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Inflazione cosmica

Aperto da Jacopus, 24 Aprile 2020, 18:47:39 PM

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giopap

Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 19:50:00 PM
@Giopap

Questo giochino che fai con il Nulla e il limite è voluto o semplicemente una tua svista, simile a quando mi attribuivi di aver detto che l'universo è infinito?

Il limite rimanda al Nulla!
Mi sembra lapalissiano.

Se non è una svista possiamo chiudere qui.


Io nutro sempre molto rispetto per gli interlocutori, che non significa far finta di ignorare "diplomaticamente" le divergenze e minimizzare gli errori che ritengo facciano, come ovviamente ne commetto io stessa, e spero non vengano "diplomaticamente" ignorati ma francamente evidenziati e corretti; rispetto che impone anzi di esprimersi con franchezza.


Perciò "giochini" con te o con latri qui nel forum non ne ho mai fatti; oltre che per il rispetto verso ogni interlocutore anche per un altro importante motivo, e cioé che non aiutano a ricercare la verità, che é lo scopo che mi prefiggo, in particolare in questo forum.


In uno sforzo di "traduzione" mi sembra di capire che tu, secondo me con un lessico tutto tuo personale, forse per "niente" ovvero "niente di reale" intendi il "limite che determina" concettualmente il "qualcosa di reale", nel senso che, poiché "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), il senso di "qualcosa di reale" si stabilisce (per lo meno anche) in rapporto di negazione - opposizione (contrario) a quello di "nulla di reale".
A questo proposito (e se così é) rilevo che in realtà "nulla di reale" é negazione - opposizione assoluta (é il contrario) di "tutto di reale" e non di "qualcosa di reale" (con cui é invece in rapporto di negazione soltanto relativa, non assoluta; ovvero non ne é il contrario); mentre negazione - opposizione assoluta (il contrario) di "qualcosa di reale é "qualcosa (d' altro) di non reale".



A qualcosa di reale (e qualcos' altro di non reale) che diviene nel tempo può logicamente (ed eventualmente anche realmente) darsi (anzi: per definizione di "divenire" necessariamente deve) che succeda nel tempo qualcos' altro di reale rispetto a ciò che reale era prima e qualcosa di non reale altro rispetto a ciò che non era reale prima.
Mentre al nulla di reale, che non può implicare per definizione alcun divenire (oltre che alcun permanere), alcun tempo, alcun successivo futuro, non può succedere alcunché.

giopap

#46
Il "nulla", ovvero il non essere (assolutamente indeterminato), il non essere di alcunché, proprio esattamente come l' "essere" di Parmenide (l' essere assolutamente indeterminato, l' essere di tutto), é per definizione fisso, immutabile, non ne segue alcunché di diverso da esso stesso.


In entrambi i casi si tratta di concetti dei quali non esiste alcuna denotazione o intensione reale.
Infatti empiricamente si constata che esiste qualcosa di mutevole nel tempo.

bobmax

Cara Giopap,
ritengo di essere stato anch'io un tempo un razionalista. Ero davvero entusiasta del pensiero logico/razionale, perché ero convinto che in definitiva tutto fosse razionale e ciò che non era ancora stato compreso, lo sarebbe stato senz'altro in futuro.
Bastava impegnarsi, sfruttare al meglio la propria intelligenza e i progetti anche più visionari potevano infine realizzarsi!

Poi la vita ha bussato alla mia porta mostrandomi ciò che ancora ignoravo, o meglio, che cercavo di ignorare.

E adesso sono ancora qui, incoerente con la via che so dovrei seguire.
Senza decidermi a accettare ciò che devo: l'umiltà.
Come posso parlare del Nulla, se nelle mie parole non ne vivo per davvero l'annichilimento?

Provo allora, con umiltà, a chiarire alcuni punti.

Citazione di: giopap
poiché "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), il senso di "qualcosa di reale" si stabilisce (per lo meno anche) in rapporto di negazione - opposizione (contrario) a quello di "nulla di reale".

