peraltro, si tenga presente che la "diffamazione", che consiste nell'offendere  l'altrui reputazione ,  non ha niente a che vedere con la "bugie"; ed infatti, se io vado dicendo in giro (magari anche su TWITTER) che Tizio è un ladro, commetto il reato di diffamazione anche se la cosa è del tutto vera.
Ed infatti, l'aver commesso un illecito, anche se riprovevole, non comporta la perdita del diritto all'onore; pertanto, anche su un "social network", è considerato un reato dare del ladro un ladro, anche se è stato definitivamente condannato per furto.
Ed infatti, l'art.596 C.P. stabilisce che"...chi si è reso colpevole del delitto di  diffamazione, non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa."
Il che vuol dire che, anche se è a tutti noto che una persona ha rubato o ha commesso altre condotte disdicevoli non si è ugualmente autorizzati ad offenderlo rinfacciandoglielo, nè su INTERNET nè altrove.
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Tuttavia, in determinati casi, prevale la tutela del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero ai sensi dell'art.21 della Costituzione;  ed infatti, in una recente sentenza,  la Corte di Cassazione  ha annullato una precedente condanna inflitta ad un docente che aveva definito il proprio dirigente scolastico un "ladro".
La Corte ha annullato la condanna in quanto anche termini oggettivamente offensivi possono "in un contesto di polemica politica e sindacale costituire legittimo esercizio del diritto di critica circa l'operato della parte offesa"; la critica – ha osservato la Corte – può essere anche aspra, esagerata e aggressiva purchè abbia finalità politica o sindacale e non rappresenti un attacco specifico alla persona.
La questione però è ancora molto controversa!
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C) LE MINACCE
Per quanto riguarda il terzo aspetto, cioè le "minacce", chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno, anche sui "social network",  è punito, a querela della persona offesa, ex art. 656 C.P. con la multa fino a 1.032 euro.
La stessa cosa vale in U.S.A., in quanto, ovviamente, le "minacce", non sono ovviamente tutelate dal primo emendamento. (Watts v. Stati Uniti 1969).
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Ma che cos'è una minaccia?
La risposta sembra semplice, mentre, invece, non lo è affatto.
Ad esempio, nella sesta puntata della prima stagione di "The Good Fight", intitolata "Social Media e Malumori" del 19 febbraio 2017, un team di avvocati che ha assunto la consulenza di un "Social Media" proprio sul tema di ciò che il gestore del Network può -e deve- censurare su INTERNET e cosa no, discute animatamente circa la differenza tra i seguenti due "post" (tradotti liberamente):
"Sarebbe giusto venire a casa tua, e stuprarti; te lo meriteresti, perchè non riesco ad accettare l'idea che tu mi abbia lasciato per metterti con Fred!"
" Verrò a casa tua e ti stuprerò; te lo meriti, perchè non riesco ad accettare l'idea che tu mi abbia lasciato per metterti con Fred!"
Secondo alcuni avvocati dello Studio, si tratta in entrambi i casi di una "minaccia", più o meno velata; per altri, invece, nel primo caso l'utente si sarebbe limitato ad esprimere un'"opinione", per quanto deprecabile...e, quindi, sarebbe tutelato dal primo emendamento.
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In altri casi, invece, si può discutere se si tratti di una "minaccia", oppure di un semplice "auspicio"; che, almeno formalmente, sono due cose diverse.
Ad esempio:
"Brutto bastardo, vedrai ti farò fare un brutta fine!"
"Brutto bastardo, vedrai che farai un brutta fine!"
A mio avviso, non esiste una regola generale, basata solo sulla sintassi e sulla semantica, ma occorre tenere conto:
- dei "soggetti" attivi e passivi;
- del contesto generale.
***
Un gravissimo caso a parte, è quello in cui la "minaccia" sia rivolta contro le istituzioni e le democratiche procedure elettorali dello Stato.
Al riguardo:
a) In Italia
Ai sensi dell'art. 284 del Codice Penale, "Chiunque promuove un'insurrezione armata contro i poteri dello Stato è punito con l'ergastolo; e, se l'insurrezione avviene, con la morte."
Tale norma originaria, è stata emendata, poichè, ormai, in Italia, la pena di morte non è più prevista in nessun caso; quindi, in entrambe le fattispecie, si applica solo l'ergastolo. Storicamente è però interessante notare che, nella versione originale, era prevista la pena di morte addirittura in forma aggravata; cioè, tramite fucilazione alla schiena!
b) in U.S.A.
Il 18° Codice USA § 2383, intestato "Ribellione o Insurrezione", che è molto più mite del nostro, sancisce che: "Chiunque <<incita>>, mette in piedi (sets on foot), assiste o si impegna in una ribellione o insurrezione contro l'autorità degli Stati Uniti o le leggi degli Stati Uniti, o fornisce aiuto o conforto a ciò, sarà multato ai sensi di questo titolo o imprigionato non più di dieci anni, o tutti e due le cose; e non sarà in grado di ricoprire alcuna carica pubblica  negli Stati Uniti d'America." (Whoever incites, sets on foot, assists, or engages in any rebellion or insurrection against the authority of the United States or the laws thereof, or gives aid or comfort thereto, shall be fined under this title or imprisoned not more than ten years, or both; and shall be incapable of holding any office under the United States of America.")
c) Nel resto del mondo.
Per tale tipo di reato, in prevalenza, è prevista la "pena capitale" o pene detentive molto gravi.

