La tecnologia e il significato del mondo

Aperto da maral, 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

cvc

Citazione di: maral il 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM
Riprendo qui una parte del discorso di Jean, in "Percorsi ed esperienze", "La nostra riserva indiana...":

CitazioneScienza..?
Noi comperiamo 1,300.000.001 (l'uno finale è il mio, però almeno quadriennale...) smartphone all'anno, usiamo il pc quotidianamente (o quasi), abbiamo sotto gli occhi le devastazioni crescenti a causa di cambiamenti climatici... e Fukushima, dove una lega di uranio e zirconio (corio) da 700 tonnellate fondendo dopo il vessel d'acciaio di 20 centimetri anche i quattro metri di calcestruzzo sottostante... è sprofondato e scende... e se incontra un deposito d'acqua... preghiamo che non accada...

Comunque scienza è anch'essa un viaggio... tra poche ore Juno se tutto andrà bene entrerà in orbita attorno a Giove... ma l'avete visto 2001 odissea nello spazio? Un gigante gassoso, un potenziale (secondo qualcuno) secondo sole... e le foto delle galassie, delle nebulose (la mia preferita, l'occhio di gatto della mia icona...), dei pianeti... e Curiosity, il rover della Nasa su Marte che si avvicinerà per documentare a mezzo fotografie la presenza dell'acqua, altro che ipotesi di vita extraterrestre...
Partendo da qui vorrei porre la seguente questione: ci rendiamo conto (e in che misura ciascuno di noi) dell'impatto enorme che hanno sul nostro modo di pensare, di concepire il significato di noi stessi e del mondo, le scoperte scientifiche e gli stessi strumenti tecnologici che utilizziamo? Oppure pensiamo che la tecnologia che usiamo è indifferente, che potremmo pensarla e comunicare (influenzandoci reciprocamente) esattamente allo stesso modo con o senza di essa, che questa strumentazione elettronica che abbiamo davanti non ha alcuna influenza sul nostro "spirito" e dunque sul nostro modo di dialogare, pensare, credere, sperare o disperare?
Lo chiedo perché ritengo che sia fondamentale capire il ruolo dello strumento tecnologico (a partire dall'età della pietra) nella percezione prima o poi inevitabile del significato delle cose, ben più che in quello di una descrizione con pretese "oggettive" (nel senso di indipendente dalla posizione dell'osservatore) della loro realtà. 
Jean, ha ragione, gli strumenti tecnologici ci mettono in viaggio, e nel viaggio il panorama di cui partecipiamo muta e muta sempre più rapidamente e, che lo vogliamo o no, in questo panorama noi finiamo sempre con il finirvi inclusi, qualsiasi intima resistenza o ragione ci illudevamo di poter porre a questa inclusione per conservare un rifugio stabile per lo spirito.   
Credo che il discorso sulla tecnologia debba avere degli spartiacque. C'è la tecnologia primitiva degli utensili, lo sviluppo della meccanica dei romani grazie alle scienze dei greci, poi le invenzioni che rivoluzionarono il mondo. La polvere da sparo nel '300, la stampa nel '500, il metodo scientifico nel '600, il motore a vapore e l'energia elettrica nel '700, la fotografia e il telegrafo nell'800, fino ad arrivare al '900 con le automobili ed il computer. Ecco, qui c'è lo spartiacque fondamentale. Perché prima dell'avvento dell'informatica, tutte le nuove rivoluzioni tecnologiche potevano essere assimilate dall'uomo, perché per quanto una macchina potesse lavorare meglio, all'essere umano rimaneva sempre la prerogativa del pensiero. Ma i computer ci hanno sbattuto in faccia una pretesa arrogante: non solo le macchine lavorano meglio di noi, possono addirittura pensare meglio di noi. Così vedo l'uomo smarrito del ventunesimo secolo, sbattuto fuori dal suo regno. Quello del pensiero.
Ma non è solo questione di macchine che pensano al posto dell'uomo, è la tecnocrazia che ha sostituito la democrazia.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

