La Natura come fondamento e legittimazione

Aperto da Jacopus, 19 Maggio 2021, 08:01:32 AM

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Jacopus

La natura viene spesso chiamata in causa come fondamento delle azioni umane o, al contrario, per stigmatizzare azioni umane che vengono considerate innaturali.
La natura è effettivamente un richiamo imponente: è la nostra radice e di questi tempi solo Dio sa quanto abbiamo bisogno di radici.
Solo che le cerchiamo nel posto sbagliato, visto che la natura non è esattamente quel mondo di coerenza che una visione tradizionale le attribuisce.
Gli animali possono essere poligami come gran parte dei primati o strettamente monogami per tutta la vita (ad esempio i cigni). Vi sono centinaia di specie che praticano l'omosessualità sia maschile che femminile, anche per rinsaldare i legami sociali (lo facevano anche gli antichi greci) ed altre specie strettamente eterosessuali. Alcune specie come le termiti si fanno la guerra fra gruppi diversi ed è stato accertato che gli scimpanzé commettono scimpanzicidi di singoli individui, esattamente come noi. Vi sono specie che tengono a bada la forza dei maschi attraverso alleanze fra le femmine ed altre specie dove il maschio alfa è un vero tiranno al punto da uccidere i cuccioli per poter possedere nuovamente le femmine che hanno appena partorito. Ci sono animali che usano strumenti rudimentali come bastoni, facendo intravedere i prodromi di una cultura tecnologica. Vi sono state nel passato specie di ominini come l'uomo di Neanderthal che aveva riti e tecniche simili a quelle dell'homo sapiens e altri ominini che vivevano sulle piante e si cibavano di frutta. Vi sono animali che mostrano una aggressività intraspecifica micidiale come certi pesci tropicali.
In tutta questa congerie, quale natura è quella che dovrebbe fissare e guidare le nostre azioni?
Ma ancora più interessante è la domanda successiva. Perché ancora viene usata così tanto questo tipo di giustificazione?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Perchè la natura, pur non essendo l'unica fonte del diritto, ne è uno dei fondamenti ineludibili. Abbiamo bisogno, tanto naturalisticamente che giuridicamente, di aria salubre, cibo sano, tane confortevoli e sicure, coccole e libertà.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#2
Si tira in ballo la natura per ricordare che ogni specie di frutto ha il suo nocciolo duro dentro  una polpa molle  in bella vista.
Non possiamo trarre una morale che non sia solo superficiale , ma nocciolo duro comportamentale di ogni specie , senza andare molto  sul generico . Quindi diremo che  è cosa buona la riproduzione sessuata, tralasciando i piccanti dettagli.
Diremo che è un bene una diversificata moltitudine , tralasciando di distinguere fra  varietà buone e cattive..
Si tira in ballo la natura per ricordare che non essa, ma noi facciamo distinzioni di specie apponendo etichette.
Invochiamo la natura  quando appare la lacunosità delle nostre specifiche convenzioni.
Se chiedessimo alla natura se fanno bene i mandrilli a farlo in quel modo, essa ci risponderebbe,    mandrilli chi?

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#3
Direi in generale che volendo trovare fondamento e legittimazione nella natura più usciamo dallo specifico , più sono solide le basi.
Quindi sarebbe bene non specificare più dello stretto necessario evitando di perdersi in dettagli.
Se la nostra particolare natura è quella di specificare , allora il bene si fonda sulla giusta misura nel farlo, dove due è  poco e tre è troppo ,se vogliamo basarci su una natura che non fa' specifiche  distinzioni.
I mandrilli non fanno ne' bene e ne' male a farlo in quel modo li, perché i mandrilli sono proprio quelli che lo fanno in quel modo li.
Se non lo facessero in quel modo li non sarebbero mandrilli.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jacopus

