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Charles Darwin

Aperto da Jacopus, 13 Aprile 2020, 00:03:57 AM

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giopap

Citazione di: iano il 16 Aprile 2020, 02:57:29 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 13:35:16 PM
giopap:
Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.
iano:
Questo in fondo dimostra che caso e ordine sono fatti della stessa sostanza , senza neanche bisogno di specificare quale. impelagandosi nella metafisica.
giopap:
Non si ratta di impelgarsi nella metafisica ma di comprendere la realtà di cui si parla.






iano:
Infatti , a seconda del contesto , che come ammonisce Ipazia va' specificato a priori ,
sarà utile usare l'uno piuttosto che l'altro.


giopap:
mi piacerebbe sapere chi ne ha mai dubitato.






iano:
Certo , se preferiamo pregiudizialmente l'ordine a desiderabile fondamento , allora il caso apparirà un ripiego , un escamotage , che , strano , ma funziona.
Ma di questi escamotage è piena la storia della scienza , e certo non vengono mai presi a cuor leggero andando contro a pregiudizi diffusi.
Essi vengono attuati quando alla fine sembrano essere il tassello mancante a completare il puzzle , il quale si disperava di finire  , mancando quel pezzo nella scatola.
Il fatto  è che la conoscenza è un insieme di pregiudizi che varia nel tempo in forma e numero , e forse non sarebbe male impadronirsi meglio di questo meccanismo di mutazioni , piuttosto che subirlo.
Diciamo che siamo animali fra altri animali , i quali tutti , quando costretti all'angolo , guarda il caso , tirano fuori il meglio di se'.
L'evoluzione scientifica non sembra poi così diversa da quella biologica.
Perché , certo , a volte i filosofi sembrano sparare idee a caso.
Certo può sembrare strano che una attività configurabile come un piacere in se' possa poi fruttare tanto . Il collegamento c'è, ma non è diretto , talche' futile appare quel pensare.

giopap:
Dissento:

Caso e ordine non sono escamotages che si possano attribuire pregiudizialmente a proprio piacimento alla realtà (se se ne cerca una conoscenza vera).

giopap

Citazione di: anthonyi il 16 Aprile 2020, 04:17:50 AM


Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]

Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).


Ma una relazione scientifica, tipo la legge di relatività, esiste o meno. Io posso costruirne la formula in mente, e in fondo anche questa formula potrebbe essere definita un "espediente letterario" come era stato definito il caso, cioè uno strumento per raccontare qualcosa. Poi posso avere tutte le conferme empiriche che voglio della stessa legge, ma mai avrò la prova che quella legge "esiste" al di là della mia esperienza/percezione.[/size]Non a caso tu mi fai l'esempio di concetti fisici, il Re, Plutone, se però porti tutto nell'ambito degli "oggetti" propri del discorso scientifico ti sarà abbastanza difficile dimostrarmi che la legge di relatività è più reale del caso.
Certo che la legge di gravità (come tutte le conoscenze scientifiche) descrive le esperienze/percezioni di ciascuno (i "fenomeni", cioé ciò che appare).

E concordo pure (l' ho sempe immancabilmente affermato a chiare lettere) che le leggi scientifiche del divenire possono essere falsificate empiricamente ma mai dimostrate; la prossima volta la mela che si stacca dall' albero potrebbe volare verso il cielo o restare a mezz' aria, quante che siano le precedenti osservazioni che (finora) sempre immancabilmente é caduta a terra.

Forse c' é stato un fraintendimento.