paul11

Penso che l'uomo intellettivamente abbia cercato di capire la natura, per carpirne i segreti e farli suoi.
Nel momento in cui la natura quindi torna al pensiero l'uomo costruisce l'artefiicio tecnologico e modifica e trasforma fisicamente la natura , ma modifica e trasforma anche se stesso.
Perchè se creo la città, se creo una zappa in questi vi è il mio sapere che mi ritorna non solo come funzionalità dell acitàà o della zappa, ma a loro volta mi condizionano, intesp come il rapporto fra me e la mia creazione mi ritorna di nuovo come pensiero e l'uomo si fa quindi cultura, come circolo fra pensiero/creazione azione/ di nuovo pensiero ecc.
Quindi sicuramente la tecnologia modifica in qualche modo il modello che il mio pensiero ha del mondo .
Lo modifica anche perchè il sapere è diviso, io so zappare, m non so costruirla ,nè ripararla. Io agisco nel mezzo per un fine, ma non conosco più il perchè. E questa è una parte dell'alienazione dentro lo stesso sapere ormai diviso dell'umanità .
Nel momento in cui il sapere è diviso ,il singolo umano è a sua volta diviso e si manifesta con l'alienazione e l'estraneazione

sgiombo

Citazione@ Maral

Secondo me la necessità di una pretesa e impossibile (e malgrado ciò antropocida, anche solo in quanto pretesa) crescita illimitata di produzioni e consumi non è imposta dallo sviluppo tecnologico (e men che meno scientifico: questi ne sono condizioni necessarie ma non sufficienti), bensì dai rapporti di produzione capitalistici che oggettivamente, inevitabilmente tendono ad imporre la concorrenza fra singole unità produttive (imprese) nella ricerca del massimo profitto possibile a breve termine temporale e a qualsiasi costo (sociale, individuale, etico, naturale, ambientale ecc.).


Non c'é nulla di "soprannaturale" od "oggettivamente intrinseco alla natura della tecnologia" che imponga ineluttabilmente, alla stregua per l' appunto di un Dio onnipotente o di una forza della natura, l' uso forsennato e rovinoso che di fatto si fa delle macchine moderne, ma solo i vigenti ("storici", e non "inelutabilmente naturali", come lo è la morte, per intendersi, o men che meno soprannaturali) rapporti sociali.


Solo per questi Il prodotto tecnologico, costruito dalle macchine, in generale non serve oggi a soddisfare il bisogno, ma al contrario deve produrre continuamente nuovi bisogni insieme a illudere della promessa di soddisfare ogni desiderio.
Non è possibile esaminare in poche righe le complesse ragioni della sconfitta del "socialismo reale"; mi limito pertanto a dire che per me quello del consumismo impostosi nell' occidente capitalistico è solo uno dei fattori determinanti, accanto ad altri per me anche più fondamentali (nel senso che fra l' altro sono a fondamento del consumismo stesso).


I mezzi tecnici che (anche, fra l' altro) ci facilitano la vita non sono dominabili dalla maggior parte degli utenti nel senso che questi non ne conoscono a fondo, dettagliatamente i meccanismi e non li saprebbero aggiustare; ma lo sono sempre nel senso che è possibile non impiegarne, disfarsene ("nucleare civile nel nostro e in altri paesi!): noi siamo per lo meno potenzialmente altrettanto autonomi dai mezzi tecnici che i nostri antenati nelle epoche passate; e nella misura in cui questa potenzialità non si attua ciò è dovuto non alle tecniche stesse ma ai rapporti sociali dominanti (come d' altra parte già accadeva anche nelle epoche passate).


La tecnologia, che è prodotta dall'uomo, produce l'umano, ossia non produce solo cose e strumenti, ma (tendenzialmente) anche rapporti sociali, ma non lo fa alla maniera di un Dio onnipotente o di un' ineluttabile forza della natura, bensì in un rapporto dialettico di reciproca influenza con i soggetti umani (rapporti sociali, lotte di classe, sovrastrutture politiche, giuridiche, culturali, ecc.).


Gli uomini sono tutt' ora proprietari o meno di mezzi di produzione eccedenti la propria forza lavoro e capacità di riprodursi.
E questo dato permanente a mio parere, e non le particolarità tecniche delle produzioni di ieri e di oggi, è decisivo (in ultima istanza, attraverso molteplici complesse mediazioni) nel condizionare gli orientamenti umani sociali e in parte (in concorso con altri fattori), in qualche misura anche individuali.