Eutidemo

#1
PARTE SECONDA
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CHE COSA "PUO' O NON PUO'", OVVERO "DEVE O NON DEVE" CENSURARE UN "SOCIAL NETWORK" (che è solo uno dei vari tipi di "provider")?
Dopo la precedente lunga prima parte, che, però, ho ritenuto necessaria per affrontare meglio il merito della questione, siamo giunti al nocciolo del problema; e, cioè, il RAPPORTO che intercorre tra i SOGGETTI e gli OGGETTI (o meglio i "contenuti") della comunicazione, ai quali abbiamo separatamente accennato sopra.
Ed infatti i gestori di un "social nework", in determinati casi, potrebbero essere indotti a censurare dei post, o, addirittura, a "bannare" un inserzionista, al fine di evitare i rischi legali derivanti:
- da un intervento da parte dell'autorità costituita;
- da un intervento da parte di altri utenti di INTERNET (o anche da parte di non utenti), che si sentono danneggiati da determinati post.
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LA RESPONSABILITA' DEI PROVIDER IN GENERALE, E DEI SOCIAL NETWORK IN PARTICOLARE
Quanto al profilo della responsabilità soggettiva, e, cioè a quella dei gestori in generale (provider):
A)
Da questa parte dell'oceano, la direttiva europea sul commercio elettronico n. 2000/31/CE, a cui in Italia è stata data attuazione con d. lgs. n. 70/2003, ha permesso di attribuire in qualche caso ai provider -in generale- la responsabilità civile di tipo extracontrattuale (ex art. 2043 c. c.) per gli illeciti commessi dai loro utenti.
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La normativa appena richiamata prevede tre diverse categorie di "intermediari digitali" (provider) che, a seconda del livello del loro coinvolgimento nelle attività dell'utente, godono di diversi regimi di "esenzione da responsabilità civile indiretta" (cioè derivante dalle condotte degli utenti);  commisurata, come detto, al maggiore o al minor grado della loro "neutralità" rispetto ai contenuti:
- i prestatori di servizi di semplice trasporto (attività di mere "conduit");
- i prestatori di servizi di memorizzazione temporanea (attività di "caching");
- i prestatori di servizi che memorizzano – non temporaneamente, ma durevolmente – le informazioni fornite dagli utenti (attività di "hosting").
Ma noi ci siamo prefissi di esaminare solo il  caso dei "social network".
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I "SOCIAL NETWORK".
In tale fattispecie, come tutti noi sappiamo per conoscenza diretta, le cosiidette "clausole d'uso", che gli utenti dei "social network" sottoscrivono nel momento in cui accedono per la prima volta al servizio, sottolineano con evidenza la completa estraneità del provider rispetto alle condotte eventualmente illecite degli utenti che immettono contenuti online.
Ma questo è sufficiente a sollevare il gestore da ogni responsabilità?
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Per rispondere a tale domanda, occorre tenere presente che i gestori dei "social network sites" traggono profitto proprio attraverso la raccolta dei dati personali e sensibili degli utenti (il cosiddetto "user data profiting"), di cui gli "inserzionisti pubblicitari" si servono al fine di individuare i profili cui destinare pubblicità mirata in base ai gusti, alle preferenze e alle loro attitudini individuali ("behavioural advertising").
Per non parlare degli usi e degli abusi che ne fanno, ai fini elettorali, gli "inserzionisti politici":
- sia direttamente, nel proprio Paese;
- sia indirettamente, attraverso i "bot", sia nel proprio Paese che in quelli altrui.
I "bot", sono i numerosi utenti fittizi ("account fake"), soprattutto Russi ma non solo, presenti sui vari "social network" che postano notizie false, distorte e tendenziose, che tendono a indebolire l'avversario politico,  spostando voti fondamentali per la vittoria finale; la precedente campagna elettorale statunitense e quella sulla BREXIT ne sono state una palmare dimostrazione.
Ma su questo mi riservo di aprire un apposito TOPIC.
Per restare, invece, all'aspetto commerciale, attraverso l'utilizzo di appositi algoritmi, i gestori dei "social network" sono in grado di evidenziare alcuni contenuti ("trending feeds") rispetto ai quali le interazioni fra utenti sono più frequenti, raccogliendo intorno ad essi pubblicità mirata; per cui, ormai, i "social network", a differenza degli altri "provider" non si limitano più a svolgere un'attività di "hosting neutrale", ma intervengono direttamente nell'organizzazione, nella gestione e talvolta anche nell'editing dei contenuti, al fine di aumentare i ricavi derivanti dalla raccolta pubblicitaria.
ll che, giustamente, fa aumentare la loro responsabilità giudiziaria riguardo ai contenuti "postati", e, quindi, la loro sensibilità ed attenzione (a volte censoria) nei loro riguardi.
***
A parte tale aspetto, a volte non troppo facile da comprendere, è invece molto più evidente come i "social network" stiano gradualmente sviluppando forti sinergie con il settore dell'editoria tradizionale; questo, per sfruttare a loro vantaggio l'affidabilità e la credibilità di cui gode la stampa, e con l'effetto di occupare progressivamente lo spazio appartenuto finora all'editoria.
Per cui, nel momento in cui i gestori delle piattaforme di social networking, profilando i gusti e le preferenze degli utenti, riescono a mettere in evidenza le "news" più interessanti per ciascuno di essi, opportunamente corredate da pubblicità mirata dalla quale il provider trae profitto, è difficile non paragonare questa attività a quella tipicamente editoriale; e, poichè in ambito editoriale non c'è alcun dubbio circa la responsabilità dell'editore, molti sostengono che questa, ormai, non può non gravare anche sui gestori dei  "social network".
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Per cui, visto che, almeno da qualche anno, i "social network" possono essere senz'altro assimilati, almeno in riferimento a talune loro attività, agli editori della stampa tradizionale, secondo alcuni ne discenderebbe che la loro responsabilità penale, rispetto alle fattispecie delle "bugie","diffamazioni" e "minacce" emergenti dai post pubblicati sulle loro piattaforme, dovrebbe risultare analoga a quella del direttore responsabile di pubblicazioni periodiche o dell'editore/stampatore di pubblicazioni non periodiche (artt. da 57 a 58 bis del codice penale); il che li indurrebbe ad essere più cauti, e più inclini a censurare i post più "pericolosi".
Secondo me, almeno in Italia (e in USA), questa interpretazione non è "de iure condito" sostenibile, in base al principio del "divieto della analogia in ambito penale" (Cassazione n. 35511/2010; n. 31022/2015; n. 12536/2016);  ma in altri Paesi, onestamente, non saprei proprio dire!
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Però, ipotetica "responsabilità editoriale" a parte, ricordo che la Corte di Cassazione, confermando la condanna per "concorso nel reato di diffamazione" applicata in appello al gestore di un "social network" per non aver rimosso prontamente un commento diffamatorio postato da un utente, ha confermato la tesi della sussistenza di un "obbligo di rimozione", in capo ai gestori dei siti, di ogni contenuto potenzialmente offensivo pubblicato dagli utenti, di cui il gestore sia venuto in qualsiasi modo a conoscenza (sentenza n. n. 54946/2016); il che, ovviamente, vale anche per  ogni altro contenuto potenzialmente delittuoso, come da me esposto nella prima parte di questo TOPIC.
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Per cui questa mia seconda parte si riallaccia alla prima, nel senso di evidenziare come, talvolta, quella che viene vista come una iniqua volontà censoria da parte "social network",  altro non sia se non una mera cautela da parte loro, al fine di evitare di incorrere in responsabilità penali!
E, questo, sia in Italia, sia in USA, sia in qualsiasi altra parte del mondo!
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Il rischio, però,  è quello di incoraggiare oltre misura, da parte dei provider, l'applicazione di forme di censura "privata" preventiva a fini cautelativi; le quali, in effetti, in taluni casi potrebbero  effettivamente risultare lesive del diritto di libera manifestazione del pensiero.
Come dicevano i nostri antenati: "Est modus in rebus!".
***
Con un approccio, secondo me un po' "cerchiobottista", la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, in alcune recenti sentenze (Delfi c. Estonia, 2013 e 2015; MTE e Index c. Ungheria, 2016; Pihl c. Svezia, 2017) che riguardavano la legittimità dell'obbligo imposto dai giudici nazionali ad alcuni gestori "social network"– di rimuovere alcuni commenti diffamatori pubblicati dagli utenti e di risarcire il danno subito dai soggetti diffamati, ha, in sintesi, ritenuto quanto segue:
a)
Il gestore del "social network" è tenuto "motu proprio" a rimuovere prontamente (cioè a "censurare") i commenti dal contenuto offensivo, soprattutto nel caso in cui questi ultimi, oltre che diffamatori, contengano anche incitamento all'odio e alla violenza.
b)
Tuttavia, nel caso di commenti di minore gravità – cioè lesivi della reputazione, ma non tali da incitare all'odio e alla violenza– l'attribuzione di "responsabilità indiretta" per diffamazione al provider che ospita tali commenti nel proprio sito, è illegittima, purché il gestore del sito abbia provveduto tempestivamente alla rimozione dei contenuti diffamatori a seguito della segnalazione della persona offesa.
***
Giurisprudenza a parte, nel maggio del 2015, la Commissione europea ha adottato una comunicazione intitolata Strategia per il mercato unico digitale in Europa, nella quale si evidenziava la necessità di adottare misure per contrastare la diffusione di contenuti illeciti attraverso Internet; ed infatti, già allora, i "propalatori" dei "discorsi di odio" ("hate speech") e di "notizie false, distorte e travisate"  ("fake news") si erano moltiplicati in modo preoccupante, come i putridi liquimami tracimanti da una fogna.
La consultazione pubblica si è svolta fra il 24 settembre 2015 e il 6 gennaio 2016, e, sulla base dei pareri della stragrande maggioranza, la Commissione europea ha pubblicato la Comunicazione n.555/2017,  concernente la lotta alla diffusione online dei contenuti illeciti attraverso una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme.
I criteri fissati sono tre:
- le autorità competenti dovrebbero individuare regole chiare, da indirizzare agli operatori del settore, sulla definizione dei contenuti illeciti e sulle corrette procedure da seguire per eliminarli;
- i gestori delle piattaforme, in base a tali regole, e in ottemperanza al principio della "due diligence", dovrebbero approntare soluzioni tecniche idonee a raccogliere efficacemente le segnalazioni riguardanti i contenuti illeciti, in modo da poter provvedere alla loro rapida rimozione;
- dovrebbero infine essere approntate solide garanzie per limitare il rischio di rimuovere contenuti leciti, sostenute da una serie di obblighi significativi di trasparenza volti ad aumentare la responsabilità dei processi di rimozione.
***
B)
Dall'altra parte dell'Oceano,  la Sezione 230 del Communications Act del 1934, viene comunemente interpretata nel senso che gli operatori di servizi Internet non sono "editori", e quindi, in generale, non sono legalmente responsabili per le parole di terzi che utilizzano i loro servizi; il che li esenta in gran parte dalla responsabilità relativa ai contenuti pubblicati dagli utenti, sebbene possano essere ritenuti comunque responsabili per i contenuti che violano la legge penale.
Cioè, più o meno, la situazione U.S.A non è poi molto diversa da quella europea.
Ed infatti, il Procuratore Generale degli Stati Uniti William Barr, dopo l'"oscuramento di Trump",  ha messo in dubbio se Facebook, Google, Twitter e le altre importanti piattaforme online possano ancora continuare a godere dell'immunità dalla responsabilità legale che, in passato, ha impedito loro di essere citati in giudizio per il materiale pubblicato dai loro utenti; e, questo, con la conseguenza, di suggerire loro di porre maggior attenzione alle "false informazioni", alle "diffamazioni" e alle "minacce" postate dai loro utenti, e, se del caso, "labellizzarle" o addirittura "censurarle".
Il procuratore generale del Nebraska, Doug Peterson, ha osservato che, comunque, la Sezione 230 non protegge affatto le piattaforme dall'"azione penale federale", ma (laddove opera) solo contro rivendicazioni civili o procedimenti giudiziari a livello statale; di conseguenza, i legislatori di entrambi i principali partiti politici USA hanno chiesto al Congresso di modificare la Sezione 230 in modi che potrebbero esporre le aziende tecnologiche:
- a più azioni legali;
- ovvero ad operare un maggior controllo sui post dei loro utenti (con significativo aumento dei loro costi di screening). 
Sempre ferma restando la loro attuale responsabilità, contro le "false informazioni", le "diffamazioni" e le"minacce" aventi rilevanza penale, postate dai loro utenti; delle quali i "social network" potrebbero essere ritenute "complici" (a seconda dei casi "colposamente" o "dolosamente".

