La scuola del sospetto accomuna tre noti pensatori, Marx, Nietzsche e Freud. Costoro, in un modo o in un altro, hanno messo in dubbio l'intero apparato ideologico di quella classe borghese che stava modellando la sua visione del mondo, dopo averlo conquistato. La classe borghese non ha più autorità nè dall'alto verso il basso (Marx), nè dal basso verso l'alto (Nietzsche) ed addirittura con Freud, viene messa in discussione la stessa soggettività razionale della borghesia, "l'IO non è padrone in casa propria".
Ma c'è un pensatore ancora più radicale di questa nota triade, perchè in fondo Nietzsche, Marx e Freud, seppure demistificando, accettano il ruolo "dominante" dell'uomo, lo considerano inevitabile, potrà trattarsi dell'uomo comunista, o del Superuomo o dell'uomo reso consapevole dalla psicoanalisi, ma pur sempre l'Uomo (e probabilmente bisognerebbe aggiungere l'Uomo Occidentale) è al centro della scena.
Charles Darwin invece presuppone altro. Al punto da non gradire neppure il nome di teoria evolutiva della specie, per la teoria che prende il suo nome. Avrebbe preferito trasmutativa o differenziale, ma Lamark, grande pubblicista della teoria, impose una diversa visuale ed oggi conosciamo questa teoria come teoria evoluzionistica della specie. Darwin si opponeva al termine "evolutivo" perchè questo termine suggeriva una sorta di processo progressivo dal più semplice al più complesso e quindi verso una perfettibilità in movimento continuo.
La teoria evoluzionistica, se interpretata in un certo modo, infatti, è la riproposizione del modello teologico/teleologico del grande architetto, o dell'orologiaio celeste:
"Dalla perfezione suprema di Dio deriva che creando l'universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà possibile è congiunta con il massimo ordine possibile, e ciò perchè nell'intelletto divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili pretendono all'esistenza, il risultato di questa pretesa dev'essere il mondo attuale, il più perfetto possibile". (Leibniz).
Sostituendo a Dio, la legge evoluzionistica come progresso dal semplice al complesso, giungiamo ad una teoria laicizzata di Dio, dove l'esito inevitabile è l'uomo come apice della piramide della vita, e quindi come finale "determinato" e "progettato" da un ingegnere ultraumano, che sfuma nelle versioni non teologiche "hard", in visioni panteistiche della natura.
Ipotizzare però una progettualità della natura, che sfocia nel suo paladino perfetto, l'uomo, è quantomeno temerario. Ciò perchè la storia geologica e biologica della terra è quanto di più imprevedibile e causale sia mai avvenuto. Fra glaciazioni, tre estinzioni di massa, la persistenza di forme di vita batterica per oltre due miliardi di anni, l'estinzione di almeno il 90 per cento delle forme di vita che hanno vissuto sulla terra, tutto sembra tranne che vi sia un disegno progettuale coerente. Senza contare che fino a 30 mila anni fa, quindi quasi alla vigilia della storia, esistevano sulla terra almeno quattro specie "homo", neanderthal, Denisova e Floriensis, oltre a Sapiens. e tutte e quattro avevano una cultura tecnologica per cacciare e pescare e per produrre abiti e fuoco ed inoltre una primordiale cultura simbolica e culto dei morti.
Insomma, portato alle estreme conseguenze, ed ammettendo che la paleontologia non diffonde fake-news, constatiamo che l'uomo è emerso da una serie di casuali avvenimenti bio-geologici. Insomma oggi ci siamo, abbiamo dimostrato di essere piuttosto in gamba, ma in realtà in molti passaggi, a partire dalla prima specie vertebrata, la pikaia, siamo stati semplicemente fortunati, ed oggi al nostro posto avrebbe potuto tranquillamente esserci una civiltà di api giganti.
Tutto ciò però, oltre ad avere implicazioni scientifiche ne ha anche di filosofiche. Perchè se tutto questo è vero, il senso della vita a cosa si riduce? Non esiste nè un fine ultraterreno, secondo quanto professato dalle religioni, nè un fine laico di "affermazione dell'uomo" come specie suprema della terra, giunta al termine di un processo ordinato e meccanico, "evoluzionistico", appunto.
A me personalmente, la teoria darwiniana sembra in primo luogo molto verosimile: le prove che il modello di Darwin sia effettivo, provengono ormai da molteplici settori, dalla genetica, alla paleontologia, dall'etologia alla biologia. In secondo luogo, se questo è lo stato delle cose, allora dobbiamo interrogarci diversamente sul nostro ruolo sulla terra.
Paradossalmente, proprio il nostro "essere gettati" nel mondo, dovrebbe farci sentire maggiormente responsabili verso il mondo e il suo equilibrio, perchè non c'è alcun determinismo e nessuna apocalisse ci sarà a dividere i buoni dai cattivi. Ci siamo qui noi, ora, con il nostro corredo genetico e culturale, necessitati a fare delle scelte che ci riguardano e che riguardano i nostri successori, coloro a cui daremo in eredità questa terra, siano essi facenti parte del genere umano o di altre specie non ancora sviluppate.
Qualcuno potrebbe interpretarla quasi una hybris scientista, ma in realtà non è così. E' anzi una visione molto umile dell'uomo, che non ha nessun compito delegato da una autorità superiore per quanto astratta come potrebbe essere quella panteista, ma che deve prendere in mano il suo proprio destino. In questo avverto un grande senso di libertà, limitato dalla morte, dai nostri vincoli biologici e temporali ma che deve rispondere in modo responsabile a sè stesso, in quanto "specie animale".
Ed in questo nello stesso tempo scorgo, in modo diverso, la riproposizione del messaggio kantiano, quando definisce l'illuminismo.
"Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità, dovuto a sè stesso". Tra il modello dell'uomo come tutto di Omero e dell'Occidente e dell'uomo come nulla, di Siddharta e dell'Oriente, si affaccia questo nuovo modello dove all'uomo si dà un peso, che non è tutto e non è niente: il peso della responsabilità in un universo che potrebbe tranquillamente fare a meno di lui.
Citazione di: Jacopus il 13 Aprile 2020, 00:03:57 AM
Qualcuno potrebbe interpretarla quasi una hybris scientista, ma in realtà non è così. E' anzi una visione molto umile dell'uomo, che non ha nessun compito delegato da una autorità superiore per quanto astratta come potrebbe essere quella panteista, ma che deve prendere in mano il suo proprio destino. In questo avverto un grande senso di libertà, limitato dalla morte, dai nostri vincoli biologici e temporali ma che deve rispondere in modo responsabile a sè stesso, in quanto "specie animale".
Ed in questo nello stesso tempo scorgo, in modo diverso, la riproposizione del messaggio kantiano, quando definisce l'illuminismo.
"Illuminismo è l'uscita dell'uomo dallo stato di minorità, dovuto a sè stesso". Tra il modello dell'uomo come tutto di Omero e dell'Occidente e dell'uomo come nulla, di Siddharta e dell'Oriente, si affaccia questo nuovo modello dove all'uomo si dà un peso, che non è tutto e non è niente: il peso della responsabilità in un universo che potrebbe tranquillamente fare a meno di lui.
Ho una diversa concezione derivante dal modello darwinista: non penso che l'uomo possa prendere in mano il proprio destino, che l'uomo sia uscito da uno stato di minorità, che esso sia dovuto a sé stesso. Come ha acutamente osservato Jay Gould, Darwin è stato influenzato da Adam Smith, dalla teoria della concorrenza e della mano invisibile del mercato. Nella relazione tra uomo e natura, nessuno dei due è in grado di determinare la relazione.
C'è un refuso, è Alfred Foster Wallace, non Lamarck, il pubblicista dell'evoluzionismo.
Per Baylham. Hai ragione sulla sostituzione di Lamark e Wallace, mentre non trovo alcuna opposizione Gould-Darwin. La vera opposizione è tra Gould e il darwinismo applicato all'economia e alla sociologia, come "struggle for life" e quindi come giustificazione al "il più forte è il più adatto". Per Darwin il più forte non è il più adatto. L'adattamento deve fare i conti con molte variabili, genetiche, ambientali, casuali. La posizione di Darwin era ben poco influenzata dal pensiero economico di Smith. Fu uno scienziato coerente con la necessità di dimostrare le sue tesi empiricamente. Come già scritto non voleva neppure che la sua teoria fosse chiamata evoluzionismo, proprio per non dare l'idea di un "progresso" predeterminato ed era talmente consapevole di quanto poco ci distanziamo dalle altre forme di vita da considerare possibile anche in altri esseri viventi il senso della moralità e dell'equità, come è stato dimostrato un secolo dopo a partire da altre specie di primati.