Infatti che né caso nè ordine possano essere dimostrati della realtà é precisamente quanto sempre da me sostenuto.

iano

#32
Citazione di: giopap il 16 Aprile 2020, 08:30:47 AM


Caso e ordine non sono escamotages che si possano attribuire pregiudizialmente a proprio piacimento alla realtà (se se ne cerca una conoscenza vera)
Immagino che per conoscenza vera intendi verità.
Mi pare che la ricerca della verità sia un formidabile incentivo , ma allo stesso tempo un ostacolo a procedere
Nella migliore delle ipotesi , rallentando il percorso aumenta prudenza e accortezza nel procedere , cosicché quando abbandoniamo un pregiudizio saremo certi di non star buttando il bambino con l'acqua sporca.
Però più ci penso e più mi viene da associare ingenuità a verità .
Riconosco comunque che abbandonare la pretesa di ricerca della verità nel breve possa produrre più problemi dei vantaggi che a me pare di intravedere.
La cosiddetta ricerca della verità procede per abbattimento di vecchi pregiudizi , ma solo per sostituirli con nuovi , convinti comunque che ciò ci avvicini alla meta , se pure fosse irraggiungibile .
A me pare che l'idea di verità  nasca proprio dal considerare che ogni percorso debba avere una meta , che però a me non sembra una deduzione necessaria.
Rimango invece certo del percorso e su quello mi piacerebbe concentrarmi.
Però riconosco che confondere ogni fase del percorso con la realtà, ha i suoi vantaggi rinunciare ai quali è una scommessa che potrebbe essere persa.
Se va' bene non possiamo rinunciare alla ricerca della verità perché è un catalizzatore che però come tale non appare mai nel composto finale.
La mia impressione è che il credere di vivere nella realtà, così come ci appare , presenti un tale vantaggio pratico , che siamo disposti a far traslocare  questa credenza in ogn nuovo accomodamento della realtà al crescere della conoscenza , che però con più prudenza e umiltà chiamerei mutamento , e in questo mutamento mi è parso di poter agganciare ciò alla teoria dell'evoluzione , termine , l'evoluzione , che mi pare Darwin stesso non gradisse , se non ho capito male.

Evolvere a cosa e perché?
Vallo a sapere.
Mi pare una "inutile" complicazione , che non abbandoniamo per eccesso di prudenza , prudenza che comunque è sempre la benvenuta , anche quando in eccesso.
Caso , ordine , verità.
Va' tutto bene se serve , finché serve.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

Per me la verità di una conoscenza é la caratteristica propria di tale conoscenza di essere predicazione circa la realtà conforme alla realtà stessa; per esempio se affermo che "(nella realtà) esiste il pianeta Nettuno" e inoltre accade che (nella realtà) esiste il pianeta Nettuno, allora tale mio predicato é vero; invece se affermo che "non esiste il pianeta Nettuno" ed esiste il pianeta Nettuno tale altro mio giudizio non é vero ma falso.

La prudenza é spesso, se non addirittura sempre, consigliabile in generale, e nella ricerca della verità in particolare.
E l' ingenuità può giovare o nuocere in maggiore o minor misura a seconda dei casi (anche) nella ricerca della conoscenza vera.

Quasi tutte le virtù vanno coltivate moderatamente perché se portate all' eccesso tendono a diventare vizi (la prudenza a diventare codardia, l' ingenuità credulonità, superstizione).

Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).

Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.

Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).

Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.

baylham

Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 13:57:12 PM
Citazione di: baylham il 14 Aprile 2020, 12:20:01 PM
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 08:54:20 AM

Per me il grandissimo Stephen Jasy Goulg é il più coerente e creativo cultore e sviluppatore del darwinismo dopo l' iniziatore della teoria; lui stesso, pur giustamente criticando e in qualche caso superando Darwin, come é giusto fare se si coltiva una scienza, orgogliosamente rivendica il suo darwinismo autentico, coerente, conseguente, opponendolo agli pseudodarwinisti dei cosiddetti "darwinismo sociale", sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", che (dico io; Gould preferisce non esporsi su questo terreno dell' interpretazione storica, limitandosi alla critica scientifica) altro non sono che falsità ideologiche quante mai antiscientifiche al servizio dell' ingiusto privilegio e della reazione.


La teoria del "gene egoista" è attribuibile a Dawkins. Ritengo che Dawkins sia uno dei migliori divulgatori della sintesi neodarwiniana, la sua teoria una delle più intelligenti, la sua lettura del neodarwinismo imprescindibile. Falsità ideologiche, antiscientifiche, al servizio dell'ingiusto privilegio e della reazione: mi domando quanti di coloro che esprimono questi giudizi superficiali hanno letto il libro di Dawkins.
Comunque Dawkins è più fedele e coerente alla teoria di Darwin rispetto a Gould.





