Delitto di via Caravaggio: l'alibi falso che ha funzionato meglio di uno vero!

Aperto da Eutidemo, 27 Dicembre 2021, 13:26:37 PM

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Eutidemo

Avete assassinato qualcuno dopo le ore  22,30 del 30 ottobre, e la polizia vi chiede un alibi per la notte tra il 30 ed il 31 ottobre?
Se non intendete confessare il delitto, potreste pensare di avere solo due possibilità:
a)
Raccontare che, all'ora dell'omicidio (poniamo le 23,00), eravate a soli in casa; ma è un alibi che, ovviamente, serve a poco.
b)
Ovvero cercare di inventarvi un alibi falso per quell'ora (poniamo le 23,00), ma è una cosa che potrebbe ritorcervisi contro, se la polizia lo scopre.
Però, in realtà, c'è una terza possibilità, che, io, in un mio raccontino giallo scritto nel 1971, chiamai il "falso alibi dell'innocente imbecille"; il quale, invece, dovrebbe più correttamente chiamarsi il "falso alibi del colpevole paraculo"!
E adesso vi spiego come funziona!

SINTESI DELLA VICENDA
La sera del 30 ottobre 1975, in via Caravaggio, tranquilla strada residenziale tra i quartieri di Posillipo e di Fuorigrotta, la famiglia Santangelo si stava per sedere a tavola.
Per la precisione, si trattava di:
- Mimmo Santangelo, il "pater familias", che era nel suo studio insieme al cagnolino;
- Gemma Cenname, la moglie, che era in cucina indaffarata a preparare la cena;
- Angela Santangelo, la figlia diciannovenne, che era seduta sul letto nella camera matrimoniale, in pigiama e febbricitante.
***
Qualcuno suonò il campanello, per cui Mimmo andò ad aprire seguito dal piccolo Yorkshire Terrier che abbaiava festante; ed ecco che in casa entrò l'ospite misterioso.
Il padrone di casa, evidentemente, lo conosceva molto bene,  visto che gli offrì perfino un bicchiere di liquore nel suo studio (vennero ritrovati i due bicchieri).
***
Dopo aver degustato il liquore, però, l'ospite colpì a tradimento Mimmo Santangelo con un oggetto contundente; poi si avventò sul povero cagnolino soffocandolo per impedirgli di attirare l'attenzione con il suo abbaiare disperato.
***
Quindi si diresse in cucina dove tramortì la moglie Gemma; mentre dalla stanza da letto faceva capolino Angela, atterrita dai rumori, per vedere cosa succedeva.
***
Quest'ultima, però, non ebbe neanche il tempo di capire cosa stesse accadendo,  perchè venne a sua volta colpita al volto con tale violenza che morì sul colpo.
***
Ma i genitori non sono ancora morti,  per cui l'assassino li uccide a coltellate; poi  torna sulla soglia della camera da letto dove c'è il corpo di Angela.
Non accorgendosi che è già morta, la sventra con due coltellate al ventre e altre cinque al collo.
***
Poi l'assassino trascina i corpi di tre delle quattro vittime nella vasca da bagno e deposita lì, una sopra l'altro il cane e i genitori di Angela; quest'ultima, invece, visto che la vasca è ormai troppo affollata, la lascia sul letto avvolto in un tappeto intriso di sangue.
Tali dettagli, lasciano pensare che l'assassino abbia voluto che il fetore dei cadaveri ritardasse il più possibile ad essere percepito fuori della porta dell'appartamento;  ciò allo scopo di far pensare, almeno per qualche giorno, che la famiglia fosse partita per un viaggio.
***
Dalle 23 alle 5 del mattino i vicini sentono  rumori continui, ma pensano ad un trasloco.
***
L'assassino (e/o gli assassini) lascia(no):
- un'impronta di scarpa taglia 42 nel sangue;
- delle cicche di sigaretta, tra cui una di marca Gitanes;
- una traccia della mano sporca di sangue sul davanzale di una finestra;
- un paio di guanti di gomma nel bagno.

