Stati confederati d'America: destino inevitabile?

Aperto da davintro, 03 Settembre 2019, 23:43:19 PM

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davintro

L'opinione comune, riflessa nei principali manuali di storia scolastici è che l'esito della Guerra di Secessione, la completa vittoria del Nord, fosse già in partenza inevitabile, e che solo la grande abilità dei generali confederati abbia potuto favorire una resistenza di ben 4 anni di conflitto. La motivazione di tale ineluttabilità viene fatta coincidere con il largo divario di risorse economiche e umane in favore di una società già industrializzata in contrapposizione alla società rurale del Sud. Ho sempre trovato questa motivazione perfettamente valida ma al contempo limitata e non esauriente. La storia insegna di conflitti dove la parte più debole in termini di risorse umane e materiali è riuscita a prevalere, pensiamo alla Guerra del Vietnam, o andando su epoche e contesti più vicini e anche più attinenti al periodo qui in questione alla guerra di Indipendenza Americana, con l'esercito coloniale ben più scarso di soldati e risorse ma vincente rispetto alla soverchiante potenza britannica. Quindi quello che mi chiedo è, davvero l'esito militare del conflitto era scontato in partenza? Davvero non ci sono stati altri fattori oltre quelli comunemente considerati a determinare la sconfitta del Sud?

La mia personale impressione è che la motivazione principale della sconfitta degli Stati Confederati coincida paradossalmente con la motivazione del suo sorgere (da qui si può parlare di destino e di ineluttabilità), l'autonomia dei singoli stati "states'rights" rispetto al potere centrale federale di Washington, come condizione di preservazione della struttura sociale latifondista e schiavista, alternativo al modello industriale protezionistico, necessitante di un forte potere centrale. Se l'istanza autonomista degli stati è stata il motore della secessione, è stata anche la condanna che ha condotto alla sconfitta militare. La necessità di non scontentare le esigenze dei singoli stati confederati, gelosi della loro autonomia, ha condizionato la strategia militare del Sud, impedendo un comando unitario delle operazioni, costringendo ad una dispersione delle forze armate a difesa dei singoli stati, senza possibilità di una concentrazione delle forze nelle zone strategicamente più rilevanti. Questa concentrazione di forze avrebbe consentito delle offensive nei territori unionisti, che anche se probabilmente fallimentari sul piano militare, avrebbero potuto portare successi dal punto di vista psicologico-politico, intimorendo l'opinione pubblica nordista, spingendola a togliere l'appoggio alla linea lincolniana di tenace perseguimento del recupero dell'Unione, favorendo un cambio di amministrazione in favore del Partito Democratico (ricordiamo che nel pieno della guerra si svolsero in territorio nordista le elezioni presidenziali, fino alla caduta di Atlanta, molto incerte, in cui Lincoln rischiò seriamente di perdere), da sempre molto più bendisposto verso gli interessi sudisti, rispetto ai repubblicani dell'epoca. La sproporzione di uomini e risorse a favore del Nord non era affatto necessariamente decisiva, in quanto il Sud non aveva bisogno di vincere la guerra militarmente, gli bastava danneggiare il Nord quel che bastava per logorarlo appunto da indurlo a chiedere una pace che sancisse la sua indipendenza, vincere sul piano psicologico, esattamente come il fatto che l'offensiva del Tet si fosse rivelata un fiasco militarmente per i Nordvietnamiti, non precluse affatto ad essi la vittoria finale, perché si rivelò vincente sul piano propagandistico e morale nei confronti dell'opinione pubblica Usa, sorpresa e intimorita da tale operazione. Un governo centrale confederato forte, avrebbe avuto la forza di permettersi di sacrificare la difesa di qualche territorio strategicamente secondario, per concentrare e coordinare le forze per una strategia offensiva ben più sistematica, ampia e continuata del tempo, che quella realizzata nei fatti, ridotta all'estemporanea invasione della Pennsylvania da parte del generale Lee, conclusasi con la battaglia di Gettysburg. Se ciò non è stato possibile, forse è perché le istanze localiste dei singoli stati secessionisti hanno impedito una centralizzazione della strategia militare che avrebbe potuto essere foriera di quei successi, se non strettamente militari, comunque politici e propagandistici, come stimolo all'opposizione pacifista al Nord (la creazione di un comando militare unificato sotto Lee fu creato troppo tardi, a guerra ormai persa, mentre l'Unione attribuì a Grant il comando unificato al momento giusto) In definitiva, la mia impressione che è la ragione di fondo della sconfitta confederata sia stata il mancato sviluppo di un  vero e proprio nazionalismo Dixie, un senso di appartenenza che andasse al di là del sentirsi, in ordine sparso, virginiani, texani, missisipiani ecc. Cosa ne pensate di queste interpretazioni? Un nazionalismo, un'autocoscienza sudista, al di là dei singoli stati è davvero esistita ai tempi del conflitto?