Prendo atto del radicale dissenso.


infatti per me Dawkins (che mi sono letta), con la tesi peregrina e falsificata empiricamente, ideologica reazionaria del preteso "egoismo dei geni" (per non parlare delle altre fantasticherie a briglia sciolta sui "memi") é un pessimo biologo, mentre SJG é stato il più grande, coerente, creativo biologo "darwinista".

Sicuramente è peregrino attribuire a Dawkins la tesi che il gene sia egoista, mentre si può sicuramente attribuirgli la tesi che ci sia correlazione tra i geni e il carattere egoista sulla base di un modello selettivo darwiniano.
Se Dawkins è un ideologo reazionario, allora Darwin lo è altrettanto. Basta leggere il capitolo III dell'Origine delle specie intitolato e dedicato alla lotta per l'esistenza, in cui la lotta non è soltanto interspecifica ma intraspecifica. Nello stesso capitolo Darwin assume il principio malthusiano dell'insufficienza della crescita delle risorse rispetto a quella della popolazione come una spiegazione della lotta per l'esistenza.
I modelli teorici applicati ed esposti da Dawkins nelle sue divulgazioni sono di chiara derivazione darwiniana.
La principale differenza tra Darwin e Dawkins dipende dalle scoperte della genetica, successive all'opera di Darwin: per Darwin il soggetto della selezione naturale era l'individuo, per Dawkins, come per il neodarwinismo in generale, è il gene.

Non considero Dawkins come un grande scienziato innovatore, ma sicuramente è un grande originale divulgatore.

iano

#35
Giopap
......se affermo che "(nella realtà) esiste il pianeta Nettuno" e inoltre accade che (nella realtà) esiste il pianeta Nettuno, allora tale mio predicato é vero; invece se affermo che "non esiste il pianeta Nettuno" ed esiste il pianeta Nettuno tale altro mio giudizio non é vero ma falso.
—————————-       
In questo discorso c'è qualcosa di circolare.
Mi riservo di criticarlo quando riuscirò a focalizzarlo meglio.
_______...__........................
Giopap

Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).
——————————————————
Pregiudizi e postgiudizi sono giudizi che mutano susseguendosi , sostituendosi o convivendo
Ho usato il termine pregiudizio in modo improprio.
Il giudizio che viene prima non è peggiore del successivo, è solo successivo.
Se così fosse proprio da questo pregiudizio ( giudizio ) si ricava l'idea di una progressione verso una meta.
———————-+++++
Giopap

Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
—————————
Non sarebbe più prudente dire più adatte , invece che più vere , per portare avanti il paragone con la teoria dell'evoluzione , per la quale ,nonostante il nome , non si evolve a nulla. Non c'è una meta.
——————————.   
Giopap

Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.

—————————————————-
I nostri limiti , se li conoscessimo , sarebbero il nostro punto di forza.
Conoscerli infatti ci impedirebbe di disperdere inutili energie .
È un confine più che un limite , almeno che non si consideri un limite il fatto che ci sia un confine fra noi e la realtà (fuori di noi).
La conoscenza ( termine che a pensarci , anche questo , ha il destino pregiudizialmente scritto nel nome) è il risultato dell'interazione fra questo due confinanti.
———————————-

Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).
—————————————
Ci appare  vero ciò che deriva da un processo che media , ma di cui non abbiamo coscienza. Da cui segue che Plutone non è una semplice idea.Adesso ho focalizzato.
Assumiamo per "vero"  , fino a prova contraria ,con ampio corredo di dubbi, ciò che deriva da un processo noto ( metodo scientifico) .
I risultati di questi processi sono funzionalmente uguali ,ma formalmente diversi , e presentano vantaggi entrambi. Ma la verità è un altra storia che fa' rima con ingenuità, la quale non è una virtù, ma è la misura della nostra coscienza del processo che media la conoscenza.
La scienza ci ha reso meno ingenui .
————————————

