La realtà non è come ci appare.

Aperto da iano, 03 Febbraio 2018, 23:55:56 PM

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Apeiron

Ciao @iano,


CitazioneCiò che conta , per chi volesse affrontare la teoria , l'essere pronti a non farsi sorprendere da nulla.

Diciamo che sono d'accordo con un'importante precisazione, però. 

Da un lato è necessario, certamente, essere pronti a tutto. Questo significa che nelle nostre ricerche dobbiamo essere pronti a, per così dire, 'lasciar andare' le nostre convinzioni. Questo è un modo per constatare la nostra stessa limitatezza. Su questo potrei essere d'accordo con la filosofia di Kuhn ovvero che le 'rivoluzioni scientifiche' sono date da radicali mutamenti di paradigma.  

Dall'altro lato, invece, ritengo che la 'ricerca' deve basarsi su basi quanto più solide. Ovvero che sia necessario avere una buona conoscenza delle teorie 'note'. E di prenderle seriamente. Non 'troppo seriamente'. Ma 'seriamente', sì. Tali 'basi' sono ciò che ci deve guidare nella nostra ricerca. Quindi prima di 'lasciar andare' le idee che formano queste basi in modo radicale, dobbiamo prestare attenzione.

Rivolgendomi ora a tutti coloro che stanno partecipando in questa discussione - mi dispiace ma devo interrompere la partecipazione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

iano

#166
Grazie Apeoron. Concordo.
Assodato che il mondo non è come ci appare , non rimane infatti che rivolgere l'attenzione sulle modalità che c'è lo fanno apparire , cioè sui meccanismi della percezione e sul come questa è venuta a costituirsi , e sui modi in cui sono nate e nascono le teorie scientifiche.
Una buona ipotesi di lavoro è che i due meccanismi abbiano molto in comune , nonostante le diverse "apparenze" , oltre ad essere votati allo stesso scopo.
Ciò che si è cercato di fare finora , ma senza dirlo , è stato di dare alle immagini proposte dalla scienza la stessa magica evidenza della percezione sensoriale.

La fisica di Einstein si può ancora riassumere in poche immagini guida.
La meccanica quantistica non più.
Direi che questo tentativo un po' naïf sia giunto quindi alla fine .
Sicuramente le nuove conoscenze su questi meccanismi ci daranno nuovi spunti su come proseguire questo lavoro in modo più mirato.
In modo più sistematico.
Perché se è vero che immergersi nelle nuove teorie fisiche è di fatto proibitivo , a meno che non ne fai il tuo lavoro , le nuove scoperte sui meccanismi della percezione , più facili da comprendere, non sembrano trovare ancora sufficiente interesse e diffusione.
Forse la risposta ai nostri dubbi , pur sempre nei limiti che ci sono dati, è proprio lì.
La notizia cattiva è che abbiamo questi limiti.
La notizia buona è che non li conosciamo ancora bene.
Ma se guardiamo alla meraviglia della percezione sensoriale , a quello che siamo stati capaci di fare , senza sapere di farlo , possiamo trarre buoni auspici permquello che saremo in grado di fare , sapendolo di fare , consapevoli del fatto che questa differenza , seppur non fondamentale, genera due mondi solo apparentemente inconciliabili.
Dal punto di vista filosofico morale la differenza appare anche più grande e si chiama responsabilità personale , responsabilità per le nostre azioni ,
la quale non puo' esercitarsi fino in fondo senza una doverosa conoscenza , come tu ben dici.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#167
@ Sciombro