I mezzi tecnici di produzione cambiano il nostro modo di esistere e quindi noi stessi (rapporti economici e di potere compresi), ma a loro volta gli uomini cambiano i mezzi tecnici di produzione e –talora per tramite di questi ultimi cambiamenti, talaltra direttamente- i rapporti economici e di potere.

maral

I rapporti di produzione, i rapporti sociali e il significato che essi determinano sull'individuo (e pertanto il suo modo di vedere il mondo e di vedersi nel mondo) sono comunque determinati dalle tecnologie in uso e si possono sovvertire solo in ragione del loro mutare: ogni rivoluzione è sempre prima una rivoluzione tecnologica che istituisce nuovi rapporti di forza e nuovi significati a giustificarli.
Tu dici che nulla può impedirci di rinunciare al modo capitalistico di produrre e consumare per l'incremento del capitale di pochi e la miseria di tanti e la degradazione del pianeta, certo, ma solo nella misura in cui l'interesse del capitale viene a contrastare con la crescita tecnologica che lo vede come suo strumento e non come suo fine, esattamente come vede come suo strumento qualsiasi altra istanza sociale, ambientale o economica e persino individuale. Ciascuno di noi, in questo orizzonte tecnologico che ormai non vede alternativa ammissibile (al massimo le alternative possono essere ammesse solo se non interferiscono, solo come una sorta di hobby innocuo come nelle discussioni su un forum), vale solo per la funzione che svolge e solo in essa può sentirsi riconosciuto e finire doverosamente con il riconoscersi, non per quello che è o si sente di essere, poiché ognuno deve essere la sua funzione e nient'altro.
Si può certo rinunciare ad applicare certe tecnologie, ma solo in quanto minacciano lo sviluppo tecnologico stesso nel suo complesso; si può rinunciare a usare la bomba atomica o le armi biologiche, ma non a sviluppare senza limite la potenza distruttiva della bomba atomica o delle armi biologiche e con quella sola minaccia imporsi sulla concorrenza, distruggere ogni concorrenza che non regge il passo.
La ragione a cui il modo di pensare tecnologico ci chiede di fare riferimento è sempre e solo la sua ragione, dopo il crollo di ogni altra metafisica questo modo di pensare è l'unica metafisica realisticamente ancora possibile, rafforzata continuamente dalla illimitata potenza che promette semplicemente mostrandosi, ma proprio nella sua pretesa di unicità rivela la sua autocontraddizione in cui si manifesta tutta la nostra attuale angoscia, e soprattutto nei paesi più tecnologicamente avanzati.

sgiombo

Citazione
Dissento da questa divinizzazione della tecnica, che é puro mezzo, non (non necessariamente) scopo, men che meno é soggetto autonomamente attivo di dominio sociale e non é affatto onnipotente.

La tecnica condiziona i rapporti sociali, ma la lotta delle classi sociali li condiziona non meno e inoltre può imporne diverse alternativamente possibili usi (e/o non usi) della tecnica).

maral

Anche la lotta di classe, caro Sgiombo, è condizionata nei suoi esiti dalle tecnologie che possono usare i lottatori e per questo il loro sviluppo finisce sempre, che lo si voglia o meno, per imporsi come scopo e non come mezzo.

sgiombo

Citazione di: maral il 04 Settembre 2016, 21:16:38 PM
Anche la lotta di classe, caro Sgiombo, è condizionata nei suoi esiti dalle tecnologie che possono usare i lottatori e per questo il loro sviluppo finisce sempre, che lo si voglia o meno, per imporsi come scopo e non come mezzo.
CitazioneBeh, non posso che risponderti come ha risposto recentemente a me a me Acquario69 in un' altra discussione (a parte l' uso dell' "OK", che personalmete aborro):

D' accordo, la pensiamo diversamente.