Jacopus

Sulla storia degli Stati Uniti non ne so molto, tranne alcune reminiscenze scolastiche. La tua interpretazione mi sembra però plausibile. Il Sud era fondato su una ideologia romantica e individualista e questo necessariamente si rifletteva sulla adozione di piccole patrie frammentate e divise, mentre il nord aveva dalla sua la mitologia della democrazia, dell'uguaglianza e della libertà. Immagino con quanto ardore abbiano combattuto i battaglioni dei blacks del nord (ammesso che siano esistiti). Effettivamente talvolta la sola superiorità economica non è sufficiente per vincere una guerra, aiuta ma serve anche una motivazione forte da parte dei vincitori .
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Napoleone affermava che Dio sta sempre dalla parte di chi ha la migliore artiglieria. Il quartetto Cetra cantava in una farsa su "via col vento": noi c'avemo le balle di cotone, loro quelle di cannone. La superiorità tecnologica è il risultato di un processo razionale che ben si sposa con la superiorità strategica in un conflitto, per cui l'esito della guerra era scontato. Ma anche il brand era dalla parte dei nordisti: un paese che si candida a faro della libertà, già pronto subliminalmente ad esportarla coi mezzi che sappiamo (la citazione del Vietnam è opportuna), non poteva permettersi la tara schiavista, già superata dall'evoluzione politico-economica, come spiega magistralmente Marlon Brando nel postribolo di un'isola caraibica in Queimada di Gillo Pontecorvo. Insomma, una guerra dal destino predestinato di cui rimane soltanto il folk.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

anthonyi

Ciao davintro, concordo con la tua tesi che il Sud ha perso per la carenza di uno spirito nazionale. Il punto però è che convincere gli abitanti e in particolare i soldati degli stati del sud che stavano combattendo per la loro patria era difficile, dato che era evidente che all'origine di quella guerra c'erano gli interessi economici dei latifondisti grandi proprietari di schiavi.
Un saluto.

InVerno

Penso il tuo ragionamento in linea di massima sia corretto, ma questo non cambia che è corretto affermare che la causa principale della sconfitta fù di tipo economico.  Avere un forte senso di unità nazionale e un buon morale non ricarica le pistole, anche se sicuramente aiuta. La causa sudista probabilmente va inquadrata in ciò che fù un insieme di realtà economico-sociali, con architrave il latifondismo agrario e la schiavitù, che non sono riuscite ad arrivare alla completezza di un idea nazionale, ma sarebbero potuto diventarlo se avessero vinto la guerra o avessero avuto più tempo. In realtà le idee sudiste sono rimaste, trasformandosi nel tempo,  in quello che oggi è il partito repubblicano (e ai tempi democratico) attraverso una serie di trasformazioni, per la maggior parte operate dalla figura di Woodrow Wilson. Wilson fù uno dei primi ad interessarsi a come "digerire" la cultura sudista e ad inglobarla negli stati uniti, da storico si interessò praticamente solo di questo e da presidente fece il da farsi, pur interrotto da una guerra che non avrebbe voluto dover affrontare. Il film "Birth of a nation", film bandiera del KKK, è uno degli esempi della cultura sudista che si affaccia nel 900 e non a caso sceglie Wilson come sua introduzione. Il sudismo è ancora tra noi, nella predatorietà  della cowboy-economy, nel potere del megacorporazioni, nel razzismo etnico e sanguigno particolarmente presente in america.. forse non è un idea di nazione, non più del "West=vera america" secondo la tesi della frontiera, ma sicuramente è un idea di comunità, di economia e di valori che è sopravvissuta fino ad oggi, fino a Trump che è l'incarnazione dell'eredità sudista.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

