LA STORIA SIAMO (ANCHE) NOI - SCARNE CONSIDERAZIONI NON ESAUSTIVE SULLA STORIA

Aperto da Visechi, 05 Settembre 2024, 21:59:00 PM

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Visechi

Non credo nel fatalismo, tantomeno nel determinismo. Credo, invece, che sussistano entrambi, e che ciascuno dei due si compenetri nell'altro, in un rapporto dialettico che si mantiene in un equilibrio instabile, che genera incertezze e sovente non poco caos.
La Storia è materia umana, e dell'uomo è terreno d'azione preminente. I fatti della Storia non si generano per partenogenesi, per motu proprio, quasi si trattasse di elementi estranei ed indipendenti dalla relazione che si instaura fra l'uomo e il mondo.
 
La Storia è relazione.
Gli accadimenti di cui la Storia si interessa e di cui è intessuta credo siano determinati da due fattori: il caso e l'agire umano. Quest'ultimo è generato dalle nostre scelte, dai dibattiti e dal confronto, anche introspettivo. Il nostro agire, l'insieme delle azioni che compiamo ogni giorno, s'inserisce fattivamente nella casualità degli accadimenti. I due elementi non sono scindibili, e, in questo connubio, l'agire umano opera affinché la congiuntura imbocchi una determinata direttrice anziché un'altra. Quella, presumibilmente, più consona ai vantaggi, ai desiderata e ai benefici di chi quell'agire in massima parte produce. Il caso, a sua volta, interagisce con l'opera dell'uomo, e i due elementi interagiscono in un rapporto dialettico, dinamico e sempre precario.
L'attività di analisi critica degli eventi succedutisi e che si succedono nel tempo condiziona le scelte umane, le quali, a loro volta, condizionano e sono condizionate dalla casualità.
Ora, va da sé che l'azione umana non sempre è il risultato di scelte totalmente razionali - quasi mai –, e non sempre è la migliore risposta possibile fra le tante disponibili. Le nostre scelte sono condizionate, oltreché dal caso, come già visto, anche da una serie di fattori endogeni, fattori che la psicoanalisi ha più volte reso palesi.
Il quadro complessivo che si ricava da tutte queste interferenze interne ed esterne è quanto di più variegato si possa immaginare. Non riconducibile ad un paradigma ottimale o preordinato cui fare riferimento per l'analisi e lo studio. Non si tratta, infatti, di un modello inscatolato in un marmoreo ed immutabile processo fissato per sempre. Tale condizione rassegna uno scenario alquanto precario, ove l'incertezza, l'opinione e l'interpretazione imperano. Se gli eventi puntuali, per esempio nascita o morte riguardanti un determinato personaggio, possono essere accertati con certezza o buona approssimazione, è l'azione che l'ha coinvolto ad essere esposta al chiacchiericcio soggettivo teso a chiarirne - più spesso a confonderne - cause ed effetti: basti pensare alla diatriba che ruota attorno alla persona di Gesù. Per effetto di ciò, viene a costituirsi un vero e proprio catalogo delle diverse possibili soluzioni e spiegazioni fornite su quell'unico evento.  E' proprio questo composito catalogo delle opzioni possibili, più o meno razionali, più o meno corrette, più o meno istintive che rappresenta il campo dell'indagine storica, all'interno del quale si sviluppa l'analisi e il dibattito fra uomini. E il dibattito, inteso come confronto delle diverse posizioni emerse dall'indagine testé accennata, che forgia il pensiero da cui emergono le idee, è un altro elemento che concorre, in una qualche misura, a comporre l'intero mosaico della Storia, sintetizzato in resoconti scritti che narrano ciascuno la propria verità, inducendo in chi li legge o ascolta la necessità di operare una scelta, la più convincente o verosimile o più congeniale alle proprie attese. Tale scelta è poi causa efficiente di ulteriori eventi che, per segmento, s'innestano in quel flusso perpetuo che noi sintetizziamo in un unico sostantivo: la Storia.
Da quanto precede, appare subito evidente quanto sia importante comprendere ed aver piena coscienza che la Storia, che è il contenitore di un'eterogenea gamma di scelte umane e di eventi casuali e causali che si intrecciano in maniera indistricabile, è assolutamente priva di certezze, perché queste non possono essere ancorate ad alcuna ostentata evidenza che possa giustificare inconfutabilmente gli eventi trascorsi, tantomeno predire quelli futuri. È così una costruzione difficile e faticosa che comporta, sempre, un elevato livello di attenzione e discernimento, affinché il caso, privo di alcuna azione che lo incanali, o la pancia, non razionale, non siano gli unici suoi elementi costitutivi.
Le caratteristiche peculiari dell'uomo, quelle che lo hanno allontanato dallo status di primigenia animalità irrazionale, si esaltano quando è lui (l'Uomo) a governare la Storia, viceversa, si mortificano allorquando la subisce, perché in questo secondo contesto sarebbero l'animalità e il caso a costringere il suo agire, che, così, avrebbe un ruolo conseguente, non causante. In poche parole, se è vero che non è l'uomo a fare la Storia, è ancor più vero che la sua azione concorre fattivamente a costruirla, pertanto, per dirla con Gramsci, che si acquisisca almeno quello scampolo di volontà e consapevolezza per costruire quella frazione di Storia che ci compete. Odio gli indifferenti.
 
