La tecnologia e il significato del mondo

Aperto da maral, 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM

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maral

Riprendo qui una parte del discorso di Jean, in "Percorsi ed esperienze", "La nostra riserva indiana...":

CitazioneScienza..?
Noi comperiamo 1,300.000.001 (l'uno finale è il mio, però almeno quadriennale...) smartphone all'anno, usiamo il pc quotidianamente (o quasi), abbiamo sotto gli occhi le devastazioni crescenti a causa di cambiamenti climatici... e Fukushima, dove una lega di uranio e zirconio (corio) da 700 tonnellate fondendo dopo il vessel d'acciaio di 20 centimetri anche i quattro metri di calcestruzzo sottostante... è sprofondato e scende... e se incontra un deposito d'acqua... preghiamo che non accada...

Comunque scienza è anch'essa un viaggio... tra poche ore Juno se tutto andrà bene entrerà in orbita attorno a Giove... ma l'avete visto 2001 odissea nello spazio? Un gigante gassoso, un potenziale (secondo qualcuno) secondo sole... e le foto delle galassie, delle nebulose (la mia preferita, l'occhio di gatto della mia icona...), dei pianeti... e Curiosity, il rover della Nasa su Marte che si avvicinerà per documentare a mezzo fotografie la presenza dell'acqua, altro che ipotesi di vita extraterrestre...
Partendo da qui vorrei porre la seguente questione: ci rendiamo conto (e in che misura ciascuno di noi) dell'impatto enorme che hanno sul nostro modo di pensare, di concepire il significato di noi stessi e del mondo, le scoperte scientifiche e gli stessi strumenti tecnologici che utilizziamo? Oppure pensiamo che la tecnologia che usiamo è indifferente, che potremmo pensarla e comunicare (influenzandoci reciprocamente) esattamente allo stesso modo con o senza di essa, che questa strumentazione elettronica che abbiamo davanti non ha alcuna influenza sul nostro "spirito" e dunque sul nostro modo di dialogare, pensare, credere, sperare o disperare?
Lo chiedo perché ritengo che sia fondamentale capire il ruolo dello strumento tecnologico (a partire dall'età della pietra) nella percezione prima o poi inevitabile del significato delle cose, ben più che in quello di una descrizione con pretese "oggettive" (nel senso di indipendente dalla posizione dell'osservatore) della loro realtà. 
Jean, ha ragione, gli strumenti tecnologici ci mettono in viaggio, e nel viaggio il panorama di cui partecipiamo muta e muta sempre più rapidamente e, che lo vogliamo o no, in questo panorama noi finiamo sempre con il finirvi inclusi, qualsiasi intima resistenza o ragione ci illudevamo di poter porre a questa inclusione per conservare un rifugio stabile per lo spirito.   


sgiombo

Mi sento molto "prosaico", "terra terra" e (cosa che non mi lusinga per niente), "seguace (almeno a questo proposito) del senso comune" (ovvero, poco critico, alquanto superficiale"), ma a me sembra semplicemente che (oltre al resto) lo sviluppo scientifico e tecnico ci consente di conoscere tendenzialmente sempre meglio "il mondo" (più precisamente la sola parte materiale - naturale della realtà); questo sia dotandoci di osservazioni  tendenzialmente sempre più estese e profonde, precise, "fedeli", sempre meno "distorte" (o meglio: interpretabili in modo sempre meno "distorto"), sia di mezzi atti ad ottenerle, e inoltre consentendoci di comunicare  tendenzialmente sempre più e meglio, e dunque di confrontare sempre più le nostre convinzioni con altre ad esse più o meno alternative e/o complementari.
Ed ovviamente conoscendo tendenzialmente sempre più e meglio almeno una parte della realtà nella quale ci collochiamo tendiamo anche a mutare in qualche misura la complessiva "concezione" che abbiamo di noi stessi (in quanto correlati a una realtà complessiva nella quale veniamo a trovarci e i rapporti e le relazioni con la quale contribuiscono a "plasmarci", a fare di noi quel che siamo).

paul11

Gli strumenti diventano linguaggio, o metalinguaggio, nel  processo fra noi e il mondo.
Non sono separati dal mondo e nemmeno da noi essendo "protesi" percettive o conoscitive , quindi alla fine si confondono con noi e il mondo entrando nel modello culturale.

maral

Citazione di: sgiombo il 17 Luglio 2016, 15:14:10 PM
...a me sembra semplicemente che (oltre al resto) lo sviluppo scientifico e tecnico ci consente di conoscere tendenzialmente sempre meglio "il mondo" (più precisamente la sola parte materiale - naturale della realtà); questo sia dotandoci di osservazioni tendenzialmente sempre più estese e profonde, precise, "fedeli", sempre meno "distorte" (o meglio: interpretabili in modo sempre meno "distorto"), sia di mezzi atti ad ottenerle, e inoltre consentendoci di comunicare tendenzialmente sempre più e meglio, e dunque di confrontare sempre più le nostre convinzioni con altre ad esse più o meno alternative e/o complementari.
Ed ovviamente conoscendo tendenzialmente sempre più e meglio almeno una parte della realtà nella quale ci collochiamo tendiamo anche a mutare in qualche misura la complessiva "concezione" che abbiamo di noi stessi (in quanto correlati a una realtà complessiva nella quale veniamo a trovarci e i rapporti e le relazioni con la quale contribuiscono a "plasmarci", a fare di noi quel che siamo).
Non so se davvero ci sia un progresso come conoscenza, non credo che un computer o un I-pod ci renda più sapienti di quando si scriveva sulla pergamena, anche sulla parte materiale della realtà. Quello che è certo è che gli strumenti aumentano la potenza di chi li usa sulla resistenza offerta dalla materia, ma finché non partecipano del significato che sentiamo di noi stessi ci alienano dalla conoscenza di noi stessi, come avviene quando la conoscenza diventa uno specialismo sempre più esasperato. Usare un trattore per dissodare un campo non rende più sapienti su quella terra, anzi, forse facendolo con una zappa se ne sa concretamente ben di più, ma certamente rende quel terreno qualcosa di diverso e diverso è reso anche chi si mette a dissodarlo, in ogni gesto e pensiero che lo strumento che usa gli fa fare per utilizzarlo.