Lou

#22
Citazione di: maral il 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM
Riprendo qui una parte del discorso di Jean, in "Percorsi ed esperienze", "La nostra riserva indiana...":
...
Partendo da qui vorrei porre la seguente questione: ci rendiamo conto (e in che misura ciascuno di noi) dell'impatto enorme che hanno sul nostro modo di pensare, di concepire il significato di noi stessi e del mondo, le scoperte scientifiche e gli stessi strumenti tecnologici che utilizziamo? Oppure pensiamo che la tecnologia che usiamo è indifferente, che potremmo pensarla e comunicare (influenzandoci reciprocamente) esattamente allo stesso modo con o senza di essa, che questa strumentazione elettronica che abbiamo davanti non ha alcuna influenza sul nostro "spirito" e dunque sul nostro modo di dialogare, pensare, credere, sperare o disperare?
Lo chiedo perché ritengo che sia fondamentale capire il ruolo dello strumento tecnologico (a partire dall'età della pietra) nella percezione prima o poi inevitabile del significato delle cose, ben più che in quello di una descrizione con pretese "oggettive" (nel senso di indipendente dalla posizione dell'osservatore) della loro realtà.  
Jean, ha ragione, gli strumenti tecnologici ci mettono in viaggio, e nel viaggio il panorama di cui partecipiamo muta e muta sempre più rapidamente e, che lo vogliamo o no, in questo panorama noi finiamo sempre con il finirvi inclusi, qualsiasi intima resistenza o ragione ci illudevamo di poter porre a questa inclusione per conservare un rifugio stabile per lo spirito.  
Ritengo che l'idea di una tecnologia neutra e indifferente rispetto alle modalità di comunicazione, incontro, scambio sia mitologia. Il mezzo non è neutro, nè indifferente, ma impatta profondamente sulla comunicazione in quanto è proprio la modalità di trasmissione e veicolazione del messaggio ad esser latrice di un potenziale di influenza ed esercitare funzioni sue proprie rispetto al fruitore, al di là dei contenuti che veicola. Uno slogan estremo di tale approccio fu "il medium è il messaggio" di McLuhan.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Jean

"Black Knight Satellite"(Cavaliere Nero).
 
Ho trovato questa notizia riferita ai ben lontani anni 60 e son curioso di legger come venga interpretata dai lettori.

C'è la tecnologia (se siete d'accordo che non si tratti di detriti...) e, sullo sfondo, il mondo (e io) attendono di conoscerne il significato...

http://ilnavigatorecurioso.myblog.it/2013/01/20/oops-la-nasa-ha-cancellato-le-foto-del-satellite-ufo-black-k/

(vi consiglio di guardare le magnifiche foto originali e spostare il mouse sull'oggetto – in basso a sinistra - per vederlo ingrandito)
 
 

Un cordiale saluto

Jean

paul11

Citazione di: Jean il 23 Maggio 2017, 18:43:59 PM
"Black Knight Satellite"(Cavaliere Nero).

Ho trovato questa notizia riferita ai ben lontani anni 60 e son curioso di legger come venga interpretata dai lettori.

C'è la tecnologia (se siete d'accordo che non si tratti di detriti...) e, sullo sfondo, il mondo (e io) attendono di conoscerne il significato...

http://ilnavigatorecurioso.myblog.it/2013/01/20/oops-la-nasa-ha-cancellato-le-foto-del-satellite-ufo-black-k/

(vi consiglio di guardare le magnifiche foto originali e spostare il mouse sull'oggetto – in basso a sinistra - per vederlo ingrandito)



Un cordiale saluto

Jean
caro Jean,

non siamo soli............e lo sanno.......persino il Vaticano ha un centro astronomico...........

InVerno

Da "utilizzatore finale" di zappe,  nipote di un fabbro (produttore di zappe e picchi da miniera) e appassionato di neolitico e tempi antichi, posso solo dirvi (molto simpaticamente) che sulle zappe ne avete veramente scritte di cotte e di crude :D
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

iano

In che modo l'uso delle mani partecipa alla nostra visione del mondo?
Quale differenza sostanziale c'è fra restare attaccati tutto il santo giorno alle nostre mani o restare attaccati allo smartphone,potendone a nostra discrezione non fare uso dell'uno e delle altre?
Non serve sapere molto per usare lo Smart,e ancor meno per usare le mani,eppure delle mani ce ne sentiamo padroni e non schiavi.
Potremmo dire quindi che il senso di estraniamento che uno strumento può indurci sembra essere legato più alla continuità fisica con lo "strumento"?
Potremmo vedere ,scherzosamente ,la continuità fisica come una evoluzione conseguenza di smodato uso?
Se le mani,come sembra pacificò,  partecipano alla nostra visione del mondo,allora qualunque strumento tecnologico,in ragione dell'uso che ne facciamo,parimenti partecipa.
È noto oggi che l'uso intensivo di uno strumento può modificare in modo sostanzialmente irreversibile quello che è il nostro strumento principe,il cervello.
Per un uso saltuario invece le modifiche sono reversibili essendo il nostro super strumento molto elastico,a quanto sembra.Elastico però non è il termine usato dai neuro scienziata,è quello giusto adesso non mi sovviene.Plasmabile rende meglio,ma neanche questoè  quello esatto.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