Ho usato coscienza in questa discussione nel senso di consapevolezza.
Ti rispondo in ritardo perché non mi veniva il termine,che forse si differenzia per una sfumatura e forse no.
Gli esempi in cui ho tirato in ballo la coscienza dovrebbero però risultare più esplicativi.
Quando conpiamo un azione ,svolgiamo una procedura ,usiamo una quantità variabile di consapevolezza.
Quando siamo poco pratici del compito da svolgere usiamo molta consapevolezza in ciò che facciamo.
Man mano che acquisiamo pratica la consapevolezza usata diminuisce : lo facciamo senza più pensarci , e il processo si velocizza.
Più la pratica va' avanti più tendiamo a dimenticare la procedura , nel senso che perdiamo consapevolezza in modo sempre più marcato su quel che facciamo , o meglio sul modo in cui lo facciamo , al punto che se ci chiedono di spiegare come facciamo abbiamo serie difficoltà a farlo.
Questo è un esempio di cui penso ognuno può trovare riscontro nella propria esperienza.
La mancanza di una spiegazione non è tuttavia un limite per diventare bravi nel riprodurre un processo.
Infatti il cervello umano è ben programmato ad imparare per imitazione .
L'esortazione che diamo ai nostri ragazzi di fare quel che gli diciamo e non quel che facciamo cade nel vuoto sistematicamente infatti.
Questo tipo di apprendimento ha però il difetto di essere a corto raggio.
Va' bene per educare un garzone di bottega.
Male se la platea di garzoni si moltiplica.
In questo caso dare una spiegazione preliminare , dove si impiega la consapevolezza del processo , è più appropriata.
Questo fatto ha a che fare con la scienza , e col suo essere una impresa collettiva nella sua essenza , cosa su cui mi sembra non sei d'accordo.
Teoria e pratica non  vanno quindi d'accordo in modo automatico.
Forse anche per ciò ognuno potrà trovare riscontro nella propria esperienza lavorativa.
Dopo un corso teorico passando alla pratica è come se ci dimenticassimo della teoria , salvo poi recuperarla in un secondo tempo , ricucendo alla fine pratica e teoria , che mostrano di essere attori indipendenti , ma non inconciliabili  ,sulla scena.
Il pregio del sistema percettivo è quello di non usare consapevolezza nelle fasi del processo , o coscienza detto in modo forse meno appropriato  (o no ? ) .
Questo comporta una velocità del processo (perché non penso a quel che faccio e il pensare richiede tempo ) che lo rende efficace al suo scopo.
Sarà esperienza di ognuno di noi penso anche acquisire consapevolezza di una nostra azione solo dopo averla compiuta.
Ad esempio afferrare al volo un oggetto che cade.
Se dovessi pensare di prenderlo non riuscirei a prenderlo in tempo.
Parlo della consapevolezza/ coscienza in termini così terra terra dunque , e pratici , e provo fastidio quando si usa il concetto a prova della gloria umana , caricandola di significati metafisici, come fosse una metà e non un mezzo.
Condivido con te il piacere di una conoscenza in se' , ma non mi nascondo che tale acquisizione ha un costo che solo la sua applicazione può ripagare.
Da dove nasce questo disguido?
Sembra ormai acquisito il fatto che l'acquisiziome di una conoscenza non mirata ad uno scopo , sia il modo migliore per farne buon uso per i più diversi scopi non preventivati.
Come dire che il miglior modo per suicidarsi di una nazione è non investire in ricerca.
A cosa serve infatti pagare ricercatori che godono a farsi seghe mentali?
Ognuno di noi tende ad isolarsi nel suo piccolo compito svolto all'interno di un meccanismo sociale complesso , senza bisogno di averne consapevolezza , e dove ogni compito può essere utilmente disgiunto ed affidato a relativamente pochi individui a cui bisogna però passare uno stipendio.
Questa mancanza di consapevolezza, unita al pur benemerito sistema democratico, può sortire effetti rovinosi.
Ecco perché penso che la conoscenza/ scienza intesa come un bene in se , usabile a vanto del singolo scienziato o filosofo di turno , sia una trappola in cui cade chi ha la vista corta.
Se la storia della scienza si racconta come una successione di geni , da cui prendere esempio , è solo perché raccontarla giusta è impossibile per il suo complesso svolgersi e divenire .
Dovremmo infatti diversamente  parlare di ogni singolo uomo e del suo contributo dato.
E siccome la si racconta così alla fine può sfuggire il suo carattere di impresa collettiva.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