Ma infatti, Iano, è proprio la nostra "natura" autoriflessiva ad averci posto in una nicchia che è completamente diversa da ogni mandrillo. Il mandrillo medio lo fa perché lo deve fare, non si chiede "perché faccio così?", non ha alternative comportamentali se non quelle istintuali di base, attacco, fuga, ricerca della femmina, del cibo, del riposo. Noi non possiamo più invocare la natura come fondamento, perché siamo altro, pur restando esseri biologici. Con "altro" intendo proprio questa capacità di pensare altrimenti e pensare al sè e al perché del sè e degli altri e del come relazionarsi con gli altri e con il mondo, avendo presente che vi sono molteplici strade. Le stesse molteplici strade che la natura ha tracciato, fra caso e necessità a tutte le specie viventi, che non rispondono certo ad un disegno maestoso e ordinato. La natura assomiglia più ad un geniale artista che utilizza materiali da riciclo. La nostra "specifica" strada non assomiglia però a quella di nessun altra specie vivente. Solo i Neanderthal potevano competere con noi su questa strada ma si sono estinti. La consapevolezza di questa straordinarietà dell'uomo non dovrebbe però renderci i padroni del mondo, o pensare ad una mano trascendente che ci ha benedetto. Semplicemente dovremmo pensarci come i custodi del mondo, quelli che, come diceva Mario Brega , possono "esse ferro" o "esse piuma" e speriamo di essere sempre più spesso "piuma".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

#5
Non possiamo invocare la natura come fondamento esclusivo del nostro vivere, ma in quel vivere essa è fondamento del nostro esserci. Mens sana in corpore sano diceva i latini e avevano già capito tutto. La sanità del corpo ha un valore etico (ethos) tanto quanto la salute dello spirito (psiche). Siamo costretti, dal nostro destino evolutivo, a muoverci su questo binario in cui entrambe le rotaie sono necessarie per non deragliare.

La natura diventa nomos nel campo che le è proprio: se fossimo immortali non esisterebbe l'omicidio come fatto, e quindi neppure come delitto. Saggezza è non estendere questo dominio fondativo dell'etica e della giurisdizione naturali oltre i limiti che la natura ha posto. Così come è saggio non pretendere che lo spirito oltrepassi i limiti etici e normativi che la natura impone irrevocabilmente

Senza con ciò amplificare ideologicamente tali limiti, impedendoci di seguire la via dello spirito che sfrutta a nostro vantaggio le leggi di natura fino a superare le limitazioni dell'evoluzione naturale (dna). E un gioco di pesi e contrappesi in cui ciò che è ottimale oggi potrebbe essere esiziale domani, e viceversa. Un calcolo mobile di costi e benefici, che implica anche un'evoluzione etica.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#6
La mia impressione è che non riusciamo ad uscire dal paradosso dell'essere e non essere allo steso tempo natura.
Poniamo ciò che è artificiale in contrapposizione a ciò che è naturale.
Cioè ciò che costruiamo in contrapposizione a ciò che non costruiamo.
Nella misura in cui siamo prodotto di un artificio , siamo capaci parimenti di decostruirci invertendo il processo, chiamandolo ritorno alla natura, dalla quale però non ci siamo mai allontanati.
È come se prendere coscienza delle cose equivalga a distruggerle, come ci insegnano i bambini, provando alienazione.
La distinzione fra noi e la natura nasce da una distorsione temporale.
Una singolarità temporale in cui coabitano passato e presente .
Non so' bene  perché, ma mi viene in mente la barzelletta di quello che andando in cinquecento si accorge di esser seguito da una mucca.
Non potendo credere ciò possibile accelera , ma ad ogni accelerazione la mucca risponde con una pari accelerazione così che non riesce a staccarla.
Insistendo quindi ad accelerare, avendo adesso la mucca la lingua di fuori, si compiace almeno di averla sfiancata, finché questa non lo sorpassa,  non avendo mancato , come previsto dal codice della strada, di aver segnalato prima la propria intenzione.
Quanta saggezza racchiudono le migliori barzellette, che vanno alla ricerca dei paradossi, senza attendere che questi ti affianchino.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jacopus