Lamark era di un'altra parrocchia, decisamente progressista e teleologica. Darwin invece rimette la causalità alla casualità genetica e tale posizione è oggi molto più gettonata in ambito specialistico, anche se vi sono studi tendenti a verificare elementi finalistici nei processi evolutivi. Nel darwinismo de noantri si tende a spiaccicare Darwin su Lamark rimettendo alla grande in gioco il finalismo evolutivo.
L'impatto di Darwin è enorme nel pensiero occidentale e scientifico tout-court perchè offrì un potente arsenale di osservazione empirica risolutivo delle ultime vestigia di un disegno trascendente. Marx gli dedicò "il Capitale" e l'evoluzionismo superomistico nicciano ne trasse spunto, forse non dei migliori. L'erudito Freud senz'altro lo conosceva e la terapia psicoanalitica non è del tutto estraneo alla riconduzione dell'ego al "principio di realtà" (naturale) che Darwin pone sullo sfondo dell'andamento evolutivo. Elevandosi su di esso, ma in maniera razionale: wo Es war, soll Ich werden, dov'era Es deve divenire Io. Il che ha un indubbio carattere evolutivo in ambito psicologico della personalità, non necessariamente coincidente col "progresso", ma con l'ambientazione, che può essere anche nefasta come il totalitarismo insegna.
Non è il naturalista Darwin ad essere influenzato dalla scienza economica del suo tempo, ma piuttosto è egli ad avere offerto spunti alle ideologizzazioni socioeconomico "darwinistiche" che spopolano nelle più disparate e grossolane visioni del mondo e dottrine politiche contemporanee diversamente "naturalistiche".
In realtà Darwin non era ateo, né credente, ma piuttosto un agnostico. Probabilmente, come parecchi uomini di scienza, non era particolarmente interessato al dilemma. Non più di come un pittore impressionista fosse interessato alle leggi della rifrazione ottica. "Il mio giudizio è spesso fluttuante" scrive in una famosa lettera; in altre si definisce come agnostico, ma che questa definizione non è stabile: oscilla tra un credere in un Dio creatore (ma non quello biblico..), al non credere e alla sospensione del giudizio.
"Non riesco a vederci chiaro.D'altra parte non posso accontentarmi di vedere questo meraviglioso Universo e soprattutto la natura dell'uomo e di dedurne che tutto è il risultato di una forza cieca. Sono propenso a guardare ad ogni cosa come il risultato di leggi progettuali (as resulting of designed laws), e che i dettagli, siano essi buoni o cattivi, risultino invece da ciò che noi possiamo chiamare caso [...]. Non posso pensare che il mondo così come lo vediamo, possa essere il risultato del caso; eppure non posso guardare ogni singola cosa separata come se essa fosse il risultato di un progetto. Percepisco nel mio intimo che l'intera questione è troppo profonda per l'intelligenza umana. È come se un cane tentasse di speculare sulla mente di Newton" (C. Darwin, The Correspondance of Ch. Darwin, Cambridge UP, Cambridge 1985-1995, 224).
Gould evidenzia giustamente le differenze della sua teoria rispetto a quella di Darwin.
L'influenza di Adam Smith su Darwin è così riassunta da Gould: "In fact, I would advance the even stronger claim that the theory of naturale selection is, in essence, Adam Smith's economics tranferred to natura. (Infatti vorrei sostenere l'ancora più forte asserzione che la teoria della selezione naturale è, in essenza, l'economia di Adam Smith trasferita alla natura), citazione tratta da The Structure of Evolutionary Theory, pag. 122.
Qui si trova l'intero paragrafo "Darwin and Adam Smith" tratto dal libro di Gould tradotto
http://www.filosofiprecari.it/wordpress/?p=2560
Ognuno è figlio del proprio tempo e se Gould ha visto questa affinità non discuto. Ma in ogni caso Gould ha perfezionato un modello di indagine che ha in Darwin il suo precursore. Penso che Darwin non volesse fare della sua teoria una bibbia indiscutibile. Gould sicuramente sottolinea maggiormente l'aspetto della casualità, che lui chiama però contingenza e che ha un significato diverso da casualità. Ma anche Darwin nei suoi scritti oscilla spesso fra una valutazione "economica" della selezione naturale e a sorprendersi della scarsa efficacia di certe soluzioni adattive.
In una lettera famosa ad Asa Grey, quella che contiene il famoso passo sugli icneumonidi, conclude:
"Sono incline a considerare ogni cosa come risultante da leggi intelligenti...e a lasciare i dettagli, buoni o cattivi che siano, all'azione di quello che potremmo chiamare caso".
Il merito di Gould è stato quello di integrare in modo convincente quel "caso" ed ampliarne la portata, ma in Darwin erano già presenti delle intuizioni in merito.
Salve. L'inciso da Darwin che qui cito nuovamente : "Non posso pensare che il mondo così come lo vediamo, possa essere il risultato del caso"...........mi era già noto e aveva già generato la mia meraviglia nel constatare come una simile mente potesse venir "confusa" dalla mancata distinzione tra il concetto di "caso", quello di "necessità" e quello di "intenzione". ------------
Ma come si fa a non concepire ed accettare la seguente semplice definizione di caso : "Casuale appare ciò che è effetto di cause ignote o non completamente note" ?. ------------
Tutto ciò che è-appare "casuale" rappresenta sicuramente un effetto. Ugualmente per ciò che è-appare "necessario" e/o "intenzionale". Spero nella vostra comprensione di ciò. ------------Tutti gli effetti sono generati da delle cause (singole per modo di dire, in realtà universali, tutte concorrenti ed interagenti e quindi plurime). Spero nella vostra comprensione di ciò.------------
Ciascuno di noi ed anche noi tutti assieme siamo una piccola parte dell'esistente, e come parte apparterremo appunto al tutto ma senza poter capacitarcene, cioè senza poterlo conoscere, gestirlo, capirlo. Pertanto ci saranno sempre un sacco di cause ed un sacco di effetti che sfuggono alla nostra capacità di percepire, concepire, conoscere e capire. Spero nella vostra comprensione di ciò. ------------
Chiaramente, ignorando le cause (o le relazioni tra le cause) di ciò viene chiamato "caso", non possiamo - a rigore - conoscere se il "caso" con cui stiamo confrontandoci sia frutto di una "intenzione" di qualcuno o qualcosa (quale che la definizione di intenzione). Nel caso poi l'"intenzione" anche esistesse......essa genererebbe appunto la cancellazione della casualità dell'evento. Spero nella vostra comprensione di ciò. ------------
A fronte della nostra ignoranza circa le cause e circa la intenzionalità di ciò che siamo (sventatamente) tentati di chiamare "caso", mi sembra proprio debba generarsi la nostra "consapevolezza" che pur sempre si tratta DI UN EFFETTO DI CAUSE A NOI NON NOTE. Spero nella vostra comprensione di ciò. ------------
Onore comunque a Charles Darwin nonostante una sua qual certa imperfezione di senso logico, visto che tutti siamo fatti di carne, dubbio e speranza e la nostra ragione non può certo assisterci (e forse non DEVE neppure farlo) in ogni minima circostanza dell'esistenza. TUTTI QUESTI PROBLEMI DI SPAZIATURA IN EDITING MI TIRANO SCEMO. Saluti a tutti.
Il caso darwiniano ignora la metafisica. Esso asserisce che certe mutazioni genetiche, impattando in modificazioni ambientali totalmente indipendenti da quelle mutazioni (alimentazione, clima, eventi tellurici o cosmici), vengono favorite rispetto ad altre mutazioni e questo determina una selezione naturale a loro favore in termini riproduttivi.
Come le varie specie si ingegnano ad ottimizzare la loro sopravvivenza nel contesto ambientale dato suggerisce un qualche disegno finalistico, ma in realtà è la specie che si adatta all'ambiente non l'ambiente che si modella sulla specie. Tant'è che quando le condizioni ambientali si modificano repentinamente (tipo la caccia o l'avvento di un nuovo predatore o parassita) la specie si estingue. Se il mutamento è lento è possibile che piccole modificazioni genetiche selezionino individui in grado di adattarsi alle condizioni mutate preservando la specie dall'estinzione. Alcuni veterani evolutivi meriterebbero maggior rispetto e tutela del loro ambiente, ma questo è un problema che la natura ignora, una questione etica, umana.
Sì, quello di Darwin (e della moderna biologia) non é per nulla finalismo (realizzazione di intenzioni aprioristicamente concepite da una mente consapevole).
E' casomai una sorta di"pseudiofinalismo a posteriori", cioé il fatto che cose nate casualmente restano e si propagano se "funzionano" nell' ambiente in cui si trovano "come se per assurdo, ammesso e non concesso, qualcuno le avesse appositamente studiate allo scopo".