davintro

Citazione di: Ipazia il 04 Settembre 2019, 09:01:05 AMNapoleone affermava che Dio sta sempre dalla parte di chi ha la migliore artiglieria. Il quartetto Cetra cantava in una farsa su "via col vento": noi c'avemo le balle di cotone, loro quelle di cannone. La superiorità tecnologica è il risultato di un processo razionale che ben si sposa con la superiorità strategica in un conflitto, per cui l'esito della guerra era scontato. Ma anche il brand era dalla parte dei nordisti: un paese che si candida a faro della libertà, già pronto subliminalmente ad esportarla coi mezzi che sappiamo (la citazione del Vietnam è opportuna), non poteva permettersi la tara schiavista, già superata dall'evoluzione politico-economica, come spiega magistralmente Marlon Brando nel postribolo di un'isola caraibica in Queimada di Gillo Pontecorvo. Insomma, una guerra dal destino predestinato di cui rimane soltanto il folk.

La citazione del Vietnam era appunto per esemplificare la possibilità che la superiorità tecnologica di un paese sull'altro non si riveli fattore decisivo nella vittoria di un conflitto, nonostante tale superiorità fosse appannaggio della potenza, gli Usa, che non hanno ottenuto la vittoria. Se il morale, rispondendo anche a InVerno, non ricarica le pistole, resta però ciò che fa sì che si sia disposti a correre il rischio di finire uccisi o subire perdite anche gravi, se questo è il prezzo da pagare per una vittoria che ripaghi dei sacrifici fatti. Quindi resta fattore primario. L'errore è quello di vedere la guerra come uno scontro tra massi, in cui il più pesante schiaccia l'altro e vince. Non è così, l'uomo non è massa pietrosa, ma mente razionale che deve gestire il materiale (umano ed economico) a sua disposizione valutando i limiti entro cui le perdite restano accettabili in relazione all'obiettivo che una vittoria militare garantirebbe, in un rapporto costi-benefici. In questo senso condivido l'intuizione clausewitziana della guerra come prosecuzione con altri mezzi delle scelte politiche. Se la disparità di risorse incide dal punto di vista strettamente militare, è anche però vero che una guerra si può vincere (o anche "non perdere" e penso che al Sud per guadagnarsi l'indipendenza bastasse non perdere), anche senza vincerla dal punto di vista prettamente militare, avendo meno risorse, ma riuscendo a gestirle intelligentemente, convincendo il nemico, sebbene più dotato di te, che pur vincendo militarmente, il gioco non varrebbe la candela, al netto delle perdite necessarie per raggiungere la vittoria. In questo senso il Vietnam, fa scuola: gli Usa non hanno perso la guerra militarmente (quasi tutti gli scontri campali sono risultate vittorie tattiche Usa), l' hanno persa, perché il pesante logorio li ha col tempo convinti che i vantaggi di una piena vittoria sarebbero stati inferiori a ciò che si sarebbe perso, in termini di vite umane e di sfaldamento morale e politico della loro società, del "fronte interno". Contasse solo l'aspetto militare e la quantità di risorse da investire, gli Usa avrebbero stravinto, non è accaduto perché la componente morale e psicologica si è rivelata più importante. Perché la stessa cosa non avrebbe potuto succedere nella guerra di Secessione? Pur largamente inferiore di uomini e mezzi e quindi destinato a una sconfitta militare, restava al Sud la possibilità di un successo politico, attuando una strategia di offensiva spettacolare, che non avrebbe militarmente sconfitto il Nord, ma lo avrebbe indotto, colpendolo psicologicamente, a ripensare se davvero valesse la pena di continuare a subire perdite tali da non poter essere ripagate dai benefici di una vittoria militare, pur certa da raggiungere, alla lunga. Da qui, la mia curiosità a considerare come fattore della sconfitta un elemento non legato all'aspetto economico, ma più inerente il piano politico-spirituale, come l'assenza di un vero spirito di unità nazionale che portasse i cittadini del Sud a sentirsi parte di un'unica patria, al di là del senso di appartenenza al singolo stato di appartenenza, Virginia, Georgia ecc. Spirito nazionale, che invece è emerso nella psiche nordista, intorno al valore dell'Unione federale, (e nel corso della guerra, direi anche l'abolizionismo antischiavista), come bene da preservare contro i "rebels" traditori