maral

La questione è interessante: quand'è che una mano diventa la mia mano, tanto da poter dire che non c'è differenza tra me e la mia mano, che io sono anche quella mano o, al contrario, cessa di essere la mia mano e dunque mi appare come qualcosa di totalmente estraneo appiccicata al mio corpo?
La tecnica da sempre fornisce protesi all'uomo e una protesi ben fatta è una protesi che non è più una protesi, che diventa parte integrante di me e di conseguenza io, con la protesi, non sarò più quello che ero prima, ma allo stesso tempo sarò sempre io nella mia nuova integrità in cui continuerò a riconoscermi come un intero.
C'è però un problema: perché questo accada occorre esercizio continuo, occorre pratica, occorre il giusto tempo che consenta di prendere abitudine.
Se consideriamo questi aspetti è possibile capire il motivo della alienazione che presenta il mondo tecnologico attuale, che non sta nella tecnica, non sta nelle protesi che essa da sempre fornisce all'uomo, a cominciare dal primo bastone o dal primo sasso afferrato da un antico ominide per scheggiare un'altra pietra, tanto da poter dire che la tecnica è davvero l'essenza dell'uomo, perché l'uomo da sempre vive solo a mezzo di protesi. Il problema è nel tempo non più concesso dall'impellenza del consumo, per cui finisce che è l'uomo stesso a diventare protesi di un apparato tecnologico che mira esclusivamente a una continua riproduzione di se stesso e a cui è l'essere umano che, divenuto puro strumento di questo apparato, deve adeguarsi con totale plasticità, dato che la macchina, a differenza dell'uomo, non ha il problema di riconoscersi nella propria identità. Se questa plasticità fallisce allora è la protesi umana che va rigettata ed è ovvio che prima o poi lo sarà sempre, che prima o poi ognuno sperimenterà la propria totale inadeguatezza rispetto alla richiesta dell'apparato tecnologico inteso nella sua completa autoreferenzialità. L'umano, in quanto tale risulterà sempre uno strumento inadeguato alla macchina che non ha bisogno di identità e quindi del tempo necessario per costruirsela e ricostruirsela.

iano

La mia mano o il mio smartphone sono mie protesi o io sono la loro protesi?
Il robot è la mia protesi o io sono la protesi del robot,o tutti e due insieme siamo la protesi di un sistema che ci ingloba?
Siamo o ci stiamo trasformando nelle formichine di un efficientissimo formicaio ,esaltazione estrema dell'essere sociale,dove l'individuo è carne da macello sacrificabile agli scopi del formicaio?
Certo che se questo processo è il risultato che nasce dalla esaltazione dell'individuo,della sua libertà,al fine della sua felicità,siamo dentro a un bel paradosso.
Le formiche saranno felici?
Io vedo attorno a me tanta gente che corre come formichine che razzolano bene o male,ma che predicano in netta controtendenza,e che tutto conviene fare,meno che mettere queste formichine di fronte al loro paradosso,perché la loro reazione può essere dannosa per noi.Sembra infatti il miglior modo di crearsi nemici giurati.E alla fine mi viene da chiedermi,cosa mi manca in fondo a me per essere una formichina come tutte le altre?In effetti non mi manca nulla.Potrei benissimo abbandonarmi a seguire le loro tracce odorose,senza starmi a chiedere nulla si più.So come si fa e ne sono capace,e mi toglierei un sacco di problemi dal groppone.Che cosa mi trattiene allora?
Il piacere di osservare il formicaio da fuori?
Diciamo che ognuno ha le sue perversioni. :P
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Discussioni simili (5)