Mille papaveri rossi.

daniele22

Citazione di: Visechi il 05 Settembre 2024, 21:59:00 PMNon credo nel fatalismo, tantomeno nel determinismo. Credo, invece, che sussistano entrambi, e che ciascuno dei due si compenetri nell'altro, in un rapporto dialettico che si mantiene in un equilibrio instabile, che genera incertezze e sovente non poco caos.
La Storia è materia umana, e dell'uomo è terreno d'azione preminente. I fatti della Storia non si generano per partenogenesi, per motu proprio, quasi si trattasse di elementi estranei ed indipendenti dalla relazione che si instaura fra l'uomo e il mondo.
Condivido salvo quello che dici sulla partenogenesi, sempre che con partenogenesi si intenda un processo autogenerativo. A mio vedere tale fenomeno sarebbe pregnante e ben visibile nella realtà umana, preceduto come sempre da uno stadio incubativo più o meno durevole. Non mi è noto se un cancro o una malattia infettiva possano ricondursi a un fenomeno di partenogenesi, ma sinteticamente ed esemplarmente tale partenogenesi appunto si produrrebbe attraverso la fase incubativa nell'organizzare un'azione collettiva sorta in modo spontaneo per esigenze individuali quale potrebbe essere la costruzione di un edificio, oppure un'azione di assistenza generica. Si passerebbe quindi dalla fase incubativa a quella manifesta nel momento in cui tale azione concertata nell'incubazione produce uno scorporamento dalla spontaneità individuale-collettiva (organizzata, ma non normata) normando il nuovo nato che diverrebbe da quel momento autoreferenziale. Sarebbe quindi il nuovo nato, autoreferenziale, oggetto di eventuale copiatura e, conseguentemente, destinato a riproduzione

bobmax

Fatalismo e determinismo sono comunque interpretazioni della necessità. In che senso dovrebbero compenetrarsi?
La questione non è invece tra necessità e caso?

E il caso esiste davvero?
Perché sì diciamo che un evento è capitato per caso, ma soltanto in quanto imprevedibile, non perché sia davvero dovuto al caso.
Sei a conoscenza di un fatto avvenuto davvero casualmente?

E poi l'agire umano non si confronta con la necessità naturale?

E la natura non è forse incompatibile con la libertà?
Esiste in natura qualcosa che sia anche solo un poco davvero libero?
E l'uomo perché mai invece lo sarebbe?
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