La determinazione di qualcosa non è negazione del nulla, ma di ciò che quel qualcosa non è.
La determinazione di A, consiste nel negare tutto quello che A non è. Cioè B, C, D,...
Il "nulla" non ha alcun bisogno di essere negato.
La negazione è sempre rivolta a qualcosa. A si fonda sulla negazione di tutto ciò che non è A.
Ed è in quel "ciò" che la negazione ha tutta la sua ragion d'essere, negandolo.
Non importa se ciò che è negato sia qualcosa di reale o immaginato o addirittura neppure pensato. Ma che sia qualcosa!

Citazione di: giopap
A qualcosa di reale (e qualcos' altro di non reale) che diviene nel tempo può logicamente (ed eventualmente anche realmente) darsi (anzi: per definizione di "divenire" necessariamente deve) che succeda nel tempo qualcos' altro di reale rispetto a ciò che reale era prima e qualcosa di non reale altro rispetto a ciò che non era reale prima.
Mentre al nulla di reale, che non può implicare per definizione alcun divenire (oltre che alcun permanere), alcun tempo, alcun successivo futuro, non può succedere alcunché.

Infatti!
Occorre però considerare che il permanere (essere) e il divenire non sono verità assolute.
Perché a ben guardarli, di per se stessi non esistono.
L'essere ha infatti senso solo in quanto diveniente. Un essere che non divenga in continuazione, anche nel periodo di tempo più breve, è un non senso.
E lo stesso dicasi del divenire. Che ha senso solo rispetto a un pur minimo qualcosa che permanga. Mentre nulla permane...

L'essere e il divenire sono fondamentali per la nostra visione del mondo, sono le fondamenta su cui si svolge il gioco della nostra vita, ma di per se stessi non esistono!

Questo Parmenide e Eraclito lo avevano ben compreso.
Entrambi infatti dicevano la medesima cosa. Uno focalizzandola sull'essere, l'altro sul divenire.
Ma il messaggio è lo stesso.

Viviamo nel mondo deli opposti, il mondo stesso nasce dalla loro contrapposizione!

La stessa verità (minuscolo) vive solo in contrapposizione con la falsità.
Infatti il vero è tale solo perché nega il falso.
La negazione della falsità è condizione necessaria per la verità.

Il nostro mondo è fondato sugli opposti.
essere – divenire, finito- infinito, materia-vuoto, vero – falso...

Ma se ci rivolgiamo alla Verità (maiuscolo) allora non vi è più opposizione che tenga. Siamo alla coincidenza degli opposti!
E non essendoci più opposizione, non è possibile alcuna definizione.
La Verità, l'Assoluto, il Bene, l'Essere... sono sempre il medesimo Nulla.

Per averne una idea, comunque sempre insufficiente, direi che il Nulla è:

Negazione della negazione.

L'Assoluto è la negazione di ogni possibile negazione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve bobmax. Mi permetto una piccolo approfondimento analitico della tua seguente osservazione : "L'essere ha infatti senso solo in quanto diveniente. Un essere che non divenga in continuazione, anche nel periodo di tempo più breve, è un non senso.
E lo stesso dicasi del divenire. Che ha senso solo rispetto a un pur minimo qualcosa che permanga"
.

Gli oggetti enti) materiali hanno tutti tre dimensioni (LxPxH). I concetti (enti immateriali) hanno tutti una sola dimensione (P, cioè la Profondità con cui vengono pensati).


L'essere (il persistere materiale) ed il divenire (il mutare energetico) sono le due dimensioni di ciò che appunto è unicamente bidimensionale perchè rappresenta la rotazione vorticosa delle due separate ma insieme contigue ed indistinguibili FACCE della medesima cosa, cioè della relazione tra le cause e la loro trasformazioni in effetti. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

#49
Sì, Viator, vi sono solo eventi.

La freccia di Zenone raggiunge il bersaglio. Ma solo perché la freccia in sé non esiste.
Se esistesse davvero, come oggetto determinato, non potrebbe muoversi.