Citazione di: paul11Gli strumenti diventano linguaggio, o metalinguaggio, nel  processo fra noi e il mondo.
Non sono separati dal mondo e nemmeno da noi essendo "protesi" percettive o conoscitive , quindi alla fine si confondono con noi e il mondo entrando nel modello culturale.
Allora forse dovremmo indagare con più attenzione gli strumenti che usiamo quotidianamente per scoprire cosa siamo e quale significato di noi stessi ci restituiscono nel determinare il nostro modo di agire.

paul11

Citazione di: maral.
quote]Gli strumenti diventano linguaggio, o metalinguaggio, nel processo fra noi e il mondo. Non sono separati dal mondo e nemmeno da noi essendo "protesi" percettive o conoscitive , quindi alla fine si confondono con noi e il mondo entrando nel modello culturale.
Allora forse dovremmo indagare con più attenzione gli strumenti che usiamo quotidianamente per scoprire cosa siamo e quale significato di noi stessi ci restituiscono nel determinare il nostro modo di agire. [/quote]


Sì, studiando i reperti vediamo i livelli di conoscenza e di rappresentazione in diverse modalità.
Un cucchiaio, un recipiente, una cartografia, una tastiera qwerty, ci dicono non solo il grado tecnologico , ma il come focalizziamo storicamente la relazione conoscitiva, l'utilità , l'efficienza, l'ergonomia, i materiali utilizzati. le funzionalità.

acquario69

si il panorama intorno a noi muta e pare lo faccia sempre più velocemente anche grazie (?) alla tecnica...che pero da tecnica si e' trasformata in tecnologia.
chiaro che ci ha trasformati (ora non voglio estenderlo ad altri) ma per quanto mi riguarda devo ammettere che e' così..potrei anche trovarci del buono ma se dovessi fare un bilancio complessivo preferisco,forse per mia stessa inclinazione,ad un esistenza che se privata da tutta questa tecnologia la troverei senz'altro di gran lunga qualitativa,anziché il contrario...
mi capita tra l'altro di constatare che certe comodità finiamo per pagarle a caro prezzo,sopratutto nel modo in cui queste finiscono per distorcere il reale,da cui veniamo alla fine separati
essendo nato prima di internet (per rimanere in questo ambito) posso constatare la differenza e ancor di più quello di aver potuto fare esperienza se pur mi siano arrivati solo gli ultimissimi echi,di un modello ormai scomparso definitivamente ma che mi porterò sempre con me...e la reputo una grande fortuna 

pero io credo che nonostante tutto esiste la possibilità di non rimanervi inclusi e sopratutto di non rischiare di rimanerci impantanati.
certo richiede senz'altro più forza ed e' probabile che non sempre vi si riesce,anche perché non siamo entità isolate e tutto ha una sua reciprocità...comunque e' qualcosa che non troveremo mai "all'esterno' ed e' quello "spirito" che per sua natura e' stabile ed immutabile e che per quanto tutto intorno a noi si agita e cambia incessantemente,rimane un ancora sicura dove approdare sempre e comunque.

mi piace e a proposito riportare qui un versetto postato da Aniel

"Le armi non trafiggono IL SE ne' il fuoco lo brucia ne' lo bagnano le acque ne' il vento lo disseca.
Esso non puo' essere ne' trafitto ne' bruciato ne' bagnato ne' dissecato. E' imperituro, onnipresente, immobile e costante: e' sempre identico a se stesso' E' chiamato il non-manifesto, l'inconcepibile, l'immutabile; conoscendolo come tale non devi piu' affliggerti" .  

sgiombo

Citazione di: maral il 18 Luglio 2016, 22:56:54 PM
Citazione di: sgiombo il 17 Luglio 2016, 15:14:10 PM
...a me sembra semplicemente che (oltre al resto) lo sviluppo scientifico e tecnico ci consente di conoscere tendenzialmente sempre meglio "il mondo" (più precisamente la sola parte materiale - naturale della realtà); questo sia dotandoci di osservazioni tendenzialmente sempre più estese e profonde, precise, "fedeli", sempre meno "distorte" (o meglio: interpretabili in modo sempre meno "distorto"), sia di mezzi atti ad ottenerle, e inoltre consentendoci di comunicare tendenzialmente sempre più e meglio, e dunque di confrontare sempre più le nostre convinzioni con altre ad esse più o meno alternative e/o complementari.
Ed ovviamente conoscendo tendenzialmente sempre più e meglio almeno una parte della realtà nella quale ci collochiamo tendiamo anche a mutare in qualche misura la complessiva "concezione" che abbiamo di noi stessi (in quanto correlati a una realtà complessiva nella quale veniamo a trovarci e i rapporti e le relazioni con la quale contribuiscono a "plasmarci", a fare di noi quel che siamo).
Non so se davvero ci sia un progresso come conoscenza, non credo che un computer o un I-pod ci renda più sapienti di quando si scriveva sulla pergamena, anche sulla parte materiale della realtà. Quello che è certo è che gli strumenti aumentano la potenza di chi li usa sulla resistenza offerta dalla materia, ma finché non partecipano del significato che sentiamo di noi stessi ci alienano dalla conoscenza di noi stessi, come avviene quando la conoscenza diventa uno specialismo sempre più esasperato. Usare un trattore per dissodare un campo non rende più sapienti su quella terra, anzi, forse facendolo con una zappa se ne sa concretamente ben di più, ma certamente rende quel terreno qualcosa di diverso e diverso è reso anche chi si mette a dissodarlo, in ogni gesto e pensiero che lo strumento che usa gli fa fare per utilizzarlo.

CitazioneNon ho scritto che necessariamene ogni e ciascun particolare caso di progresso scientifico e tecnologico determina sempre unicamente un progresso nella conoscenza (e fra l' altro della conoscenza della sola componente naturale - materiale della realtà, che non é caratterizzata, contrariamente all' intenzionalità umana, da significati, ma semplocemente da eventi di per sé provi di significato; che ad essi può eventualmente essere atribuito o meno dall' uomo; men che meno della conoscenza di noi stessi, se non unicamente in quanto corpi biologici materiali, riducibili alla fisica-chimica; ma "noi", uomini, non siamno solo questo, abbiamo anche una mente non riducibile al corpo -cervello- nel senso in cui questo é perfettamente riducibile a molecole, atomi, ecc.): é ovvio che la funzione principale e "usuale" del trattore (ma nemmeno della zappa) non é aumentare le nostre conoscenze teoriche, men che meno su noi stessi e/o sui significati dei nostri pensieri e azioni o sui significati che noi arbitrariamente attribuiamo alla cose naturali materiali, ovvero in esse rileviamo; o crediamo di rilevare).