Per me il grandissimo Stephen Jasy Goulg é il più coerente e creativo cultore e sviluppatore del darwinismo dopo l' iniziatore della teoria; lui stesso, pur giustamente criticando e in qualche caso superando Darwin, come é giusto fare se si coltiva una scienza, orgogliosamente rivendica il suo darwinismo autentico, coerente, conseguente, opponendolo agli pseudodarwinisti dei cosiddetti "darwinismo sociale", sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", che (dico io; Gould preferisce non esporsi su questo terreno dell' interpretazione storica, limitandosi alla critica scientifica) altro non sono che falsità ideologiche quante mai antiscientifiche al servizio dell' ingiusto privilegio e della reazione.
Mi pare che Darwin sostituisca la meraviglia del disegno unico , con la meraviglia dell'osservazione dei tanti casi , che difficilmente possono descriversi poi , se non in forma di un disegno , al minimo in forma di racconto di viaggio , che però non può fare a meno di un filo logico narrativo.
Si prende coscienza che il disegno è una esigenza narrativa.
La grandezza di Darwin come scienziato , guarda caso ,non è seconda alla sua grandezza come narratore .
Si può leggere Darwin come autore di avvincenti viaggi di avventura in un tempo in cui molti tali viaggi intraprendevano , perché resi possibili.
Darwin alla fine ci invita a prendere coscienza della differenza che c'è fra soggetto e oggetto della narrazione , ma non ci priva perciò della meraviglia.
Si passa dal viaggiare con la fantasia al viaggiare per il mondo , perché adesso lo si può fare.
Si parte dalla meraviglia dei cataloghi del Linneo , e si arriva ai catalogo delle meraviglie di Darwin , ma la sostanza resta quella di un catalogo . la cui fruibilità sembra non possa fare a meno di un disegno.
Non c'è un disegno , c'è il disegno.
Citazione di: iano il 14 Aprile 2020, 10:02:06 AM
Si parte dalla meraviglia dei cataloghi del Linneo , e si arriva ai catalogo delle meraviglie di Darwin , ma la sostanza resta quella di un catalogo . la cui fruibilità sembra non possa fare a meno di un disegno.
Non c'è un disegno , c'è il disegno.
Ma il disegno è un caso.
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 08:54:20 AM
Per me il grandissimo Stephen Jasy Goulg é il più coerente e creativo cultore e sviluppatore del darwinismo dopo l' iniziatore della teoria; lui stesso, pur giustamente criticando e in qualche caso superando Darwin, come é giusto fare se si coltiva una scienza, orgogliosamente rivendica il suo darwinismo autentico, coerente, conseguente, opponendolo agli pseudodarwinisti dei cosiddetti "darwinismo sociale", sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", che (dico io; Gould preferisce non esporsi su questo terreno dell' interpretazione storica, limitandosi alla critica scientifica) altro non sono che falsità ideologiche quante mai antiscientifiche al servizio dell' ingiusto privilegio e della reazione.
La teoria del "gene egoista" è attribuibile a Dawkins. Ritengo che Dawkins sia uno dei migliori divulgatori della sintesi neodarwiniana, la sua teoria una delle più intelligenti, la sua lettura del neodarwinismo imprescindibile. Falsità ideologiche, antiscientifiche, al servizio dell'ingiusto privilegio e della reazione: mi domando quanti di coloro che esprimono questi giudizi superficiali hanno letto il libro di Dawkins.
Comunque Dawkins è più fedele e coerente alla teoria di Darwin rispetto a Gould.
Citazione di: baylham il 14 Aprile 2020, 11:12:43 AM
Citazione di: iano il 14 Aprile 2020, 10:02:06 AM
Si parte dalla meraviglia dei cataloghi del Linneo , e si arriva ai catalogo delle meraviglie di Darwin , ma la sostanza resta quella di un catalogo . la cui fruibilità sembra non possa fare a meno di un disegno.
Non c'è un disegno , c'è il disegno.
Ma il disegno è un caso.
L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.
Non è facile trovare prove di qualcosa di cui si ha solo una vaga idea , appena quanto basta per farne i protagonisti di un racconto , con il fondato sospetto che essi nascono proprio dall'esigenza del racconto.
Nella realtà non abbiamo esempi di distribuzioni casuali , ma solo distribuzioni in cui è più o meno facile trovare un ordine.
Trovato un ordine si mette una etichetta causale.
Citazione di: baylham il 14 Aprile 2020, 12:20:01 PM
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 08:54:20 AM
Per me il grandissimo Stephen Jasy Goulg é il più coerente e creativo cultore e sviluppatore del darwinismo dopo l' iniziatore della teoria; lui stesso, pur giustamente criticando e in qualche caso superando Darwin, come é giusto fare se si coltiva una scienza, orgogliosamente rivendica il suo darwinismo autentico, coerente, conseguente, opponendolo agli pseudodarwinisti dei cosiddetti "darwinismo sociale", sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", che (dico io; Gould preferisce non esporsi su questo terreno dell' interpretazione storica, limitandosi alla critica scientifica) altro non sono che falsità ideologiche quante mai antiscientifiche al servizio dell' ingiusto privilegio e della reazione.
La teoria del "gene egoista" è attribuibile a Dawkins. Ritengo che Dawkins sia uno dei migliori divulgatori della sintesi neodarwiniana, la sua teoria una delle più intelligenti, la sua lettura del neodarwinismo imprescindibile. Falsità ideologiche, antiscientifiche, al servizio dell'ingiusto privilegio e della reazione: mi domando quanti di coloro che esprimono questi giudizi superficiali hanno letto il libro di Dawkins.
Comunque Dawkins è più fedele e coerente alla teoria di Darwin rispetto a Gould.
Prendo atto del radicale dissenso.
infatti per me Dawkins (che mi sono letta), con la tesi peregrina e falsificata empiricamente, ideologica reazionaria del preteso "egoismo dei geni" (per non parlare delle altre fantasticherie a briglia sciolta sui "memi") é un pessimo biologo, mentre SJG é stato il più grande, coerente, creativo biologo "darwinista".
iano:L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.
Non è facile trovare prove di qualcosa di cui si ha solo una vaga idea , appena quanto basta per farne i protagonisti di un racconto , con il fondato sospetto che essi nascono proprio dall'esigenza del racconto.
Nella realtà non abbiamo esempi di distribuzioni casuali , ma solo distribuzioni in cui è più o meno facile trovare un ordine.
Trovato un ordine si mette una etichetta causale.
Citazione
giopap:
Concordo.
Anche per me il caso non é che la mancata conoscenza (soggettiva, epistemica) del reale (oggettivo, ontologico) ordine.
Ma si tratta di un ordine di fatto, non finalisticamente realizzato da alcun soggetto cosciente intenzionale (il quale anzi, per poter realizzare -per assurdo, ammesso e non concesso- qualsiasi scopo attraverso mezzi adeguati, necessiterebbe prioritariamente, di un ordine non finalistico, da conoscere per potervi applicare i mezzi adeguati ai fini.
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 14:02:05 PM
L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.
Il caso è uno strumento epistemico che ordinariamente viene postulato ed è soggetto a trattamento metodologico/scientifico che può permettere la costruzione di prove euristiche della validità di questo postulato, esattamente come si fa per qualsiasi tesi scientifica.
Sarebbe possibile sottoporre allo stesso trattamento l'intervento divino ?
Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 08:01:23 AM
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 14:02:05 PM
L'intervento del caso è un espediente narrativo al pari dell'intervento divino.
Infatti ne' dell'esistenza dell'uno ne' dell'altro abbiamo prove.
Il caso è uno strumento epistemico che ordinariamente viene postulato ed è soggetto a trattamento metodologico/scientifico che può permettere la costruzione di prove euristiche della validità di questo postulato, esattamente come si fa per qualsiasi tesi scientifica.
Sarebbe possibile sottoporre allo stesso trattamento l'intervento divino ?
Per errore la frase criticata é stata attribuita a me, mentre é di
iano.
Peraltro non mi pare proprio che la critica stessa confuti quanto affermato da
iano: né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali (e per me é bene averne consapevolezza per evitare di sopravvalutare "scientisticamente" o "positivisticamente la scienza; che é importante, relativamente come tutto ciò che é umano, di per sé, senza alcun bisogno di sopravvalutazioni o divinizzazioni irrazionalistiche).
Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé
nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).
Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche
iano).
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM
Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).
Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).
Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.
Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.
La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.
Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.
Citazione di: baylham il 15 Aprile 2020, 09:52:49 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM
Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).
Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).
Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.
Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.
La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.
Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.
Mi trovo d'accordo con Giopap.
Ribaltare i concetti , per vedere l'effetto che fa' , è il mio metodo filosofico preferito , ma il ribaltamento che fai della definizione di Viator non mi fa' effetto , e rimane per me una buona definizione .
La mia riflessione getta un ombra sul caso .
Io ne parlo , credendo di sapere di cosa parlo , ma a pensarci meglio mi pare di non saperlo.