E così è la vita, un susseguirsi di storie di vita, senza che vi sia nessuno che viva...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Caro bobmax, mi piace innanzitutto manifestare la mia soddisfazione per il fatto che, dopo qualche leggero e veniale sbandamento, la discussione sia tornata su binari di pacatezza e perfino cordialità grazie a qualche sforzo di entrambi.


Secondo me razionalità é anche e forse soprattutto consapevolezza dei limiti, "senso del limite".
Dunque credo che non sia razionalistico, ma invece irrazionalistico, pretendere che tutto sia razionale, integralmente comprensibile (a noi umani) e men che meno praticamente dominabile (qui si cadrebbe addirittura nel delirio di onnipotenza; o nella delirante volontà di potenza).
Per me il razionalismo é molto umile, consapevole dei suoi propri limiti; a cominciare dal fatto di non essere un atteggiamento razionalmente dimostrabile essere "giusto" o "da assumersi", ma invece irrazionalisticamente assunto d parte di chi lo assuma.


Concordo che La determinazione di qualcosa non é (precisamente) negazione del nulla, ma negazione di ciò che quel qualcosa non è (io ho scritto "di qualcos' altro" che mi sembra lo stesso concetto espresso con altre parole); la negazione del nulla (di reale) é invece la determinazione definitoria di "tutto" (di reale).
La negazione della realtà non sempre necessariamente é rivolta a qualcosa di parziale, a una qualche parte (del reale e/o del pensato); può benissimo essere riferita anche alla totalità (del reale e/o del pensato), e in questo caso definisce, determina concettualmente il "nulla".


Secondo me il permanere (essere) e il divenire non sono verità assolute di fatto, ***se*** é vera la conoscenza scientifica della natura materiale (che per me non esaurisce la realtà in toto); infatti conditio sine qua non (indimostrabile logicamente, né empiricamente constatabile) ne é il divenire ordinato, ovvero il mutamento "eracliteo" nei particolari concreti e la fissità "parmenidea" delle astratte modalità universali e costanti.


Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.


Concordo che La stessa verità (minuscolo) vive solo in contrapposizione con la falsità. Infatti il vero è tale solo perché nega il falso. La negazione della falsità è condizione necessaria per la verità.
E' quanto lucidamente evidenziato da Spinoza: "omnis determinatio est negatio".
Ma nella mia pignoleria credo che si possa dire che Il nostro mondo è fondato sugli opposti (essere – divenire, finito- infinito, materia-vuoto, vero – falso...) solo nel senso de "il mondo in quanto da noi conosciuto", ovvero "ciò che possiamo conoscere del mondo", potendone sensatamente parlare, predicare l' esistenza reale o meno (credo che apprezzerai l' umiltà razionalistica, il senso del limite di questa pignola precisazione).


Nel discorso sulla Verità con l' iniziale maiuscola, da razionalista impenitente non posso seguirti.
Comunque il nulla (non realtà di alcunché) é un concetto sensato dal momento che non é assoluto ma relativo a, determinato dalla, negazione del concetto di tutto (realtà di ogni e qualsiasi cosa; di ogni e qualsiasi cosa pensabile e di ogni e qualsiasi cosa effettivamente reale).

bobmax

Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.

Sono viceversa dell'idea che il pensiero di Parmenide sia auto contraddittorio, così come contraddittoria è pure l'idea di un divenire assoluto.

Questo però non significa che Parmenide ed Eraclito avessero torto... anzi, tutt'altro.

Perché è proprio il Principio di non contraddizione ad essere messo in discussione!
Nello specifico la sua formulazione più semplice: il Principio d'identità.

Il principio d'identità è a fondamento del nostro pensare determinato.
Tuttavia, questo principio non soddisfa la realtà empirica.
Ed è proprio la sua incompatibilità con la realtà che viene denunciata da Parmenide e da Eraclito.