Eutidemo

PARTE TERZA
***
Il CASO DONALD TRUMP
Per quanto concerne Donald Trump, sebbene (fortunatamente) abbia perso il titolo di Presidente degli Stati Uniti d'America, non sembra , però, che corra minimamente il rischio di perdere anche quello di Presidente Universale di tutti i "bugiardi", "diffamatori" e "minacciatori" del WEB (nel suo caso, WWW dovrebbe stare per World "Wild" WEB).
Considerata la vastità del suo repertorio, non possiamo che limitarci a qualche emblematico esempio.
A) BUGIE
Secondo un titanico (quanto vano), tentativo di calcolare le bugie di Trump, sui "social network" ed altrove, stando al "Wall of Lies" di New York esse ammonterebbero ad oltre 20.000; roba da Guiness dei Primati!
Non c'è dubbio alcuno che anche molti altri politici, pubblicitari, imprenditori, dirigenti d'azienda ecc. ecc. vivano di menzogne; ma, a parte per il numero, Trump eccelle anche per la "sfrontatezza" delle sue bugie.
In questo non lo batte davvero nessuno!
***
Ad esempio, il 28 gennaio 2020, nel corso di un "briefing" nello Studio Ovale, Donald Trump venne accuratamente informato della eccezionale gravità della pandemia in arrivo; però, in pubblico e sui "social media" dichiarò esattamente il contrario, e cioè, che si trattava di una semplice "influenza", non più pericolosa di quella stagionale.
Si trattò di libera manifestazione della propria opinione, sebbene poi dimostratasi errata?
Pare proprio di no!
Ed infatti, il 7 febbraio, per telefono, Donald Trump  confessò confidenzialmente a Bob Woodward che la situazione era molto più grave di quella che lui andava descrivendo pubblicamente, e esclamò testualmente: "Tu respiri l'aria e quella cosa ti entra dentro; è una cosa davvero più letale ("more deadly") dell'influenza".
La telefonata è stata registrata, e, sebbene in principio io fossi convinto che si trattasse di un "montaggio audio anti-Trump", che io sappia, non è mai stata smentita; però verificherò ancora, perchè la cosa continua ancora a sembrarmi "al confini della realtà".
https://www.youtube.com/watch?v=e1uQpTAXaNk
Nonostante questo, in quegli stessi giorni e per le settimane successive, Trump rassicurò costantemente la nazione, dicendo che il coronavirus non era peggiore di un'influenza stagionale, e assicurò che sarebbe presto sparito, "...forse addiritturaper Pasqua"; le sue dichiarazioni sui "social media", sono tutte in questo senso.
Nella telefonata lui ammette di mentire spudoratamente al suo Popolo, ma dice che lo fa soltanto "per non diffondere il panico".
Però, in tal modo, seguendo il suo consiglio:
- di non usare la mascherina;
- di non stare a prendere troppe altre precauzioni;
milioni di Americani, che si sarebbero potuti salvare se correttamente informati, sono morti di covid19.
Tuttavia, indubbiamente, sono morti "sereni"!
In ogni caso, per tornare al nostro tema, giustificabile o meno che fosse la menzogna di Trump (e, almeno secondo me, non lo era), quella non era affatto la "libera espressione del suo pensiero", bensì una colossale e consapevole "bugia"; la quale è costata la vita a decine di milioni di Americani, i quali, rassicurati dalle menzognere rassicurazioni del loro Presidente, non hanno preso le debite precauzioni per proteggersi dal virus.
Ma questo è solo un esempio, forse il più "grave" (ma forse non il più "ignobile") delle sue grossolane"bugie"; tuttavia non è perseguibile penalmente, perchè esiste solo il reato di ""procurato falso allarme", ma non quello di "smentita di un un allarme vero".
***
Altro "macroscopico" e "letale" esempio della "bugiardaggine online" di Trump, è la sua folle ed ostinata "panzana" di aver vinto le elezioni!
E' pur vero che si tratta di una così palese castroneria, che solo dei minorati mentali potrebbero prestarle credito; però, poichè, purtroppo, nel suo elettorato questi abbondano, anche una bugia così sfrontata ha avuto indubbiamente il suo letale effetto.
B) DIFFAMAZIONI
Le "diffamazioni online" di Trump, sono molto meno numerose delle sue "bugie online"; però ce n'è qualcuna per cui è stato persino citato in giudizio.
Ad esempio, c'è il caso di E. Jean Carroll, giornalista della rivista Elle, che ha accusato Trump di averla aggredita sessualmente, a metà degli anni '90, nello spogliatoio di un grande magazzino di Manhattan (Bergdorf and Goodman); la stessa, a sostegno delle sue accuse, avendo conservato le tracce dello sperma di Trump sul vestito che indossava in quel momento, aveva chiesto di poter fare il confronto con il DNA dell'(ex)Presidente, il quale, però, si era rifiutato, adducendo che non si poteva richiedere ad un Presidente in carica di sottoporsi ad un "tampone salivare".
Alla fine, però, nello scorso autunno,  il giudice della Corte Suprema dello stato di New York ha negato il tentativo del presidente Donald Trump di ritardare il test del DNA; tuttavia lui si rifiuta lo stesso, e i suoi avvocati stanno ancora facendo opposizione.
***
La cosa paradossale, è che:
- il Presidente Trump non ha mai denunciato la Carrol per diffamazione;
- è stata invece la Carrol a denunciare per diffamazione lui!
Pensavo di non aver capito bene, a causa di una mia errata traduzione dall'inglese (come a volte mi capita), ed invece è proprio così; ed infatti, la giornalista ha citato in giudizio Trump per diffamazione dopo che il Presidente, sia su FACEBOOK che altrove, l'ha accusata di aver mentito circa le molestie sessuali, solo per aumentare le vendite di un suo libro in uscita. 
***
Ma le denunce per "diffamazione" nei confronti di Trump, di recente, stanno vertiginosamente aumentando, con il connesso rischio di un coinvolgimento legale dei "social network" per il tramite dei quali le ha diffuse; in conseguenza delle sue infondate accuse di "brogli elettorali" a destra e a manca.
Il primo, sembra sia il caso di un dipendente senior di "Dominion Voting Systems", il quale ha citato Trump in giudizio per "diffamazione", in un tribunale del Colorado, per aver diffuso false teorie del complotto relative alle elezioni presidenziali di novembre che, come noto "lippis et tonsoribus", Trump ha perso contro il democratico Joe Biden.
Altre denunce del genere, qualcuna anche contro i "social network" coinvolti, sembra stiano arrivando anche da parte di altri "scrutinatori"; i quali si sono sentiti "diffamati" e "calunniati" su INTERNET da Trump, a causa della sua falsa accusa di aver alterato i risultati elettorali a suo danno.
A parte costoro, anche Eric Coomer, direttore della strategia di prodotto e della sicurezza per la società di tecnologia di voto, ha citato in giudizio Trump, la campagna di Trump e gli associati senior, tra cui l'avvocato Sidney Powell e l'avvocato personale del presidente Rudy Giuliani, per "diffamazione" su INTERNET; questo, almeno secondo un documento del tribunale del 22 dicembre 2020, riportato da Colorado Public Radio.
Chi semina vento, raccoglie tempesta!
Vedremo come andrà a finire, ma questo spiega perchè molti "social network" stiano escludendo Trump dalle loro "bacheche virtuali"; ed infatti, se un matto si mette ad insultare i passanti dal balcone di casa mia, io lo caccio subito via a calci nel sedere, prima che qualcuno dei passanti salga su, e "ce meni" a tutti e due!
***
C) MINACCE
Alle ore 19.10 (ora italiana) del giorno precedente l'assalto al Parlamento, Trump aveva proclamato: "Avremo un presidente illegittimo, non possiamo permetterlo, per cui <<marceremo>> sul Campidoglio!"; al riguardo, quindi, ha usato un "indicativo futuro semplice prima persona plurale" il quale, a mio parere, non lascia assolutamente dubbi sulla  sussistenza del "reato di istigazione alla rivolta" sopra riportato (18° Codice USA § 2383, corrispondente, più o meno, all'art.284 del nostro Codice Penale).
Al riguardo, rammento la diatriba, in chiave di "commedia all'americana" del team di avvocati in "The Good Fight", intitolata "Social Media e Malumori" del 19 febbraio 2017, in cui si  discute animatamente circa la differenza tra i seguenti due "post": "Mi piacerebbe molto venire a casa tua, e stuprarti" e  "Verrò a casa tua e <<ti stuprerò>>".
Allo stesso modo, Trump ha detto <<marceremo>> sul Campidoglio, usando il "tempo futuro semplice" tipico della "minaccia", e non "come sarebbe bello marciare sul Campidoglio"; sebbene, a mio parere considerato il "contesto arroventato" del momento, in entrambi i casi si era chiaramente in presenza di una minaccia tutt'altro che metaforica.
Tanto è vero che poi è stata messa in atto, armi alla mano, con morti e feriti; il che, a mio parere, costituisce la prova del nove della realtà della minaccia! 
***
A parte tale caso, in cui, almeno secondo me, è evidente l'incitamento all'insurrezione, in molti altri casi, sui social network Trump non è stato avaro di "fighting words"; le quali, in base alla  Sentenza n. 315 US 568/42 la Corte Suprema degli Stati Uniti non rientrano nella  tutela della libertà di parola prevista dal Primo Emendamento.
Ed infatti, esse "tendono a suscitare un'immediato turbamento della pace pubblica"; e, comunque, "non sono parte essenziale di alcuna esposizione di idee", bensì sono soltanto manifestazioni di odio e di intolleranza.

