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Charles Darwin

Aperto da Jacopus, 13 Aprile 2020, 00:03:57 AM

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giopap

#15
iano:
L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.
Non è facile trovare prove di qualcosa di cui si ha solo una vaga idea , appena quanto basta per farne i protagonisti di un racconto , con il fondato sospetto che essi nascono proprio  dall'esigenza del racconto.
Nella realtà non abbiamo esempi di distribuzioni casuali , ma solo distribuzioni in cui è più o meno facile trovare un ordine.
Trovato un ordine si mette una etichetta causale.

Citazione
giopap:
Concordo.

Anche per me il caso non é che la mancata conoscenza (soggettiva, epistemica) del reale (oggettivo, ontologico) ordine.


Ma si tratta di un ordine di fatto, non finalisticamente realizzato da alcun soggetto cosciente intenzionale (il quale anzi, per poter realizzare -per assurdo, ammesso e non concesso- qualsiasi scopo attraverso mezzi adeguati, necessiterebbe prioritariamente, di un ordine non finalistico, da conoscere per potervi applicare i mezzi adeguati ai fini.

anthonyi

#16
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 14:02:05 PM

L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.

Il caso è uno strumento epistemico che ordinariamente viene postulato ed è soggetto a trattamento metodologico/scientifico che può permettere la costruzione di prove euristiche della validità di questo postulato, esattamente come si fa per qualsiasi tesi scientifica.
Sarebbe possibile sottoporre allo stesso trattamento l'intervento divino ?

giopap

Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 08:01:23 AM
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 14:02:05 PM

L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.

Il caso è uno strumento epistemico che ordinariamente viene postulato ed è soggetto a trattamento metodologico/scientifico che può permettere la costruzione di prove euristiche della validità di questo postulato, esattamente come si fa per qualsiasi tesi scientifica.
Sarebbe possibile sottoporre allo stesso trattamento l'intervento divino ?


Per errore la frase criticata é stata attribuita a me, mentre é di iano.


Peraltro non mi pare proprio che la critica stessa confuti quanto affermato da iano: né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali (e per me é bene averne consapevolezza per evitare di sopravvalutare "scientisticamente" o "positivisticamente la scienza; che é importante, relativamente come tutto ciò che é umano, di per sé, senza alcun bisogno di sopravvalutazioni o divinizzazioni irrazionalistiche).


Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).


Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).

baylham

#18
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM

Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).

Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).

Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.

Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.

La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.


Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.

iano

#19
Citazione di: baylham il 15 Aprile 2020, 09:52:49 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM

Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).

Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).

Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.

Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.

La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.


Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.
Mi trovo d'accordo con Giopap.
Ribaltare i concetti , per vedere l'effetto che fa' , è il mio metodo filosofico preferito , ma il ribaltamento che fai della definizione di Viator non mi fa' effetto , e rimane per me una buona definizione .
La mia riflessione getta un ombra sul caso .
Io ne parlo , credendo di sapere di cosa parlo , ma a pensarci meglio mi pare di non saperlo.
L'ombra si proietta allora , per me , anche sul determinismo, che , con ancor più certezza credevo di conoscere.
Non sarebbe bello però se tutta questa riflessione si riducesse a un gioco al massacro.
È un invito a prendere coscienza delle parole della scienza , non per screditarla , ma per farla più intimamente propria.
È anche un modo per rivalutare il metodo umano , prima ancora che scientifico , riconoscendo una continuità in esso, laddove invece esigenze narrative , pure comprensibili , tendono a spezzare la storia in modo netto (After science , before science , per citare Brian Eno).
Il rischio è quello di esorcizzare i propri pregiudizi , col risultato di trovarseli inconsapevolmente sotto altra forma .
Prendere coscienza del metodo umano ,compreso quello scientifico ,per potenziarlo , maneggiandolo con più confidenza , considerandolo per quel che è, e non per quello che desidereremmo fosse .
Mi viene difficile anche dividere gli uomini in filosofi e scienziati.
Per me rimangono uomini , divisi solo da esigenze narrative.
La scienza è relativamente giovane , e come tutti i giovani si è affermata rinnegando i padri.
Ma ora dovrebbe essere abbastanza matura per dire che forse avevano ragione i padri , e che se lei è diventata quel che è deve riconoscenza a qualcuno.
Il caso si è sostituito agli dei.
Cosa dobbiamo concludere ?
Che funzionavano gli dei , ma ancor meglio funziona il caso.
Quale potrebbe essere il prossimo passo?
Si intravede qualcosa all'orizzonte?
Ma questa è un altra storia.
O forse è sempre la stessa storia , ancora da riscrivere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

giopap

Citazione di: baylham il 15 Aprile 2020, 09:52:49 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM

Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).

Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).

Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.

Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.

La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.


Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.


Per me non si può sapere se si dia (realmente) caso o ordine.

Ma per credere alla (possibilità; e verità della) conoscenza scientifica una precondizione necessaria é che si dia ordine; dunque, poiché credo nella possibilità e verità (ovviamente limitata, relativa, parziale) della conoscenza scientifica, credo nell' ordine del divenire naturale (e sono consapevole dell' indimostrabilità, dell' infondatezza razionale di questa credenza; contrariamente a per lo meno moltissimi scienziati e non pochi filosofi scientisti i quali, purtroppo per loro, la ignorano).
Se si ammette come reale (in sede ontologica, oggettiva) l' ordine, allora il caso può essere (realmente) solo teorico (reale unicamente in sede gnoseologica o epistemologica, soggettiva).


La scienza (moderna) presuppone l' ordine del divenire naturale come una sua imprescindibile conditio sine qua non (ne siano o meno consapevoli i ricercatori scientifici); per lo meno un ordine probabilistico - statistico (questa non é scienza bensì filosofia, precisamente epistemologia, ed é per questo che gli scienziati possono ignorarla e spesso la ignorano).
Quindi dove la scienza trova il caso semplicemente trova i limiti (eventualmente superabili in futuro) della sua conoscenza, i limiti suoi propri. E ovviamente deve avere l' onestà intellettuale di ammetterli.


Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.

anthonyi

Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.

Ipazia

Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,... diventano flatus vocis veterometafisici.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

giopap

Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 19:21:48 PM
Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.


Non vedo alcun problema di intesa del termine "reale" in (preteso) senso "ontologico" o in (preteso) senso "scientifico": reale in senso ontologico é né più né meno che sinonimo di "reale non solo in quanto oggetto di pensiero ma anche indipendentemente dall' eventuale essere pensato o meno"; per esempio l' attuale re di Francia é reale solo in quanto oggetto di pensiero (se qualcuno pensa questo concetto), mentre la attuale regina d Gran Bretagna é reale in senso ontologico: che la si pensi o meno, é una donna anziana in carne ed ossa.


Dunque la scienza, conoscendo cose osservabili, conosce, senza alcuna particolare difficoltà diversa dalla (e ulteriore rispetto alla) ovvia necessità di verificare empiricamente le sue teorie, cose reali in senso ontologico (come la é la regina di Gran Bretagna; per esempio un nuovo pianeta quale fu Plutone al momento della sua scoperta; allora fu nuovo, tuttora é ontologicamente reale); mentre per esempio la storia della letteratura conosce anche cose reali non in senso ontologico (come é ad esempio don Chisciotte della Mancia).


E perché possa darsi conoscenza scientifica, allora il caso (per lo meno in senso forte) non può darsi in senso ontologico, cioé come qualcosa di reale nel senso in cui la é la regina Elisabetta (ma casomai solo in senso gnoseologico, quello nel quale é reale don Chisciotte, cioé come "cosa pensata"; per difetto di conoscenza del reale) per il semplice fatto che per definizione é incompatibile (in reciproca contraddizione logica) con la possibilità di conoscenza scientifica






Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]

Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).

viator

Salve Ipazia. Suvvia, lasciami un poco divertire ! :----------------------------------------


       
  • caso : già definito da me all'interno del presente "topic";

       
  • causa : dato un qualsiasi ambito, lo stato dell'ambito precedente al verificarsi - all'interno dell'ambito stesso - di un effetto; per l'insieme di tutti gli ambiti possibili (=mondo)......lo stato del mondo precedente una sua qualsiasi trasformazione;

       
  • fine (il) : la sempre provvisoria conclusione di un ciclo umanamente intenzionale;