L'A = A è indispensabile per il pensare.
Difatti il pensiero necessita di negare continuamente che A possa essere diverso da A.
Se cedesse, se ammettesse la possibilità che A è pure non A, il caos si impadronirebbe della mente, e nessun pensiero intellegibile sarebbe più possibile.

Tuttavia la realtà non sottostà all'A = A.

Zenone, discepolo di Parmenide, con i suoi paradossi metteva in discussione proprio quel A = A.
Attenzione! Diceva, la freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia, che siamo abituati ad intendere come un oggetto in sé, determinato, non esiste.
Se davvero Freccia = Freccia, nessun movimento sarebbe possibile.

A non è mai uguale a A. 
E lì è la liberazione...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Citazione di: bobmax il 30 Aprile 2020, 19:34:17 PM
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.

Sono viceversa dell'idea che il pensiero di Parmenide sia auto contraddittorio, così come contraddittoria è pure l'idea di un divenire assoluto.

Questo però non significa che Parmenide ed Eraclito avessero torto... anzi, tutt'altro.

Perché è proprio il Principio di non contraddizione ad essere messo in discussione!
Nello specifico la sua formulazione più semplice: il Principio d'identità.

Il principio d'identità è a fondamento del nostro pensare determinato.
Tuttavia, questo principio non soddisfa la realtà empirica.
Ed è proprio la sua incompatibilità con la realtà che viene denunciata da Parmenide e da Eraclito.

L'A = A è indispensabile per il pensare.
Difatti il pensiero necessita di negare continuamente che A possa essere diverso da A.
Se cedesse, se ammettesse la possibilità che A è pure non A, il caos si impadronirebbe della mente, e nessun pensiero intellegibile sarebbe più possibile.

Tuttavia la realtà non sottostà all'A = A.

Zenone, discepolo di Parmenide, con i suoi paradossi metteva in discussione proprio quel A = A.
Attenzione! Diceva, la freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia, che siamo abituati ad intendere come un oggetto in sé, determinato, non esiste.
Se davvero Freccia = Freccia, nessun movimento sarebbe possibile.

A non è mai uguale a A. 
E lì è la liberazione...


Ma non si può stabilire attraverso constatazioni empiriche a posteriori la validità o meno di un principio logico a priori che nulla dice della realtà, ma solo del corretto modo di ragionare, pensare logicamente, parlare; attraverso constatazioni empiriche a posteriori si può invece stabilire la verità o meno di ma invece di giudizi sintetici circa come é o non é la realtà.

In particolare il principio di identità/non contraddizione, arbitrariamente stabilito a priori nelle definizioni di "negazione" e di "essere" e "non essere" non può essere falsificato da alcuna osservazione empirica circa la realtà, né può esserne verificato o altrimenti dimostrato semplicemente perché nulla dice (di verificabile o falsificabile empiricamente a posteriori) circa la realtà, ma invece stabilisce una regola a priori del discorso corretto (sensato).

In Parmenide (di cui non sono particolarmente esperta) non colgo alcuna contraddizione; semplicemente trovo l' ignoranza, e anzi la negazione errata, falsa del dato empirico del divenire nel tempo della realtà: l' essere non può non essere (e fin qui sono d' accordo); però si constata a posteriori che il mutamento c' é, che l' essere a un determinato tempo t0, oltre a non potere non essere al medesimo tempo t0, può benissimo non essere in qualsiasi altro tempo ...t-3, t-2, t-1, t+1, t+2, t+3...

I paradossi di Zenone secondo me sono invece veri e propri paralogismi, ragionamenti logicamente scorretti, contrariamente alle tesi del suo maestro che vorrebbero sostenere.
Il loro errore fondamentale a tutti comune é di dividere tratti di spazio e lassi di tempo finiti in un numero infinito di parti per affermare che a velocità finita non potrebbero essere percorsi un tempo finito; ma senza rendersi conto che tali parti di spazio (distanze) e di tempo di numero infinito (ricavate dividendo all' infinito, in infinite parti segmenti e lassi di tempo finito) sono anche infinitamente piccole (brevi), oltre che infinitamente numerose; di modo che inevitabilmente l' infinito loro numero (al numeratore) si elide con l' infinita brevità di ciascuno di loro (al denominatore), ridando distanze finite, percorse a velocità finite (da frecce, Achilli piè veloci, ecc.) in tempi finiti.

bobmax

Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...

Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".

Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.

Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno.
Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.

Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.

Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire.
Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo.

Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene.
Mentre Eraclito con il suo "Non  ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse.

Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!

Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide.
Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo.
Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene.
Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice.

Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo.
Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.

Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito.
Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto.
Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda.

Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro.
Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi.
E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava.

Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Caro bobmax, senza troppe pretese di convincerti dal momento che non si possono razionalmente confutare credenze irrazionali ma al massimo se ne può evidenziale l' assurdità, l' essere autocontradddittorie, insensate, soprattutto allo scopo di una reciproca migliore comprensione nei limiti del possibile, espongo pignolescamente i miei notevolissimi dissensi.

bobmax:
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".

Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.

giopap:
E nemmeno alcuna affermazione possibile.



bobmax:
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno. Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.

giopap:
Secondo me i poeti raramente sono logici eccellenti, nel fare poesia, potendone in molti casi farne a meno almeno in qualche misura; anche se in teoria nulla vieta che lo siano.



bobmax:
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.

giopap:
Questo più che Platone mi sembra Parmenide.
Il quale scrisse in versi la sua opera maggiore, purtroppo quasi interamente perduta, facendo un uso propriamente mnemonico della scrittura in versi stessa che é proprio del genere "didascalico" anticamente molto diffuso probabilmente anche per ovviare alla difficoltà di produrre molteplici stesure scritte di opere scientifiche o filosofiche in assenza della tecnica della stampa; un esempio sublime ne é il De rerum natura di Lucrezio, "del tutto casualmente" (non era per niente inevitabile che lo fosse) anche di elevatissimo, inestimabile valore estetico (poetico nel senso in cui si intende anche oggi la poesia), oltre che scientifico o meglio filosofico; esteticamente buone, anche se non a tale livello né a quello dell' Eneide, sono le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, nelle quali si insegnava l' agricoltura e la pastorizia (ma la stessa Eneide aveva un intento didascalico, di esposizione storica, per quanto encomiasticamente, propagandisticamente assai distorto, ideologicamente celebrativo, nel modo, assai poco critico e scientifico, nel quale la storiografia era allora concepita).



bobmax:
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire. Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo.  Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene. Mentre Eraclito con il suo "Non  ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse.  Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!

giopap:
Al contrario!
A me par proprio che entrambi affermassero che vi é qualcosa; più veracemente descrivendo il "qualcosa reale" nella sua complessità, nei suoi aspetti più generali astratti Eraclito, molto più falsamente Parmenide; come empiricamente constatabile a posteriori.



bobmax:
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide. Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo. Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene. Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...

giopap:
Queste mi paiono proprio tesi empiricamente falsificate al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il nichilismo non é affatto professato da una moltitudine di credenti nel divenire naturale (credenti correttamente, veracemente; al contrario di Parmenide e di Severino).

La falsità delle tesi dei due fissisti, antico e moderno, é empiricamente provata, anche se pretende di fondarsi su un paralogismo, su un logicamente scorrettissimo e falsissimo giudizio analitico a priori, banalissimo, direi anzi penoso (alla faccia della presunzione dei suddetti personaggi e del largo seguito di cui godono fra i "professori di filosofia"; che é concetto ben diverso da quello di "filosofi"); precisamente su una petizione di principio per la quale il demostrandum (l' incompatibilità del mutamento e dunque del tempo con la realtà, con ciò che é realmente, l' "essere") é implicitamente assunto come demostratum, ciò che si deve provare essere vero é scorrettamente usato come prova della verità di se stesso.



bobmax:
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice.  Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo. Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.

giopap:
Il divenire del reale non lo si crede per fede (credo che di fatto nessuno l' abbia mai fatto, anche se sarebbe teoricamente possibile; ma del tutto irrilevante).