SINTESI DELLE INDAGINI
Venne subito indagato Domenico Zarrelli, nipote di Gemma Cenname, figlio di un presidente di corte d'Appello e fratello di un avvocato (e poi divenuto avvocato anche lui); all'epoca era un giovanotto con un passato alquanto turbolento.
A carico di Zarrelli sussistevano vari elementi indiziari, tra i quali, in breve:
a)
Quella notte, un testimone riferì di averlo visto spostare la macchina di Mimmo Santangelo, da dove era solitamente parcheggiata (sotto casa) in un'altra strada un po' più lontana; probabilmente per far pensare, almeno per qualche giorno, che la famiglia fosse partita per un viaggio.
b)
Presentava delle ferite sulla mano destra, compatibili con una recente colluttazione.
c)
Quanto al movente, venne accertato che Domenico era uno studente scapestrato, amante della dolce vita, delle donne e delle auto di lusso e sempre ricoperto di debiti; per cui era sempre in cerca di qualche parente che gli facesse un prestito.
Tra cui soprattutto la zia Gemma; che era tra le persone che avevano più volte aiutato Domenico (ed era stata la più "spremuta" di tutte).
Per cui la polizia  suppose che Zarrelli avesse ucciso lo zio adottivo "in stato d'ira", dopo che questi gli aveva negato un ennesimo prestito; e che, poi, avesse dovuto necessariamente eliminare le uniche due testimoni.
La Procura, quindi, concluse che il colpevole era lui, e lo rinviò a giudizio.

SINTESI DEI PROCESSI
Dopo alterne vicende, in estrema sintesi, Domenico Zarrelli venne assolto con sentenza definitiva, grazie al "ragionevole dubbio" di cui all'art.533 c.p.
Ed infatti:
a)
La testimonianza di coloro che lo avevano visto spostare la macchina della vittima venne ritenuta poco affidabile, a causa della scarsa luce notturna; ma, soprattutto perchè si ritenne che Zarrelli fosse troppo alto per poter guidare agevolmente la vettura dello zio.
b)
Le ferite sulla mano risultarono, sì, compatibili con una recente colluttazione; però potevano essere attribuite anche ad altre cause.
c)
Zarrelli non calzava il numero 42, come quello di un'impronta lasciata nell'appartamento; venne infatti esclusa l'ipotesi di un'impronta simulata, ovvero di altri complici.
d)
Quanto al movente, venne, sì, accertato che Zarrelli era sempre ricoperto di debiti e che spesso batteva cassa dalla zia; ma la circostanza   che avesse ucciso lo zio adottivo in stato d'ira, dopo che questi gli aveva negato un ennesimo prestito era meramente congetturale, e, quindi, irrilevante ai fini probatori.

IL FALSO ALIBI "GIUSTIFICANTE"
Paradossalmente, però, quello che più di tutto contò ai fini della sua assoluzione, fu la circostanza che lui si era difeso, sì, con un alibi assolutamente "falso", ma, nello stesso tempo, anche del tutto "inconguente"; per cui si ritenne che solo un innocente avrebbe potuto raccontare una cosa del genere.
***
Ed infatti:
- dichiarò che quella sera era stato al cinema (il che non era vero);
- ma in un orario diverso da quello del delitto.
Lascio raccontarlo a lui in prima persona!
(password: "logos")
https://www.dailymotion.com/video/x86leka

IL MIO RACCONTINO GIALLO DEL 1971
Quando ascoltai anch'io questa eccezionale registrazione, nella bellissima trasmissione "Il giallo e il nero", rimasi letteralmente esterrefatto; ed infatti, soprendentemente, essa corrispondeva in tutto e per tutto all'espediente a cui era ricorso un "assassino immaginario" in un raccontino giallo che avevo scritto a vent'anni, nel 1971 (e che poi avevo sfruttato nell'estate del 1972 per inscenare un finto processo dal vivo con alcuni amici, ma che non venne mai pubblicato).
***
Ed infatti:

a)
In un altro mio precedente racconto, avevo ipotizzato il classico caso dell'alibi  "precostituito" nell'ambito di un delitto "premeditato"; nel quale l'assassino entra nel cinema alle ore 20,30 facendosi ben notare dalla cassiera, ne esce travestito alle 21,00, uccide la vittima alle ore 21,30, torna nel cinema con un altro travestimento alle ore 22,00, ed esce a fine spettacolo alle ore 22,30, senza travestimento e facendosi ben notare da più persone.
Ed infatti, all'epoca, si entrava e si usciva dai cinema in qualunque momento, a prescindere dall'"inizio dello spettacolo".