#7
Iano. La distinzione fra noi e la natura non nasce da una distorsione temporale. Non è un processo di chi la sa più lunga ( o di chi corre più veloce). La distinzione in realtà è opera della natura stessa, allorquando dopo svariati esperimenti durati un milione di anni circa ci ha dotati del cervello più complesso esistente sul pianeta terra. La natura ama la vita, gli esperimenti e la diversità. Ed ecco che prova a vedere come se la cava questo essere, fisicamente poco più forte di un cane di taglia media ma con un sistema nervoso centrale eccellente. Da quel sistema nervoso centrale è scaturito l'allontanamento dalla natura. Genesi, il primo libro della Bibbia, forse inconsapevolmente ( o forse consapevolmente, gli ebrei non sono mai da prendere alla leggera), descrive quel passaggio, simbolizzandolo nell'albero della conoscenza del bene e del male. Se preferisci il cordone ombelicale che ci connetteva alla natura è stato tagliato con l'avvento della cultura. La cultura non è solo un fatto tecnico. Nel senso che intendo qui, la Cultura (Kultur) è il processo autoriflessivo che ogni umano apprende in modi più o meno sofisticati. Da quel processo autoriflessivo nascono le scelte "etiche" ed è per questo che l'albero ha a che fare con il bene e il male. Ma l'etica  è strettamente connessa con la cultura come tecnica. Il mito di Prometeo, in questo senso, è il perfetto contraltare del racconto di Genesi. In tutto ciò, l'uomo non deve neppure dimenticare che il colpevole di tutto ciò, ovvero il suo cervello, è comunque a tutti gli effetti, composto di cellule e di processi biochimici del tutto assimilabili a quelli della più semplice lumaca di mare. Dei, demoni, esseri naturali. Siamo tutto ciò, allo stesso tempo, ma non siamo più natura e non possiamo cercare nella natura giustificazioni per il nostro agire. Piuttosto il discorso dovrebbe essere rovesciato. Il nostro agire deve essere giustificato dal nostro senso di responsabilità nei confronti della natura. Un senso di responsabilità reciprocamente conveniente. Ed anche questo senso di responsabilità va cercato nell'intreccio fra elementi biologici e storici dell'uomo.
Avvertimento finale: non è detto che homo sapiens sia la specie definitiva, all'apice della scala evolutiva. Con noi la natura potrebbe anche aver preso una sonora cantonata. I prossimi millenni ci sapranno svelare questo enigma.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

InVerno

Citazione di: Jacopus il 19 Maggio 2021, 08:01:32 AM
In tutta questa congerie, quale natura è quella che dovrebbe fissare e guidare le nostre azioni?
Non penso che si possano trarre considerazioni sensate dall'analisi o l'imitazione di fenomeni specifici etologici, che sia il comportamento dei cinghiali o degli altri hominidi, sebbene alcuni casi siano molto stimolanti e interessanti. Tuttavia "natura" indica un insieme. E' un pò come quando il mio compagno di banco alle elementari si chiedeva se imparare a risolvere le equazioni gli sarebbe servito nella vita (lui specificava: per andare a comprare il prosciutto), ovviamente no, ma l'essersi approcciato alla matematica in generale, suppongo gli sia servito.

Citazione di: Jacopus il 19 Maggio 2021, 08:01:32 AM
Ma ancora più interessante è la domanda successiva. Perché ancora viene usata così tanto questo tipo di giustificazione?
Perchè della cultura ci siamo convinti o siamo riusciti a decostruire e relativizzare, rimane un appiglio individuale o di gruppo, ma lentamente ha perso le sue pretese oggettive, per esclusione è rimasta la natura, concetto sdrucciolevole e altamente liquefatto, ma comunque composto di fenomeni oggettivi come la vita e la morte.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Riprendendo la Genesi, osserverei che, se non sbaglio, il primo gesto sia tecnico che etico dell'uomo è vestirsi; la conseguenza dell'aver mangiato il frutto (mela o altro che sia) dell'albero proibito innesca la prima operazione di strumentalizzazione della natura («intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture», cit.) e la prima forma di pudore sociale («sono nudo, e mi sono nascosto», cit.), di "accostumatezza", che distinguono subito l'uomo dagli altri animali. Il male viene forse "mondanizzato" proprio in quel momento, nel momento in cui l'uomo si differenzia dal "bene naturale" fatto dell'assenza di tecnica e "costumi morali"? L'albero del bene e del male è forse tale perché i suoi frutti instillano il male nel bene (dell'Eden), male inteso come perdita dell'armonia con la natura (che viene "intrecciata" dalla tecnica) e come pudore (quindi nascondimento, non trasparenza, dicotomia pubblico/privato, etc.) nei confronti del prossimo?
[Per inciso, ho solo giocato a dare un'interpretazione eterodossa del passo biblico, non sono un nostalgico dell'epoca nudista nelle caverne.]

