La tecnologia e il significato del mondo

Aperto da maral, 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM

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paul11

#30
il problema è nel rapporto d'identità.
Fin quando l'uomo ha utilizzato la conoscenza nella tecnica per sopravvivere senza alterare le relazioni di identità di individuo e comunità, il modello poteva anche funzionare.
E' da quando la tecnica ha mutuato proprio i concetti identitari come: apparato, organismo, dispositivo, ecc, che il modello culturale ha ideologicizzato il concetto di tecnica o le relazioni sociali del rapporto individuo-società, ora le organizzazioni umane sono organicamente  asservite alla tecnica.Quindi dalla tecnica per migliorare la propria esistenza individuale sociale si è passati oltre ad un modello in cui l'individuo è accettato nella comunità in quanto il modello della tecnica è diventato identitario della comunità stessa.

Si può discutere sul pensiero di Severino, ma ha ragione che da quando si è accettato il divenire come verità e la realtà naturale , di fatto la tecnica diventa salvifica,Nelle contraddizioni c'è una coerenza logica di avere accettato a monte un sistema di idee portate avanti nelle prassi.
Quindi la tecnica non è più coadiuvante al sostentamento,ma diventa il Moloch il paradigma fondante  dell'intero sistema culturale attuale.

La risultante è che posso fare a meno di una mano se la tecnica mi ridà una protesi con  funzionalità  e utilitaristica (termini anch'essi mutuati nella tecnica) alla pari se non superiore.L'umanità è gia quasi automa perchè i tempi del metabolismo quotidiano i ritmi di vita li dà non più la natura, ma la tecnica che la sormonta.

iano

A proposito della frequenza d'uso che tende a farci sentire nostre le protesi.
Questo sentimento può arrivare a un punto tale da diventare irreversibile,come succede agli amputati che sentono ancora,e spesso per via di ineliminabili dolori,gli arti amputati.
Nei casi meno gravi si tratta di fastidioso prurito,anche quello non eliminabile,ma attenuabile con una grattatina simulata.
Esiste anche un caso contrario costruito in laboratorio.
Il paziente viene invitato a porre le braccia su un tavolo,e uno di essi viene coperto da un telo.Dallo stesso esce un arto artificiale di gomma,cosa di cui il paziente viene avvertito.
Quindi si procede a dare una forte mazzata sull'arto finto.Il paziente fa istintivamente un salto dalla sedia,è fini qui tutto normale.Meno normale il fatto che senta realmente dolore.
In certi casi si fa presto ad appropriarsi di ciò che non ci appartiene.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

maral

Citazione di: iano il 13 Luglio 2017, 17:21:46 PM
La mia mano o il mio smartphone sono mie protesi o io sono la loro protesi?
Il robot è la mia protesi o io sono la protesi del robot,o tutti e due insieme siamo la protesi di un sistema che ci ingloba?
E' un concetto complesso ed evanescente quello di identità per quanto non lo si possa eliminare, per quanto sempre si riduce a simbolo, a parte che sta per il tutto (si veda a questo proposito anche altre discussioni su questo forum, legate alla salvaguardia dell'identità).  E' complesso ed evanescente perché  sono gli altri a darcene il senso, è comunque quel sociale relazionale che ci racconta chi siamo e ci riflette, come in uno specchio, senza uno specchio e qualcuno che ci guarda non c'è identità.
Potrei essere una protesi della mia mano? Certo, ma non in questi termini, perché in questi termini non potrei parlare di una mia mano, perché io sarei quella mano, non potrei parlare di un mio smrtphone, perché io sarei quello smartphone, come non potrei nemmeno definire un mio corpo, perché io sarei quel corpo. La protesi esiste nel momento in cui una dualità mi si presenta, una dualità tra ciò che io sono e ciò che io non sono, ma che pur tuttavia mi permette di fare nel mio sentirmi soggetto di fronte allo strumento. Soggetto dunque che ha un corpo, che ha una mano, che ha uno smartphone e li sa usare.
Allora noi siamo protesi del sistema? Ne siamo parte, perché è il sistema che comunque ci costituisce per quello che siamo, che lo vogliamo o no è questo sistema che ci restituisce la nostra identità, che ci parla di noi e ci dice chi siamo. E' il sistema che prepara e determina la nostra resistenza al sistema grazie alla quale ci troviamo nella nostra nicchia in cui poter dire questo sono io nella mia irriducibile entità, anche se fossi solo una mano, perché la mano è l'unica cosa che conservo di sensibile.
E' vero, siamo dentro a un bel paradosso e tutta l'esistenza non è che il tentativo, sempre fallito di risolverlo e il paradosso è tutto nella domanda "chi sono?", una domanda a cui solo un altro mi può dare risposta, ma l'altro non sono io e dunque come potrà mai dirmelo? Come potrà mai indicarmi a me stesso? Saremo allora costretti a cercarci sempre nella presenza degli altri (protesi comprese) e, senza mai trovarci, costretti ogni volta a ritrovarci?
Probabilmente le formiche non hanno questo problema e le formiche sono felici, noi possiamo essere al massimo formiche infelici, ma con la speranza di ritrovarci in un "chi sono" e in questa fiducia sta tutta la nostra felicità, in essa riponiamo tutta la nostra fede. Ognuno è dentro un percorso nel formicaio in cui se ne intrecciano infiniti altri e non si può sperare di meglio. Il formicaio non ha scopi oltre la propria tautologia, noi sì. Ecco chi sono e chi sei.