#168
Citazione di: iano il 06 Febbraio 2019, 21:27:46 PM
@ Sciombro

Ho usato coscienza in questa discussione nel senso di consapevolezza.
Ti rispondo in ritardo perché non mi veniva il termine,che forse si differenzia per una sfumatura e forse no.
Gli esempi in cui ho tirato in ballo la coscienza dovrebbero però risultare più esplicativi.
Quando conpiamo un azione ,svolgiamo una procedura ,usiamo una quantità variabile di consapevolezza.
Quando siamo poco pratici del compito da svolgere usiamo molta consapevolezza in ciò che facciamo.
Man mano che acquisiamo pratica la consapevolezza usata diminuisce : lo facciamo senza più pensarci , e il processo si velocizza.
Più la pratica va' avanti più tendiamo a dimenticare la procedura , nel senso che perdiamo consapevolezza in modo sempre più marcato su quel che facciamo , o meglio sul modo in cui lo facciamo , al punto che se ci chiedono di spiegare come facciamo abbiamo serie difficoltà a farlo.
Questo è un esempio di cui penso ognuno può trovare riscontro nella propria esperienza.
La mancanza di una spiegazione non è tuttavia un limite per diventare bravi nel riprodurre un processo.
Infatti il cervello umano è ben programmato ad imparare per imitazione .
L'esortazione che diamo ai nostri ragazzi di fare quel che gli diciamo e non quel che facciamo cade nel vuoto sistematicamente infatti.
Questo tipo di apprendimento ha però il difetto di essere a corto raggio.
Va' bene per educare un garzone di bottega.
Male se la platea di garzoni si moltiplica.
In questo caso dare una spiegazione preliminare , dove si impiega la consapevolezza del processo , è più appropriata.
Questo fatto ha a che fare con la scienza , e col suo essere una impresa collettiva nella sua essenza , cosa su cui mi sembra non sei d'accordo.
Citazione
E perché mai non dovrei esserlo?
E' sotto gli occhi di tutti, banalmente evidente non meno del fatto che svolgendo compiti nuovi, difficili, non ancora ben imparati dobbiamo metterci più attenzione che compiendo azioni routinarie.




Teoria e pratica non  vanno quindi d'accordo in modo automatico.
Forse anche per ciò ognuno potrà trovare riscontro nella propria esperienza lavorativa.
Dopo un corso teorico passando alla pratica è come se ci dimenticassimo della teoria , salvo poi recuperarla in un secondo tempo , ricucendo alla fine pratica e teoria , che mostrano di essere attori indipendenti , ma non inconciliabili  ,sulla scena.
Il pregio del sistema percettivo è quello di non usare consapevolezza nelle fasi del processo , o coscienza detto in modo forse meno appropriato  (o no ? ) .
Citazione
No.
Anche nelle azioni più routinarie e che svolgiamo più distrattamente abbiamo coscienza di ciò che stiamo facendo (a meno che non siamo in stato di sonnambulismo, trance, ipnosi o altre condizioni patologiche: avremo una consapevolezza più "blanda", meno "vigile" che quando ci concentriamo su un compito difficile, ma non ne siamo affatto inconsapevoli.




Questo comporta una velocità del processo (perché non penso a quel che faccio e il pensare richiede tempo ) che lo rende efficace al suo scopo.
Sarà esperienza di ognuno di noi penso anche acquisire consapevolezza di una nostra azione solo dopo averla compiuta.
Citazione
Se non si tratta di un rifesso semplice, anche mentre la si compie.




Ad esempio afferrare al volo un oggetto che cade.
Se dovessi pensare di prenderlo non riuscirei a prenderlo in tempo.
Parlo della consapevolezza/ coscienza in termini così terra terra dunque , e pratici , e provo fastidio quando si usa il concetto a prova della gloria umana , caricandola di significati metafisici, come fosse una metà e non un mezzo.
Citazione
Questo non l' ho capito.
Ma per prendere al volo un oggetto e non fare un gesto di presa a vuoto (per parare il calcio di rigore e non prendersi un goal) bisogna essere consapevoli della sua visione (vederlo).
Che ci siano anche taluni determinati episodi di "visione cieca" (inconsapevole) é solo l' eccezione che conferma la regola.

**************************************************

Comunque "coscienza" (eventi fenomenici apparenti nella soggettiva esperienza di ciascuno) non sono solo i pensieri di (o "su", a proposito di) ciò che vediamo o sentiamo e di ciò che facciamo, ma anche ciò che vediamo e sentiamo con gli altri sensi: il mondo che conosciamo é fatto di sensazioni il cui essere, la cui realtà si esaurisce nel loro apparire nell' ambito della coscienza "e basta": "esse est percipi".




Condivido con te il piacere di una conoscenza in se' , ma non mi nascondo che tale acquisizione ha un costo che solo la sua applicazione può ripagare.
Citazione
Per me lo può ripagare anche la sola conoscenza di com' é la realtà in cui viviamo.
Se poi ha anche applicazioni pratiche, tanto meglio!