Giopap

Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.
———————————————
Diciamo che è prudente affermarlo.
Se ci fosse una meta  e noi la conoscessimo , questa conoscenza condizionerebbe il percorso.
Il futuro come causa del presente  , e infine causa di se stesso , per tacer del libero arbitrio :D

Considerazione finale.
La coltivazione del dubbio è sacrosanta , ma solo perché mitiga il "pregiudizio" della verità.
Se assumiamo una ipotesi a tempo determinato , non dobbiamo assumere altro.
Se assumiamo la verità a tempo indeterminato , allora dobbiamo assumere anche il dubbio.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#36
All'idea di verità non corrisponde un pianeta , per il motivo che un pianeta è un idea diversa , e non un esempio di verità.
Vero è solo che a noi sembra esserci una differenza , una diversa consistenza.
Ma è solo ignoranza , e non necessariamente una ignoranza che va' superata , perché non l'ingenuità' , ma l'ignoranza , se non sarà  una virtù , ha la sua funzione .
E diciamolo...l'ho detto.🙏
Infatti , se esistesse la verità i limiti per raggiungerla non sarebbero in noi , ma  nell'economia.
Noi non siamo limitati , perché non abbiamo alcun modello a cui corrispondere.
Noi non siamo limitati. Noi siamo quel che siamo. Al massimo avremo un confine , ma non è un limite , siamo noi.
Di contro non è peccato se riusciamo ad andare  , per dove dobbiamo andare , in economia di conoscenza. (Il valore filosofico di Totò andrebbe riesumato )😁
Tante parole per dire che:
La conoscenza è un mezzo e non un fine.
È la nostra strada maestra per andare per non si sa' dove dobbiamo andare.
È  la nostra passione di andare .
Siamo noi , nella misura in cui lo sappiamo.
E mi auguro , perché è un sospetto a cui non voglio credere , che gli orrori della nostra lunga storia , che sempre si ripetono , non siano successive buche in cui siamo caduti guardando avanti , alla verità.
Non ci voglio neanche pensare .


P.S.
Cara Giopap , mi auguro non ti sfugga, che questi miei post ( diciamo esercizio di quella critica che ti è conflittualmente cara ) ,  derivano in effetti dai tuoi.
Giudizi che vengono dopo i tuoi , ma non perciò migliori.
Raramente rispondo punto per punto , se non stimolato proficuamente .
È un complimento che so' non apprezzerai.
Per questo te lo faccio .😂
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

Baylham:
Sicuramente è peregrino attribuire a Dawkins la tesi che il gene sia egoista, mentre si può sicuramente attribuirgli la tesi che ci sia correlazione tra i geni e il carattere egoista sulla base di un modello selettivo darwiniano.
Se Dawkins è un ideologo reazionario, allora Darwin lo è altrettanto. Basta leggere il capitolo III dell'Origine delle specie intitolato e dedicato alla lotta per l'esistenza, in cui la lotta non è soltanto interspecifica ma intraspecifica. Nello stesso capitolo Darwin assume il principio malthusiano dell'insufficienza della crescita delle risorse rispetto a quella della popolazione come una spiegazione della lotta per l'esistenza
I modelli teorici applicati ed esposti da Dawkins nelle sue divulgazioni sono di chiara derivazione darwiniana.
La principale differenza tra Darwin e Dawkins dipende dalle scoperte della genetica, successive all'opera di Darwin: per Darwin il soggetto della selezione naturale era l'individuo, per Dawkins, come per il neodarwinismo in generale, è il gene.

Non considero Dawkins come un grande scienziato innovatore, ma sicuramente è un grande originale divulgatore.