Ho affermato (o almeno intendevo affermare, e qui lo preciso) che in generale anche (fra l' atro) il progresso della conoscenza scientifica e dei mezzi tecnici tende a far si (e non: necessariamente fa si) che aumentino le nostre conoscenze della natura (materiale).
E -ripeto- ovviamente conoscendo tendenzialmente sempre più e meglio almeno una parte della realtà nella quale ci collochiamo tendiamo anche a mutare in qualche misura la complessiva "concezione" che abbiamo di noi stessi (in quanto correlati a una realtà complessiva nella quale veniamo a trovarci e i rapporti e le relazioni con la quale contribuiscono (e aggiungo per maggior precisione: in qualche misura, ovviamente limitata) a "plasmarci", a fare di noi quel che siamo).

maral

Il contadino che usa il trattore non è che non acquista maggiori conoscenze teoriche (che certamente non è questo lo scopo del trattore e nemmeno della zappa), ma, proprio per la maggior potenza che offre il mezzo a vincere la resistenza della materia, perde molte delle conoscenze concrete proprio sul terreno che ha da arare (che invece la zappa, per venire maneggiata con efficacia, richiedeva). Non solo, perde anche conoscenza sull'uso del mezzo stesso: infatti mentre può e deve conoscere perfettamente la propria zappa (tanto che se si rompe sa come riaggiustarla o farsene una nuova), non è tenuto a conoscere perfettamente il funzionamento del trattore, non è di sua competenza e se si rompe chiama il meccanico, ossia lo specialista, che ovviamente a sua volta nulla è tenuto a sapere di agricoltura, giacché non è questione di sua competenza e se vuole frutta e verdura va a comprarsela già pronta e persino lavata al mercato.
Questa perdita di conoscenza concreta la riscontriamo anche con l'uso del computer o dei  mezzi di comunicazione elettronici che indubbiamente ci offrono una possibilità di comunicazione incomparabilmente superiore rispetto al passato, ma ciò che per il loro uso è richiesto sapere è per lo più assai limitato e semplice (infatti la tecnologia è tanto migliore quanto più facilmente ci permette di usare la sua potenza e meno conoscenza richiede all'utilizzatore), eppure il bello è che con questi strumenti di uso quotidiano, che richiedono solo di premere dei tasti o sfiorarli con la punta delle dita per funzionare, riusciamo spesso a incasinarci lo stesso e di nuovo ci serve lo specialista, come al lattante serve il seno della madre per sfamarsi (un lattante a cui la tecnologia consente di rimanere tale, anzi ritiene doveroso che si mantenga tale).

paul11

Citazione di: maral il 19 Luglio 2016, 09:37:31 AMIl contadino che usa il trattore non è che non acquista maggiori conoscenze teoriche (che certamente non è questo lo scopo del trattore e nemmeno della zappa), ma, proprio per la maggior potenza che offre il mezzo a vincere la resistenza della materia, perde molte delle conoscenze concrete proprio sul terreno che ha da arare (che invece la zappa, per venire maneggiata con efficacia, richiedeva). Non solo, perde anche conoscenza sull'uso del mezzo stesso: infatti mentre può e deve conoscere perfettamente la propria zappa (tanto che se si rompe sa come riaggiustarla o farsene una nuova), non è tenuto a conoscere perfettamente il funzionamento del trattore, non è di sua competenza e se si rompe chiama il meccanico, ossia lo specialista, che ovviamente a sua volta nulla è tenuto a sapere di agricoltura, giacché non è questione di sua competenza e se vuole frutta e verdura va a comprarsela già pronta e persino lavata al mercato. Questa perdita di conoscenza concreta la riscontriamo anche con l'uso del computer o dei mezzi di comunicazione elettronici che indubbiamente ci offrono una possibilità di comunicazione incomparabilmente superiore rispetto al passato, ma ciò che per il loro uso è richiesto sapere è per lo più assai limitato e semplice (infatti la tecnologia è tanto migliore quanto più facilmente ci permette di usare la sua potenza e meno conoscenza richiede all'utilizzatore), eppure il bello è che con questi strumenti di uso quotidiano, che richiedono solo di premere dei tasti o sfiorarli con la punta delle dita per funzionare, riusciamo spesso a incasinarci lo stesso e di nuovo ci serve lo specialista, come al lattante serve il seno della madre per sfamarsi (un lattante a cui la tecnologia consente di rimanere tale, anzi ritiene doveroso che si mantenga tale).

Quì andiamo su aspetti parecchio importanti dalla modernità in poi.
Il primo è che lo strumento incorpora sempre più conoscenza, costruttiva e di utilizzo.
Il secondo il passaggio dall'artigianato e del contado all'industria.
Il modello produttivo industriale si afferma con il taylorismo e il fordismo per aumentare in efficienza, e la divisione del lavoro e quindi la frammentazione della conoscenza all'interno del processo porterà allo specialismo e alle ruolificazioni funzionali al nuovo modello produttivo che tende a riprodursi come modello sociale.

Diventiamo dipendenti da tutti , perchè non abbiamo nessun processo sotto controllo .
L'energia non è autogena o autoprodotta, gli impianti domestici sono sempre più una "rete" di derivazioni dove l'utenza è solo i lfinale.
Le nostre conoscenze sono effimere, all'interno del grande modello , per cui siamo tutti sostituibili e interdipendenti, ovvero noi stessi siamo diventati strumento.

sgiombo

Citazione di: maral il 19 Luglio 2016, 09:37:31 AM
Il contadino che usa il trattore non è che non acquista maggiori conoscenze teoriche (che certamente non è questo lo scopo del trattore e nemmeno della zappa), ma, proprio per la maggior potenza che offre il mezzo a vincere la resistenza della materia, perde molte delle conoscenze concrete proprio sul terreno che ha da arare (che invece la zappa, per venire maneggiata con efficacia, richiedeva). Non solo, perde anche conoscenza sull'uso del mezzo stesso: infatti mentre può e deve conoscere perfettamente la propria zappa (tanto che se si rompe sa come riaggiustarla o farsene una nuova), non è tenuto a conoscere perfettamente il funzionamento del trattore, non è di sua competenza e se si rompe chiama il meccanico, ossia lo specialista, che ovviamente a sua volta nulla è tenuto a sapere di agricoltura, giacché non è questione di sua competenza e se vuole frutta e verdura va a comprarsela già pronta e persino lavata al mercato.
Questa perdita di conoscenza concreta la riscontriamo anche con l'uso del computer o dei  mezzi di comunicazione elettronici che indubbiamente ci offrono una possibilità di comunicazione incomparabilmente superiore rispetto al passato, ma ciò che per il loro uso è richiesto sapere è per lo più assai limitato e semplice (infatti la tecnologia è tanto migliore quanto più facilmente ci permette di usare la sua potenza e meno conoscenza richiede all'utilizzatore), eppure il bello è che con questi strumenti di uso quotidiano, che richiedono solo di premere dei tasti o sfiorarli con la punta delle dita per funzionare, riusciamo spesso a incasinarci lo stesso e di nuovo ci serve lo specialista, come al lattante serve il seno della madre per sfamarsi (un lattante a cui la tecnologia consente di rimanere tale, anzi ritiene doveroso che si mantenga tale).
CitazioneA parte il fatto che l' esistenza del trattore non impedisce al contadino l' uso (anche) della zappa, come di fatto accade, l' uso del primo richiede e promuove "conoscenze pratiche" non meno che l' uso della seconda, anche se diverse (e infatti occorre una patente; e le caratteristiiche del terreno da arare il contadino le deve conoscere comunque bene, per esempio per scegliere quale "marcia" impiegare nell' aratura col trattore).
Dubito inoltre che un conadino abbia mai saputo costruirsi una zappa; e comunque anche per piccole riparazioni del trattore può arrangiarsi da sé, senza chiamare il meccanico).
Comunque la "conoscenza perfetta" della zappa mi sembra molto banale e non cancellata dall' uso del trattore.
E meno male che il meccanico può comprare frutta e verdura al mercato; quando non c' era divisione del lavoro e tutti dovevano "saper fare di tutto" spessissimo si tirava la chinghia (e infatti si moriva in età molto giovane, per gli standard attuali).


