Per una vera storia dell'ontologia. Elea, la Germania (Egitto e Palestina).

Aperto da PhyroSphera, 12 Aprile 2024, 18:22:20 PM

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PhyroSphera

La storia della ontologia era per Emmanuel Lévinas una storia di violenza. Il concetto di essere ivi dominante un concetto costringente, separante. Si tratterebbe cioè di un affermare confinando, contro lo stesso riferimento a Dio.
Il parmenideo essere in quanto tale sarebbe un circolo vizioso, l'heideggeriana eventualità dell'essere una prigione del tempo.
Si tratterebbe di riconoscere la distinzione tra la totalità contenuta nelle affermazioni ontologiche e la infinità indicata dalle affermazioni teologiche, nella storia confuse a svantaggio del discorso su Dio.

In verità Parmenide fu l'autore di un Poema sulla Natura non di una trattazione astratta. L'Essere ivi nominato è realtà cosmica, una condizione della esistenza, Dio immanente. Il pensiero ebraico di Lévinas attua una preferenza per la trascendenza, senza contemperare in sé il panteismo, e il suo rifiuto è polemico, non neutrale, la vicenda di sopraffazione da lui riferita non essendo un evento oggettivo.

Che ruolo assegnava Heidegger alla propria ontologia? L'incompiutezza di Essere e tempo testimoniava sia l'ambizione di sbarazzarsi completamente di tutto l'armamentario tradizionale delle essenze sia la non raggiungibilità di un còmpito simile. Un tentativo di imprigionamento, non una vera reclusione del tempo dunque, che ciononostante Lévinas non ammetteva, rifiutando l'assenza di limiti nella ricerca del divenire.

Antiimmanentismo e prevenzione etica, da cui un resoconto inevitabilmente di parte, secondo una missione particolare, la stessa degli ebrei ai tempi di Mosè e Davide, ma in un altro contesto storico e geografico... Trattare Magna Grecia e Germania come l'Egitto e la Palestina è operazione quanto meno eticamente dubbia, la filosofia greca non era un movimento idolatrico e il pensiero tedesco era tutt'altro che inavvertito. Perché sottrarre alla teologia la rigorosità delle affermazioni eleatiche, perché rifiutare il risultato della ricerca filosofica tedesca? Come messo in evidenza da numerosi suoi appartenenti, v'era nell'ebraismo europeo di quei tempi anche un antagonismo dai tratti chiusi e intolleranti, incapace di accogliere la differenza dei luoghi e dei tempi. Certo questi recavano una realtà duplice. Durante l'antichità l'Ellenismo fu per gli ebrei una via fatale per l'abbandono della propria identità e nella modernità il Germanesimo uno strumento per la fine della propria caratteristica vicenda. Ma la filosofia poteva essere un'occasione per risolvere o attenuare i conflitti.

Più radicale e non inavveduto il pensiero di Nikolaj A. Berdjaev. Questi arrivò a dire che l'essere non esiste. Si tratta di capire di cosa si stia negando. Bisogna distinguere l'esistere dall'essere, contro le identificazioni che sono state continuamente fatte (io direi, probabilmente a causa del linguaggio limitato di Platone, che si esprimeva — ricordiamolo — in una lingua dialettale, quindi a causa delle altrui indebite interpretazioni e proiezioni). Non c'è dubbio che c'è un essere esistente, ma non c'è dubbio che c'è ne è un altro inesistente, ciò oltre il mero giudizio di verità e falsità.
Mentre l'attività di Emmanuel Lévinas va inquadrata nei limiti del suo particolare contesto ebraico, dal quale egli aveva secondo me preteso troppo, quella di Nikolaj A. Berdjaev va valutata entro il suo particolare contesto russo-ortodosso, con la voglia di acquisire le conquiste della cultura europea-occidentale e al contempo con il senso di una radicale e incontenibile differenza. Esule dalla Unione Sovietica, anticomunista, religiosamente anarchico, Berdjaev si era volto all'esistenzialismo e indicava quel che era più di un idolo, un passo nel vuoto, un dire niente. Una non-esistenza, a mio avviso non dell'essere del Poema di Parmenide o di quello dello Studio inconcludibile di Heidegger. Invece che un nichilismo, è una esclusione della irrealtà, una buona affermazione per smascherare una falsa storia, non per screditare altre storie.


N.B.
Sicuramente Lévinas coi propri pensieri fece anche centro. È infatti il suo sistema applicabile perfettamente a una parte della produzione filosofica di Emanuele Severino, dove Essere e Pensiero si trovano chiusi in un cerchio fatale, da cui si possono trarre solo giudizi inadeguati, che lo stesso Severino non sempre evitò. Quando però questi in alcune sue Lezioni cominciava a dire di eternità dell'essente invece di eternità di tutti gli enti, i quali spesso aveva indicato incautamente proprio in qualità di cose, il discorso volgeva diversamente.



Mauro Pastore

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