Giopap

Che il gene sia "egoista", in senso ovviamente metaforico, lo pretende Dawkins.
La correlazione pretesa "darwiniana" fra geni e carattere egoista é un' altra sua tesi antiscientifica, ideologicamente reazionaria. La scienza biologica dimostra che il la selezione naturale (darwiniana correttamente intesa: altro che "neodarwinismo"!) non agisce affatto unicamente sui genotipi individuali, ma anche a livello di popolazioni, specie e probabilmente gruppi tassonomici ancor più ampi, oltre al fatto che i comportamenti altruistici non sono meno adattivi dei comportamenti egoistici, essendoli entrambi in varia misura in diverse circostanze.
E l' antropologia scientifica dimostra che il comportamento umano non é affatto determinato univocamente dal genoma (che prevale nei suoi tratti più generali, genericamente biologici e tendenzialmente uniformi), ma invece in esso (e soprattutto nei suoi tratti individuali, personali e sociali, più peculiarmente umani) fondamentale é l' esperienza epigenetica, soprattutto di natura sociale-culturale.

Darwin ha ovviamente avuto idee condizionate dal suo tempo e dal suo ambiente sociale-culturale in parte reazionarie, ma, malgrado questo, (oltre ad essere un uomo di straordinaria sensibilità e bontà d' animo; fra l' altro) ha compiuto una fondamentale, rivoluzionaria scoperta scientifica.
Invece Dawkins non ha scoperto nulla di rilevante e ha divulgato e divulga falsità ideologiche reazionarie in larga misura antiscientifiche.
Queste sono le loro profondissime differenze.

giopap



Giopap

Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).
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iano:
Pregiudizi e postgiudizi sono giudizi che mutano susseguendosi , sostituendosi o convivendo
Ho usato il termine pregiudizio in modo improprio.
Il giudizio che viene prima non è peggiore del successivo, è solo successivo.
Se così fosse proprio da questo pregiudizio ( giudizio ) si ricava l'idea di una progressione verso una meta.

giopap:
Generalmente di fatto (salvo eccezioni che confermano la regola) nel corso del tempo le verità scientifiche (sempre relative, limitate) tendono a crescere ed approfondirsi.


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Giopap

Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
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iano:
Non sarebbe più prudente dire più adatte , invece che più vere , per portare avanti il paragone con la teoria dell'evoluzione , per la quale ,nonostante il nome , non si evolve a nulla. Non c'è una meta.

giopap.
Non credo.

Non sono relativista né pragmatista e credo che per potere funzionare in pratica le conoscenze scientifiche devono avere un' oggettiva adeguatezza con la realtà (per quanto insuperabilmente relativa, parziale).

Trovo non troppo calzante il paragone con l' evoluzione biologica.




——————————.   

Giopap

Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.

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iano:
I nostri limiti , se li conoscessimo , sarebbero il nostro punto di forza.
Conoscerli infatti ci impedirebbe di disperdere inutili energie .
È un confine più che un limite , almeno che non si consideri un limite il fatto che ci sia un confine fra noi e la realtà (fuori di noi).
La conoscenza ( termine che a pensarci , anche questo , ha il destino pregiudizialmente scritto nel nome) è il risultato dell'interazione fra questo due confinanti.

giopap:
Perché il periodo ipotetico dell' irrealtà?
Se e quando li conosciamo lo sono.

Aborro le metafore più o meno oscure e letteralmente definisco che la conoscenza come " predicazione circa la realtà alla realtà conforme".
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Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).
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iano:
Ci appare  vero ciò che deriva da un processo che media , ma di cui non abbiamo coscienza. Da cui segue che Plutone non è una semplice idea.Adesso ho focalizzato.
Assumiamo per "vero"  , fino a prova contraria ,con ampio corredo di dubbi, ciò che deriva da un processo noto ( metodo scientifico) .
I risultati di questi processi sono funzionalmente uguali ,ma formalmente diversi , e presentano vantaggi entrambi. Ma la verità è un altra storia che fa' rima con ingenuità, la quale non è una virtù, ma è la misura della nostra coscienza del processo che media la conoscenza.
La scienza ci ha reso meno ingenui .


giopap:
Non capisco che c' entrino i media e la mancanza di coscienza.