Da dove nasce questo disguido?
Sembra ormai acquisito il fatto che l'acquisiziome di una conoscenza non mirata ad uno scopo , sia il modo migliore per farne buon uso per i più diversi scopi non preventivati.
Come dire che il miglior modo per suicidarsi di una nazione è non investire in ricerca.
A cosa serve infatti pagare ricercatori che godono a farsi seghe mentali?
CitazioneMa esiste anche il piacere del conoscere fine a se stesso (secondo me tutt' altro che "masturbatorio").




Ognuno di noi tende ad isolarsi nel suo piccolo compito svolto all'interno di un meccanismo sociale complesso , senza bisogno di averne consapevolezza , e dove ogni compito può essere utilmente disgiunto ed affidato a relativamente pochi individui a cui bisogna però passare uno stipendio.
Questa mancanza di consapevolezza, unita al pur benemerito sistema democratico, può sortire effetti rovinosi.
Ecco perché penso che la conoscenza/ scienza intesa come un bene in se , usabile a vanto del singolo scienziato o filosofo di turno , sia una trappola in cui cade chi ha la vista corta.
Se la storia della scienza si racconta come una successione di geni , da cui prendere esempio , è solo perché raccontarla giusta è impossibile per il suo complesso svolgersi e divenire .
Dovremmo infatti diversamente  parlare di ogni singolo uomo e del suo contributo dato.
E siccome la si racconta così alla fine può sfuggire il suo carattere di impresa collettiva.
Citazione
A me non sfugge di certo!

iano

Siamo sostanzialmente d'accordo anche se ti piace fare il bastian contrario.
Da quello che dici però sembra tu non abbia alcuna cognizione sui processi percettivi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

Citazione di: iano il 06 Febbraio 2019, 22:14:30 PM
Siamo sostanzialmente d'accordo anche se ti piace fare il bastian contrario.
Da quello che dici però sembra tu non abbia alcuna cognizione sui processi percettivi.

Sono medico, e anche nel tempo libero, per cultura generale, ho letto non poco di neurologia, fisiologia della visione e della coscienza, ma soprattutto di filosofia della mente.

Non per fare il bastian contrario ad ogni costo, ma a me non pare che siamo sostanzialmente d' accordo.

Per esempio mi par di capire (ma se mi sbaglio sarò ben lieto di venire a saperlo) che tu segui le interpretazioni "correnti" indeterministche ontologiche dell' indeterminismo quantistico, mentre io seguo quella indeterministica (meramente) epistemica - deterministica ontologica svolta da Plank, Einstein, de Broglie, Bohm e probabilmente (non ne sono sicuro) Bell.

iano

Citazione di: sgiombo il 06 Febbraio 2019, 22:31:20 PM
Sono medico, e anche nel tempo libero, per cultura generale, ho letto non poco di neurologia, fisiologia della visione e della coscienza, ma soprattutto di filosofia della mente.

Non per fare il bastian contrario ad ogni costo, ma a me non pare che siamo sostanzialmente d' accordo.

Per esempio mi par di capire (ma se mi sbaglio sarò ben lieto di venire a saperlo) che tu segui le interpretazioni "correnti" indeterministche ontologiche dell' indeterminismo quantistico, mentre io seguo quella indeterministica (meramente) epistemica - deterministica ontologica svolta da Plank, Einstein, de Broglie, Bohm e probabilmente (non ne sono sicuro) Bell.
Ammetto la mia ignoranza sulla lista di termini tecnici che dai.
Diciamo che seguo le mie idee , che accidentalmente possono incasellarti in qualche corrente , ma nessuna corrente mi sembra tanto soddisfacente da aderirvi.
Leggendo testi divulgativi mi sono fatto delle idee su come funziona il sistema percettivo.
Mi sono fatto quindi un'idea su come interviene e come non interviene la coscienza nel processo .
Mi è parso di capire che per te interviene sempre e a me non pare.
Ho portato anche qualche esempio.
Dove ho sbagliato?
Cosa non ho capito?
Grazie.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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sgiombo

#172
Citazione di: iano il 07 Febbraio 2019, 20:10:37 PM
Ammetto la mia ignoranza sulla lista di termini tecnici che dai.
Diciamo che seguo le mie idee , che accidentalmente possono incasellarti in qualche corrente , ma nessuna corrente mi sembra tanto soddisfacente da aderirvi.
Leggendo testi divulgativi mi sono fatto delle idee su come funziona il sistema percettivo.
Mi sono fatto quindi un'idea su come interviene e come non interviene la coscienza nel processo .
Mi è parso di capire che per te interviene sempre e a me non pare.
Ho portato anche qualche esempio.
Dove ho sbagliato?
Cosa non ho capito?
Grazie.