L'ombra si proietta allora , per me , anche sul determinismo, che , con ancor più certezza credevo di conoscere.
Non sarebbe bello però se tutta questa riflessione si riducesse a un gioco al massacro.
È un invito a prendere coscienza delle parole della scienza , non per screditarla , ma per farla più intimamente propria.
È anche un modo per rivalutare il metodo umano , prima ancora che scientifico , riconoscendo una continuità in esso, laddove invece esigenze narrative , pure comprensibili , tendono a spezzare la storia in modo netto (After science , before science , per citare Brian Eno).
Il rischio è quello di esorcizzare i propri pregiudizi , col risultato di trovarseli inconsapevolmente sotto altra forma .
Prendere coscienza del metodo umano ,compreso quello scientifico ,per potenziarlo , maneggiandolo con più confidenza , considerandolo per quel che è, e non per quello che desidereremmo fosse .
Mi viene difficile anche dividere gli uomini in filosofi e scienziati.
Per me rimangono uomini , divisi solo da esigenze narrative.
La scienza è relativamente giovane , e come tutti i giovani si è affermata rinnegando i padri.
Ma ora dovrebbe essere abbastanza matura per dire che forse avevano ragione i padri , e che se lei è diventata quel che è deve riconoscenza a qualcuno.
Il caso si è sostituito agli dei.
Cosa dobbiamo concludere ?
Che funzionavano gli dei , ma ancor meglio funziona il caso.
Quale potrebbe essere il prossimo passo?
Si intravede qualcosa all'orizzonte?
Ma questa è un altra storia.
O forse è sempre la stessa storia , ancora da riscrivere.
Citazione di: baylham il 15 Aprile 2020, 09:52:49 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 08:31:21 AM
Inoltre secondo me la scienza (ne sia consapevole o meno: si tratta infatti di filosofia -in particolare epistemologia- e non di scienza) presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine (per lo meno di un divenire ordinato "debolmente", cioé di tipo probabilistico - statistico, se non anche "fortemente", cioé di tipo meccanicistico), ammettendo il caso unicamente in sede gnoseologica, teorica, soggettiva, e cioé nella conoscenza della realtà e non nella realtà (per lo meno il caso inteso in senso "forte": mutamento caotico senza alcunché di costante, nemmeno le proporzioni probabilistiche - statistiche fra più possibili casi singoli reciprocamente alternativi in serie numerose di osservazioni).
Io non credo alla realtà dell' uno né dell' altro (e se ho ben capito, ma non ne sono sicura, anche iano).
Una prima sommaria risposta, che vale anche per la definizione di caso di viator.
Per me il caso non è il prodotto dell'ignoranza delle relazioni (causali), ma l'ignoranza è prodotta dal caso, va invertita la prospettiva.
La scienza moderna accoglie l'ordine (le relazioni, le leggi) insieme al caso (la probabilità, la stocasticità).
La distribuzione normale riassume meravigliosamente queste due caratteristiche opposte.
Aggiungo che il modello teorico derivato da Darwin in discussione altrettanto meravigliosamente le riassume: variazione genetica casuale e selezione naturale.
Per me non si può sapere se si dia (realmente) caso o ordine.
Ma per credere alla (possibilità; e verità della) conoscenza scientifica una precondizione necessaria é che si dia ordine; dunque, poiché credo nella possibilità e verità (ovviamente limitata, relativa, parziale) della conoscenza scientifica, credo nell' ordine del divenire naturale (e sono consapevole dell' indimostrabilità, dell' infondatezza razionale di questa credenza; contrariamente a per lo meno moltissimi scienziati e non pochi filosofi scientisti i quali, purtroppo per loro, la ignorano).
Se si ammette come reale (in sede ontologica, oggettiva) l' ordine, allora il caso può essere (realmente) solo teorico (reale unicamente in sede gnoseologica o epistemologica, soggettiva).
La scienza (moderna) presuppone l' ordine del divenire naturale come una sua imprescindibile conditio sine qua non (ne siano o meno consapevoli i ricercatori scientifici); per lo meno un ordine probabilistico - statistico (questa non é scienza bensì filosofia, precisamente epistemologia, ed é per questo che gli scienziati possono ignorarla e spesso la ignorano).
Quindi dove la scienza trova il caso semplicemente trova i limiti (eventualmente superabili in futuro) della sua conoscenza, i limiti suoi propri. E ovviamente deve avere l' onestà intellettuale di ammetterli.
Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.
Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,... diventano flatus vocis veterometafisici.
Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 19:21:48 PM
Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.
Non vedo alcun problema di intesa del termine "reale" in (preteso) senso "ontologico" o in (preteso) senso "scientifico": reale in senso ontologico é né più né meno che sinonimo di "reale non solo in quanto oggetto di pensiero ma anche indipendentemente dall' eventuale essere pensato o meno"; per esempio l' attuale re di Francia é reale solo in quanto oggetto di pensiero (se qualcuno pensa questo concetto), mentre la attuale regina d Gran Bretagna é reale in senso ontologico: che la si pensi o meno, é una donna anziana in carne ed ossa.
Dunque la scienza, conoscendo cose osservabili, conosce, senza alcuna particolare difficoltà diversa dalla (e ulteriore rispetto alla) ovvia necessità di verificare empiricamente le sue teorie, cose reali in senso ontologico (come la é la regina di Gran Bretagna; per esempio un nuovo pianeta quale fu Plutone al momento della sua scoperta; allora fu nuovo, tuttora é ontologicamente reale); mentre per esempio la storia della letteratura conosce anche cose reali non in senso ontologico (come é ad esempio don Chisciotte della Mancia).
E perché possa darsi conoscenza scientifica, allora il caso (per lo meno in senso forte) non può darsi in senso ontologico, cioé come qualcosa di reale nel senso in cui la é la regina Elisabetta (ma casomai solo in senso gnoseologico, quello nel quale é reale don Chisciotte, cioé come "cosa pensata"; per difetto di conoscenza del reale) per il semplice fatto che per definizione é incompatibile (in reciproca contraddizione logica) con la possibilità di conoscenza scientifica
Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]
Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).
Salve Ipazia. Suvvia, lasciami un poco divertire ! :----------------------------------------
- caso : già definito da me all'interno del presente "topic";
- causa : dato un qualsiasi ambito, lo stato dell'ambito precedente al verificarsi - all'interno dell'ambito stesso - di un effetto; per l'insieme di tutti gli ambiti possibili (=mondo)......lo stato del mondo precedente una sua qualsiasi trasformazione;
- fine (il) : la sempre provvisoria conclusione di un ciclo umanamente intenzionale;
- necessità : inesorabile conseguenza presente o futura di ciò che ha agito in passato;
- ordine : insieme delle relazioni tra enti la cui struttura (-del concatenamento) risulti umanamente riconoscibile;
- realtà : l'intero insieme delle percezioni sensoriali.
-------------------------------------------------------------------------------------
In tutta franchezza trovo poco di metafisico in quanto sopra. Ma certamente sbaglierò molto perchè mi piace divertirmi tanto. Saluti.
La questione non è così semplice. Non esiste nessuna definizione buona per tutte le stagioni, per tutti i livelli di astrazione. E' questa l'utopia veterometafisica. La realtà di topolino non è quella di un laboratorio di ricerca. Il fine dell'ispettor Poirot non è quello di Agatha Christie e non è quello di chi fa ricerca in un laboratorio. La causa di una valanga non è quella di un assassinio. La verità di un'equazione matematica non è quella del tribunale...
Questi venerabili concetti metafisici vanno riferiti al "sistema" in cui hanno senso. E quel sistema deve essere esplicitato prima di usarli. Non sono definibili urbi et orbi. I discorsi che hanno questa pretesa sono insensati, unsinnig.
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 13:35:16 PM
Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.
Questo in fondo dimostra che caso e ordine sono fatti della stessa sostanza , senza neanche bisogno di specificare quale. impelagandosi nella metafisica.
Infatti , a seconda del contesto , che come ammonisce Ipazia va' specificato a priori ,
sarà utile usare l'uno piuttosto che l'altro.
Certo , se preferiamo pregiudizialmente l'ordine a desiderabile fondamento , allora il caso apparirà un ripiego , un escamotage , che , strano , ma funziona.
Ma di questi escamotage è piena la storia della scienza , e certo non vengono mai presi a cuor leggero andando contro a pregiudizi diffusi.
Essi vengono attuati quando alla fine sembrano essere il tassello mancante a completare il puzzle , il quale si disperava di finire , mancando quel pezzo nella scatola.
Il fatto è che la conoscenza è un insieme di pregiudizi che varia nel tempo in forma e numero , e forse non sarebbe male impadronirsi meglio di questo meccanismo di mutazioni , piuttosto che subirlo.