Secondo me l' adesione acritica alla scienza é molto ingenua a tende a renderci ancor più ingenui.
A farci criticamente superare l' ingenuità e a renderci più conseguentemente razionalisti é la filosofia (le filosofie in varia misura  razionalistiche; essendocene pure di irrazionalistiche controproducenti all' uopo; fa le quali l' ingenuo scientismo positivistico).
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Giopap

Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.
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iano:

Diciamo che è prudente affermarlo.

Se ci fosse una meta  e noi la conoscessimo , questa conoscenza condizionerebbe il percorso.
Il futuro come causa del presente  , e infine causa di se stesso , per tacer del libero arbitrio :D

Considerazione finale.
La coltivazione del dubbio è sacrosanta , ma solo perché mitiga il "pregiudizio" della verità.
Se assumiamo una ipotesi a tempo determinato , non dobbiamo assumere altro.
Se assumiamo la verità a tempo indeterminato , allora dobbiamo assumere anche il dubbio.

giopap:
Per me la verità non é di regola pregiudizio (anche se in teoria, con un certo culo, anche, o meglio perfino, un pregiudizio potrebbe essere vero).

giopap

Iano:
All'idea di verità non corrisponde un pianeta , per il motivo che un pianeta è un idea diversa , e non un esempio di verità.

Giopap:
Infatti ho affermato che la verità non é una caratteristica della realtà (del pianeta esistente) ma invece della predicazione circa la realtà (dell' affermazione che il pianeta esiste; se il pianeta realmente esiste).




Iano:

Vero è solo che a noi sembra esserci una differenza , una diversa consistenza. Ma è solo ignoranza , e non necessariamente una ignoranza che va' superata , perché non l'ingenuità' , ma l'ignoranza , se non sarà  una virtù , ha la sua funzione . E diciamolo...l'ho detto.🙏 Infatti , se esistesse la verità i limiti per raggiungerla non sarebbero in noi , ma  nell'economia. Noi non siamo limitati , perché non abbiamo alcun modello a cui corrispondere. Noi non siamo limitati. Noi siamo quel che siamo. Al massimo avremo un confine , ma non è un limite , siamo noi. Di contro non è peccato se riusciamo ad andare  , per dove dobbiamo andare , in economia di conoscenza. (Il valore filosofico di Totò andrebbe riesumato

giopap:
Qui proprio non ci capisco nulla (salvo concordare che noi siamo limitati, ovviamente).





iano:

Tante parole per dire che:
La conoscenza è un mezzo e non un fine. È la nostra strada maestra per andare per non si sa' dove dobbiamo andare. È  la nostra passione di andare . Siamo noi , nella misura in cui lo sappiamo. E mi auguro , perché è un sospetto a cui non voglio credere , che gli orrori della nostra lunga storia , che sempre si ripetono , non siano successive buche in cui siamo caduti guardando avanti , alla verità. Non ci voglio neanche pensare .

Giopap:
Dissento completamente:
Per me, a mio giudizio insindacabile da parte di "chicche essia" (per citare a mia volta il grande Totò), la conoscenza (vera) della realtà é un fine fortissimamente desiderato.

Penso che gli orrori della storia siano da imputare piuttosto al falso e alla mancanza di conoscenza che alla conoscenza vera (anche se pure questa può avervi contribuito come mezzo per realizzarli).




Iano:
P.S. Cara Giopap , mi auguro non ti sfugga, che questi miei post ( diciamo esercizio di quella critica che ti è conflittualmente cara ) ,  derivano in effetti dai tuoi. Giudizi che vengono dopo i tuoi , ma non perciò migliori. Raramente rispondo punto per punto , se non stimolato proficuamente . È un complimento che so' non apprezzerai. Per questo te lo faccio


Giopap:
Invece lo apprezzo tantissimo, e te ne ringrazio e (e ricambio): dissenso su tutta la linea!
(Senza del quale non ci sarebbe di che discutere: ben venga!).