Eutidemo

PARTE QUARTA
***
REAZIONE ALLA CENSURA DEI SOCIAL NETWORK NEI CONFRONTI DI TRUMP
Considerato quanto sopra, ed anche altri eccessi, alla fine i maggiori "social network" hanno deciso di "mettere il silenziatore", almeno temporaneamente, alle "esternazioni" di Trump.
Il che, come è noto, ha suscitato le più disparate reazioni.

1) I POLITICI
Al riguardo, il portavoce della cancelliera Angela Merkel,  Steffen Seibert,  ha ritenuto "problematico" che sia stato bloccato  l'account Twitter di Donald Trump".
Ed infatti, in nome della Merkel, il suo portavoce ha dichiarato che:
- gli operatori dei social network hanno la responsabilità di garantire che la comunicazione politica non sia avvelenata dall'odio e dall'istigazione alla violenza, e, quindi, devono sempre tempestivamente intervenire in tali casi, censurando tali contenuti;
- tuttavia, la libertà di espressione, in quanto diritto fondamentale di significato basilare, può essere limitata solo dal legislatore, per cui a questo sono sempre tenuti ad attenersi social network nel censurare i contenuti non consentiti.
Ed ha concluso, anche con riferimento alle iniziative europee di cui già abbiamo parlato:  "È giusto che lo Stato, il legislatore, definisca un quadro aggiornato per questo".
Alcuni, secondo me, hanno completamente frainteso tali dichiarazioni, in quanto la Merkel non ha affatto ritenuto "sbagliato" l'intervento dei "social network" su Trump, bensì "problematico"; cosa che, come poi ha meglio spiegato il suo portavoce, è cosa ben diversa.
Ed infatti, in base a tutto quello che ho scritto finora, dovrebbe essere chiaro che  "nessuno" ha mai sostenuto che i "social network":
- POSSANO censurare chi pare loro, e come a loro pare, soprattutto se la censura deriva da una discriminazione politica, razziale o di qualsiasi altro genere.
- DEVONO invece farlo, quando, attraverso le loro bacheche virtuali, qualcuno viola quanto previsto dal "quadro normativo", in materia di:
- buon costume;
- false informazioni non legalmente consentite;
- diffamazione;
- minacce;
- incitamento alla rivolta;
e quant'altro!
Per cui, la Merkel  non ha detto niente di nuovo o di sorprendente, ma ha semplicemente sottolineato l'esigenza di un perfezionamento e di un aggiornamento del quadro normativo, in materia, al fine di renderlo più regolamentato, coerente ed efficiente; il che è tipicamente tedesco.
***
In Francia, non mi pare che Macron si sia espresso direttamente o per mezzo del suo portavoce; ma i commenti degli altri politici più avveduti sono stati in linea con quelli, condivisibilissimi del portavoce della Merkel.
Le critiche di Le Marie, invece, sono state molto aspre.
***
Altri politici (di cui non faccio il nome), ne hanno invece fatto quasi una "questione di casta"; cioè, si sono scandalizzati precipuamente per il fatto che sia stato chiuso l'"account" di un loro collega politico, ritenendo che il diritto di manifestare il proprio "libero pensiero", sia più importante per un politico, che non per un comune cittadino.
Ed infatti, in caso di violazione delle regole del "social network" che vengono sottoscritte ed accettate al momento della registrazione, per non parlare di eventuali violazioni di norme di legge, gli "account" dei normali cittadini vengono chiusi a migliaia da anni; e, questo, senza alcun problema, e senza che nessun politico si sia mai scandalizzato della cosa.
Anzi, in molti casi, sono stati proprio alcuni politici a pretendere la chiusura di alcuni "account", ritenendoli lesivi della propria "onorabilità".
In effetti, tale "pelosa solidarietà" con Trump, è in parte spiegabile, in quanto, salvo casi particolari:
- la maggior parte dei comuni cittadini riescono a sopravvivere felicemente, anche se vengono "bannati" da uno o più "social";
- molti politici, invece, se viene loro impedito di inondare il WEB con le loro balle e le loro cialtronerie, sarebbero finiti.
Ed infatti, se si interrompe il contatto virtuale tra la madre degli imbecilli ed i suoi innumerevoli figli, la famiglia rischia di sfasciarsi; per cui, anche se non li approvo, quantomeno li capisco.
2) GLI INTELLETTUALI
Al riguardo:
°
Miguel Gotor, ha dichiarato all'AGI:
"Dal punto di vista teorico, il problema sussiste: ogni forma di censura costituisce sempre un trauma. Ma da quello pratico, occorre ricordare che i social sono piattaforme private che hanno codici di comportamento. Regole che, magari, non vengono lette al momento dell'iscrizione. Ma i regolamenti vanno rispettati. Così come viene oscurata l'utenza del semplice cittadino che non rispetta le policy delle società private che realizzano i social, lo stesso si fa con quella del Presidente Usa.
°
Francesco Perfetti, invece, ha dichiarato:
"Il fatto che una società privata abbia oscurato il presidente Usa è gravissimo. Allora questo principio deve valere per tutti, anche per i vari dittatori sparsi per il mondo che scrivono e dicono quello che vogliono sui social in totale libertà. Vale anche per chi chiede la distruzione di Israele per esempio. Oscurare quegli account è decisamente grave, soprattutto un in paese di grande tradizione democratica e liberale come gli Stati Uniti. Non sta in cielo né in terra. Grida vendetta".
Si tratta di una dichiarazione basata su imformazioni assolutamente infondate, in quanto non è affatto vero che i vari dittatori sparsi per il mondo possano scrivere quello che vogliono sui "social network" in totale libertà; ed infatti, i "social network" che hanno, per ora, "bannato" Trump, non si sono mai sognati di lasciare libera parola ai dittatori (quantomeno, quelli che postano infamie).
Se poi i vari dittatori ed aspiranti tali, si servono di propri "social network", come pare si accinga a fare Trump, è ovvio che a non stare nè in cielo né in terra è la dichiarazione di Francesco Perfetti; è quella che grida vendetta.
°
Lucio Villari, infine, ha dichiarato:
"I "social network" bloccano chi incita all'odio. Non è che il rimedio è peggiore del male: in questo caso evita il male. Chiudere però l'accesso ai social, potrebbe evocare la censura, anche diversi leader politici del mondo non l'hanno presa bene... .Chiariamo subito, la censura non va bene ma quando le parole vengono usate per creare occasioni di aggressione ai valori fondamentali della società, un minimo di controllo è necessario. Ognuno è libero di pensarla come vuole ma ci sono le leggi e ci sono delle istituzioni che in quanto tali vanno rispettate".
Vedi il mio TOPIC "Karl Popper e il paradosso della tolleranza".