Perdere la capacità d' uso della cannuccia con pennino (che usavo alla scuola elementare; per esempio il sapere evitare le macchie, sul che peraltro non sono mai stato molto in gamba: quanto ho fatto disperare il mio povero maestro!) é buona cosa ai fini della mia cultura se in cambio imparo l' uso dei programmi di scrittura col computer.
Se devo conoscere meno cose sulla tecnica del mezzo che impiego potrò concetrarmi di più sul contenuto di quello che voglio scrivere o leggere o imparare (che per me é imporatnte, contrariamente alla tecnologia dell' hardware e al software).
Non vedo in che senso la tecnologia mi impedirebbe di imparare e superare la condizione di ignoranza del lattante (anzi, in questo mi giova non poco).


Più in generale si possono fare usi più o meno buoni della tecica moderna, come delle antiche.
E sono necessariamente i rapporti di produzione capitalistici e non necessariamente  le tecniche (men che meno la scienza) moderne che tendono ad avere effetti negativi, e  anche disastrosi, sulla singola persona umana e sull' umanità tutta (e anche la natura tutta intera).

maral

#10
Citazione di: sgiombo il 19 Luglio 2016, 12:41:12 PM
A parte il fatto che l' esistenza del trattore non impedisce al contadino l' uso (anche) della zappa, come di fatto accade, l' uso del primo richiede e promuove "conoscenze pratiche" non meno che l' uso della seconda, anche se diverse (e infatti occorre una patente; e le caratteristiiche del terreno da arare il contadino le deve conoscere comunque bene, per esempio per scegliere quale "marcia" impiegare nell' aratura col trattore).
Dubito inoltre che un conadino abbia mai saputo costruirsi una zappa; e comunque anche per piccole riparazioni del trattore può arrangiarsi da sé, senza chiamare il meccanico).
Comunque la "conoscenza perfetta" della zappa mi sembra molto banale e non cancellata dall' uso del trattore.
E meno male che il meccanico può comprare frutta e verdura al mercato; quando non c' era divisione del lavoro e tutti dovevano "saper fare di tutto" spessissimo si tirava la chinghia (e infatti si moriva in età molto giovane, per gli standard attuali).


Perdere la capacità d' uso della cannuccia con pennino (che usavo alla scuola elementare; per esempio il sapere evitare le macchie, sul che peraltro non sono mai stato molto in gamba: quanto ho fatto disperare il mio povero maestro!) é buona cosa ai fini della mia cultura se in cambio imparo l' uso dei programmi di scrittura col computer.
Se devo conoscere meno cose sulla tecnica del mezzo che impiego potrò concetrarmi di più sul contenuto di quello che voglio scrivere o leggere o imparare (che per me é imporatnte, contrariamente alla tecnologia dell' hardware e al software).
Non vedo in che senso la tecnologia mi impedirebbe di imparare e superare la condizione di ignoranza del lattante (anzi, in questo mi giova non poco).


Più in generale si possono fare usi più o meno buoni della tecica moderna, come delle antiche.
E sono necessariamente i rapporti di produzione capitalistici e non necessariamente  le tecniche (men che meno la scienza) moderne che tendono ad avere effetti negativi, e  anche disastrosi, sulla singola persona umana e sull' umanità tutta (e anche la natura tutta intera).
Fermo restando che si possano fare usi più o meno buoni (nel senso di utili) della tecnica, sbagli Sgiombo a ritenere che il contadino di un tempo non sapesse costruirsi la sua zappa (e da chi se la faceva costruire? Nel Medio Evo andava a comprarsela al Brico Center più vicino?), e più in generale, a differenza dell'operaio della produzione massificata attuale, l'artigiano non avesse una grande competenza dell'attrezzatura che usava (come il pittore che un tempo si preparava da sé i colori nel mortaio, anziché andarseli a comprare già pronti e amalgamati con colle ed eccipienti per essere stesi sulla tela). Ma sbagli soprattutto a credere che nulla e nessuno impedirebbe al suddetto contadino di tornare alla zappa, questo ritorno è impossibile perché il trattore ha cambiato il contesto di senso in cui ci si trova a operare (il mondo in cui è possibile la potenza del trattore, rende di fatto inutilizzabile la zappa) e se ci provasse, il suddetto contadino risulterebbe semplicemente patetico (o ben che vada un originale, la cui stramberia sarebbe comunque socialmente consentita da chi usa il trattore e dunque fa le cose seriamente), un po' come sarebbe oggi scrivere con la penna d'oca su pergamena anziché inviarsi sms. Nulla in linea di principio pare vietarlo, ma di fatto non ha alcun senso reale farlo (o quanto meno farlo non per strampalato vezzo antiquario). Tu e io usiamo il computer, forse uno smartphone, certamente, credo, un telefonino, e comunque abbiamo a disposizione una tecnologia che ci consente di fare e conoscere cose impensabili rispetto a un tempo, eppure proprio tecnologicamente non sappiamo nulla (se non in termini del tutto generali), solo premiamo bottoni nel modo più intuitivamente facilitante possibile (ma spesso sbagliando pure a premerli nella giusta sequenza e ci impasticciamo penosamente): solo un lieve sfiorare di dita è ciò che ci compete e ci è richiesto e ci illudiamo di avere tutto sotto controllo, nella facilità che ci è donata. E' come possedere una bacchetta magica, né più né meno, di straordinaria e tanto facile potenza di utilizzo. In questo senso siamo effettivamente proprio come lattanti, del tutto dipendenti dalle mammelle tecnologiche a cui dobbiamo restare attaccati per sopravvivere (che poi questo sia utile al capitale o che il capitalismo sia utile alla tecnologia, o che le due cose si possano separare è altro discorso). quello che conta è che la tecnologia ci rende tutti (anch'io che parlo in questo modo) assolutamente dipendenti da essa, mentre ci fa credere di espandere enormemente e così facilmente, senza resistenza, le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero. E' per questo che funziona: una volta che si è entrati nell'età delle nuove tecnologie nessuno può seriamente pensare di rimanere indietro, e non dipende da lui, non è scelta sua, perché non ha scelta, se tentasse di resistere sarebbe semplicemente spazzato via dai nuovi contesti tecnico operativi, sociali ed economici instaurati di fatto dalle nuove tecnologie, di cui sempre meno può capire in virtù dello specialismo che richiedono.
Il trattore in realtà è già antiquato, insieme al suo addetto all'uso (che è davvero arduo definire ancora agricoltore), il futuro è un drone telecomandato che fa tutto da solo rendendo del tutto obsoleti sia trattore che addetto all'uso (a meno che non si intestardisca sull'antiquato per futile hobby o personale mania).