Naturalmente anch' io leggendo mi sono fatto le mie idee.

Ma la percezione é (un evento di) coscienza per definizione: se si percepisce qualcosa di sensibile se ne é coscienti, essere coscienti di qualcosa di sentito o percepito é sinonimo di percepire qualcosa; eventualmente in più si può inoltre sentire la percezione cosciente del pensiero che si sta percependo qualcosa; che pero é un' ulteriore percezione (interiore o mentale).(

(La visione cieca non é propriamente percezione cosciente, ma una reazione attiva a uno stimolo visivo non percepito coscientemente, un processo neurologico non accompagnato, nella fattispecie da coscienza, contrariamente a quanto solitamente accade in occasioni simili nelle quali la visone non é cieca, ovvero é percezione cosciente, oltre che mero processo neurofisiologico).

iano

#173
È possibile che usi termini in modo improprio e da qui nasca la nostra inconprensione.
Non so cosa sia la visione cieca .
So' che non vediamo a volte ciò che c'è e vediamo ciò che non c'è, in seguito a una elaborazione dei dati sensibili che noi non decidiamo coscientemente.
Ad esempio dovremmo vedere al centro di ogni nostra visione un cerchietto nero, corrispondente al punto dove si innesta il nervo ottico nell'occhio .
Non solo non lo vediamo , ma al suo posto vediamo cose che non esistono, seppure congruenti al contesto.
Si può provare a dare una spiegazione sul perché il cervello faccia ciò, ma ciò che fa' non coinvolge la nostra coscienza.
Non siamo noi a decidere ciò.
Al contrario, seppur coscienti di tale " errore" , non siamo in grado di correggere la nostra sensazione visiva.
Quindi anche se uso i termini in modo improprio , dovrebbe essere chiaro cosa intendo da questo esempio , quando dico che la coscienza non interviene sempre nella percezione.
Menomazioni accidentali , come quello che porta alla visione cieca , che ben non ho capito , possono aiutarci a comprendere proprio come funziona il sistema percettivo.
Sembra che il cervello non sia molto interessato a vedere la realtà per quel che è,seppur in modo approssimato.
Ma la vede per quel che serve.
Vedere un cerchio nero al centro di ogni immagine è solo un fastidio.Meglio sostituirlo con qualcosa di così ben artefatto da essere credibile.
Questa è una possibile spiegazione , ma non l'unica , del fenomeno del punto cieco, che cieco non appare.
Il cervello ,sia come sia ,non sembra assecondarci nella nostra aspirazione a vedere la realtà per quel che è , ma per quel che serve.
Se l'evoluzione ha preso questa strada un motivo ci sarà.
L'evoluzione ha tolto gli arti ai serpenti quando questi non gli sono serviti più.
Se gli stretti dettami economici della vita , ai fini del suo mantenimento, fanno si che un arto di troppo non sia tollerabile, parimenti una conoscenza in se' , da contemplare, senza farne uso , è un puro abuso filosofico , slegato da quella realtà stessa a cui si aspira.
Se poi a noi viene naturale tendere alla conoscenza in se' , come anche a me viene , allora anche questo assomiglia ad un "errore " che avrà un suo buon perché , ma che sia un errore , un punto cieco della nostra mente , dovrebbe essere chiaro.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#174
Ciò che crediamo non è necessariamente ciò che è, come ciò che ci appare non è necessariamente ciò che è, ma possiamo ben sospettare che ci siano buoni motivi per vedere ciò che vediamo e per credere ciò in cui crediamo.
In un certo senso vediamo quel che crediamo di vedere.
Come è possibile ciò?
Credo abbia a che fare con una sopravvalutazione del libero arbitrio.
Ciò che liberamente pensiamo di credere forse non è così gratuito come ci sembra.
E presumibilmente c' è sempre un buon motivo per cui ciò accade.
Siamo così impegnati a cercare pagliuzze negli occhi altrui che non ci rendiamo conto di quante cose condividiamo , confondendole con ciò che è fuori di noi , con la realtà, quando invece condividiamo solo gratuite ombre  della realtà , illudendoci di condividerle in piena libertà.
Il libero arbitrio esiste , ma non tanto quanto crediamo , e la nostra individualità, il nostro forte io , altro non è essa stessa che una utile illusione ,che avrà un suo buon perché.
Ma se tutto ciò fosse vero a cosa servirebbe la coscienza di ciò ?
Non lo so'.
So' solo che nel momento in cui prendiamo coscienza di ciò che siamo noi diventiamo altro di ciò che eravamo , e che la scienza è un risultato di tale presa di coscienza.
E questa trasformazione tanto ci esalta quanto ci spaventa.
La realtà non è come ci appare , ma il modo in cui ci appare ha un suo perché.
È ragionevole credere che questo perché , qualunque esso sia , sia condiviso dalla percezione che costruisce le sue immagini come dalla scienza che costruisce le sue teorie.
E anche se queste immagini e teorie ben si prestano a una contemplazione estetica , come cosa in se' , forse non è questo il loro profondo perché.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