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-culturali-e-sociali/karl-popper-e-il-paradosso-della-'tolleranza/
***

Eutidemo

CONCLUSIONE
Concludendo, a mio avviso esprimere un parere drasticamente favorevole o sfavorevole alla censura operata dai maggiori "social network" su TRUMP, non sarebbe corretto.
E, questo:
- non tanto "in particolare", perchè, a prescindere dalla sue idee politiche, ritengo Trump un soggetto "antropologicamente" molto pericoloso (che, quindi, è "comunque" meglio mettere in condizioni di nuocere il meno possibile);
- quanto, piuttosto, "in generale", perchè, in questo caso, trovo davvero difficoltoso trovare il bilanciamento ideale tra gli interessi contrapposti (entrambi socialmente e politicamente meritevoli di tutela).
***
Paradigmaticamente, infatti:
a)
Non c'è dubbio alcuno che un soggetto privato che apre un "social network", un "forum", o anche un semplice "blog", abbia il pieno "diritto" di fissare delle regole per il suo utilizzo; e, nel caso in cui ci siano dei soggetti iscritti che violano tali regole, egli ha il diritto sia di censurare suoi singoli post sia di sospenderne o addirittura di cancellarne l'account (a seconda della gravità delle violazioni).
Ora, a parte il caso delle monarchie e delle dittature, in una Repubblica democratica, sotto il "profilo civilistico", tutti i cittadini sono esattamente UGUALI, dal Presidente all'ultimo degli uscieri; per cui, così come non vedrei alcun impedimento legale a  "bandire" il Presidente della Repubblica dal mio "club degli scacchi", se ne violasse le regole, così non ne vedrei alcuno a "bannarlo" dal mio "blog".
b)
In secondo luogo, non c'è dubbio alcuno che un soggetto privato che apre un "social network", un "forum", o anche un semplice "blog", abbia il non solo il "diritto", ma, direi,  il sacrosanto "dovere" di evitare che, tramite un uso improprio della sua "bacheca elettronica", vengano perpetrati dei reati;  quali quelli "tipici" descritti in precedenza, ma anche altri.
***
In concreto, però, nessuno è così sprovveduto da non rendersi conto che, se Trump fosse stato "bannato" dal mio "blog", o io avessi "censurato" o "labelizzato" qualche suo "post", lui se ne sarebbe presto fatto una ragione; e nessun altro politico, in USA e nel mondo, sarebbe mai accorso in sua difesa.
La notizia non sarebbe neanche finita sui giornali!
E' chiaro, invece, che colossi come TWITTER, FACEBOOK e simili, godono ormai di una così gigantesca "potenza di fuoco" mediatica, che, "bannando" un uomo politico, soprattutto uno di quelli che ha basato il suo successo politico su tale tipo di comunicazione, lo può davvero danneggiare in modo gravissimo, e, in taluni casi, addirittura irreparabile.
E' vero che, in caso di ingiusto "oscuramento", totale o parziale, il politico può ricorrere alla tutela giurisdizionale; però, come è stato giustamente rilevato, il tempismo delle affermazioni, specialmente in alcune professioni (come quella politica), è cruciale, per cui "perdere i tempi", è equivalente al non esprimersi.
E, in tali casi, l'idea che si possa essere in qualche modo risarciti vedendo "ripubblicati" i post 90 giorni dopo (se va bene) o che qualche compensazione pecuniaria, non risulterà certo molto confortante per il politico danneggiato.
***
Tuttavia, a mio avviso, bisogna anche considerare che anche gli stessi "colossi del web", in fondo, sono solo dei "giganti con i piedi di argilla"; perchè, se a causa di incaute dichiarazioni dei loro inserzionisti si configurano fattispecie delittuose, loro possono essere chiamati a risponderne se non hanno provveduto a prevenirle.
Ed infatti, poichè ormai la tecnologia lo consente, e poichè "non impedire un evento equivale a provocarlo", la loro difesa sarebbe alquanto difficoltosa; e, questo soprattutto nel caso di una "class action" di migliaia di persone che si ritengono danneggiate dalle estermazioni del Trump di turno.
Ed è per questo che quasi tutti i più grandi "social network", sono costretti ad avvalersi dell'assistenza di costosissimi "team" di avvocati, i quali li consiglino, caso per caso:
a) se sia preferibile oscurare, in tutto o in parte, le esternazioni di certi utenti, e rischiare da parte loro una causa per risarcimento danni (come probabilmente farà Trump);
b) ovvero se sia preferibile non oscurarle, e così rischiare:
- una incriminazione da parte del Procuratore Generale per i reati configurati dalle esternazioni di tali utenti;
- nonchè una "class action" per risarcimento danni da parte delle migliaia di cittadini che si sono ritenuti lesi da tali esternazioni (come gli scrutinatori elettorali USA ecc.).
Non è mica una scelta facile!
***
Il "vero" problema dei "social network", è questo; la cui angosciosa ricerca della soluzione migliore, non lascia certo loro il tempo di decidere chi oscurare e chi no, solo per favorire ideologicamente una parte politica piuttosto che un'altra.
In verità, infatti, ai colossi del WEB, come a tutte le CORPORATION, interessa soprattutto fare soldi, e, in ogni caso, farne più di quanti ne perdano; poi, di chi detenga il potere politico nei singoli "Staterelli" o "Staterelloni" in cui operano:
- gliene importa poco a livello "ideologico";
- però gli interessa alquanto sotto il profilo "fiscale".
Sotto questo aspetto, in effetti, delegare troppo a loro il potere di censura, potrebbe essere poco consigliabile!
***
Per cui, in via molto generale, forse la via migliore da seguire dovrebbe essere questa:
a)
Le autorità competenti, a livello nazionale, e, soprattutto, internazionale, dovrebbero individuare regole chiare, da indirizzare agli operatori del settore, sulla definizione dei contenuti illeciti e sulle corrette procedure da seguire per eliminarli.
b)
I  "social network", in base a tali regole, e in ottemperanza al principio della "due diligence", dovrebbero approntare soluzioni tecniche idonee a raccogliere efficacemente le segnalazioni riguardanti i contenuti illeciti, in modo da poter provvedere alla loro rapida rimozione;
c)
Infine, dovrebbero essere approntate solide garanzie per limitare il rischio di rimuovere i contenuti leciti, sostenute da una serie di obblighi significativi di trasparenza volti ad aumentare la responsabilità dei processi di rimozione, al fine di evitare di comprimere senza motivo il diritto di libera manifestazione del pensiero dei singoli utenti.
Ma non è mica una cosa facile!
***
Speriamo che questo mio topic non venga censurato, o, almeno, che non mi tolgano l'"account" come al povero Trump!
***