sgiombo

Citazione di: maral il 28 Luglio 2016, 10:13:41 AM
Fermo restando che si possano fare usi più o meno buoni (nel senso di utili) della tecnica, sbagli Sgiombo a ritenere che il contadino di un tempo non sapesse costruirsi la sua zappa (e da chi se la faceva costruire? Nel Medio Evo andava a comprarsela al Brico Center più vicino?), e più in generale, a differenza dell'operaio della produzione massificata attuale, l'artigiano non avesse una grande competenza dell'attrezzatura che usava (come il pittore che un tempo si preparava da sé i colori nel mortaio, anziché andarseli a comprare già pronti e amalgamati con colle ed eccipienti per essere stesi sulla tela). Ma sbagli soprattutto a credere che nulla e nessuno impedirebbe al suddetto contadino di tornare alla zappa, questo ritorno è impossibile perché il trattore ha cambiato il contesto di senso in cui ci si trova a operare (il mondo in cui è possibile la potenza del trattore, rende di fatto inutilizzabile la zappa) e se ci provasse, il suddetto contadino risulterebbe semplicemente patetico (o ben che vada un originale, la cui stramberia sarebbe comunque socialmente consentita da chi usa il trattore e dunque fa le cose seriamente), un po' come sarebbe oggi scrivere con la penna d'oca su pergamena anziché inviarsi sms. Nulla in linea di principio pare vietarlo, ma di fatto non ha alcun senso reale farlo (o quanto meno farlo non per strampalato vezzo antiquario). Tu e io usiamo il computer, forse uno smartphone, certamente, credo, un telefonino, e comunque abbiamo a disposizione una tecnologia che ci consente di fare e conoscere cose impensabili rispetto a un tempo, eppure proprio tecnologicamente non sappiamo nulla (se non in termini del tutto generali), solo premiamo bottoni nel modo più intuitivamente facilitante possibile (ma spesso sbagliando pure a premerli nella giusta sequenza e ci impasticciamo penosamente): solo un lieve sfiorare di dita è ciò che ci compete e ci è richiesto e ci illudiamo di avere tutto sotto controllo, nella facilità che ci è donata. E' come possedere una bacchetta magica, né più né meno, di straordinaria e tanto facile potenza di utilizzo. In questo senso siamo effettivamente proprio come lattanti, del tutto dipendenti dalle mammelle tecnologiche a cui dobbiamo restare attaccati per sopravvivere (che poi questo sia utile al capitale o che il capitalismo sia utile alla tecnologia, o che le due cose si possano separare è altro discorso). quello che conta è che la tecnologia ci rende tutti (anch'io che parlo in questo modo) assolutamente dipendenti da essa, mentre ci fa credere di espandere enormemente e così facilmente, senza resistenza, le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero. E' per questo che funziona: una volta che si è entrati nell'età delle nuove tecnologie nessuno può seriamente pensare di rimanere indietro, e non dipende da lui, non è scelta sua, perché non ha scelta, se tentasse di resistere sarebbe semplicemente spazzato via dai nuovi contesti tecnico operativi, sociali ed economici instaurati di fatto dalle nuove tecnologie, di cui sempre meno può capire in virtù dello specialismo che richiedono.
Il trattore in realtà è già antiquato, insieme al suo addetto all'uso (che è davvero arduo definire ancora agricoltore), il futuro è un drone telecomandato che fa tutto da solo rendendo del tutto obsoleti sia trattore che addetto all'uso (a meno che non si intestardisca sull'antiquato per futile hobby o personale mania).
CitazioneScusa Maral, ma trovo decisamente poco realistiche e molto "fantasiose" (o "arcadiche", se volgiamo) le tue tesi sul passato (e decisamente "fantascientifiche" quelle sul futuro): non credo che nessun contadino abbia mai posseduto un altoforno in cui trattare il minerale ferroso per forgiare una zappa, e probabilmente nemmeno un laboratorio di falegnameria per ricavarne un manico "decente" da un ramo d' albero).
Le zappe se le compravano al mercato, (almeno dai tempi delle prime città neolitiche. E a maggior ragione nel medio evo; al limite mediante baratto, nei tempi più antichi).
Non ho negato che il conadino di una volta dovesse disporre di competenze tecniche per usare e riparare la zappa; ho solo affermato che quello di oggi deve disporne anche di maggiori (oltre a quelle necessarie all' uso e riparazione della zappa, che continua ad adoperare su tratti di terreno limitati, poco o nulla accessibli a strumenti più ingombranti, per determinate coltivazioni "di qualità" -agricoltura cosiddetta "biologica" ecc.- e a  riparare oltre al trattore), per usare e fare piccole riparazioni anche del trattore, senza chiamare il meccanico, per esempio, ogni volta che c' é bisogno di sostituire una lampada per illuminazione o un fusibile di una "freccia" (segnalatore di direzione).

Se vai in qualunque cascina vi troverai, accanto a trattori e macchine moderne anche più sofisticate, qualche zappa, qualche falce e qualche rastrello, tuttora utilizzati (e riparati, se necessario).
Ovvio che nessun contadino odierno usa la zappa per dissodare a mano enormi appezzamenti di terreno, ma ciò non toglie che mantenga la competenza nel suo uso e riparazione e che la usi, anche se di solito "marginalmente", per piccoli lavori di qualità o per ottenere prodotti di suo uso personale (generalmente non ha meno ma invece più "competenze pratiche" del contadino "di una volta").



Non vedo che ci sia di male nel fatto che abbiamo a disposizione una tecnologia che ci consente di fare e conoscere cose impensabili rispetto a un tempo, eppure proprio tecnologicamente non sappiamo nulla (se non in termini del tutto generali), solo premiamo bottoni nel modo più intuitivamente facilitante possibile (ma spesso sbagliando pure a premerli nella giusta sequenza e ci impasticciamo penosamente): solo un lieve sfiorare di dita è ciò che ci compete e ci è richiesto per usare i mezzi moderni e ottenere gli scopi che ci prefiggiamo più facilmente e tendenzialmente almeno non peggio (se non anche meglio) di quando dovevamo usare la cannuccia con il pennino stando bene attenti a non intingere troppo inchiostro e a usare diligentemente la carta assorbente per non fare macchie (cosa che personalmente mi costava una fatica boia e spesso non riuscivo a conseguire per bene, mettendo a dura prova la non enorme pazienza del mio buon maestro).
 Concordo che poi questo sia utile al capitale o che il capitalismo sia utile alla tecnologia, o che le due cose si possano separare -come credo; e come é di fatto accaduto durante l' esistenza del "socialismo reale"- è altro discorso).
La tecnologia ci rende tutti -credo relativamente- dipendenti da essa, mentre ci fa effettivamente espandere (o almeno ci dà la possibilità effettiva di farlo, se la usiamo cretivamente) enormemente e in modo relativamente facile, non senza resistenza (nessuna bacchetta magica, ma solo aggeggi limitattamente utili!), le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero.