InVerno

In realtà meglio dell'esempio del Vietnam è l'esempio della fondazione USA stessa, tredici colonie hanno effettivamente sconfitto l'impero britannico avendo dalla loro un idea di nazione. Ma per merito di Washington, un infaticabile attendista che eventualmente sfinì il nemico,  conosciuto dagli inglesi come "American Fabius" a riferimento di un imperatore romano solito far perdere tempo ad Annibale. La tattica di Lee è aggressione totale,  ricerca della battaglia definitiva e della capitolazione avversaria, il che non si addice neanche ai Vietnamiti. E Washington era il beniamino di Lee. Washington però difendeva una patria, Lee combatteva come se non avesse nulla da perdere, e questo secondo me è il rilievo più simile a ciò che intendi tu. Se Lee avesse combatutto per una nazione forse sarebbe stato più prudente e meno spregiudicato, sfinendo il Nord. In realtà ci riuscì come tu ricordi e Lincoln rischiò di capitolare, ma nel momento in cui Lee aveva finito le risorse ed era sulla difensiva, perciò Lincoln stette dove era.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

davintro

Washington direi fosse, di fatto, obbligato a esprimere la sua azione di logoramento del nemico come guerriglia all'interno dei territori coloniali, non potendo colpire direttamente il suolo britannico, stante l'immensità dell'Oceano Atlantico frapposto. Diverso il caso della Guerra di Secessione, dove le grandi città del Nord, la capitale Washington (che per un breve momento del conflitto rischiò davvero di finire sotto assedio, ed era situata ino stato come il Maryland, pur non secessionista, schiavista e con larga parte della popolazione di simpatie confederate), Baltimora, Filadelfia, New York, erano a un passo dal fronte, al confine con gli stati ribelli, e non sarebbe stato poi così difficile per i sudisti, una volta decisa una linea d'azione offensiva, se non conquistare, quantomeno minacciare tali città, impressionando i civili presenti, di modo che fossero poi spinti alle presidenziali del 64 a votare contro Lincoln e la continuazione della guerra. Da un punto di vista elettorale, teniamo conto poi che i repubblicani, più intransigenti nella difesa dell'Unione e l'abolizione dello schiavismo, erano forti più che altro nell'estremo nord, nel New England,, lontanissimo da fronte, mentre gli stati decisivi per la vittoria elettorale, quelli in bilico tra i due partiti, erano stati con un profilo sociale/economico più simile a quelli del sud, e vicini al confine, il MidWest, la Pennsylvania, New York, cioè proprio quei territori che sarebbero stati più direttamente coinvolti da un'eventuale invasione confederata, che in questo modo, sarebbe proprio andata a toccare il "ventre molle" dell'Unione, le zone dove la popolazione sarebbe stata politicamente più facilmente convinta a togliere fiducia a Lincoln e alla guerra. Dunque non considero le idee strategiche di Lee, concretizzatesi nell'invasione della Pennsylvania, aprioristicamente sbagliate, e penso avrebbero potuto incontrare maggior successo, se fossero state meglio supportate, la sua armata rinforzata da parte del governo confederato, cioè se il Sud fosse stato davvero una Nazione unita, disposta a sacrificare territori strategicamente secondari, in nome di una strategia nazionale unitaria e coordinata. Peraltro, almeno a quel che mi è capitato di leggere, tutti queste considerazioni erano presenti nella mente di Lee, che monitorava costantemente la stampa nordista, e dunque mostrava una certa attenzione all'aspetto politico e del morale dell'opinione pubblica nemica, mostrava cioè una certa modernità di pensiero, che lo allontana dallo stereotipo del generale all'antica, napoleonico, del tutto condizionato dal feticcio di una vittoria da conseguire solo militarmente, senza considerare il contesto globale politico