Ipazia

Mi pare, saccheggiando l'ultima lettura di Floridi, che il confronto tra giopap e iano sia viziato all'origine dalla differenza del livello di astrazione (LdA) a cui ciascuno porta il proprio ragionamento. Tale sfasatura si rivela particolarmente intorno al concetto di "verità", la quale non può essere la stessa cosa nel LdA dell'ontologia scientifica e dell'epistemologia psicologica. Lo iato è colmabile, ma richiede un passaggio ulteriore che costringe a prendere atto del dualismo, realmente entangled, avviluppato come un concertato rossiniano, tra una natura (oggettiva) che produce un soggetto capace di interrogarsi (soggettivamente) sulla natura, cercando di farlo nel modo più oggettivo (scienza) possibile coi mezzi (intersoggettivi) che gli sono, dalla natura medesima, dati.

Spezzando una lancia in favore dell'oggettivismo scientifico (verità scientifica) porrei almeno tre pilastri a sostegno di esso:

1) la percezione di una verità intersoggettivamente evidente: giorno-notte, luce-buio,...

2) lo sviluppo di una metodologia complessa atta a districarsi in mezzo alla fallacia dei sensi (moto apparente del sole,...), potenziandone le funzionalità attraverso protesi artificiali e potenziando le capacità di indagine attraverso il crescere delle conoscenze - "buscar el levante por el ponente"(cit) -, asseverate dai riscontri pratici non falsificati.

3) l'elaborazione di una metodologia logico-matematica adeguata alla sensorialità e psicologia umana per indagare in maniera riproducibile e "oggettiva" la realtà (naturale): dal cogito (cartesiano) alle assi cartesiane. Più tutto il resto.

Da tutto ciò la "verità" et(olog)ica,  ponendosi su un LdA diverso, resta esclusa e le sue connessioni col LdA dell'ontologia scientifica vanno oculatamente centellinate e definite.

Il "fallimento epistemico" del confronto si rivela anche nel concetto di "evoluzione", che nel caso di Darwin non va assolutamente confuso col concetto et(olog)ico di "progresso", ma è semplicemente un processo oggettivo inserito in un divenire naturale empiricamente ed ermeneuticamente indagabile. In tale senso si intende anche il concetto psicopedagogico di "età evolutiva" riferito ai cuccioli umani.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Esatto Ipazia. Esattissimo. La specie umana e il suo destino, per quanto questa affermazione possa sembrare nietzschiana, è scissa (parzialmente) dalla natura, a causa del retroterra tecnologico-culturale che ha sviluppato negli ultimi 10.000 anni. A causa del quale ciò che è naturale potrebbe e dovrebbe essere considerato inumano, altrimenti dovremmo sempre dare ragione ai partigiani dell'homo uomini lupus e della "selezione del più adatto". Ideologia, come noto, in realtà solo più adatta ad un certi tipo di distribuzione della ricchezza.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

giopap

Secondo me non é affatto vero che la selezione naturale imponga una guerra egoistica di tutti contro tutti e in particolare che abbia condotto al preteso, fantomatico, ideologico "homo homini lupus" di Hobbes e degli odierni corifei (anche sotto pretese mentite spoglie pseudoscientifiche) del capitalismo.
Questa non é scienza ma ideologia reazionaria.
La biologia scientifica evoluzionistica correttamente intesa rileva che l' altruismo non é meno adattivo dell' egoismo.
E l' antropologia scientifica rileva che il comportamento umano é solo in parte determinato dal genoma (soprattutto nella parte più "biologicamente elementare" a tutti comune), ma che invece in gran parte é culturalmente, psicologicamente e socialmente condizionato (soprattutto nei suoi aspetti più sofisticati e creativi, peculiarmente umani).


l' etica e l' etologia non vanno certo confuse né con l' epistemologia, né con l' ontologia.
L' ontologia filosofica generale e la particolare ontologia materiale scientifica ci dicono che cosa (realmente) é, non che cosa deve essere (che é compito dell' etica), né che cosa l' uomo nelle diverse situazioni in cui agisce di fatto fa (che é compito della scienza unama dell' antropologia).