Idem per quanto riguarda la molteplicità del reale.

Entrambi fatti reali li si constata empiricamente.

Nè l' uno né l' altra portano alcuna acqua al mulino del nichilismo, o linfa al nichilismo stesso.
Tant' é vero che vi sono tantissimi sostenitori della valenza etica dell' agire umano (e forse in qualche misura non solo) che, come la stragrande maggioranza delle persone di buonsenso, credono nel divenire e nella molteplicità del reale.

Almeno il buon vecchio Parmenide ci risparmiava quest' ulteriore assurdissima pretesa...



bobmax:
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito. Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto. Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda.  Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro. Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi. E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava.  Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...

giopap:
Penso di aver brillantemente confutato il pur non banale Zenone nell' intervento precedente.

Che una freccia che non si muove dall' arco sito in un luogo distante da quello del bersaglio (entrambi ovviamente finiti e distinti da tutto il resto) possa raggiungere il bersaglio medesimo mi sembra un paralogismo dei più sgangheratamente contraddittori ed assurdi (oltre che la negazione dei fatti empiricamente verificabilissimi sinteticamente a posteriori).

bobmax

@Giopap
Direi che ci siamo chiariti.
Non siamo d'accordo neppure in cosa consista il "dimostrare".

Ritengo che proseguire  sarebbe solo tempo perso.
Inoltre, il banalizzare antichi pensatori tuttora insuperati, così come il trascurare la profondità della poesia, è per me un ostacolo pressoché insormontabile per un'autentica comunicazione.

Per inciso, Il Parmenide è un'opera di Platone.

Buona continuazione.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

giopap

Citazione di: bobmax il 01 Maggio 2020, 20:01:14 PM
@Giopap
Direi che ci siamo chiariti.
Non siamo d'accordo neppure in cosa consista il "dimostrare".

Ritengo che proseguire  sarebbe solo tempo perso.
Inoltre, il banalizzare antichi pensatori tuttora insuperati, così come il trascurare la profondità della poesia, è per me un ostacolo pressoché insormontabile per un'autentica comunicazione.

Per inciso, Il Parmenide è un'opera di Platone.

Buona continuazione.


Anche se per parte mia distinguerei fra banalizzzazione e dissenso radicale espresso senza peli sulla lingua e delicatezza diplomatica, concordo col fatto che ci siamo già chiaramente illustrate le rispettive divergenti convinzioni ottenendo entrambi utili informazioni ed auspicabilmente interessanti spunti di riflessione.


Grazie per la disponibilità e le pazienza.

Aumkaara

Citazione
Dalla verifica, in questo caso sperimentale, di questa temperatura media omogenea, è stato possibile accertare come vera l'ipotesi del big bang.

Insomma, al di là di ogni altra considerazione, l'indagine sull'universo è davvero un campo pieno di sorprese meravigliose, rispetto alle quali, tra l'altro, non credo che il pensiero filosofico possa restare indifferente.

Riesumo questo argomento relativamente vecchio: non tanto per sottolineare la provvisorietà della "accertata verità dell'ipotesi del big bang", che già altri hanno ricordato: la provvisorietà e la parzialità delle conferme scientifiche sono il bello della scienza, anche se questo la limita. E oltre tale limite c'è appunto la filosofia, così come la scienza inizia là dove finisce l'opinione e la preferenza personale (che può essere più o meno condivisa ma non per questo confermata maggiormente rispetto alle questioni scientifiche), allo stesso modo la fosofia non può essere smentita dalle conferme della scienza. Non la filosofia vista come un mero commento di altro (come la filosofia della scienza ad esempio), ma la filosofia intesa come tensione rigorosa, ampia ed estrema verso il massimo sviluppo possibile, in ogni direzione (cioè con molteplici forme di concatenazione logica, anche opposte tra loro), partendo da presupposti che devono essere anch'essi sacrificabili in tali sviluppi logici. "Vince" la concatenazione più duratura, che comunque finirà nello stesso modo delle altre: si arresterà per assenza di spiegazioni definitive, o per ricorsioni che in fondo indicano una medesima assenza. Oltre la quale, dopo un momento quasi ineffabile non sempre avvertito, c'è solo la ridiscesa alle questioni sperimentali e alle opinioni, o anche più giù, alle emozioni e sensazioni e alle vicissitudini più corporali. Il tutto vissuto in modo diverso, dopo la salita e la ridiscesa. O meglio, vissuto per la prima volta per come si presenta, più che per come volevamo.
La scienza non può invece sacrificare i propri presupposti, per lo meno non quelli che la rendono quella che è (e che sono più filosofici che scientifici), e che sono stati posti a fondamento della scienza per scopi diversi dalla verità: la scienza la si vuole funzionale, non veritiera, anche se ideologicamente si può scambiare la funzionalità con la verità e con la realtà.