b)
In un mio successivo racconto, invece, avevo ipotizzato l'ipotesi (molto più complicata per l'assassino) nella quale l'omicidio  non era stato affatto "premeditato" in anticipo, ma era avvenuto d'impulso, sul momento.
In tal caso, infatti:
- o l'assassino, se riesce a trovarli,  si compra a posteriori dei testimoni molto attendibili (che poi, però, possono ricattarlo a vita);
- oppure ricorre alla solita "storiella" del cinema, del teatro, dello stadio ecc., raccontando che era lì al momento del delitto.
Ma, come la cronaca nera testimonia (anche nel caso di Zarelli) si tratta di un espediente davvero "idiota", perchè la polizia ci mette poco a scoprire che è falso.
E allora?
***
E allora, nel mio raccontino, l'assassino fa il seguente ragionamento: "Sai che c'è? Io, se mi chiedono un alibi, racconto che sono stato al cinema in un orario incompatibile con quello dell'omicidio (che invece, ovviamente, rammento benissimo); quando, poi, però, si scopre che non era affatto vero, faccio finta di 'cadere dal pero', e dico alla polizia: <<Mannaggia, scusatemi se ho mentito, ma, poichè ero stato indagato a causa del mio movente, per paura, mi sono inventato alla bell'e meglio un "alibi" fasullo>>.
Però, ragazzi, suvvia: Se fossi stato davvero colpevole, l'alibi me lo sarei inventato per l'ora del delitto, e non per un'altra ora.
Non vi pare?"
Così, nel processo simulato con alcuni amici dell'estate del 1972:
- il colpevole venne assolto ai sensi dell'art.533 CPP, perchè il suo argomento difensivo lo fornì dello scudo del "ragionevole dubbio";
- non potè neanche essere condannato per falsa testimonianza, perchè non era un "testimone", bensì un "imputato", il quale ha il pieno diritto di mentire (*).


EPILOGO
Come ho detto, Zarelli venne assolto, ed è stato pure risarcito dallo Stato per danni morali e materiali con un milione e quattrocentomila euro.
Nel 2011, però, il procuratore aggiunto Giovanni Melillo ordinò che venissero nuovamente analizzate con i più moderni mezzi scientifici le tracce biologiche presenti sulla scena e prelevati da un bicchiere, delle cicche di sigaretta e un asciugamano macchiato di sangue; e, nel 2014 giunse la conferma che quel DNA appartiene indubbiamente a Domenico Zarrelli e ad altri due soggetti non identificati che potrebbero avere agito in concorso con l'uomo.
Però, secondo il principio del "ne bis in idem", Zarelli ormai non può più essere processato una seconda volta con la stessa accusa; anzi, gli stessi reperti che avrebbero costituito un importante punto di partenza per la riapertura del caso sono stati distrutti prima che il Gip potesse pronunciarsi sulla riapertura delle indagini.
Per cui la strage di via Caravaggio, 42 anni dopo, resta ancora impunita; almeno, dalla giustizia di questa terra!
***
NOTA (*)
Se il diritto di difesa, è, secondo il dettato dell' art. 24 Cost., inviolabile , ne discende che I' imputato ha il diritto di difendersi nel modo che ritiene più opportuno e con le modalità che reputa più convenienti.
Per cui, se l'imputato, al fine di resistere all'accusa che gli viene mossa, decide di effettuare una ricostruzione della sua condotta difforme dal vero, questo suo atteggiamento rientra a pieno titolo nel suo inviolabile diritto di difesa.
A questo si aggiunga che, le regole che governano l'istruzione dibattimentale, non prevedono, per l'imputato, al momento in cui deve sottoporsi all'esame ex art. 503 cpp, l'obbligo del giuramento previsto per i testimoni ed i consulenti.

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