       
  • necessità : inesorabile conseguenza presente o futura di ciò che ha agito in passato;

       
  • ordine : insieme delle relazioni tra enti la cui struttura (-del concatenamento) risulti umanamente riconoscibile;

       
  • realtà : l'intero insieme delle percezioni sensoriali.
-------------------------------------------------------------------------------------


In tutta franchezza trovo poco di metafisico in quanto sopra. Ma certamente sbaglierò molto perchè mi piace divertirmi tanto. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Ipazia

La questione non è così semplice. Non esiste nessuna definizione buona per tutte le stagioni, per tutti i livelli di astrazione. E' questa l'utopia veterometafisica. La realtà di topolino non è quella di un laboratorio di ricerca. Il fine dell'ispettor Poirot non è quello di Agatha Christie e non è quello di chi fa ricerca in un laboratorio. La causa di una valanga non è quella di un assassinio. La verità di un'equazione matematica non è quella del tribunale...

Questi venerabili concetti metafisici vanno riferiti al "sistema" in cui hanno senso. E quel sistema deve essere esplicitato prima di usarli. Non sono definibili urbi et orbi. I discorsi che hanno questa pretesa sono insensati, unsinnig.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#26
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 13:35:16 PM
Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.
Questo in fondo dimostra che caso e ordine sono fatti della stessa sostanza , senza neanche bisogno di specificare quale. impelagandosi nella metafisica.
Infatti , a seconda del contesto , che come ammonisce Ipazia va' specificato a priori ,
sarà utile usare l'uno piuttosto che l'altro.
Certo , se preferiamo pregiudizialmente l'ordine a desiderabile fondamento , allora il caso apparirà un ripiego , un escamotage , che , strano , ma funziona.
Ma di questi escamotage è piena la storia della scienza , e certo non vengono mai presi a cuor leggero andando contro a pregiudizi diffusi.
Essi vengono attuati quando alla fine sembrano essere il tassello mancante a completare il puzzle , il quale si disperava di finire  , mancando quel pezzo nella scatola.
Il fatto  è che la conoscenza è un insieme di pregiudizi che varia nel tempo in forma e numero , e forse non sarebbe male impadronirsi meglio di questo meccanismo di mutazioni , piuttosto che subirlo.
Diciamo che siamo animali fra altri animali , i quali tutti , quando costretti all'angolo , guarda il caso , tirano fuori il meglio di se'.
L'evoluzione scientifica non sembra poi così diversa da quella biologica.
Perché , certo , a volte i filosofi sembrano sparare idee a caso.
Certo può sembrare strano che una attività configurabile come un piacere in se' possa poi fruttare tanto . Il collegamento c'è, ma non è diretto , talche' futile appare quel pensare.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Le idee e i pregiudizi del passato possono sembrare oggi ridicoli come gli abiti della nonna , rispetto ai nostri, ma quelli e questi ci vestono , conformandosi a noi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

anthonyi

Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 21:52:38 PM
Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 19:21:48 PM
Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.


Non vedo alcun problema di intesa del termine "reale" in (preteso) senso "ontologico" o in (preteso) senso "scientifico": reale in senso ontologico é né più né meno che sinonimo di "reale non solo in quanto oggetto di pensiero ma anche indipendentemente dall' eventuale essere pensato o meno"; per esempio l' attuale re di Francia é reale solo in quanto oggetto di pensiero (se qualcuno pensa questo concetto), mentre la attuale regina d Gran Bretagna é reale in senso ontologico: che la si pensi o meno, é una donna anziana in carne ed ossa.


Dunque la scienza, conoscendo cose osservabili, conosce, senza alcuna particolare difficoltà diversa dalla (e ulteriore rispetto alla) ovvia necessità di verificare empiricamente le sue teorie, cose reali in senso ontologico (come la é la regina di Gran Bretagna; per esempio un nuovo pianeta quale fu Plutone al momento della sua scoperta; allora fu nuovo, tuttora é ontologicamente reale); mentre per esempio la storia della letteratura conosce anche cose reali non in senso ontologico (come é ad esempio don Chisciotte della Mancia).