Diciamo che siamo animali fra altri animali , i quali tutti , quando costretti all'angolo , guarda il caso , tirano fuori il meglio di se'.
L'evoluzione scientifica non sembra poi così diversa da quella biologica.
Perché , certo , a volte i filosofi sembrano sparare idee a caso.
Certo può sembrare strano che una attività configurabile come un piacere in se' possa poi fruttare tanto . Il collegamento c'è, ma non è diretto , talche' futile appare quel pensare.
Le idee e i pregiudizi del passato possono sembrare oggi ridicoli come gli abiti della nonna , rispetto ai nostri, ma quelli e questi ci vestono , conformandosi a noi.
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 21:52:38 PM
Citazione di: anthonyi il 15 Aprile 2020, 19:21:48 PM
Ciao Giopap, tu hai scritto: "né Dio né il caso sono dimostrabili essere reali e nemmeno non essere reali ......secondo me la scienza ..presuppone l' inesistenza (ontologica, reale, oggettiva) del caso e la realtà dell' ordine".
Il problema è il concetto di "essere reale", se con essere reale si intende qualcosa di ontologico è difficile che per la scienza possa essere reale alcunchè, se invece si intende qualcosa di osservabile, quindi nell'ambito della "conoscenza della realtà", allora il caso esiste, allo stesso livello di tutte le ipotesi postulate dalla scienza, nella misura in cui è coerente con i dati.
La questione epistemologica dell'interpretazione del caso poi la lascerei da parte, anche perchè, come anche tu dici, la scienza "postula" l'ordine, ma non può certo dimostrarlo.
Non vedo alcun problema di intesa del termine "reale" in (preteso) senso "ontologico" o in (preteso) senso "scientifico": reale in senso ontologico é né più né meno che sinonimo di "reale non solo in quanto oggetto di pensiero ma anche indipendentemente dall' eventuale essere pensato o meno"; per esempio l' attuale re di Francia é reale solo in quanto oggetto di pensiero (se qualcuno pensa questo concetto), mentre la attuale regina d Gran Bretagna é reale in senso ontologico: che la si pensi o meno, é una donna anziana in carne ed ossa.
Dunque la scienza, conoscendo cose osservabili, conosce, senza alcuna particolare difficoltà diversa dalla (e ulteriore rispetto alla) ovvia necessità di verificare empiricamente le sue teorie, cose reali in senso ontologico (come la é la regina di Gran Bretagna; per esempio un nuovo pianeta quale fu Plutone al momento della sua scoperta; allora fu nuovo, tuttora é ontologicamente reale); mentre per esempio la storia della letteratura conosce anche cose reali non in senso ontologico (come é ad esempio don Chisciotte della Mancia).
E perché possa darsi conoscenza scientifica, allora il caso (per lo meno in senso forte) non può darsi in senso ontologico, cioé come qualcosa di reale nel senso in cui la é la regina Elisabetta (ma casomai solo in senso gnoseologico, quello nel quale é reale don Chisciotte, cioé come "cosa pensata"; per difetto di conoscenza del reale) per il semplice fatto che per definizione é incompatibile (in reciproca contraddizione logica) con la possibilità di conoscenza scientifica
Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]
Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).
Ma una relazione scientifica, tipo la legge di relatività, esiste o meno. Io posso costruirne la formula in mente, e in fondo anche questa formula potrebbe essere definita un "espediente letterario" come era stato definito il caso, cioè uno strumento per raccontare qualcosa. Poi posso avere tutte le conferme empiriche che voglio della stessa legge, ma mai avrò la prova che quella legge "esiste" al di là della mia esperienza/percezione.
Non a caso tu mi fai l'esempio di concetti fisici, il Re, Plutone, se però porti tutto nell'ambito degli "oggetti" propri del discorso scientifico ti sarà abbastanza difficile dimostrarmi che la legge di relatività è più reale del caso.
Citazione di: Ipazia il 16 Aprile 2020, 00:14:33 AM
La questione non è così semplice. Non esiste nessuna definizione buona per tutte le stagioni, per tutti i livelli di astrazione. E' questa l'utopia veterometafisica. La realtà di topolino non è quella di un laboratorio di ricerca. Il fine dell'ispettor Poirot non è quello di Agatha Christie e non è quello di chi fa ricerca in un laboratorio. La causa di una valanga non è quella di un assassinio. La verità di un'equazione matematica non è quella del tribunale...
Questi venerabili concetti metafisici vanno riferiti al "sistema" in cui hanno senso. E quel sistema deve essere esplicitato prima di usarli. Non sono definibili urbi et orbi. I discorsi che hanno questa pretesa sono insensati, unsinnig.
Non vedo alcuna difficoltà se non puramente fittizia, sofistica nella comprensione, che é alla portata di qualsiasi casalinga di Voghera, delle differenze ontologiche (le diverse
realtà i diversi modi o sensi in cui sono reali) di Topolino (realtà fittizia, in quanto ente meramente pensato, immaginario, letterario) e un laboratorio di ricerca (non un concetto pensato, ma un edificio di pietre e cemento contenete attrezzature e persone in carne e ossa, esistente anche se non pensato e diverso dal pensiero e dalla conoscenza che se ne può avere); né circa le diverse realtà dei fini dell' ispettor Poirot e di Agatha Christie (pensieri reali unicamente in quanto pensati e attribuiti a entità fittizie, letterarie, cose che se non fossero pensate non esisterebbero in alcun modo) e quelli di chi fa ricerca in un laboratorio (pensieri realmente accadenti di persone realmente esistenti anche se e quando nessuno le pensa o ne parla).
Sta a vedere che adesso sono proprio i veteropositivisti e i veteroscientisti che, dopo averlo spesso a torto rinfacciato a filosofi e metafisici, si mettono a inventarsi problemi fittizi e a fare vaniloqui senza contenuto reale!
Quello fra causa di una valanga e causa di un assassinio, poi é un semplice banalissimo (ancor più banale) caso di polisemia.
Sempre banalissimamente la verità di un'equazione matematica é la correttezza logica di un giudizio analitico a priori mentre quella del tribunale é la adeguatezza di un giudizio sintetico a posteriori alla realtà di cui esso predica.
Tutti i concetti, quelli (più o meno venerabili) fisici non meno di quelli metafisici hanno banalissimamente, del tutto ovviamente significati relativi ai contesti.E pretendere di ricavarne una liquidazione della metafisica (che -ovviamente se praticata correttamente- non confonde i significati diversi che possono avere i concetti che impiega: anzi, tutto il contrario, vi fa chiarezza!) é precisamente un discorso insensato, unsinnig.(Noto en passant che decrepitopositiviti e decrepitoscientisti adesso cadono pure nel vezzo, da loro spesso e volentieri indebitamente rimproverato a filosofi e metafisici, di cercare di dare una pretesa autorità ai concetti da loro usati mediante lingue straniere, il tedesco piuttosto che il latino).
Citazione di: iano il 16 Aprile 2020, 02:57:29 AM
Citazione di: giopap il 15 Aprile 2020, 13:35:16 PM
giopap:
Per esempio la casualità delle mutazioni genetiche deriva dall' impossibilità di conoscere "per filo e per segno" i meccanismi ordinati delle interazioni biochimiche fra le molecole di DNA.
iano:
Questo in fondo dimostra che caso e ordine sono fatti della stessa sostanza , senza neanche bisogno di specificare quale. impelagandosi nella metafisica.
giopap:
Non si ratta di impelgarsi nella metafisica ma di comprendere la realtà di cui si parla.
iano:
Infatti , a seconda del contesto , che come ammonisce Ipazia va' specificato a priori ,
sarà utile usare l'uno piuttosto che l'altro.
giopap:
mi piacerebbe sapere chi ne ha mai dubitato.
iano:
Certo , se preferiamo pregiudizialmente l'ordine a desiderabile fondamento , allora il caso apparirà un ripiego , un escamotage , che , strano , ma funziona.
Ma di questi escamotage è piena la storia della scienza , e certo non vengono mai presi a cuor leggero andando contro a pregiudizi diffusi.
Essi vengono attuati quando alla fine sembrano essere il tassello mancante a completare il puzzle , il quale si disperava di finire , mancando quel pezzo nella scatola.
Il fatto è che la conoscenza è un insieme di pregiudizi che varia nel tempo in forma e numero , e forse non sarebbe male impadronirsi meglio di questo meccanismo di mutazioni , piuttosto che subirlo.
Diciamo che siamo animali fra altri animali , i quali tutti , quando costretti all'angolo , guarda il caso , tirano fuori il meglio di se'.
L'evoluzione scientifica non sembra poi così diversa da quella biologica.
Perché , certo , a volte i filosofi sembrano sparare idee a caso.