maral

Citazione di: paul11 il 13 Luglio 2017, 18:00:48 PM
il problema è nel rapporto d'identità.
Fin quando l'uomo ha utilizzato la conoscenza nella tecnica per sopravvivere senza alterare le relazioni di identità di individuo e comunità, il modello poteva anche funzionare.
E' da quando la tecnica ha mutuato proprio i concetti identitari come: apparato, organismo, dispositivo, ecc, che il modello culturale ha ideologicizzato il concetto di tecnica o le relazioni sociali del rapporto individuo-società, ora le organizzazioni umane sono organicamente  asservite alla tecnica.Quindi dalla tecnica per migliorare la propria esistenza individuale sociale si è passati oltre ad un modello in cui l'individuo è accettato nella comunità in quanto il modello della tecnica è diventato identitario della comunità stessa.

Si può discutere sul pensiero di Severino, ma ha ragione che da quando si è accettato il divenire come verità e la realtà naturale , di fatto la tecnica diventa salvifica,Nelle contraddizioni c'è una coerenza logica di avere accettato a monte un sistema di idee portate avanti nelle prassi.
Quindi la tecnica non è più coadiuvante al sostentamento,ma diventa il Moloch il paradigma fondante  dell'intero sistema culturale attuale.

La risultante è che posso fare a meno di una mano se la tecnica mi ridà una protesi con  funzionalità  e utilitaristica (termini anch'essi mutuati nella tecnica) alla pari se non superiore.L'umanità è gia quasi automa perchè i tempi del metabolismo quotidiano i ritmi di vita li dà non più la natura, ma la tecnica che la sormonta.
In realtà si dovrebbe considerare che la tecnica ha sempre determinato le relazioni umane e quelle relazioni sociali in cui so leggono le culture e di cui ogni individuo non è che un prodotto. Ed è sempre a partire da queste forme culturali che si intende una natura, nell'uomo è sempre la cultura che definisce la natura, il suo altro che poi viene preso come origine che viene prima di ogni cultura. La cultura è già tecnica, da quando il primo ominide prese in mano un bastone per esplorare tra gli arbusti, da quando con la prima pietra si cominciò a scheggiare un'altra pietra per strappare il midollo da un osso, cosa che i denti e le mani non riuscivano a fare. E soprattutto da quando quegli arnesi, quelle protesi cominciarono a essere conservate per essere riutilizzati. Anche se ci sono scimmie che usano bastoni o pietre, nessuna le conserva per un riutilizzo, solo l'uomo lo fa e la conservazione dell'arnese segna l'inizio della tecnica.
Tecnica che è rito e dunque appartiene da subito alla dimensione del mito, dell'arte e della religiosità. Certo la tecnica implica il sentire di poter trasformare qualcosa secondo un progetto, ma nel medesimo tempo quello strumento stabilisce il progetto e trasforma pure il suo utilizzatore, che incomincia a vedere la natura in modo diverso, a entrare in un'altra natura, diversamente vissuta e diversamente sentita, con dei limiti che saranno definiti dalla tecnica, dal poter fare che essa manifesta.
La tecnica è la garanzia di un saper fare bene a mezzo di giuste prassi che si esercitano insieme e costruiscono così rapporti sociali, diventano linguaggi, perché il primo strumento tecnico è la parola e con le parole si pensa, senza poter dire se venga prima il pensiero o la parola, perché vengono probabilmente insieme, l'uno come strumento dell'altro.
Il problema che oggi ci si presenta non è  nella tecnica in quanto tale, dimensione per eccellenza della fenomenologia umana, ma sta nel fatto che in questa dimensione umana l'umano si trovi alienato in quanto va scoprendosi sempre più inadeguato alle stesse protesi che si è dato e di cui finisce per sentirsi a sua volta protesi, senza riuscire a scorgere alcuna effettiva identità in cui soggetto e protesi stiano insieme, costituendo un individuo (non diviso). Non c'è più rito o mito che regga: la tecnica vola e l'uomo che la fa volare le resta attaccato come una zavorra che va sempre più frantumandosi e disperdendosi.

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