iano

Citazione di: Visechi il 05 Settembre 2024, 21:59:00 PMNon credo nel fatalismo, tantomeno nel determinismo
Fatalista è colui che crede che tutto sia stato già predeterminato, nel qual caso le due cose si compenetrano bene, senza doverle forzare.
Se invece con fatalismo intendevi casualità non si compenetrano, a meno che non attengano alla realtà, ma alle descrizioni che ne facciamo, e in quanto descrizioni non hanno difficoltà a convivere, finché non assimiliamo di fatto le descrizioni alla realtà.
Della storia umana le parti più interessanti sono quelle che ripetendosi possiamo astrarre, quelle per cui  si dice ad esempio che non impariamo nulla dalla storia, ma che ci dicono molto sulla nostra natura profonda, alla quale possiamo eventualmente rimediare se c'è la volontà di prenderne coscienza, e se a ciò non ostasse il fatto che tendiamo a considerare centrale il tempo che viviamo, per cui ciò che accade a noi profuma sempre di novità.
Ciò è vero solo in parte, nel senso che nuovo è l'uomo a cui le solite cose accadono, motivo per cui col susseguirsi delle generazioni diviene più difficile immedesimarsi nelle ragioni che motivano gli avvenimenti passati, e forse a questo sforzo di immedesimazione più si prestano i filosofi, e anzi a volte ci riescono così bene che sembra per contro abbiano difficoltà a immedesimarsi col tempo che vivono.
In effetti certi filosofi mi sembrano repliche credibili di uomini che più non ci sono, probabilmente perchè nello sforzo di immedesimarsi nel loro pensiero, finiscono per aderirvi,  perchè se anche il loro pensiero non è più attuale, nel senso di poco aderente alle nuove descrizioni della realtà, intatto è rimasto il loro carisma.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Visechi