InVerno

Quello che non mi torna nel tuo ragionamento è il fatto che attribuisci al nord una maggiore efficacia per via di un più forte concetto di nazione, e fai poi dei collegamenti col volk o comunque con il sentire europeo. Per conto mio questo patriottismo è spesso frutto di propaganda successiva e ricami storici.. I padri fondatori avevano esplicitamente provato a prevenire attraverso diversi strumenti accentramenti di potere nazionalistici, sia al nord che al sud.Lo stato americano era tremendamente piccolo, alcuni ministeri avevano un pugno di dipendenti, e gli individui erano armati dal secondo emendamento proprio per prevenire che qualcuno li irretisse con strane idee e concentrasse nelle sue mani il potere. Secondo qualcuno Licoln ne concentrò troppo, e finì sottoterra.
In un panorama come quello degli states, è difficile parlare di nazionalismo con sfumature europee, lo stato semplicemente non era abbastanza forte per permetterlo. Il punto di svolta secondo me avviene quando alla guerra si aggiunge un rilievo morale: l'abolizione della schiavitù. Una guerra civile diventa una battaglia per la democrazia, per l'eguaglianza e sopratutto la libertà. Successivamente poi i vincitori si ricameranno addosso l'idea vulgata che l'intera guerra fosse cominciata proprio per quello, quando in realtà ... E' di particolare interesse il fatto che ultimamente sia uscita fuori la verità (si spera) sui rapporti intercorsi tra Licoln e Garibaldi. Il secondo infatti avrebbe accettato di intervenire nella guerra (ad aiutare truppe forse nazionalistiche, ma anche parecchio fiacche) solo se Licoln gli avesse concesso il comando unificato delle truppe e avesse abolito la schiavitù trasformandola nel motto dell'intera guerra, facendo ciò Garibaldi scrisse il nemico sarebbe stato "indebolito dai suoi vizi e disarmato dalla sua coscienza". Forse è proprio quello che successe due anni più tardi.
Rimane purtroppo sugli scaffali della "fanta-storia" l'ipotesi di un america unificata da Garibaldi, ma è certamente accaduto che un uomo si è svegliato a Caprera con l'Italia unita e gli USA in fiamme. Deve essere un risveglio particolare..
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Sariputra

Ciao a tutti

mi sembra che non si sia accennato ad un altro fattore determinante, secondo me, per l'esito della guerra di Secessione americana: il blocco navale che il Nord impose agli stati ribelli:

Il blocco dell'Unione fu una strategia militare volta ad impedire il commercio internazionale degli Stati Confederati d'America; messo in atto dagli squadroni marini dell'Union Navy tra il 1861 e il 1865, serrò completamente l'intera linea costiera degli Stati Uniti meridionali.Il blocco commerciale venne proclamato dal presidente degli Stati Uniti d'America Abraham Lincoln nell'aprile del 1861 e richiese il monitoraggio attivo di 3.500 miglia (5.600 km) di costa dall'Oceano Atlantico al Golfo del Messico, compresi i 12 scali portuali principali del profondo Sud ed in particolar modo New Orleans e Mobile (Alabama).I cosiddetti corridori del blocco, abbastanza veloci da riuscire a sfuggire i controlli federali, riusciranno a trasportare solamente una minima parte delle scorte necessarie al Sud belligerante; gestiti in larga parte da cittadini dell'impero britannico fecero uso di porti neutrali quali L'Avana, Nassau e Bermuda.
Vennero commissionate circa 500 navi tra le più grandi e quelle di minor cabotaggio, le quali perverranno alla distruzione o alla cattura di oltre 1.500 "violatori del blocco" nel corso dell'intera durata del conflitto.
Al momento della dichiarazione di blocco l'Unione possedeva solamente 3 imbarcazioni adattabili all'operazione. Il Dipartimento della Marina, sotto l'accurata guida del Segretario alla Marina Gideon Welles, si mosse velocemente nell'intento di espandere la flotta.
Furono richiamate le navi da battaglia che si trovavano all'estero, venne lanciato un massiccio programma di costruzione navale, saranno acquistate anche navi sia mercantili che passeggeri civili e verranno riutilizzate le imbarcazioni catturate nel tentativo di violazione del blocco.
Entro la fine del 1861 alla flotta complessiva vennero aggiunti circa 80 "SS (marina)" piroscafi e 60 velieri, tanto che il numero totale delle navi adibite al blocco salì fino a raggiungere la cifra di 160. Al principio del nuovo anno si trovavano in costruzione nei cantieri navali altre 53 navi da guerra di varie class.
Nel novembre del 1862 la flotta ammonterà a 282 piroscafi e 102 velieri. Al termine del conflitto l'United States Navy era cresciuta fino a toccare la cifra di 671 imbarcazioni di ogni tipo e classe, divenendo in tal maniera la più potente flotta esistente al mondo (Wikipedia)

In pratica il Sud venne stretto in una morsa che impediva il rifornimento di armi e soprattutto di viveri e beni di necessità. Nel film "Via col vento"  abbiamo diverse scene che descrivono la condizione di miseria e di fame in cui si vennero a trovare nelle città del Sud i cittadini confederati. E ogni soldato sa che non c'è niente che superi la fame per annientare il morale...
Molti soldati sudisti si dettero al brigantaggio e al saccheggio, anche nei propri territori; cosa che continuerà tristemente anche nel dopoguerra...
A mio parere il blocco fu la causa predominante della disfatta.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.