A chi mai venderebbero i loro prodotti (chi li mangerebbe) i presunti "droni telecomandati che faranno tutto da soli rendendo del tutto obsoleti sia trattori che addetti all'uso (dei trattori; e non a all' uso -e alle riparazioni- dei droni, N.d.R.)?

maral

Sgiombo penso proprio che qualsiasi contadino di un tempo sarebbe stato in grado di costruire un buon manico da un ramo d'albero (molto meglio di quanto non lo sappiamo fare io o tu o anche tanti ingegneri), l'arnese era il suo e sapeva come farselo e ripararselo. Non avrebbe certo saputo utilizzare un altoforno, anche perché al tempo del neolitico, ma anche nel medioevo non mi pare esistessero gli altiforni, e non erano necessari per avere una zappa. Il punto fondamentale è che assai meno di oggi era necessaria quella specializzazione che occorre per disporre di strumenti tecnologicamente complessi (e che li rende irrinunciabili per la stessa sopravvivenza basilare) e questa specializzazione ha un effetto positivo, ma anche uno negativo, ossia diminuisce in tutti (poiché tutti specializzati) la padronanza di ciò che serve per campare ove ciò che serve per campare non è specialisticamente definibile. Quindi si diventa tutti, individualmente, di fatto meno autonomi e meno liberi rispetto alla prospettiva che la condizione tecnologica rende necessaria. Basta che ti immagini cosa accadrebbe oggi se si interrompesse l'erogazione di energia elettrica per un periodo di molti giorni e cosa saresti in grado di fare tu individualmente per ripristinarla. Un tempo se un contadino perdeva il suo strumento di lavoro poteva rimediarlo con ben maggiore facilità.
Con questo non sto proponendo una visione arcadica del passato, perché la visione arcadica del passato è una immaginazione nostra, frutto della nostra era tecnologica, è un prodotto dell'era tecnologica e comunque qualsiasi ritorno al passato, è improponibile e impossibile, poiché le tecnologie che usiamo ci fanno essere quello che siamo e ogni modalità di vivere ha i suoi pro e i suoi contro che si bilanciano. Il progresso tecnologico ci rende la vita enormemente più facile a certi livelli, enormemente più complicata ad altri e nel complesso la vita non è né migliore né peggiore di un tempo, semplicemente è diversa , con possibilità e minacce diverse, sia per qualità che per magnitudo. Non è nemmeno per nulla fantascientifica la mia immagine del futuro: è già in atto (i droni telecomandati già esistono, lo sappiamo perfettamente e la robotica è da tempo entrata nella produzione industriale rendendo l'operaio "pastore di macchine" e il contadino operaio agricolo sempre più obsoleto). In essa l'uomo è sempre più inutile dato che i sistemi meccanizzati e automatizzati di produzione vengono a prevalere, e prevarranno sempre più a ogni livello (non solo operativo, ma anche progettuale e gestionale, campi in cui l'intelligenza artificiale riesce a offrire prestazioni sempre più eclatanti). Le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero individuale risultano in tal modo... sempre più inutili,  tecnicamente inefficaci, patetiche rispetto alle procedure operative a cui è opportuno attenersi.
La tecnologia rende l'essere umano obsoleto mentre gli promette il Paese della Cuccagna. E' inevitabile e l'uomo sarà inevitabilmente sempre più utilizzato solo come fruitore (ossia smaltitore) di prodotti e servizi meccanizzati o informatizzati. Come sta scritto nel romanzo di Saramago "La caverna", per la tecnologia vale il detto: "Possiamo darvi tutto quello che volete, ma preferiamo che voi volete tutto quello che possiamo darvi" e questo concetto si riflette nella continua suggestione che disciplina l'uso tecnicamente funzionale dell'umano (e sempre più lo disciplinerà in futuro).
Aggiungo che possiamo farci ben poco, siamo già prodotti del nostro presente e l'offerta facilitante delle nuove tecnologie non è in alcun modo rifiutabile (né lo è mai stata, nemmeno all'epoca del passaggio dall'età della pietra a quella del ferro), nemmeno da chi cerca di opporvisi (poiché anche l'opposizione è di fatto consentita nell'ambito di questo sviluppo tecnologico e in esso si trova inevitabilmente a rientrare). L'unica possibilità è mantenere ben chiara, per quanto possibile, la consapevolezza della situazione e in questa consapevolezza sperare di essere capaci di conservare il significato umano dell'esistenza (magari come memoria, se non come altro) e lottare per questo a dispetto di ogni funzionalità produttiva e di consumo. Come questo potrà verificarsi non so, ma una cosa mi pare quanto mai evidente: oggi  non siamo più noi a utilizzare la tecnologia, ma esattamente il contrario, dovrebbe essere evidente a tutti.