Abbandonando narrazioni ed eresie bibliche, va ricordato che la cosiddetta «fallacia naturalistica» ci mette in guardia dal derivare prescrizioni da descrizioni, ovvero confondere (o addirittura fondare) il "dover-essere" etico-morale-culturale con l'essere meccanicistico, biologico, etc. ad esempio, partire da «i mammiferi si riproducono» (constatazione di ciò che è) per derivarne «un mammifero si deve riprodurre, quindi le donne devono far figli» (dover-essere etico, seppur di un'etica antica... ma non troppo) è chiaramente un non sequitur, emblematico del non sequitur generale fra il piano della biologia e quello dell'etica (come tutti i "cortocircuiti" della bioetica confermano).
Tenere distinte etica ed etologia, in questo caso, è secondo me fondamentale: le leggi dell'istinto, incise nel dna, che regolano la vita biologica non vanno confuse con le leggi delle tribù, che sono incise su supporti meno congeniti e da pensose mani umane. Che l'uomo abbia per istinto l'aggressività coma autotutela fisica, o l'istinto di maternità/paternità verso la prole, o soffra alcune situazioni di privazioni (psicologiche o fisiche), non prescrive nulla di etico, pur rappresentando una descrizione etologica. A posteriori, si potrebbe dire che non è giusto uccidere perché l'uomo per istinto rifugge la morte o non è giusto che una madre abbandoni il figlio perché allo stato brado solitamente è la madre che si cura della prole, etc. ma tali «non è giusto» non si fondano sulla natura, ma usano il comportamento etologicamente osservato come argomentazione (che non è fondamento) a favore di determinate norme sociali, indubbiamente utili, condivise, ormai "filogeneticamente" nel "dna" di tutte le culture in lungo e in largo nel globo, etc. Nondimeno l'appello argomentativo "ad naturam" non va scambiato con un possibile fondamento dell'etica, almeno tanto quanto la presenza di criminali violenti (constatazione) può essere (non «è») un argomento a favore dell'uso della violenza per autodifesa, ma non è il fondamento della doverosità (prescrizione) della violenza interpersonale (né dal punto di vista dei criminali, né dal punto di vista dei non criminali). Radicalizzando: che vivere sia bene e soffrire/morire sia male non può essere affermato basandosi sulla natura, che metabolizza la vita con cambiamenti di stato che nulla hanno a che fare con l'etica (ma può ben essere affermato basandosi sulla propria umanità, biologica, culturale, etc.), poiché l'attaccamento alla vita fa parte della nostra natura tanto quanto l'aggressività (e nessuno proporrebbe l'aggressività come fondamento dell'etica); proprio come non si può affermare che, eticamente parlando, un atomo instabile sia un male (per la sua "privazione") o la forza di gravità sia un bene (perché ci mantiene sulla Terra), almeno se si abbandona l'istintivo antropocentrismo per un'analiticità che non usa indebitamente categorie valutanti di altri contesti.
La natura, guardata dall'uomo, risulta fatta di meccanismi; il giudizio di valore morale su tali meccanismi (e scegliere quindi quali traslare nella società, in quanto ritenuti "giusti", e quali rigettare in quanto "primitivi") trova i suoi fondamenti altrove, anche se tale altrove non ha la indiscutibile perentorietà ed "oggettività" della natura (che è sempre la prima alternativa quando non si elabora a fondo il lutto del divino e si è ancora affamati di "pensiero forte", come, bene o male che sia, istinto naturale e cultura occidentale prevedono).

viator

Salve phil. Citando ciò che hai voluto citarci : "Riprendendo la Genesi, osserverei che, se non sbaglio, il primo gesto sia tecnico che etico dell'uomo è vestirsi; la conseguenza dell'aver mangiato il frutto (mela o altro che sia) dell'albero proibito innesca la prima operazione di strumentalizzazione della natura («intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture», cit.) e la prima forma di pudore sociale («sono nudo, e mi sono nascosto», cit.)".


Non so fino a quale punto tu sia convinto della "verità" di questa ed al parti delle Sacra Scritture. Penso, credo, che tu possa convenire sulla remotissima metaforicità di tali narrazioni.



Il problema quindi credo non riguardi noi due, ma la meravigliosità del fatto che certe spiegazioni abbiano serenamente soddisfatto le curiosità di miliardi di persone poco smaliziate......per alcune migliaia di anni.




Ed uguale meravigliosità - secondo me - riguarda il fatto che - secondo tali moltitudini - il far notare che l'introduzione degli indumenti potesse risultare necessaria per proteggersi dall'ambiente esterno - per un uomo ormai quasi privo di pelame naturale....................sarebbe stato considerato una bestemmia !. Saluti.



Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

#11
Citazione di: Jacopus il 20 Maggio 2021, 16:15:28 PM
Iano. La distinzione fra noi e la natura non nasce da una distorsione temporale. Non è un processo di chi la sa più lunga ( o di chi corre più veloce). La distinzione in realtà è opera della natura stessa, allorquando dopo svariati esperimenti durati un milione di anni circa ci ha dotati del cervello più complesso esistente sul pianeta terra. La natura ama la vita, gli esperimenti e la diversità. Ed ecco che prova a vedere come se la cava questo essere, fisicamente poco più forte di un cane di taglia media ma con un sistema nervoso centrale eccellente. Da quel sistema nervoso centrale è scaturito l'allontanamento dalla natura. Genesi, il primo libro della Bibbia, forse inconsapevolmente ( o forse consapevolmente, gli ebrei non sono mai da prendere alla leggera), descrive quel passaggio, simbolizzandolo nell'albero della conoscenza del bene e del male. Se preferisci il cordone ombelicale che ci connetteva alla natura è stato tagliato con l'avvento della cultura. La cultura non è solo un fatto tecnico. Nel senso che intendo qui, la Cultura (Kultur) è il processo autoriflessivo che ogni umano apprende in modi più o meno sofisticati. Da quel processo autoriflessivo nascono le scelte "etiche" ed è per questo che l'albero ha a che fare con il bene e il male. Ma l'etica  è strettamente connessa con la cultura come tecnica. Il mito di Prometeo, in questo senso, è il perfetto contraltare del racconto di Genesi. In tutto ciò, l'uomo non deve neppure dimenticare che il colpevole di tutto ciò, ovvero il suo cervello, è comunque a tutti gli effetti, composto di cellule e di processi biochimici del tutto assimilabili a quelli della più semplice lumaca di mare. Dei, demoni, esseri naturali. Siamo tutto ciò, allo stesso tempo, ma non siamo più natura e non possiamo cercare nella natura giustificazioni per il nostro agire. Piuttosto il discorso dovrebbe essere rovesciato. Il nostro agire deve essere giustificato dal nostro senso di responsabilità nei confronti della natura. Un senso di responsabilità reciprocamente conveniente. Ed anche questo senso di responsabilità va cercato nell'intreccio fra elementi biologici e storici dell'uomo.
Avvertimento finale: non è detto che homo sapiens sia la specie definitiva, all'apice della scala evolutiva. Con noi la natura potrebbe anche aver preso una sonora cantonata. I prossimi millenni ci sapranno svelare questo enigma.
Ciao Jacopus.
Non è che voglio essere critico per partito preso, ma credo che si possano dare letture alternative  del salto umano che ci farebbe guardare la base naturale dal quale è stato spiccato dall'alto in basso, essendocene staccati.
Che si domini il pianeta intanto è opinabile, e non perché affermandolo siamo di parte, ma perché la scelta dei parametri valutativi è libera.
Cambiando quella scelta i microbi , base di lancio di ogni altra specie, non hanno mai smesso di dominare.
Tutte queste nuove specie sembrano aver mantenuto degli antichi, quanto attuali progenitori, una membrana che li racchiude e li definisce dentro una superficie chiusa, ma se si guarda meglio in effetti l'uomo in ciò fa' eccezione.
Basta ammettere che la tecnica, seppur posta fuori di esso, ne sia pienamente parte, o se si preferisce, come acutamente nota Phil ci ridefinisce come un vestito su misura,che parte dalle bibliche foglie di fico intrecciate per arrivare ai tessuti non tessuti e va' ancora oltre, se vogliamo mantenere la metafora della superficie che ci racchiude definendoci.
In tal senso siamo speciali, in quanto animali diffusi che hanno delegato fuori dell'originario confine le proprie funzioni vitali, di modo che, ciò che dentro è rimasto in disuso lo si è potuto destinare a nuovi usi, specie il cervello, non importa quanto grande, perché il nostro non è neanche il più grande nel pianeta. Gli stessi dinosauri in passato ci superavano, ma non per questo dominavano il pianeta.
La cultura quindi possiamo vederla come naturale effetto di tutto ciò, volta a mantenere, ridefinendola, l'unità non più fisica, ma ancora funzionale, perché ciò conta, del nuovo animale diffuso, e quindi in definitiva non come causa del fenomeno detto uomo.
Come sempre ben dice Phil, il cosiddetto peccato che ci ha originati, traduce biblicamente la coscienza d'un salto definitorio, non potendoci più riguardare come gli altri animali, provandone estraniazione.
A prima vista infatti siamo ben diversi, ma se riaggiustiamo la definizione di animale, torniamo ad essere ben naturali, non avendo mai smesso di esserlo. E come potremmo?
Certamente abbiamo responsabilità, ma chi non ne ha? Chi si limita a prendersi cura solo di se' ignorando tutti gli altri?
Forse che la cultura occidentale non deve qualcosa a una lupa che ha allattato due gemelli invece di divorarli?
Ora è arrivato il momento di prenderci cura della natura entro il cui confine certamente stiamo, comunque vogliamo definirci,  con atto magari parimenti "contro natura" , così come i voraci lupi a volte fanno.
Magari è solo che i lupi se ne infischiano delle definizioni, e In parte non sarebbe male seguire questo buon esempio.
Ma siccome uomini siamo ,e non lupi, e perciò amiamo le,definizioni, trovare almeno il coraggio di ridefinirsi diversamente ancora naturali.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