E perché possa darsi conoscenza scientifica, allora il caso (per lo meno in senso forte) non può darsi in senso ontologico, cioé come qualcosa di reale nel senso in cui la é la regina Elisabetta (ma casomai solo in senso gnoseologico, quello nel quale é reale don Chisciotte, cioé come "cosa pensata"; per difetto di conoscenza del reale) per il semplice fatto che per definizione é incompatibile (in reciproca contraddizione logica) con la possibilità di conoscenza scientifica






Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]

Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).

Ma una relazione scientifica, tipo la legge di relatività, esiste o meno. Io posso costruirne la formula in mente, e in fondo anche questa formula potrebbe essere definita un "espediente letterario" come era stato definito il caso, cioè uno strumento per raccontare qualcosa. Poi posso avere tutte le conferme empiriche che voglio della stessa legge, ma mai avrò la prova che quella legge "esiste" al di là della mia esperienza/percezione.
Non a caso tu mi fai l'esempio di concetti fisici, il Re, Plutone, se però porti tutto nell'ambito degli "oggetti" propri del discorso scientifico ti sarà abbastanza difficile dimostrarmi che la legge di relatività è più reale del caso.

giopap

Citazione di: Ipazia il 16 Aprile 2020, 00:14:33 AM
La questione non è così semplice. Non esiste nessuna definizione buona per tutte le stagioni, per tutti i livelli di astrazione. E' questa l'utopia veterometafisica. La realtà di topolino non è quella di un laboratorio di ricerca. Il fine dell'ispettor Poirot non è quello di Agatha Christie e non è quello di chi fa ricerca in un laboratorio. La causa di una valanga non è quella di un assassinio. La verità di un'equazione matematica non è quella del tribunale...

Questi venerabili concetti metafisici vanno riferiti al "sistema" in cui hanno senso. E quel sistema deve essere esplicitato prima di usarli. Non sono definibili urbi et orbi. I discorsi che hanno questa pretesa sono insensati, unsinnig.


Non vedo alcuna difficoltà se non puramente fittizia, sofistica nella comprensione, che é alla portata di qualsiasi casalinga di Voghera, delle differenze ontologiche (le diverse realtà i diversi modi o sensi in cui sono reali) di Topolino (realtà fittizia, in quanto ente meramente pensato, immaginario, letterario) e un laboratorio di ricerca (non un concetto pensato, ma un edificio di pietre e cemento contenete attrezzature e persone in carne e ossa, esistente anche se non pensato e diverso dal pensiero e dalla conoscenza che se ne può avere); né circa le diverse realtà  dei fini dell' ispettor Poirot e di Agatha Christie (pensieri reali unicamente in quanto pensati e attribuiti a entità fittizie, letterarie, cose che se non fossero pensate non esisterebbero in alcun modo) e quelli di chi fa ricerca in un laboratorio (pensieri realmente accadenti di persone realmente esistenti anche se e quando nessuno le pensa o ne parla).

Sta a vedere che adesso sono proprio i veteropositivisti e i veteroscientisti che, dopo averlo spesso a torto rinfacciat
o a filosofi e metafisici, si mettono a inventarsi problemi fittizi e a fare vaniloqui senza contenuto reale!

Quello fra
causa di una valanga e causa di un assassinio, poi é un semplice banalissimo (ancor più banale) caso di polisemia.

Sempre banalissimamente la
verità di un'equazione matematica é la correttezza logica di un giudizio analitico a priori mentre quella del tribunale é la adeguatezza di un giudizio sintetico a posteriori alla realtà di cui esso predica.

Tutti i concetti, quelli (più o meno venerabili) fisici non meno di quelli metafisici hanno banalissimamente, del tutto ovviamente significati relativi ai contesti.

E pretendere di ricavarne una liquidazione della metafisica (che -ovviamente se praticata correttamente- non confonde i significati diversi che possono avere i concetti che impiega: anzi, tutto il contrario, vi fa chiarezza!) é precisamente un discorso insensato, unsinnig.

(Noto en passant che decrepitopositiviti e decrepitoscientisti adesso cadono pure nel vezzo, da loro spesso e volentieri indebitamente rimproverato a filosofi e metafisici, di cercare di dare una pretesa autorità ai concetti da loro usati mediante lingue straniere, il tedesco piuttosto che il latino).