Per questo, a differenza di quanto detto alla fine del post di apertura citato, il pensiero filosofico può restare per lo più indifferente verso le conferme scientifiche, sempre provvisorie, come quelle sul big bang. Non certo perché non siano affascinanti e grandiose, ma perché si basano su presupposti già indagati e risolti dalla filosofia, se per "risolti" si intende l'averli portati alle estreme conseguenze, e averne constatato l'inconsistenza.
Ad esempio: la casualità con cui l'uniforme e ribollente vuoto ordinato si rompe in un certo momento, dando così sviluppo al relativo disequilibrio di forze chiamato universo.
Casualità... Ma in un crogiolo di forze opposte che si scontrano in molteplici modi, anche se la maggioranza di tali modi porta ad un equilibrio istantaneo che permette una uniformità generalizzata, ci sarà necessariamente un'infinità di eccezioni, tra cui quella che fa apparire il nostro universo. È una necessità, una conseguenza spontanea ed ovvia se le condizioni erano quelle descritte: un ribollire di scontri senza particolari limiti.

Il caso, nel senso che eccezioni all'uniformità ribollente potevano non esserci, non ha senso, non se tale condizione dinamica non ha particolari limitazioni o condizioni prestabilite. Se può avvenire un disequilibrio, e non tutte le condizioni equilibrate sono sufficienti ad impedirlo, esso accadrà. Tutt'al più può esserci casualità nel determinare quale specifico disequilibrio si svilupperà. Ma neanche, perché anch'esso sarà quello con le caratteristiche più appropriate a farsi spazio, almeno "momentaneamente", tra i suoi simili (un momento che può corrispondere alla durata di questo universo.

Questa non è la descrizione di un determinismo assoluto: il tutto infatti avviene in un sottofondo quantistico pieno di probabilità multiple comunque presenti, molte delle quali potranno svilupparsi prima o poi o in qualche altra maniera "parallela".

Ma, soprattutto, non si tratta di un determinismo assoluto perché non c'è una causa precedente all'apparire dell'universo. Neanche il ribollente sostrato uniforme è infatti la causa della rottura di equilibrio con cui appare l'universo, perché non c'è un tempo che possa determinare il passaggio dall'uniformità quantistica al disequilibrio inflazionistico. La schiuma del "vuoto" è infatti nella scala di Plank (seguo quel che ricordo dei testi di fisica non scolastica né universitaria), in cui anche lo spazio ed il tempo ribollono, ed in cui quindi non c'è linearità e continuità temporale. Da questo punto di vista, non c'è nessun passaggio temporale dalla schiuma quantistica all'universo inflazionato ordinario. È come cercare di determinare quando è sorta la casa dai mattoni. Non c'è stato un passaggio dai mattoni alla casa, i mattoni rimangono mattoni prima, durante e dopo l'evento chiamato casa, e la casa non ha un inizio identificabile, non c'è un momento durante la sua costruzione che può essere indicato dicendo "ecco, questa ora è una casa", al massimo può essere detto convenzionalmente quando la costruzione è considerabile come abitabile o quando si sono completati sufficientemente anche i dettagli desiderati, considerazioni non altrettanto ben applicabili all'universo, che non è visto dalla magiioanza della scienza come un luogo finalizzato ad una qualche finalità (come appunto l'abitabilità) e che si trova in continuo mutamento.