Citazione di: iano il 07 Febbraio 2019, 23:30:03 PM
È possibile che usi termini in modo improprio e da qui nasca la nostra inconprensione.
Non so cosa sia la visione cieca .
So' che non vediamo a volte ciò che c'è e vediamo ciò che non c'è, in seguito a una elaborazione dei dati sensibili che noi non decidiamo coscientemente.
Ad esempio dovremmo vedere al centro di ogni nostra visione un cerchietto nero, corrispondente al punto dove si innesta il nervo ottico nell'occhio .
Non solo non lo vediamo , ma al suo posto vediamo cose che non esistono, seppure congruenti al contesto.
Si può provare a dare una spiegazione sul perché il cervello faccia ciò, ma ciò che fa' non coinvolge la nostra coscienza.
Non siamo noi a decidere ciò.
Citazione
Questa osservazione mi induce a pensare (al fine di intenderci "intertraducendoci" i concetti che impieghiamo) che tu per "coscienza" intenda il "pensare intenzionalmente, deliberatamente, volontariamente"; mentre io ho sempre inteso (in particolare in questa discussione) l' "essere in atto di percezioni (volute o meno, materiali o mentali)".
La visione cieca (alla quale pensavo tu alludessi) sono fenomeni nei quali non si é coscienti di vedere qualcosa, ma "si impara ugualmente" l' esistenza di tali cose (se si deve compiere una scelta successiva, senza sapere perché, si compie la scelta "giusta", conforme all' esistenza di tale cosa in un certo senso "vista" ma non consapevolmente).

Per me non si tratta propriamente di "visione" e più generalmente sensazione o percezione, perché attribuisco questa natura solo a fenomeni di cui si ha consapevolezza (apparenti, secondo l' etimologia della parola, alla coscienza).

Al contrario, seppur coscienti di tale " errore" , non siamo in grado di correggere la nostra sensazione visiva.
Quindi anche se uso i termini in modo improprio , dovrebbe essere chiaro cosa intendo da questo esempio , quando dico che la coscienza non interviene sempre nella percezione.
Citazione
Dunque effettivamente tu intendi per "percezione" determinati eventi neurofisiologici, mentre io intendo l' accadere di sensazioni coscienti (a tali eventi neurofisiologici -che però sono altre cose accadenti nell' ambito di altre, diverse esperienze fenomeniche coscienti- necessariamente corrispondenti, salvo eccezioni come quella costituita dalla visione cieca).

Ma di tutto ciò che percepiamo sensibilmente l "esse est percipi" (Berkeley e Huime): sono "femoneni", ovvero cose reali unicamente come apparenze sensibili coscienti se e quando accadono come tali. Se qualcosa di reale permane anche quando non accadono, allora per non cadere in contraddizione, dobbiamo pensarlo come non apparente (non fenomeno, dal greco e  "a là Kant"), ma solo congetturabile (dal greco e a là Kant "noumeno").