Alexander

#5

Buongiorno Eutidemo


Tutto ragionevole il tuo scritto.  Complimenti per lo sforzo e il risultato. Però mi sorge un dubbio e quindi chiedo il tuo parere: Visto che Trump le "balle" le ha raccontate in tutti e quattro gli anni da presidente USA, come mai prima non è stato mai bannato dalle piattaforme social ed invece  è stato rimosso nel momento in cui ha perso il potere?


P.S. una precisazione: gli statunitensi deceduti per/con covid non sono "decine di milioni" ma 400mila circa, su 336 milioni di abitanti. Le vittime sono in proporzione minori che da noi che ne contiamo 82mila su 60 milioni, nonostante un durissimo lockdown proclamato, un martellamento di notizie terrificanti, una colpevolizzazione continua dei ragazzi (delle scuole superiori in particolare,ma non solo) e restrizioni  esilaranti (in alcuni casi) continue tutto l'anno .

Eutidemo

Ciao Alexander :)
Come anche viene narrativamente rappresentato in un episodio di quel "serial" (del 2017) che ho citato nel mio TOPIC, durante il periodo in cui Trump deteneva il potere, i "social network" avevano -comprensibilmente- paura di "bannarlo" del tutto; però, già da allora, spesso hanno "labelizzato" lo stesso i suoi post, spiegando che declinavano la responsabiltà per i relativi contenuti.
Nel momento in cui ha perso il potere, però, come prevedibile, Trump si è beccato il classico "calcio del somaro"!
***
Hai anche perfettamente ragione nel dire che in USA i morti sono stati 400mila circa (399.000 per l'esattezza), su 336 milioni di abitanti, e, quindi, se -come mio solito-, non ho sbagliato i conti, sono stati in proporzione leggermente minori dello "0,017%" rispetto all'Italia (0,119% rispetto allo 0,136% da noi) che ne contiamo 82mila su 60 milioni.
Tuttavia, devi considerare:
- che l'età media è molto più alta in Italia (siamo al 2° posto nel mondo) rispetto a quella in U.S.A. (che sono al 38° posto nel mondo):
https://cdn-thumbs.imagevenue.com/45/d7/66/ME12VAVU_t.jpg"
- che il COVID19 è "estremamente" più letale nei confronti della popolazione più anziana:
https://cdn-thumbs.imagevenue.com/a6/76/dc/ME12VB2A_t.jpg"
Se consideri questo, ti renderai subito conto che "ceteris paribus", e, cioè, facendo una "media ponderata" delle percentuali, e tenendo conto del rischio statistico di morte per covid19, i decessi negli USA sono stati molto più numerosi che in Italia.
***
Quanto al fatto che il "lockdown" primaverile non abbia funzionato, i dati lo smentiscono con evidenza, in quanto:
- grazie al "lockdown" primaverile, in Italia i decessi sono rapidamente calati sin quasi allo zero, mentre, nello stesso periodo, grazie al lassismo di Trump, in USA schizzavano alle stelle;
- poi, per un po', si sono stabilizzati quasi a a zero in Italia, restando stabili ma elevatissimi in USA;
- infine, da quando in Italia abbiamo allentato le briglie, sono ricominciati a crescere parallelamente sia in Italia che in USA.
Basta guardare i grafici per rendersene conto:
https://cdn-thumbs.imagevenue.com/66/78/d3/ME12VANW_t.jpg"
***
Un saluto! :)
***

Eutidemo

COROLLARIO per Alexander
Non vorrei andare troppo fuori tema, ma, per la precisione, ho verificato che i morti di COVID in USA, sono meno sia di quelli che aveva scritto Alexander (400.000), sia sia di quelli che avevo scritto io (399.000); ed infatti, al 15 gennaio 2021, sembra che in USA i decessi ammontino a 387.255, mentre in Italia a 82.554.
Questo, almeno stando alle statistiche che ritengo più aggiornate ed affidabili.
USA
https://cdn-thumbs.imagevenue.com/b4/c5/43/ME12VBLL_t.jpg"
ITALIA
"https://cdn-thumbs.imagevenue.com/4c/46/2d/ME12VBLN_t.jpg"
***
Tuttavia noto adesso incidentalmente, per la prima volta, che i casi complessivi di COVID in USA, a tale data, ammontano a 23.193.703 su una popolazione di 334.000.000 (6,9%), mentre i casi complessivi di COVID in ITALIA, a tale data, ammontano a 2.390.000 su una popolazione di 60.000.000 (3,9%); per cui, sebbene in USA la percentuale di casi di COVID sia stata quasi il doppio che in Italia -in buona parte grazie a Trump-, tuttavia, la percentuale di decessi di COVID è stata lievemente inferiore rispetto all'Italia.
Il che, guardando le tabelle relative alle diverse aspettative di vita in USA e in ITALIA, costituisce la "prova del nove":
- che  in USA il COVID19 -anche grazie a Trump, il quale ha costituito la differenza specifica tra noi e loro- è dilagato molto di più che in Italia, non solo in numeri assoluti, ma anche in percentuale sulla popolazione globale dei due Paesi;
- che, però, nonostante questo  in USA il COVID19 ha fatto un po' meno morti in percentuale sulla popolazione globale dei due Paesi, per il semplice fatto che in Italia ci sono percentualmente più vecchi che in USA.
***
Ma evitiamo di andare tutti e due troppo O.T., perchè il tema sono i "social" e Trump, e non il Covid19 (che, però, finisce per infilarsi dappertutto).
***
Un saluto :)

InVerno

Nell'elogiare la completezza e dettagliatezza dei tuoi post, vorrei anche suggerirti di tenere a mente che rispondere a post come questo potrebbe rivelarsi estremamente ostico per l'ampiezza degli argomenti trattati, io mi soffermerò sul fare alcune considerazioni riguardo a Trump, probabile che più in là riuscirò anche a intervenire sul tema social networks..