Certo può sembrare strano che una attività configurabile come un piacere in se' possa poi fruttare tanto . Il collegamento c'è, ma non è diretto , talche' futile appare quel pensare.
giopap:
Dissento:
Caso e ordine non sono escamotages che si possano attribuire pregiudizialmente a proprio piacimento alla realtà (se se ne cerca una conoscenza vera).
Citazione di: anthonyi il 16 Aprile 2020, 04:17:50 AM
Citazione
Ipazia:[/size]
Se non si definisce il livello di astrazione dell'ambito di applicazione, ovvero il "sistema", concetti come [/size]caso, causa, fine, necessità, ordine, realtà,...[/size] diventano flatus vocis veterometafisici.[/size]
Infatti mi sembra di aver diligentemente e chiaramente distinto realtà ontologica (a là regina Elisabetta o a là pianeta Plutone) da realtà fittizia (a là re Luigi novantasettesimo di Francia, o a là don Chisciotte della Mancia), evitando brillantemente di cadere in pretesi flatus vocis veterometafisici (a parte il fatto che la vecchia metafisica non mi fa affatto schifo; casomai la posso criticare opponendole una metafisica tanto, non necessariamente, più nuova quanto più razionalmente fondata).
Ma una relazione scientifica, tipo la legge di relatività, esiste o meno. Io posso costruirne la formula in mente, e in fondo anche questa formula potrebbe essere definita un "espediente letterario" come era stato definito il caso, cioè uno strumento per raccontare qualcosa. Poi posso avere tutte le conferme empiriche che voglio della stessa legge, ma mai avrò la prova che quella legge "esiste" al di là della mia esperienza/percezione.[/size]Non a caso tu mi fai l'esempio di concetti fisici, il Re, Plutone, se però porti tutto nell'ambito degli "oggetti" propri del discorso scientifico ti sarà abbastanza difficile dimostrarmi che la legge di relatività è più reale del caso.
Certo che la legge di gravità (come tutte le conoscenze scientifiche) descrive le esperienze/percezioni di ciascuno (i "fenomeni", cioé ciò che appare).
E concordo pure (l' ho sempe immancabilmente affermato a chiare lettere) che le leggi scientifiche del divenire possono essere falsificate empiricamente ma mai dimostrate; la prossima volta la mela che si stacca dall' albero potrebbe volare verso il cielo o restare a mezz' aria, quante che siano le precedenti osservazioni che (finora) sempre immancabilmente é caduta a terra.
Forse c' é stato un fraintendimento.
Infatti che né caso nè ordine possano essere dimostrati della realtà é precisamente quanto sempre da me sostenuto.
Citazione di: giopap il 16 Aprile 2020, 08:30:47 AM
Caso e ordine non sono escamotages che si possano attribuire pregiudizialmente a proprio piacimento alla realtà (se se ne cerca una conoscenza vera)
Immagino che per conoscenza vera intendi verità.
Mi pare che la ricerca della verità sia un formidabile incentivo , ma allo stesso tempo un ostacolo a procedere
Nella migliore delle ipotesi , rallentando il percorso aumenta prudenza e accortezza nel procedere , cosicché quando abbandoniamo un pregiudizio saremo certi di non star buttando il bambino con l'acqua sporca.
Però più ci penso e più mi viene da associare ingenuità a verità .
Riconosco comunque che abbandonare la pretesa di ricerca della verità nel breve possa produrre più problemi dei vantaggi che a me pare di intravedere.
La cosiddetta ricerca della verità procede per abbattimento di vecchi pregiudizi , ma solo per sostituirli con nuovi , convinti comunque che ciò ci avvicini alla meta , se pure fosse irraggiungibile .
A me pare che l'idea di verità nasca proprio dal considerare che ogni percorso debba avere una meta , che però a me non sembra una deduzione necessaria.
Rimango invece certo del percorso e su quello mi piacerebbe concentrarmi.
Però riconosco che confondere ogni fase del percorso con la realtà, ha i suoi vantaggi rinunciare ai quali è una scommessa che potrebbe essere persa.
Se va' bene non possiamo rinunciare alla ricerca della verità perché è un catalizzatore che però come tale non appare mai nel composto finale.
La mia impressione è che il credere di vivere nella realtà, così come ci appare , presenti un tale vantaggio pratico , che siamo disposti a far traslocare questa credenza in ogn nuovo accomodamento della realtà al crescere della conoscenza , che però con più prudenza e umiltà chiamerei mutamento , e in questo mutamento mi è parso di poter agganciare ciò alla teoria dell'evoluzione , termine , l'evoluzione , che mi pare Darwin stesso non gradisse , se non ho capito male.
Evolvere a cosa e perché?
Vallo a sapere.
Mi pare una "inutile" complicazione , che non abbandoniamo per eccesso di prudenza , prudenza che comunque è sempre la benvenuta , anche quando in eccesso.
Caso , ordine , verità.
Va' tutto bene se serve , finché serve.
Per me la verità di una conoscenza é la caratteristica propria di tale conoscenza di essere predicazione circa la realtà conforme alla realtà stessa; per esempio se affermo che "(nella realtà) esiste il pianeta Nettuno" e inoltre accade che (nella realtà) esiste il pianeta Nettuno, allora tale mio predicato é vero; invece se affermo che "non esiste il pianeta Nettuno" ed esiste il pianeta Nettuno tale altro mio giudizio non é vero ma falso.
La prudenza é spesso, se non addirittura sempre, consigliabile in generale, e nella ricerca della verità in particolare.
E l' ingenuità può giovare o nuocere in maggiore o minor misura a seconda dei casi (anche) nella ricerca della conoscenza vera.
Quasi tutte le virtù vanno coltivate moderatamente perché se portate all' eccesso tendono a diventare vizi (la prudenza a diventare codardia, l' ingenuità credulonità, superstizione).
Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).
Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.
Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).
Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 13:57:12 PM
Citazione di: baylham il 14 Aprile 2020, 12:20:01 PM
Citazione di: giopap il 14 Aprile 2020, 08:54:20 AM
Per me il grandissimo Stephen Jasy Goulg é il più coerente e creativo cultore e sviluppatore del darwinismo dopo l' iniziatore della teoria; lui stesso, pur giustamente criticando e in qualche caso superando Darwin, come é giusto fare se si coltiva una scienza, orgogliosamente rivendica il suo darwinismo autentico, coerente, conseguente, opponendolo agli pseudodarwinisti dei cosiddetti "darwinismo sociale", sociobiologia", preteso "egoismo dei geni", che (dico io; Gould preferisce non esporsi su questo terreno dell' interpretazione storica, limitandosi alla critica scientifica) altro non sono che falsità ideologiche quante mai antiscientifiche al servizio dell' ingiusto privilegio e della reazione.
La teoria del "gene egoista" è attribuibile a Dawkins. Ritengo che Dawkins sia uno dei migliori divulgatori della sintesi neodarwiniana, la sua teoria una delle più intelligenti, la sua lettura del neodarwinismo imprescindibile. Falsità ideologiche, antiscientifiche, al servizio dell'ingiusto privilegio e della reazione: mi domando quanti di coloro che esprimono questi giudizi superficiali hanno letto il libro di Dawkins.
Comunque Dawkins è più fedele e coerente alla teoria di Darwin rispetto a Gould.
Prendo atto del radicale dissenso.
infatti per me Dawkins (che mi sono letta), con la tesi peregrina e falsificata empiricamente, ideologica reazionaria del preteso "egoismo dei geni" (per non parlare delle altre fantasticherie a briglia sciolta sui "memi") é un pessimo biologo, mentre SJG é stato il più grande, coerente, creativo biologo "darwinista".
Sicuramente è peregrino attribuire a Dawkins la tesi che il gene sia egoista, mentre si può sicuramente attribuirgli la tesi che ci sia correlazione tra i geni e il carattere egoista sulla base di un modello selettivo darwiniano.
Se Dawkins è un ideologo reazionario, allora Darwin lo è altrettanto. Basta leggere il capitolo III dell'Origine delle specie intitolato e dedicato alla lotta per l'esistenza, in cui la lotta non è soltanto interspecifica ma intraspecifica. Nello stesso capitolo Darwin assume il principio malthusiano dell'insufficienza della crescita delle risorse rispetto a quella della popolazione come una spiegazione della lotta per l'esistenza.
I modelli teorici applicati ed esposti da Dawkins nelle sue divulgazioni sono di chiara derivazione darwiniana.
La principale differenza tra Darwin e Dawkins dipende dalle scoperte della genetica, successive all'opera di Darwin: per Darwin il soggetto della selezione naturale era l'individuo, per Dawkins, come per il neodarwinismo in generale, è il gene.
Non considero Dawkins come un grande scienziato innovatore, ma sicuramente è un grande originale divulgatore.
Giopap
......se affermo che "(nella realtà) esiste il pianeta Nettuno" e inoltre accade che (nella realtà) esiste il pianeta Nettuno, allora tale mio predicato é vero; invece se affermo che "non esiste il pianeta Nettuno" ed esiste il pianeta Nettuno tale altro mio giudizio non é vero ma falso.