Mi pare che per voler volare alto nei cieli comportamentali dell'etica si finisca col cadere nella fallacia antinaturalistica che nega il rapporto stretto tra physis, ethos, ed etica nei bisogni "biologici" della condizione umana. Ovvero la base della piramide di Maslow. Fortuna che a differenza dei filosofi d'alta quota, il diritto positivo in tutte le salse ne tiene conto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve iano. Citandoti : "Ora è arrivato il momento di prenderci cura della natura".


Finalmente la natura, la quale sinora se ne stava in apprensiva quanto muta attesa di qualcuno che la salvasse, potrà tirare un sospiro di sollievo.


Battutaccia a parte, hai ovviamente ragione per quanto riguarda la pretesa (e ridicolmente discutibile) supremazia specistica umana. Mi pensare a coloro i quali, incontrando in natura individui di specie diversa dalla propria, si mettono a gambe larghe e con i pugni sui fianchi esclamando : "Lei non sa chi sono io !". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

#14
Risposta a Iano. Ho ripensato al tuo racconto della mucca che sorpassa ed in effetti, la questione può essere vista anche da quel punto di vista. L'epigenetica in fondo insegna proprio a considerare la possibilità che la mucca sorpassi l'automobile. Biologia e cultura nell'uomo sono così interconnesse da rendere possibile quel sorpasso a prima vista paradossale.
Però, la differenza sostanziale rispetto a tutte le altre specie biologiche è proprio la suddetta interconnessione. E' questo che ci rende differenti, senza per questo voler veleggiare ad alta quota. Nessun altra specie interconnette cultura e biologia, semplicemente perchè non possiede cultura, come la possiede homo sapiens. La stessa trasmissione dei saperi nel corso degli ultimi due milioni di anni, ovvero da quando homo abilis ha iniziato ad usare degli utensili, ci differenzia in modo straordinario da tutti gli altri animali. Anche gli altri animali apprendono, ovviamente, ma si limitano ad apprendere come usare il loro corpo. Noi invece il corpo lo abbiamo esteso attraverso strumenti che ci fanno vedere più lontano, ci fanno andare più lontano, ci fanno conservare la memoria collettiva e ci insegnano infine a meta-pensare, a pensare il pensiero, con tutte le conseguenze di ciò in termini di capacità di "pensare il mondo".
Da parte mia nessuna fallacia antinaturalistica. Ci mancherebbe altro. I batteri ci sopravviveranno di molti milioni di anni nel futuro, di questo sono assolutamente certo, ma penso anche che il nostro "essere nel mondo" ha caratteristiche molto diverse da qualunque altro "essere nel mondo". L'unica altra specie che poteva competere si è estinta 40.000 anni fa. Pensare alla Natura in termini fondativi nasconde, a mio parere, molte insidie. Noi, volenti o nolenti siamo diventati qualcosa di diverso dalla natura, senza per questo voler indicare in questa diversità un qualsivoglia chiamata spirituale. La nostra diversità ce la siamo conquistata attraverso la nostra storia, il sudore, il sangue, le scoperte, la violenza, il sapere. In questa diversità, del resto, permane l'ambiguità di continuare ad essere una specie tassonomicamente linneana. Se volessimo scomodare la mitologia, homo sapiens, assomiglia, ad un centauro e se proprio dovessi sceglierne uno fra i tanti, sceglierei Chirone.


CitazioneLa natura, guardata dall'uomo, risulta fatta di meccanismi; il giudizio divalore moralesu tali meccanismi (e scegliere quindi quali traslare nella società, in quanto ritenuti "giusti", e quali rigettare in quanto "primitivi") trova i suoi fondamenti altrove, anche se tale altrove non ha la indiscutibile perentorietà ed "oggettività" della natura (che è sempre la prima alternativa quando non si elabora a fondo il lutto del divino e si è ancora affamati di "pensiero forte", come, bene o male che sia, istinto naturale e cultura occidentale prevedono).

Questa frase di Phil sintetizza molto bene quello che intendevo trasmettere.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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