- E' vero che il free speech non tutela l'incitamento di atti illegali, la questione esiste sin dal caso Bradbury (1969) dove la corta suprema elaborò un astruso "test" per valutare quando un incitamento fosse da ritenere illecito o lecito, e il test sarebbe dovuto servire a valutare quanto l'incitamento rappresentasse una "minaccia imminente" o meno. Nel caso stesso Bradbury,  un membro del KKK che arringava i suo compagni con ciò che ci si può aspettare da un leader del KKK, oltre che minaccie al governo federale, e invocare "marcie" sul governo centrale... La corte suprema (unanimamente) dichiarò Bradbury innocente, perchè le sue minaccie per quanto dirette e per niente velate, non rappresentavano un "imminente pericolo". Va tenuto a mente perciò che la tutela del  "Free Speech" americana si estende anche alle marcie del KuKluxKlan e alla retorica della peggio feccia razzista del pianeta.

-Trump è già stato denunciato per incitamento alla violenza nel 2016 durante uno dei suoi "rally" dove chiese al pubblico di espellere alcuni dimostranti, i protestanti presero una discreta dose di percosse e denunciarono Trump, per aver implicitamente incitato alla violenza nonostante lo stesso avesse aggiunto "but don't hurt them" asserendo che consigliando il contrario, voleva in realtà suggerire la possibilità di ferirli. La corte dichiarò Trump innocente, perchè l'incitamento deve essere esplicito ed inequivocabile, non metaforico o allusorio.

-In generale, con questi due casi, voglio semplicemente dire che per essere sanzionabile l'incitamento alla violenza deve essere talmente inequivocabile e talmente diretto ed esplicito, che praticamente solo un pollo come Trump potrebbe cascarci (per questo non lo escludo categoricamente), perchè la bilancia della giustizia in questo caso parte con quintali di peso sul piatto del freespeech, e per farla pendere dall'altro lato serve veramente impegnarsi a fondo. Scommetto, pur non essendo un giurista, che la minaccia verrà considerata non sufficientemente esplicita, per il semplice fatto che nessuno degli atti criminosi svolti è stato direttamente e inequivocabilmente incitato. Mi fa sorridere che tu sottolinei il fatto che Trump abbia chiesto di "marciare", ma in inglese chiedere di marciare sulla capitale non rimanda alla marcia su Roma, è un atto lecito tutelato, e intende "manifestare".

-E questo lo si vede bene anche dal fatto che si è subito corsi all'impeachment, che è una soluzione politica che non ha realmente necessità di un crimine legalmente riconosciuto per essere portata avanti, sapendo che per via giuridica non succederà niente.

*Piccola postilla riguardo ai paragoni covid transnazionali, l'america è troppo diversa nei fondamentali per essere comparabile con qualsiasi altro stato, a partire dal fatto di non avere un SSN fino alla percentuale di diabetici, non è come comparare la Norvegia alla Svezia.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Eutidemo

Ciao Inverno. :)
Ti ringrazio sia per  l'elogio, sia per le critiche; le quali sono per me sempre le benvenute, soprattutto quando sono intelligenti e ben circostanziate come le tue.
***
Non conoscevo in dettaglio il caso Bradbury, che mi ricorda un po' la sentenza del Tribunale di Roma relativa a "Casa Pound" (riportata nel mio TOPIC).
Personalmente condivido in pieno il "principio di diritto" -seguito da entrambi i Giudici-, secondo il quale occorre sempre cercare di garantire il più possibile il diritto di libera espressione dei cittadini; per quanto, invece, concerne l'"applicazione pratica" di tale principio nei due casi in questione, ho qualche dubbio.
Vedi, al riguardo, il mio TOPIC "Karl Popper e il paradosso della "tolleranza""
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-culturali-e-sociali/karl-popper-e-il-paradosso-della-'tolleranza/
Tuttavia, non conoscendo in dettaglio gli atti delle due controversie, non ritengo di potermi pronunciare, come appunto suol dirsi, con effettiva "cognizione di causa"!
***
Non sapevo nemmeno che Trump fosse già stato denunciato per incitamento alla violenza nel 2016 durante uno dei suoi "rally" dove chiese al pubblico di espellere con alcuni dimostranti; però, se veramente precisò "but don't hurt them", in effetti, mi  sembra giusto che sia stato assolto,non potendolo ritenere responsabile di una violenza che lui stesso aveva cercato di prevenire.
In quel caso, infatti, da quello che scrivi tu, mi pare che Trump sia stato "esplicito" ed "inequivocabile" nell'invitare i suoi fan ad evitare la violenza; ed infatti "don't hurt them" mi sembra abbastanza chiaro sia in inglese che in italiano.
Penso che lo avrei assolto anch'io!
***
Quanto all'incitamento alla "marcia" su Capitol Hill,  Trump non ha affatto usato il verbo "to march", che, in effetti, in inglese significa anche semplicemente "fare una manifestazione pacifica"; nè io mi sono mai sognato di paragonarlo alla "marcia su Roma" la quale pure, in fondo, non fu una "marcia aggressiva" in senso stretto, bensì, fu precipuamente una "messa in scena".
In fondo, la tipica "marcia americana" è la seguente, per niente aggressiva:
https://www.youtube.com/watch?v=BC7GaAIBMww
Trump, invece, ha ripetuto per ben tre volte  l'espressione idiomatica "to walk down", la quale, in generale, significa "camminare lungo -o "per"- ("He walks down the aisle" = "Cammina lungo -o "per"- il corridoio"); però, siccome Capitol Hill non è un corridoio, il senso non era certo quello.
https://www.youtube.com/watch?v=5fiT6c0MQ58
Stando a quello che mi ha detto una mia amica di New York, nella fattispecie del comizio di Trump, "walking down" assume un significato inequivocabilmente aggressivo, che non ha niente a che vedere con il "marching on" (_like the Saints_) inteso nel senso di  "marcia pacifica"; se il capo di una gang ti telefona e ti dice "we're going to "walk down to your home", significa che stanno per venire a casa tua e devastarla (come minimo) e ad ammazzarti di botte, non certo per fare una "marcia pacifica" nella strada di sotto. Anche su Second Life qualche americano mi ha detto, stamattina, la stessa cosa; però, non fa molto testo, perchè potrebbe trattarsi di Americani "antitrump".
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Personalmente, non conosco abbastanza nè l'inglese nè lo specifico contesto, per poter esprimere "con sicurezza" un giudizio reciso in un senso o nell'altro; salvo escludere quelli estremi.
Cioè, salvo errore:
- sarei propenso ad escludere che Trump, incitando i suoi seguaci ad assalire il Congresso, sperasse di poter impedire con la forza il passaggio di poteri, in quanto, non avendo l'appoggio dei militari, la cosa non gli sarebbe mai potuta riuscire (niente 18 Brumaio fallito, quindi);
- però sarei anche propenso ad escludere che Trump intendesse limitarsi ad invitare i suoi seguaci ad effettuare una pacifica manifestazione con gli striscioni "fuori" del Campidoglio, perchè "walking down to", non significa questo.
- penso, invece, che intendesse davvero invitare i suoi seguaci ad effettuare un assalto fisico vero e proprio alla struttura parlamentare, forse per disturbare la ratifica di Biden, ma, di sicuro, non fino al punto da volere che l'aggressione avvenisse con le armi, e che ci scappassero i morti.
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Secondo me, quindi, Trump potrebbe, sì,  essere considerato "responsabile del sangue", ma solo per "dolo eventuale", il presupposto per la cui configurazione consiste nella circostanza che:
- il soggetto non ha affatto premeditatamente incitato al folla ad assalire il Congresso con le armi;
- però non poteva non essersi immaginato che una cosa del genere sarebbe ben potuta accadere,   e, ciononostante, ha lo stesso istigato i suoi fan più facinorosi e violenti, anche a costo di provocare il disastro, che, poi, c'è stato.
Se poi proprio vogliamo essere buoni, invece del "dolo eventuale" gli si può imputare la semplice "colpa grave"; ma, di sicuro, non meno di quella.
Vedremo cosa deciderà, al riguardo, la Procura di Whasington.
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Riguardo alla postilla riguardo ai paragoni covid transnazionali, sono perfettamente d'accordo con te sul fatto che l'America è troppo diversa nei fondamentali per essere comparabile con qualsiasi altro Stato; a partire dal fatto di non avere un SSN fino alla percentuale di diabetici, non è come comparare la Norvegia alla Svezia.
Però, sebbene si tratti di una mia supposizione, sono convinto che se Trump non avesse consapevolmente e spudoratamente mentito sulla gravità del contagio, minimizzandolo, in USA ci sarebbero stati molto minori contagiati e morti!
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Un saluto :)
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InVerno