Menomazioni accidentali , come quello che porta alla visione cieca , che ben non ho capito , possono aiutarci a comprendere proprio come funziona il sistema percettivo.
Sembra che il cervello non sia molto interessato a vedere la realtà per quel che è,seppur in modo approssimato.
Ma la vede per quel che serve.
Vedere un cerchio nero al centro di ogni immagine è solo un fastidio.Meglio sostituirlo con qualcosa di così ben artefatto da essere credibile.
Questa è una possibile spiegazione , ma non l'unica , del fenomeno del punto cieco, che cieco non appare.
Il cervello ,sia come sia ,non sembra assecondarci nella nostra aspirazione a vedere la realtà per quel che è , ma per quel che serve.
Se l'evoluzione ha preso questa strada un motivo ci sarà.
L'evoluzione ha tolto gli arti ai serpenti quando questi non gli sono serviti più.
Se gli stretti dettami economici della vita , ai fini del suo mantenimento, fanno si che un arto di troppo non sia tollerabile, parimenti una conoscenza in se' , da contemplare, senza farne uso , è un puro abuso filosofico , slegato da quella realtà stessa a cui si aspira.
Se poi a noi viene naturale tendere alla conoscenza in se' , come anche a me viene , allora anche questo assomiglia ad un "errore " che avrà un suo buon perché , ma che sia un errore , un punto cieco della nostra mente , dovrebbe essere chiaro.
Citazione
Concordo che la fisiologia delle sensazioni ha portato a "deformazioni" delle afferenze percettive agli organi di senso e lungo le vie nervose centripete (solitamente tali da essere utili al meglio comportarsi adattivamente, per esempio aumentando la risoluzione spaziale e di contrasto fra gli oggetti o consentendo una rapida visione di oggetti in movimento potenzialmente dannosi oppure utili).
Analogamente al fatto che a volte una caricatura ci dice di più di un personaggio che una semplice riproduzione realisticamente "fotografica" delle sue parvenze .

Dissento invece dalle tue considerazioni a mio parere "etremistiche" sulla selezione naturale, che secondo me consente di sopravvivere a chi non abbia caratteristiche troppo antiadattive e non solo a chi abbia solo caratteristiche "iperadattive": contrariamente alla selezione artificiale degli allevatori, la selezione naturale non fa riprodurre solo i "superadatti" (a un ambiente in costante mutamento" nel quale ben presto potrebbero diventare troppo inadatti), ma anche tutti quelli "non troppo inadatti".
Altrimenti non si spiegherebbero tante cose. Ad esempio il sublime piacere della musica nell' uamanità: mentre sei distratto da una bella melodia sei più facile preda dei grossi carnivori, eppure (per fortuna nostra)...

sgiombo

Citazione di: iano il 08 Febbraio 2019, 00:06:38 AM
Ciò che crediamo non è necessariamente ciò che è, come ciò che ci appare non è necessariamente ciò che è, ma possiamo ben sospettare che ci siano buoni motivi per vedere ciò che vediamo e per credere ciò in cui crediamo.
Citazione
Fin qui concordo: si possono dare giudizi errati e falsi sulle sensazioni (delle le cose che percepiamo sensibilmente).



In un certo senso vediamo quel che crediamo di vedere.
Citazione
Qui dissento: non si può vedere il mondo come ci piacerebbe che fosse, ma come é (e inoltre si può sbagliare nel predicare circa le sensazioni che ne abbiamo).

Come è possibile ciò?
Credo abbia a che fare con una sopravvalutazione del libero arbitrio.
Ciò che liberamente pensiamo di credere forse non è così gratuito come ci sembra.
E presumibilmente c' è sempre un buon motivo per cui ciò accade.
Siamo così impegnati a cercare pagliuzze negli occhi altrui che non ci rendiamo conto di quante cose condividiamo , confondendole con ciò che è fuori di noi , con la realtà, quando invece condividiamo solo gratuite ombre  della realtà , illudendoci di condividerle in piena libertà.
Citazione
Se ben capisco (il linguaggio mi é un po' oscuro) qui concordi con me che possiamo dare giudizi errati e falsi circa le sensazioni che abbiamo.

Il libero arbitrio esiste , ma non tanto quanto crediamo , e la nostra individualità, il nostro forte io , altro non è essa stessa che una utile illusione ,che avrà un suo buon perché.
Citazione


Quindi esiste come (reale) illusione, non come realtà (in sè)

Ma perché mai (scusa il gioco di parole) sempre tutto ciò che esiste dovrebbe avere per forza "un suo buon perché (e in che senso)"?