IL CASO E LA NECESSITÀ

Il concetti di caso e di necessità, comunemente considerati come antitetici, sono alla base della nostra idea di libertà. L'uomo è libero nel suo agire, oppure è talmente determinato dalla necessità che ogni sua scelta ed azione sono conseguenza di fattori esterni tutti cogenti ed indotti dalla particolarissima relazione che s'instaura con il mondo in cui è immerso?
La risposta non è neutra e coinvolge, qualunque essa sia, la responsabilità etica delle nostre azioni. L'uomo può trovare assoluzione per le sue scelte sbagliate, poiché, essendo determinato dalla necessità, nulla può essere imputato alla sua libera volontà; oppure essere condannato in forza della sua libertà indotta dalla casualità degli eventi.
È un dato scientifico, appannaggio della biologia, che l'evoluzione biologica che ha determinato nei millenni la comparsa delle specie viventi sia frutto di un progressivo adattamento alle condizioni esterne. Parrebbe che un thelos informi il cosmo; una forza che imprime alla materia vivente la necessità d'imboccare determinate strade e non altre. Così potrebbe essere se la scienza non ci avvertisse che l'evoluzione, insieme alla comparsa di mille diverse forme di vita, ha comportato anche la scomparsa di tante altre. Ciò che impedisce la facile risposta che tutto è preordinato da una Mente Superiore è la consapevolezza che i mutamenti che hanno indotto la diversificazione e la mutazione biologica delle specie viventi sono avvenuti con estrema gradualità e, soprattutto, si è trattato di "eventi casuali". Al contrario di quanto immaginato poc'anzi, parrebbe dunque che la casualità, il caso libero da ogni regola, abbia 'indicato' alla materia vivente quale direzione imboccare: la più favorevole e vantaggiosa ai fini della preservazione della vita (bios) sul pianeta. Ma ancora una volta è la stessa biologia che, stravolgendo ogni possibile certezza, ci informa che quegli eventi casuali, vantaggiosi dal punto di vista adattivo, s'inscrivono nel patrimonio genetico delle nuove o innovate forme di vita per essere necessariamente trasmessi alle generazioni successive.
È il caso che diventa necessità.
I due concetti, caso e necessità, pare quasi colloquino fra loro in maniera osmotica, compenetrandosi l'uno nell'altra. Non son dunque antitetici. Non è più vero che ove sta l'uno non può esservi l'altra.
La sintesi fra queste due forze è già nelle cose, nella Natura che agisce come una sorta di enorme imbuto, il cui vertice sia rivolto verso il basso.
Il caso agisce e dispiega la propria azione entro l'area delimitata dalle pareti dell'imbuto. Si muove disordinatamente, senza alcuna regola interna prefissata e senza che sia possibile opporgli una resistenza tale da incanalarlo compiutamente entro un binario pre-determinato da forze esterne e da chi in esso si trova coinvolto. Entro tale area si dispiega interamente la piena libertà. Tutto l'intero processo che si osserva, pur nella sua intima indeterminatezza, rotola pian piano verso la strozzatura dell'imbuto. Le sue pareti, convogliandone il percorso, lo determinano nel suo complesso, facendo in modo che in quella strettoia si dirigano e da essa passino solo le cose volute, utili e vantaggiose per la necessità che in definitiva lo informa, riempiendolo così di sue qualificazioni e caratteristiche: quelle e non altre. Ciò che non è coerente con detta necessità (determinata a priori?) si disperde, evapora o addirittura mai si compie, non divenendo mai realtà... è ciò che io chiamerei 'ridondanze'.
L'area compresa fra le due pareti dell'imbuto è l'area d'azione piena del caso; le pareti che delimitano e danno forma all'imbuto contenitore e la strozzatura che lo incanala, sono la necessità. Così il caso agisce liberamente e senza alcuna regola interna solo nell'ambito della propria area d'azione, ma sottostà alle regole esogene stabilite dalla necessità, perché dalla strozzatura passano solo gli elementi determinati e voluti da questa.
Questo particolarissimo paradigma, credo abbastanza razionale, lo si potrebbe adattare sia alla metafisica o trascendenza, oppure adattarlo per una visione della vita che prescinda da Dio.
Ora volendo provare a sospendere per un solo attimo qualsiasi connotazione metafisica, e attenerci esclusivamente a ciò che è riscontrabile in Natura, si potrebbero ravvisare delle consonanze fra il concetto di libertà condizionata, libertà vigilata e questo paradigma.
Le pareti dell'imbuto sarebbero rappresentate dal profondo di ciascuno di noi, dall'inconscio o anima, sarebbero quindi la necessità che coarta il caso; lo spazio entrostante e delimitato da dette pareti, sarebbe l'area d'azione nel cui ambito il caso, il nostro agire e le forze della Natura che interferiscono la nostra attività cosciente operano con indeterminatezza ed in assenza di regole interne pre-determinate, entro cui si dipana la grande matassa chiamata vita.
Noi agiamo mossi dalla nostra volontà cosciente. Quando lo facciamo operiamo delle scelte che vanno ad intersecare e sono intersecate dalle scelte altrui, di chi ci vive affianco. Non solo. Le nostre scelte sono fortemente interferite dalla casualità (un masso che cade all'improvviso determina una reazione), ed influenzate fortissimamente dall'azione della Natura. La nostra volontà cosciente è fortemente suggestionata ed ispirata anche da quanto staziona nel profondo di ciascuno di noi: dal nostro inconscio, dalla nostra anima. Il tutto, come un coagulo di cui non è nota la composizione e il corretto dosaggio, determina l'esperienza e la nostra vita. Per quello noi non viviamo la vita, ma è essa che vive noi, e la nostra libertà si concreta in quell'eterno oscillare o bordeggiare fra un limite e l'altro, fra un confine e l'altro, producendo questo nostro eterno vagolare fra forre e gore ove l'ombra sovrasta la luce. L'abnorme che è in ciascuno di noi è ciò che, in ultima analisi, determina il nostro moto oscillatorio. Che sia privo di senso, impregnato di casualità, o denso di significato, quindi necessario, non so, credo che rispondere a questo eterno quesito spetti un po' a ciascuno di noi.
Io, per il momento, rinuncio e, dopo tutto questo mio parlare, mi piego alla ma libera necessità: inforco le cuffie, chiudo caso e necessità fuori dalla porta e mi godo in pace Koln Concert di Keith Jarrett... Arrivederci.

niko

Siamo determinati, ad illuderci, di essere liberi.

Se uno accetta la necessita', accetta anche la Maschera della Liberta'. Come potrebbe essere altrimenti?

La vita e' un caso, ma e' l'unico caso in cui noi possiamo vivere, o al peggio sopravvivere, quindi quel caso, non e' un caso per noi. Ma un oggetto di desiderio, un caso desiderabile, un caso buono.

Un caso, che genera una volonta', che si auto vuole.

La possibilita'/virtualita' di una coscienza nel contesto di uno spazio o di una storia e' identica alla coscienza stessa: la vita, puo' essere solo col corpo anche quando il corpo non c'e', (una assenza di corpo) o non ce ne' solo uno (una molteplicita' di corpi) o ce n'e' meno di uno (una frazione, un brandello di corpo). Non c'e' nessuna possibilita' di vita disincarnata: Il corpo, l'avere un corpo, il "formarsi" del corpo a partire da altri elementi piu' semplici, esprime tanto la possibilita', il mero poter essere, quanto la realta', o il "successo", evolutivo e competitivo, della vita.