—————————-
In questo discorso c'è qualcosa di circolare.
Mi riservo di criticarlo quando riuscirò a focalizzarlo meglio.
_______...__........................
Giopap
Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).
——————————————————
Pregiudizi e postgiudizi sono giudizi che mutano susseguendosi , sostituendosi o convivendo
Ho usato il termine pregiudizio in modo improprio.
Il giudizio che viene prima non è peggiore del successivo, è solo successivo.
Se così fosse proprio da questo pregiudizio ( giudizio ) si ricava l'idea di una progressione verso una meta.
———————-+++++
Giopap
Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
—————————
Non sarebbe più prudente dire più adatte , invece che più vere , per portare avanti il paragone con la teoria dell'evoluzione , per la quale ,nonostante il nome , non si evolve a nulla. Non c'è una meta.
——————————.
Giopap
Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.
—————————————————-
I nostri limiti , se li conoscessimo , sarebbero il nostro punto di forza.
Conoscerli infatti ci impedirebbe di disperdere inutili energie .
È un confine più che un limite , almeno che non si consideri un limite il fatto che ci sia un confine fra noi e la realtà (fuori di noi).
La conoscenza ( termine che a pensarci , anche questo , ha il destino pregiudizialmente scritto nel nome) è il risultato dell'interazione fra questo due confinanti.
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Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).
—————————————
Ci appare vero ciò che deriva da un processo che media , ma di cui non abbiamo coscienza. Da cui segue che Plutone non è una semplice idea.Adesso ho focalizzato.
Assumiamo per "vero" , fino a prova contraria ,con ampio corredo di dubbi, ciò che deriva da un processo noto ( metodo scientifico) .
I risultati di questi processi sono funzionalmente uguali ,ma formalmente diversi , e presentano vantaggi entrambi. Ma la verità è un altra storia che fa' rima con ingenuità, la quale non è una virtù, ma è la misura della nostra coscienza del processo che media la conoscenza.
La scienza ci ha reso meno ingenui .
————————————
Giopap
Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.
———————————————
Diciamo che è prudente affermarlo.
Se ci fosse una meta e noi la conoscessimo , questa conoscenza condizionerebbe il percorso.
Il futuro come causa del presente , e infine causa di se stesso , per tacer del libero arbitrio :D
Considerazione finale.
La coltivazione del dubbio è sacrosanta , ma solo perché mitiga il "pregiudizio" della verità.
Se assumiamo una ipotesi a tempo determinato , non dobbiamo assumere altro.
Se assumiamo la verità a tempo indeterminato , allora dobbiamo assumere anche il dubbio.
All'idea di verità non corrisponde un pianeta , per il motivo che un pianeta è un idea diversa , e non un esempio di verità.
Vero è solo che a noi sembra esserci una differenza , una diversa consistenza.
Ma è solo ignoranza , e non necessariamente una ignoranza che va' superata , perché non l'ingenuità' , ma l'ignoranza , se non sarà una virtù , ha la sua funzione .
E diciamolo...l'ho detto.🙏
Infatti , se esistesse la verità i limiti per raggiungerla non sarebbero in noi , ma nell'economia.
Noi non siamo limitati , perché non abbiamo alcun modello a cui corrispondere.
Noi non siamo limitati. Noi siamo quel che siamo. Al massimo avremo un confine , ma non è un limite , siamo noi.
Di contro non è peccato se riusciamo ad andare , per dove dobbiamo andare , in economia di conoscenza. (Il valore filosofico di Totò andrebbe riesumato )😁
Tante parole per dire che:
La conoscenza è un mezzo e non un fine.
È la nostra strada maestra per andare per non si sa' dove dobbiamo andare.
È la nostra passione di andare .
Siamo noi , nella misura in cui lo sappiamo.
E mi auguro , perché è un sospetto a cui non voglio credere , che gli orrori della nostra lunga storia , che sempre si ripetono , non siano successive buche in cui siamo caduti guardando avanti , alla verità.
Non ci voglio neanche pensare .
P.S.
Cara Giopap , mi auguro non ti sfugga, che questi miei post ( diciamo esercizio di quella critica che ti è conflittualmente cara ) , derivano in effetti dai tuoi.
Giudizi che vengono dopo i tuoi , ma non perciò migliori.
Raramente rispondo punto per punto , se non stimolato proficuamente .
È un complimento che so' non apprezzerai.
Per questo te lo faccio .😂
Baylham:
Sicuramente è peregrino attribuire a Dawkins la tesi che il gene sia egoista, mentre si può sicuramente attribuirgli la tesi che ci sia correlazione tra i geni e il carattere egoista sulla base di un modello selettivo darwiniano.
Se Dawkins è un ideologo reazionario, allora Darwin lo è altrettanto. Basta leggere il capitolo III dell'Origine delle specie intitolato e dedicato alla lotta per l'esistenza, in cui la lotta non è soltanto interspecifica ma intraspecifica. Nello stesso capitolo Darwin assume il principio malthusiano dell'insufficienza della crescita delle risorse rispetto a quella della popolazione come una spiegazione della lotta per l'esistenza
I modelli teorici applicati ed esposti da Dawkins nelle sue divulgazioni sono di chiara derivazione darwiniana.
La principale differenza tra Darwin e Dawkins dipende dalle scoperte della genetica, successive all'opera di Darwin: per Darwin il soggetto della selezione naturale era l'individuo, per Dawkins, come per il neodarwinismo in generale, è il gene.
Non considero Dawkins come un grande scienziato innovatore, ma sicuramente è un grande originale divulgatore.
Giopap
Che il gene sia "egoista", in senso ovviamente metaforico, lo pretende Dawkins.
La correlazione pretesa "darwiniana" fra geni e carattere egoista é un' altra sua tesi antiscientifica, ideologicamente reazionaria. La scienza biologica dimostra che il la selezione naturale (darwiniana correttamente intesa: altro che "neodarwinismo"!) non agisce affatto unicamente sui genotipi individuali, ma anche a livello di popolazioni, specie e probabilmente gruppi tassonomici ancor più ampi, oltre al fatto che i comportamenti altruistici non sono meno adattivi dei comportamenti egoistici, essendoli entrambi in varia misura in diverse circostanze.
E l' antropologia scientifica dimostra che il comportamento umano non é affatto determinato univocamente dal genoma (che prevale nei suoi tratti più generali, genericamente biologici e tendenzialmente uniformi), ma invece in esso (e soprattutto nei suoi tratti individuali, personali e sociali, più peculiarmente umani) fondamentale é l' esperienza epigenetica, soprattutto di natura sociale-culturale.
Darwin ha ovviamente avuto idee condizionate dal suo tempo e dal suo ambiente sociale-culturale in parte reazionarie, ma, malgrado questo, (oltre ad essere un uomo di straordinaria sensibilità e bontà d' animo; fra l' altro) ha compiuto una fondamentale, rivoluzionaria scoperta scientifica.
Invece Dawkins non ha scoperto nulla di rilevante e ha divulgato e divulga falsità ideologiche reazionarie in larga misura antiscientifiche.
Queste sono le loro profondissime differenze.
Giopap
Ma non necessariamente la ricerca della verità é coltivazione di pregiudizi (solitamente anzi non la é, per lo meno nelle intenzioni di chi la pratica).
Il fatto che la conoscenza umana, come tutto ciò che é umano e in generale naturale, non può essere perfetta (perfettamente vera) ma che sia sempre in qualche misura imperfetta (limitata, parziale; predicazione di fatto inevitabilmente in parte falsa, oltre che in altra parte vera) non implica necessariamente che sia sempre e comunque costituita da pregiudizi. Di fatto tende a liberarsi progressivamente dei pregiudizi e ad essere costituita in crescente misura da giudizi a posteriori, ipotesi, teorie, inferenze, abduzioni, ecc. empiricamente verificati (anche se sempre in linea di principio falsificabili in maggiore o minor misura).
——————————————————
iano:
Pregiudizi e postgiudizi sono giudizi che mutano susseguendosi , sostituendosi o convivendo
Ho usato il termine pregiudizio in modo improprio.
Il giudizio che viene prima non è peggiore del successivo, è solo successivo.
Se così fosse proprio da questo pregiudizio ( giudizio ) si ricava l'idea di una progressione verso una meta.
giopap:
Generalmente di fatto (salvo eccezioni che confermano la regola) nel corso del tempo le verità scientifiche (sempre relative, limitate) tendono a crescere ed approfondirsi.
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Giopap
Non ogni percorso deve necessariamente avere una meta.
Ma per definizione quello della conoscenza della realtà ha la meta di compiere predicazioni il più vere possibili circa la realtà.