Parlando più in astratto ma ancor più in aderenza con la scienza a cui si adatta bene proprio il linguaggio matematico, è come voler cercare l'inizio della numerazione, o il passaggio da 0 a 1, cercando tra gli infinitesimi: quale è il numero infinitesimale da cui cominciano i numeri naturali? Non c'è: nonostante gli infinitesimali siano alla base dei numeri naturali, la caratteristica degli infinitesimali è proprio quella di essere indefinitamente decrescenti, sono riducibili a piacere, senza limite. Non importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno. Per passare da 0 a 1 devi aggiungere 1, l'intero. Per passare da nessun universo ad un universo, devi considerare l'universo intero, non una sua frazione infinitesimale (nonostante tu possa guardare l'universo-intero dal punto di vista della totalità degli infinitesimali, ma a questo punto sei nei transfiniti, non più negli infinitesimali, e neanche più negli interi naturali).
Non c'è il tempo zero, o il punto primo, da cui si è passati dalla quantistica alla fisica ordinaria. L'universo ha un inizio ma non è rintracciabile, perché ha un sostrato infinitesimale non commensurabile al suo apparire esteso: il suo inizio è il suo limite nel tempo, non un suo apparire nel tempo.

Aumkaara

CitazioneNon importa quanti infinitesimali aggiungi allo zero, non raggiungerai mai pienamente l'uno.
Mi auto-cito per fare una specificazione, quasi una, correzione: è ovvio che se aggiungo per due volte, ad esempio, 0,5, ho già ottenuto 1. Ma il punto è che affidarsi agli infinitesimali rende arbitrario a quale ordine di grandezza (anzi, di piccolezza) bisogna guardare per determinare da dove comincerebbe l'1, l'intero. È arbitrario perché non si potrà mai trovare il "numero più piccolo", negli infinitesimali. Questo in matematica.
Nella fisica si potrebbe pensare che le cose stanno diversamente. Ma, per poter dire che è così, bisognerebbe trovare il "mattone fondamentale", e, a meno che non abbia ragione la teoria delle stringhe, che pone come mattone dei filamenti di poco più grandi della misura di Plank (senza però saper dire, credo, quale sarebbe la causa dell'esistenza di tali oggetti), alla scala di Plank non c'è più la possibilità di trovare una unità fondamentale con una misura stabilita, a causa del ribollimento quantistico. Il risultato è quindi simile a quello della matematica: non c'è una unità fondamentale, una "unità più piccola di tutte", se si va nell'infinitesimo.

Donalduck

Citazione di: bobmax il 25 Aprile 2020, 03:42:20 AM
È emblematico come il pensiero lasciato a se stesso, cioè libero di pensare ciò che gli pare, possa contraddirsi senza alcuna remora.
La teoria del Big bang postula l'inizio del tempo e l'inizio dello spazio. Ma poiché la mente rifugge istintivamente il nulla, se non viene tenuta ferma, coerente con se stessa, finisce con l'immaginare cosa c'era prima... e l'ipotizzare un vuoto dove non c'è alcuno spazio...
Questo succede quando latita le fede nella Verità.
Non direi proprio, la fede in qualsiasi Verità, a parte che bisognerebbe capire di cosa si tratta, porta solo alla latitanza della ragione.
Sono d'accordo sull'insensatezza logica delle varie teorie del tutto, ma non le attribuisco a mancanza di fede, ma anzi proprio a una inopportuna fede nelle possibilità della scienza e della ragione in generale, in contraddizione con la ragione stessa.
Nonostante questa insensatezza di fondo, che porta a immancabili paradossi e contraddizioni, non sottovaluto il valore delle ricerche e delle speculazioni che solo come effetto collaterale, come abuso, portano ad indebite cosmologie che appartengono al campo della metafisica e non della scienza.