La coscienza, e' sempre somatica, ed e' sempre il limite massimo della conoscenza: siamo circondati dalla morte, da materia inerte in cui la vita non si e' generata e quindi da materia inerte che ha preso strade alternative a quella che e' la "strada", il percorso evolutivo "stretto e ben direzionato" della vita, ma della morte, noi nulla sappiamo.

Sappiamo del lutto, cioe' che se contempliamo l'assenza della vita di una persona cara, la desideriamo, e vieppiu' se facciamo lo sforzo di contemplare dall'esterno l'assenza possibile e plausibile della nostra stessa vita in un mondo che continui uguale a se stesso ceteris paribus, la desideriamo.

Nel caso che genera' una volonta', c'e' annidata, sul fondo, luminosa e tangibile quella stessa volonta'. Che quel caso si "verifichi" o no, cioe' che quel caso esprima o no la sua possibile analogia con l'arbitrio, con l'umana liberta': la volonta' "descrive" anche come strumento logico operativo quel caso. Tanto, che non lo possiamo pensare sensa.

Una vita "a caso", e' una vita che non si vuole.

E se non si vuole, non sopravvive fino al punto, dello spazio e del tempo, in cui noi possiamo individuarla come vita.

Muore molto prima, lasciando spazio ad altre vite o a deserti privi di vita. Infondo pure i dinosauri, hanno lottato a loro tempo per la loro sopravvivenza, pure i primi batteri oceanici, pure le prime piante, tutti. Tutti hanno un programma autoreplicante che usa l'organismo per replicarsi.

Il caso, e' il caos contro cui lotta la vita; se c'e' l'una, sempre osserviamo intorno che c'e' una quantomeno relativa assenza dell'altro, e se c'e' l'altro in tutta la sua completezza, non ce' l'una.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Più che sottostare a categorie metafisiche, penso che gli elementi costitutivi della Storia siano ancora e sempre quelli, di natura antropologica, individuati da uno che la visse in prima persona, da una plancia di comando: virtù e fortuna.

Virtù delle avanguardie e classi che sanno interpretare abilmente una contingenza storica e fortuna nell'eterogenesi di cause e fini che tale interpretazione assecondano o meno.

Tali fattori devono essere proporzionati alla difficoltà dell'impresa e chi ha il potere lo sa, per cui impiegherà tutta la sua virtù dominante e la fortuna acquisita per neutralizzare, meglio preventivamente, ogni possibile assalto.

Direi che mai come oggi il potere imperiale occidentale si è trovato in una condizione di così marcato vantaggio nei confronti della plebe, al punto che solo altri poteri esterni potranno eroderne la fortuna.

Quando ciò accade, inutile interrogarsi su quale sarà l'esito. A meno che la fortuna non inventi l'Impossibile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

Citazione di: Visechi il 06 Settembre 2024, 11:26:14 AMCosì il caso agisce liberamente e senza alcuna regola
Hai delle teorie predeterminate oppure sono solo un motivo come un altro per dialogare?

Se vogliamo usare razionalità, come dici, del puro caso non dovremmo neanche parlare, se non intendendo ciò che pur essendo soggetto a regole non possiamo determinare, non facendo dei nostri limiti ''un caso''.
Per contro, una realtà che obbedisca a regole, obbedisce a qualcosa che essendo fuori di sè la governa, il che equivale ad un Dio che fatte le regole non sia più intervenuto, ma che un Dio rimane.
Se necessario questo Dio lo assumeremo pure, ma è davvero necessario, o è sufficiente appellarsi ad una coerenza tutta interna alla realtà, che perciò si presta ad essere determinata?
Se le cose stanno così diremo la realtà determinata solo nella misura in cui riusciamo a determinarla, e diversamente casuale?
Ovviamente no.
C'è una determinabilità potenziale, la cui possibilità riposa sull'intrinseca coerenza della realtà , e che non si esplica  in una sola forma.
Nella misura in cui ne conosciamo una sola forma siamo scusati se abbiamo scambiato la coerenza della realtà, da cui deriva la sua determinabilità, con l'essere determinata.
La realtà appare determinata a chi la indaghi, ma la forma di determinismo che se ne ricava dipende da chi la interroga, nei limiti delle domande che è in grado di porre.
La realtà cioè risponde a tono a chi la interroga, anche se siamo portati a credere che la natura risponda anche quando non venga interrogata, come quando aprendo gli occhi essa ci appare.
La scienza ci suggerisce però che questa sia solo una delle possibili apparenze, proponendocene di alternative,c he però non appaiono più aprendo gli occhi, non riuscendo in pochi secoli ad eguagliare i risultati di miliardi di anni di evoluzione quanto meno nella forma, mentre per quanto riguarda la sostanza è messa molto meglio, per quanto abbia ancora tanto di imparare.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Visechi