sgiombo

Citazione di: maral il 03 Agosto 2016, 17:49:38 PM
Sgiombo penso proprio che qualsiasi contadino di un tempo sarebbe stato in grado di costruire un buon manico da un ramo d'albero (molto meglio di quanto non lo sappiamo fare io o tu o anche tanti ingegneri), l'arnese era il suo e sapeva come farselo e ripararselo. Non avrebbe certo saputo utilizzare un altoforno, anche perché al tempo del neolitico, ma anche nel medioevo non mi pare esistessero gli altiforni, e non erano necessari per avere una zappa. Il punto fondamentale è che assai meno di oggi era necessaria quella specializzazione che occorre per disporre di strumenti tecnologicamente complessi (e che li rende irrinunciabili per la stessa sopravvivenza basilare) e questa specializzazione ha un effetto positivo, ma anche uno negativo, ossia diminuisce in tutti (poiché tutti specializzati) la padronanza di ciò che serve per campare ove ciò che serve per campare non è specialisticamente definibile. Quindi si diventa tutti, individualmente, di fatto meno autonomi e meno liberi rispetto alla prospettiva che la condizione tecnologica rende necessaria. Basta che ti immagini cosa accadrebbe oggi se si interrompesse l'erogazione di energia elettrica per un periodo di molti giorni e cosa saresti in grado di fare tu individualmente per ripristinarla. Un tempo se un contadino perdeva il suo strumento di lavoro poteva rimediarlo con ben maggiore facilità.
Con questo non sto proponendo una visione arcadica del passato, perché la visione arcadica del passato è una immaginazione nostra, frutto della nostra era tecnologica, è un prodotto dell'era tecnologica e comunque qualsiasi ritorno al passato, è improponibile e impossibile, poiché le tecnologie che usiamo ci fanno essere quello che siamo e ogni modalità di vivere ha i suoi pro e i suoi contro che si bilanciano. Il progresso tecnologico ci rende la vita enormemente più facile a certi livelli, enormemente più complicata ad altri e nel complesso la vita non è né migliore né peggiore di un tempo, semplicemente è diversa , con possibilità e minacce diverse, sia per qualità che per magnitudo. Non è nemmeno per nulla fantascientifica la mia immagine del futuro: è già in atto (i droni telecomandati già esistono, lo sappiamo perfettamente e la robotica è da tempo entrata nella produzione industriale rendendo l'operaio "pastore di macchine" e il contadino operaio agricolo sempre più obsoleto). In essa l'uomo è sempre più inutile dato che i sistemi meccanizzati e automatizzati di produzione vengono a prevalere, e prevarranno sempre più a ogni livello (non solo operativo, ma anche progettuale e gestionale, campi in cui l'intelligenza artificiale riesce a offrire prestazioni sempre più eclatanti). Le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero individuale risultano in tal modo... sempre più inutili,  tecnicamente inefficaci, patetiche rispetto alle procedure operative a cui è opportuno attenersi.
La tecnologia rende l'essere umano obsoleto mentre gli promette il Paese della Cuccagna. E' inevitabile e l'uomo sarà inevitabilmente sempre più utilizzato solo come fruitore (ossia smaltitore) di prodotti e servizi meccanizzati o informatizzati. Come sta scritto nel romanzo di Saramago "La caverna", per la tecnologia vale il detto: "Possiamo darvi tutto quello che volete, ma preferiamo che voi volete tutto quello che possiamo darvi" e questo concetto si riflette nella continua suggestione che disciplina l'uso tecnicamente funzionale dell'umano (e sempre più lo disciplinerà in futuro).
Aggiungo che possiamo farci ben poco, siamo già prodotti del nostro presente e l'offerta facilitante delle nuove tecnologie non è in alcun modo rifiutabile (né lo è mai stata, nemmeno all'epoca del passaggio dall'età della pietra a quella del ferro), nemmeno da chi cerca di opporvisi (poiché anche l'opposizione è di fatto consentita nell'ambito di questo sviluppo tecnologico e in esso si trova inevitabilmente a rientrare). L'unica possibilità è mantenere ben chiara, per quanto possibile, la consapevolezza della situazione e in questa consapevolezza sperare di essere capaci di conservare il significato umano dell'esistenza (magari come memoria, se non come altro) e lottare per questo a dispetto di ogni funzionalità produttiva e di consumo. Come questo potrà verificarsi non so, ma una cosa mi pare quanto mai evidente: oggi  non siamo più noi a utilizzare la tecnologia, ma esattamente il contrario, dovrebbe essere evidente a tutti.
CitazioneMi scuso per il ritardo nella risposta ma sono stato in ferie, scollegato da Internet.

Costruire una zappa (con un altoforno o con mezzi meno sofisticati) é cosa diversa da costruire un manico di zappa, e i contadini di una volta non sapevano di certo farlo (ma resto convinto che probabilmente non avrebbero potuto costruire nemmeno un buon manico da zappa; salvo nel caso delle pessime zappe dei contadini poco produttivi dei tempi più remoti della preistoria).

Credo che il bilancio fra minore autonomia "da specializzazione" (divisione del lavoro) e maggiore disponibilità di mezzi per vivere e realizzarsi come persone dovuto allo sviluppo della sicenza e della tecnica moderne sia ampiamento positivo, per lo meno potenzialmente; e che nella misura in cui non lo é attualmente ciò non sia da imputare affatto alla scienza e alla tecbica stesse, bensì ai rapporti di produzione capitalistici "in avanzato stato di putrefazione" vigenti (che non sono gli unici possibili, imposti ineluttabilmente dallo sviluppo delle forze profìduttive stesse).

 I sistemi meccanizzati e automatizzati di produzione non agiscono da sé, per loro proprie scelte liberoarbitrarie, bensì sono messi in funzione dagli uomini, che in qualsiasi momento possono, e sempre potranno, fermarli (se lo vogliono).

Le nostre autonome potenzialità cognitive e di pensiero individuale sono enormemente potenziate dalla possibilità di impiegare come mezzi per i nostri scopi  i sistemi meccanizzati e automatizzati di produzione, in particolare di produzione e trattamento di informazioni.

Non ho letto il romanzo di Saramago, ma sapendo che era un comunista autentico (portoghese: non un "eurocomunista", per intenderci), mi vien da dubitare che con la frase che citi alludesse genericamente al progresso scientifico e tecnologico e non piuttosto al suo uso imposto dagli assetti sociali capitalistici dominanti (ovviamente mi potrei sbagliare).

Le nuove tecnologie possono essere impiegate o meno (possono benissimo essere "rifiutate"), come dimostrano le vicende del "nucleare civile" in molti paesi, compreso il nostro; ma a questo proposito in ultima analisi sono decisivi i rapporti di produzione dominanti e i rapporti di forza nella lotta di classe.

A me pare evidentissimo che sono gli uomini a usare (malissimo, pericolosissimamente per la loro stessa sopravvivenza come specie animale, stanti i rapporti sociali vigenti) le tecniche e non viceversa.

Riassumo le mie convinzioni in proposito con una calzante citazione di Karl Marx a (dalla lettera a Pavel Annenkov del 28 Dicembre 1846, che ho letto proprio in queste ferie appena terminate):

"Infine é in generale una vera assurdità fare delle macchine una categoria economica accanto alla divisione del lavoro, alla conoscenza, al credito, ecc.
La macchina non é afftto una categoria economica, come non lo é il bue che tira l' aratro. L' applicazione attuale delle macchine é una delle relazioni del nostro sistema economico attale, ma il modo in cui le macchine vengono utilizzate é qualcosa di totalmente diverso dalle macchine stesse. La polvere da spasro rimane polvere da sparo sia che sce se ne serva paer ferire una persona, sia che la si usi per guarirne le ferite".