Ma se tutto ciò fosse vero a cosa servirebbe la coscienza di ciò ?
Non lo so'.
So' solo che nel momento in cui prendiamo coscienza di ciò che siamo noi diventiamo altro di ciò che eravamo , e che la scienza è un risultato di tale presa di coscienza.
E questa trasformazione tanto ci esalta quanto ci spaventa.
La realtà non è come ci appare , ma il modo in cui ci appare ha un suo perché.
Citazione
Reitero la domanda - obiezione: 

Ma perché mai sempre tutto ciò che esiste (il mondo) dovrebbe avere per forza "un suo buon perché" (e in che senso)?


È ragionevole credere che questo perché , qualunque esso sia , sia condiviso dalla percezione che costruisce le sue immagini come dalla scienza che costruisce le sue teorie.
Citazione
La percezione (senza inoltre ragionamenti) può rilevare solo il come delle cose percepite (salvo eventuali errori), e non il perché.


E anche se queste immagini e teorie ben si prestano a una contemplazione estetica , come cosa in se' , forse non è questo il loro profondo perché.
Citazione
Si tratta sempre di contemplazione estetica di cose fenomeniche, apparenze sensibili ("esse est percipi") e non di cose in sé, reali (anche) indipendentemente dalle sensazioni (dalle quali unicamente ciò che sentiamo é costituito).

iano

Vediamo ciò che crediamo di vedere, non significa che vediamo ciò che ci piace vedere .
Significa che ciò che vediamo non è cosa immediata , ma mediata dalla cultura e dalla nostra storia comune.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

sgiombo

Citazione di: iano il 09 Febbraio 2019, 09:39:09 AM
Vediamo ciò che crediamo di vedere, non significa che vediamo ciò che ci piace vedere .
Significa che ciò che vediamo non è cosa immediata , ma mediata dalla cultura e dalla nostra storia comune.


Secondo me mediato dalla cultura e dalla nostra storia comune non é ciò che vediamo o come lo vediamo, ma invece ciò che pensiamo (più o meno veracemente) di ciò che vediamo.

Ciò che vediamo e come lo vediamo é invece mediato (relativamente alterato) dalle caratteristiche (di "filtro" e in qualche misura "distorcenti" del nostro sistema nervoso (per esempio non sentiamo gli ultrasuoni e non vediamo le radiazioni elettromagnetiche non "luminose", cioé di lunghezza d' onda maggiore o minore di un certo intervallo, né udiamo le onde sonore tridimensionalmente al contrario dei pipistrelli; i contorni degli oggetti sono accentuati rispetto al loro contrasto "naturale", le colorazioni che mutano al variare dell' illuminazione degli oggetti sono corrette tendendo a risultarci costanti, ecc.).

Comunque crediamo di vedere ciò che crediamo di vedere (che non sempre necessariamente é ciò che vediamo), ma vediamo ciò che vediamo e non ciò che crediamo di vedere.

Donalduck

A parte le questioni riguardanti il tempo in particolare, trovo piuttosto paradossale questo disquisire sulla realtà o meno di questo o di quello, quando nessuno è in grado di dare una definizione filosoficamente, razionalmente accettabile e non ambigua di "realtà" (o di "esistenza") in termini assoluti, in particolare di cosa distingua qualcosa di "reale" da qualcosa di "irreale". In altre parole, quello che servirebbe per poter distinguere ciò che sarebbe reale, da ciò che non lo sarebbe dovrebbe essere una definizione "operativa" di realtà, ossia un algoritmo che permette, seguendo una serie di istruzioni operative, di stabilire se "qualcosa" è reale oppure no, basate su una serie di caratteristiche che il "reale" dovrebbe avere, e che manca all "non reale".
Il mio parere è che non ci sia assolutamente nulla che possa essere definito "non reale", se non in un contesto relativo. Ad esempio l'immagine mentale di una sedia non è "reale" nello stesso senso della sedia, ossia non è una "sedia reale", ma è tuttavia ben reale in quanto immagine mentale. E che, in generale, il problema della realtà o meno di qualcosa, se posto in termini assoluti, sia completamente privo di senso.

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