Citazione di: iano il 06 Settembre 2024, 17:27:52 PMHai delle teorie predeterminate oppure sono solo un motivo come un altro per dialogare?
Cioè?

Se vogliamo usare razionalità, come dici, del puro caso non dovremmo neanche parlare.

Imbocco per 'caso' una strada sconosciuta di una città sconosciuta, in un'ora insolita e in quel momento un pezzo di cornicione mi cade in testa... per caso o razionalmente?
Tutto qui!

La scienza può spiegare tutto e, in effetti, tutto spiega, ma non sa il perché delle cose, men che meno racconta le emozioni o la coscienza... ma la scienza tutto sa.

iano

Citazione di: Visechi il 06 Settembre 2024, 20:20:32 PMImbocco per 'caso' una strada sconosciuta di una città sconosciuta, in un'ora insolita e in quel momento un pezzo di cornicione mi cade in testa... per caso o razionalmente?
Quindi non chiedi il risarcimento al proprietario del palazzo per mancata manutenzione?
Il problema della casualità è che possiamo affermarla ma non falsificarla, cioè è a tutti gli effetti una assunzione metafisica e neanche  necessaria. Basta dire infatti che non conoscendo le cause non possiamo prevedere gli effetti, restando dentro al determinismo, e non è che io ci tenga particolarmente a restarci dentro, ma per uscirne fuori non basta il tuo esempio.
Non sto dicendo che fare assunzioni metafisiche sia cosa del tutto aliena al processo razionale, ma che non è razionale fare assunzioni metafisiche non necessarie.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Citazione di: iano il 06 Settembre 2024, 23:48:51 PMQuindi non chiedi il risarcimento al proprietario del palazzo per mancata manutenzione?

Appunto l'abbiamo falsificata. Com'è facile falsificare tante "fatalità" infortunistiche. E prevenirle, in barba al prezzemolino "caso".

Gli aerei non cadono per caso, per quanto casuale sia il fatto che io ci fossi in quell'aereo, o non ci fossi perché il taxi arrivò in ritardo all'aeroporto. Quindi per caso ? No, perché c'era un ingorgo. Casuale ? No, perché le città fanno schifo ...

A guardarlo bene anche il caso è una cosa. Quindi qual-cosa di determinabile. Come insegna Bacone enumerando i "casi" possibili attraverso il metodo induttivo, fino a renderli non più casuali, ma deterministici.

Direi che il concetto machiavelliano di (s)fortuna è più epistemico e meno metafisico della "casualità". E pertanto più "scientificamente" gestibile.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Visechi

L'imponderabile e l'imponderato, l'imprevedibile e l'imprevisto non sottostanno ad alcuna episteme, son più affini, entrambi, alla doxa. Ad essa si piegano come canne al vento. 

Ipazia

L'imponderabile è l'imponderato, l'imprevedibile è l'imprevisto. Più questione di ignoranza che di sfiga o fato, e pertanto non resta che la doxa. Ma si può sempre fare meglio, epistemicamente parlando.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Visechi

Il caso è ignoranza. Nessuno conosce tutto il possibile. Più conosciamo più ignoriamo. Più conosciamo, più si amplia lo spazio che il caso permea.


"Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo lògos"

iano

Citazione di: Visechi il 07 Settembre 2024, 22:13:03 PMIl caso è ignoranza.
Quindi sostituendo nella tua seguente frase
 ''l concetti di caso e di necessità, comunemente considerati come antitetici, sono alla base della nostra idea di libertà''
otteniamo la nuova frase
'' I concetti di ignoranza e di necessità, comunemente considerati antitetici......''
Che però è falsa.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

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