maral

Bentornato dalle ferie lontano da internet, Sgiombo
Citazione di: sgiombo il 29 Agosto 2016, 07:56:49 AM
Costruire una zappa (con un altoforno o con mezzi meno sofisticati) é cosa diversa da costruire un manico di zappa, e i contadini di una volta non sapevano di certo farlo (ma resto convinto che probabilmente non avrebbero potuto costruire nemmeno un buon manico da zappa; salvo nel caso delle pessime zappe dei contadini poco produttivi dei tempi più remoti della preistoria).
Mi sa che la zappa comprenda il manico per venire considerata tale e in genere è proprio il manico che rischia di rompersi per cui la zappa non funziona più (e non sottovaluterei la capacità di chi un tempo l'usava per ripararla, che sospetto incomparabilmente superiore di tantissimi oggi che magari vanno a comprarsene una nuova al centro commerciale più vicino. Io almeno farei così, ma penso di non essere l'unico). Parlando di zappe ovviamente mi riferisco a tempi storici, da quando l'uomo in certe zone del pianeta, circa 10000 anni fa, abbandonò la caccia e raccolta nomade per dedicarsi all'agricoltura e all'allevamento stanziali e, se si vogliono considerare le lame in ferro delle zappe, occorre riferirsi a quando si è passati all'età del ferro con la capacità di estrarre e lavorare quel metallo, più o meno 3 millenni or sono: templi biblici rispetto alle trasformazioni tecnologiche attuali. Certamente ogni passaggio tecnologico ha determinato una specializzazione all'interno delle società e conseguentemente forme di dipendenza con minore autonomia individuale, compensate da maggiore produttività ed efficienza, ma fino alla rivoluzione industriale l'impatto sugli esseri umani e sul mondo che abitano è risultato sufficientemente diluito nel tempo. La rivoluzione industriale fu resa possibile solo a partire da 2 o 3 secoli fa dall'impiego in grandi quantità di energie fossili e dai processi meccanizzati da queste consentite. Con l'enorme incremento di produzione standardizzata (in quanto meccanicizzata) che ha generato, soprattutto nell'ultimo secolo si è reso tecnologicamente necessario un consumo continuo e sempre più massivo, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. Il prodotto tecnologico, costruito dalle macchine, non serve oggi a soddisfare il bisogno, ma al contrario deve produrre continuamente nuovi bisogni insieme a illudere della promessa di soddisfare ogni desiderio e questo è il motivo per cui il consumismo dei paesi occidentali ha vinto sul comunismo delle economie pianificate dallo stato, una pura e semplice ragione tecnologica. E questo è il motivo anche per cui lo stesso capitalismo sta oggi tramontando: lo scopo dell'aumento del capitale non garantisce una sufficiente consumabilità del prodotto, dunque tutte le crisi sono crisi di sovra produzione. Questo significa quella frase di Saramago che coglie il punto fondamentale della questione tecnologica- consumistica: il dovere di consumare, di stimolare ai consumi, di inventare sempre nuovi desideri di facilitazioni (che diventano effettivi bisogni una volta che le tecnologie mostrano che sono in grado di soddisfarli rendendo apparentemente più semplice e comoda l'esistenza)  è reso imprescindibile dallo sviluppo delle tecnologie.
La vicenda narrata da Saramago, ha per protagonista una famiglia di vasai che artigianalmente produceva in proprio vasi di terracotta, finché il Centro a cui consegnavano la merce per venderla non rifiuta il loro prodotto: nessuno vuole più quei vasi, sono molto più apprezzati i nuovi vasi di plastica prodotti industrialmente in serie, dunque più economici, funzionali e assai meno fragili (al massimo i vecchi vasi in terracotta possono diventare merce per rarissimi estimatori o collezionisti). Certo, occorrono competenze tecnologiche sia per fare vasi di terracotta che vasi in plastica, ma mentre la produzione dei primi può essere condotta su base artigianale e quindi individuale, quella dei secondi no: le competenze artigianali non sono necessarie in un mondo in cui si possono produrre in serie quantità enormi di vasi in plastica e non è nemmeno più necessario l'uomo artigiano (con il modo di fare, di sentire e di pensare, ossia di essere dell'artigiano). Alla fine sono costretti ad abbandonare la loro casa e a trasferirsi al Centro, ove il genero del protagonista lavora come sorvegliante (il destino dell'uomo tecnologico; da produttore a sorvegliante, finché ovviamente non ci saranno macchine capaci di sorvegliare meglio di lui)
Noi viviamo in un'epoca in cui tutte le macchine che utilizziamo, la cui facilità d'uso e le prestazioni che consentono sono incomparabilmente superiori rispetto al passato, ci sono del tutto estranee nel modo di funzionare anche se ci sono così familiari (le automobili, gli elettrodomestici, i televisori, i computer, i telefonini, qualsiasi apparecchiatura ci stia intorno), è proprio la loro elevata tecnologia che ci rende assolutamente dipendenti da qualcosa che ci sovrasta del tutto, anche se continuamente promette (e pare soddisfare, proprio come una bacchetta magica) ogni esigenza di autonomia. Per questo noi non siamo per nulla più autonomi che nell'epoca pre tecnologica. Il nostro è il miraggio del paese della cuccagna continuamente riproposto nell'immaginario collettivo, finché non si scopre che questa cuccagna è ben poco tale per chiunque (anche per quei pochi che si crede possano usufruirne ben più di noi e con nostro grande dispetto, poiché anche loro rientrano nel medesimo meccanismo a cui sono perfettamente funzionali).

Non sono d'accoro con la frase di Marx che hai citato e men che meno sulla facoltà degli uomini di rendersi indipendenti dai sistemi meccanizzati di produzione, come se potessero rinunciarvi a piacere e per un motivo molto semplice: la tecnologia, che è prodotta dall'uomo, produce l'umano, ossia non produce solo cose e strumenti, ma rapporti sociali (lo sottolinea Pasolini nelle sue "Lettere luterane" in cui proponeva ironicamente l'abolizione della televisione) e certamente anche relazioni economiche, modi di sentirsi individualmente e riconoscersi o non riconoscersi alienandosi. E' così da sempre, perché l'uomo è la tecnologia che usa, valeva  nell'età della pietra, come nell'età del ferro, della chimica e del petrolio, in quella dell'elettronica e in quella che si va prospettando delle biotecnologie: essa determina il significato (o l'insignificanza) dell'umano.
Se l'uomo artigiano non è più possibile, ormai ha sempre meno senso anche parlare di una classe operaia o di una classe borghese, o certamente non nel modo in cui le si concepiva un secolo fa, con quel modello di essere umano. Non c'è niente da fare, non esiste un essere umano definibile indipendentemente dalle tecnologie che usa e da quanto esse producono: esse producono una prospettiva del mondo che ci rispecchia. Il problema è dunque il significato che proiettano sull'uomo le nuove tecnologie, ma soprattutto ciò che esse sempre più massicciamente e urgentemente richiedono al divenire della dimensione umana.

Non c'è dubbio che la povere da sparo possa servire a uccidere o a guarire le ferite, ma non è quello il punto, il punto è che si ha un mezzo di incomparabile potenza che cambia il nostro modo di esistere e quindi noi stessi (rapporti economici e di potere compresi).   




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