Jacopus

#43
Per Giopap. Quello che intendevo dire è che la nostra condizione umana attuale è tale che possiamo tranquillamente pensare di svincolarci da ipotetiche condizioni "naturali", ammesso e non concesso (come dici tu, e sono d'accordo) che queste ipotetiche precondizioni naturali siano tendenzialmente egoistiche.
Molto più realisticamente ci muoviamo in uno spazio dove egoismo e solidarietà convivono nella specie homo sapiens sia filogeneticamente che ontogeneticamente (ne' angeli ne' demoni). Ma questo non impedisce alla specie homo di restare impalata in questo guado, senza spostarci da questa fisionomia angelodemoniaca. Proprio il corredo culturale dell'uomo ci impone, eticamente, di aumentare il livello di corresponsabilità nei confronti dei nostri simili e dell'ambiente, perché anche se fosse vero, biologicamente, che "homo homini lupus", quell'homo ha il dovere etico di superare quella condizione, in quanto homo dotato di humanitas,  che in latino, non a caso, ha anche il significato di cultura.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Citazione di: Jacopus il 18 Aprile 2020, 12:03:50 PM
La specie umana e il suo destino, per quanto questa affermazione possa sembrare nietzschiana, è scissa (parzialmente) dalla natura, a causa del retroterra tecnologico-culturale che ha sviluppato negli ultimi 10.000 anni. A causa del quale ciò che è naturale potrebbe e dovrebbe essere considerato inumano
Ghelen (qui un breve saggio in merito) sosteneva che l'uomo ha trovato il suo posto ovunque nel mondo grazie alla tecnica, che coincide con la possibilità di «esonerarsi»(cit.) dalla istintività animale e pre-culturale, grazie all'instaurarsi di una dimensione storica che è essenzialmente storia della tecnica, della plasticità della mente che conforma plasticamente la materia, dalla selce scheggiata all'atomica. Sopra il pianeta naturale l'uomo ha costruito il mondo artificiale («innaturale» dice Ghelen), in cui, aggiungerei, ora si è ormai soppalcato stabilmente anche un "terzo mondo", quello informatizzato, piuttosto "povero" di attività fisica (si va poco oltre il digitare e il cliccare) ma stracolmo di senso e di socialità (dalle videochiamate private alla contro-informazione di massa, dalla produzione di opere culturali-artistiche allo smart working, etc.).
G. Anders (qui un articolo sul suo pensiero) rilevò, in tempi non o poco sospetti, una certa «vergogna prometeica»(cit.) nella potenza della tecnica, uno scenario in cui il golem della tecnica sopravanza l'uomo, rendendolo «antiquato»(cit.), come nella ormai preventivata «singolarità tecnologica».

Come raccontato goliardicamente anche da un noto comico in questo video (circa la stessa sequenza, ma con i sottotitoli italiani è qui e poi continua qui) il corpo dell'uomo è sempre più estraniato dall'ambiente circostante; non ha più i piedi per terra (letteralmente: usiamo scarpe su superfici artificiali) e siamo gli unici animali che non vivono allo stato brado, stato in cui la maggior parte di noi urbanizzati durerebbe forse un paio di giorni, anche per limiti biologici (disadattamento come involuzione?) oltre che nozionistici (boy scout e "survivors" a parte).
Le uniche parti corporee perennemente scoperte (o coperte solo di rado, per il freddo, il sole o la moda), lasciate al naturale, erano sinora volto e mani, esteticamente baluardi dell'animale più linguistico e più "faber" che ci sia. L'incombente prospettiva di dover usare costantemente mascherine e guanti completa dunque il nostro "distanziamento" fisico rispetto all'ambiente naturale; estraneazione in veste di "autoconfezionamento" che dovrebbe garantire alla nostra specie una sopravvivenza "tecnodipendente" e la (sovra)proliferazione planetaria, ma che, parodiando Louis C.K., non potrebbe che suscitare negli dei, o in un osservatore esterno (alieno o alienato che sia), qualcosa fra lo scherno, la pietà e il disappunto.