Per definire la questione Trump prima di passare ad altro, Trump parla sia di "march" che di "walk down" in questi tre casi:

We have come to demand that Congress do the right thing and only count the electors who have been lawfully slated, lawfully slated.  I know that everyone here will soon be marching over to the Capitol building to peacefully and patriotically make your voices heard.

After this, we're going to walk down and I'll be there with you. We're going to walk down. We're going to walk down any one you want,  but I think right here. We're going walk down to the Capitol, and we're going to cheer on our brave senators, and congressmen and women.

So we're going to, we're going to walk down Pennsylvania Avenue, I love Pennsylvania Avenue, and we're going to the Capitol and we're  going to try and give...[....]our Republicans, the weak ones, because the strong ones don't need any of our help, we're going to try and give them the kind of pride and boldness that they need to take back our country.

(Capitol Hill non è un corridoio, ma la Pennsylvania Avenue praticamente lo è, è un corridoio che connette la Casa bianca a Capitol hill, è corridoio nel senso di "percorso obbligato")

Si può sostenere che i manifestanti fossero così "infiammati" da soli che anche solo un ammiccamento da parte di Trump sia stato sufficiente, si può sostenere che Trump volesse segretamente questo risultato e che abbia sopratutto attraverso l'inazione agevolato il risultato finale, si può sostenere che parlare di frodi elettive e aizzare la folla con altre stramberie porti a prevedibili risultati, si possono sostenere queste cose come "rilievi politici". Non si può realmente sostenere che Trump abbia incitato un atto illegale, quando letteralmente parla di una marcia pacifica per fare il tifo e far sentire orgogliosi i senatori repubblicani.

Intendiamoci, se le mie opinioni e la mia persona sono il polo Sud, Donald Trump è il polo Nord, io non ho niente da spartire con il personaggio, in termini di stima, simpatia, idee, cultura, storia, prospettive e principi, Donald Trump è la mia antitesi e non saprei indicarne una più ficcante di lui. Detto questo, evviva la libertà di parola, specialmente per le persone che la pensano diversamente da noi.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Eutidemo

Ciao Inverno.
Io mi riferivo al solo video da me linkato, che è l'unico che ho visto, ed in cui lui parla solo di "walk down"; ma non metto in dubbio che, in altre occasioni, lui abbia usato anche il verbo "to march".
In tal senso, ti ringrazio molto di aver riportato altri tre "scampoli" di oratoria trumpiana (di cui ti pregherei di farmi avere anche i link audio), e su cui mi riservo di riflettere meglio; sebbene, per fortuna, non spetti a me decidere se incriminarlo o meno!
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Quanto al fatto che Capitol Hill non è un corridoio, ma la Pennsylvania Avenue praticamente lo è, che connette la Casa bianca a Capitol hill, a me sembra (anche dai testi che hai riportato tu) che l'incitamento  non fosse affatto quello di "limitarsi" semplicemente ad una marcia pacifica lungo la Pennsylvania Avenue.
Però, come ho detto, mi riservo di rifletterci meglio, in quanto non si può realmente sostenere che Trump abbia incitato un atto illegale, quando, "in una occasione" parla di una marcia pacifica per fare il tifo e far sentire orgogliosi i senatori repubblicani, ma occorre anche:
- ascoltarlo direttamente;
- verificare la tempistica dei vari suoi interventi;
- compararli tra di loro.
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Quanto al fatto se Trump volesse "segretamente" questo risultato e che abbia sopratutto agevolato il risultato finale attraverso l'inazione , non si può certo fare il "processo alla intenzioni" di nessuno; però è sicuramente lecito valutare penalmente il complesso delle circostanze, ai fini di determinare quale sia stato il "coefficiente psichico della condotta" di un determinato individuo (cioè, l'intensità del dolo e il grado della colpa).
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Al riguardo, come ho già detto, Trump mi sembrerebbe senz'altro imputabile per "dolo eventuale",   nel senso che mi pare impossibile che, considerata la natura comprovatamente violenta dei suoi infiammabili "fan"(atic), non si sia rappresentato la significativa possibilità di un assalto violento al Campidoglio da parte loro; tuttavia, nonostante tale eventualità tutt'altro  che remota, non si è astenuto  dall'"infuocare" i suoi "combustibili" seguaci, anche a costo di cagionare l'evento criminoso (poi, difatti, verificatosi), che non poteva certo escludere come sviluppo, quantomeno collaterale, della sua veemente arringa.(cfr. Cassazione Sez. 1, n. 8561 del 11/02/2015, De Luca, Rv. 262881)
Altrimenti, a voler essere benevoli, potrebbe parlarsi di "colpa cosciente", che si pone ai confini del "dolo eventuale", dal quale è molto difficile distinguerla (Vedi Cassazione a SS.UU. sentenza Tyssenkrupp n.38343/2014); o, proprio per favorirlo, di una mera "colpa grave" (ed infatti, "colpa semplice", per me sarebbe davvero eccessivo).
"Nessuna colpa" è da escludere!
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A mio avviso, però, oltre che di  "rilievi politici" si tratta anche di eclatanti "rilievi penali"; perchè altrimenti diventerebbe troppo facile per un politico spregiudicato, tirare il sasso e poi nascondere la mano (quando ci scappa il morto).
Come, ad esempio -sebbene il caso sia "completamente" diverso-, quando Mussolini, dopo il "j'accuse" di Matteotti in aula, sbottò con  sui bellicosi scagnozzi: "Toglietemelo dalle palle!"; e quelli lo fecero fuori fisicamente, sebbene non sembra che avessero mai ricevuto un ordine specifico in tal senso (che, tra l'altro, a Mussolini non sarebbe poi neanche politicamente convenuto troppo).
Poi il duce, in aula, dichiarò: "Qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, o assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto".
Ma quella "penale", col piffero che se l'assunse!
Ripeto, il caso è "completamente" diverso da quello di Trump...ma la spudoratezza di certa gente è sempre la stessa!
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Concludendo, mi associo al tuo "Evviva la libertà di parola, specialmente per le persone che la pensano diversamente da noi".
Il che mi ricorda quello che scrisse  Evelyn Beatrice Hall, "I disapprove of what you say, but I will defend to the death your right to say it." (frase erroneamente attribuita direttamente a Voltaire, di cui lei scriveva).
Proprio per questo "I will defend to the death" le idee di chiunque, contro gli intolleranti come Trump (cioè, fino alla "death" sua, se ci si dovesse ridurre al "mors tua, vita mea")!
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Un saluto! :)
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