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iano:
Non sarebbe più prudente dire più adatte , invece che più vere , per portare avanti il paragone con la teoria dell'evoluzione , per la quale ,nonostante il nome , non si evolve a nulla. Non c'è una meta.
giopap.
Non credo.
Non sono relativista né pragmatista e credo che per potere funzionare in pratica le conoscenze scientifiche devono avere un' oggettiva adeguatezza con la realtà (per quanto insuperabilmente relativa, parziale).
Trovo non troppo calzante il paragone con l' evoluzione biologica.
——————————.
Giopap
Il che non impedisce una sobria consapevolezza dei limiti delle possibilità umane in generale, e in particolare degli elementi di limitatezza, relatività e dubitabilità (della verità) delle conoscenze di volta in volta di fatto acquisite.
—————————————————-
iano:
I nostri limiti , se li conoscessimo , sarebbero il nostro punto di forza.
Conoscerli infatti ci impedirebbe di disperdere inutili energie .
È un confine più che un limite , almeno che non si consideri un limite il fatto che ci sia un confine fra noi e la realtà (fuori di noi).
La conoscenza ( termine che a pensarci , anche questo , ha il destino pregiudizialmente scritto nel nome) è il risultato dell'interazione fra questo due confinanti.
giopap:
Perché il periodo ipotetico dell' irrealtà?
Se e quando li conosciamo lo sono.
Aborro le metafore più o meno oscure e letteralmente definisco che la conoscenza come " predicazione circa la realtà alla realtà conforme".
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Il credere di vivere nella realtà, così come ci appare, per poter presentare vantaggi pratici, non può non essere almeno in qualche praticamente importante misura vero (oltre che, ovviamente, sempre limitato, relativo, dubitabile, incrementabile, in varia misura falsificabile).
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iano:
Ci appare vero ciò che deriva da un processo che media , ma di cui non abbiamo coscienza. Da cui segue che Plutone non è una semplice idea.Adesso ho focalizzato.
Assumiamo per "vero" , fino a prova contraria ,con ampio corredo di dubbi, ciò che deriva da un processo noto ( metodo scientifico) .
I risultati di questi processi sono funzionalmente uguali ,ma formalmente diversi , e presentano vantaggi entrambi. Ma la verità è un altra storia che fa' rima con ingenuità, la quale non è una virtù, ma è la misura della nostra coscienza del processo che media la conoscenza.
La scienza ci ha reso meno ingenui .
giopap:
Non capisco che c' entrino i media e la mancanza di coscienza.
Secondo me l' adesione acritica alla scienza é molto ingenua a tende a renderci ancor più ingenui.
A farci criticamente superare l' ingenuità e a renderci più conseguentemente razionalisti é la filosofia (le filosofie in varia misura razionalistiche; essendocene pure di irrazionalistiche controproducenti all' uopo; fa le quali l' ingenuo scientismo positivistico).
————————————
Giopap
Seconde me la vita evolve senza un perché né una meta
Evolve "e basta", perché così é il mondo, così é la vita.
———————————————
iano:
Diciamo che è prudente affermarlo.
Se ci fosse una meta e noi la conoscessimo , questa conoscenza condizionerebbe il percorso.
Il futuro come causa del presente , e infine causa di se stesso , per tacer del libero arbitrio :D
Considerazione finale.
La coltivazione del dubbio è sacrosanta , ma solo perché mitiga il "pregiudizio" della verità.
Se assumiamo una ipotesi a tempo determinato , non dobbiamo assumere altro.
Se assumiamo la verità a tempo indeterminato , allora dobbiamo assumere anche il dubbio.
giopap:
Per me la verità non é di regola pregiudizio (anche se in teoria, con un certo culo, anche, o meglio perfino, un pregiudizio potrebbe essere vero).
Iano:
All'idea di verità non corrisponde un pianeta , per il motivo che un pianeta è un idea diversa , e non un esempio di verità.
Giopap:
Infatti ho affermato che la verità non é una caratteristica della realtà (del pianeta esistente) ma invece della predicazione circa la realtà (dell' affermazione che il pianeta esiste; se il pianeta realmente esiste).
Iano:
Vero è solo che a noi sembra esserci una differenza , una diversa consistenza. Ma è solo ignoranza , e non necessariamente una ignoranza che va' superata , perché non l'ingenuità' , ma l'ignoranza , se non sarà una virtù , ha la sua funzione . E diciamolo...l'ho detto.🙏 Infatti , se esistesse la verità i limiti per raggiungerla non sarebbero in noi , ma nell'economia. Noi non siamo limitati , perché non abbiamo alcun modello a cui corrispondere. Noi non siamo limitati. Noi siamo quel che siamo. Al massimo avremo un confine , ma non è un limite , siamo noi. Di contro non è peccato se riusciamo ad andare , per dove dobbiamo andare , in economia di conoscenza. (Il valore filosofico di Totò andrebbe riesumato
giopap:
Qui proprio non ci capisco nulla (salvo concordare che noi siamo limitati, ovviamente).
iano:
Tante parole per dire che:
La conoscenza è un mezzo e non un fine. È la nostra strada maestra per andare per non si sa' dove dobbiamo andare. È la nostra passione di andare . Siamo noi , nella misura in cui lo sappiamo. E mi auguro , perché è un sospetto a cui non voglio credere , che gli orrori della nostra lunga storia , che sempre si ripetono , non siano successive buche in cui siamo caduti guardando avanti , alla verità. Non ci voglio neanche pensare .
Giopap:
Dissento completamente:
Per me, a mio giudizio insindacabile da parte di "chicche essia" (per citare a mia volta il grande Totò), la conoscenza (vera) della realtà é un fine fortissimamente desiderato.
Penso che gli orrori della storia siano da imputare piuttosto al falso e alla mancanza di conoscenza che alla conoscenza vera (anche se pure questa può avervi contribuito come mezzo per realizzarli).
Iano:
P.S. Cara Giopap , mi auguro non ti sfugga, che questi miei post ( diciamo esercizio di quella critica che ti è conflittualmente cara ) , derivano in effetti dai tuoi. Giudizi che vengono dopo i tuoi , ma non perciò migliori. Raramente rispondo punto per punto , se non stimolato proficuamente . È un complimento che so' non apprezzerai. Per questo te lo faccio
Giopap:
Invece lo apprezzo tantissimo, e te ne ringrazio e (e ricambio): dissenso su tutta la linea!
(Senza del quale non ci sarebbe di che discutere: ben venga!).
Mi pare, saccheggiando l'ultima lettura di Floridi, che il confronto tra giopap e iano sia viziato all'origine dalla differenza del livello di astrazione (LdA) a cui ciascuno porta il proprio ragionamento. Tale sfasatura si rivela particolarmente intorno al concetto di "verità", la quale non può essere la stessa cosa nel LdA dell'ontologia scientifica e dell'epistemologia psicologica. Lo iato è colmabile, ma richiede un passaggio ulteriore che costringe a prendere atto del dualismo, realmente entangled, avviluppato come un concertato rossiniano, tra una natura (oggettiva) che produce un soggetto capace di interrogarsi (soggettivamente) sulla natura, cercando di farlo nel modo più oggettivo (scienza) possibile coi mezzi (intersoggettivi) che gli sono, dalla natura medesima, dati.
Spezzando una lancia in favore dell'oggettivismo scientifico (verità scientifica) porrei almeno tre pilastri a sostegno di esso:
1) la percezione di una verità intersoggettivamente evidente: giorno-notte, luce-buio,...
2) lo sviluppo di una metodologia complessa atta a districarsi in mezzo alla fallacia dei sensi (moto apparente del sole,...), potenziandone le funzionalità attraverso protesi artificiali e potenziando le capacità di indagine attraverso il crescere delle conoscenze - "buscar el levante por el ponente"(cit) -, asseverate dai riscontri pratici non falsificati.
3) l'elaborazione di una metodologia logico-matematica adeguata alla sensorialità e psicologia umana per indagare in maniera riproducibile e "oggettiva" la realtà (naturale): dal cogito (cartesiano) alle assi cartesiane. Più tutto il resto.
Da tutto ciò la "verità" et(olog)ica, ponendosi su un LdA diverso, resta esclusa e le sue connessioni col LdA dell'ontologia scientifica vanno oculatamente centellinate e definite.
Il "fallimento epistemico" del confronto si rivela anche nel concetto di "evoluzione", che nel caso di Darwin non va assolutamente confuso col concetto et(olog)ico di "progresso", ma è semplicemente un processo oggettivo inserito in un divenire naturale empiricamente ed ermeneuticamente indagabile. In tale senso si intende anche il concetto psicopedagogico di "età evolutiva" riferito ai cuccioli umani.
Esatto Ipazia. Esattissimo. La specie umana e il suo destino, per quanto questa affermazione possa sembrare nietzschiana, è scissa (parzialmente) dalla natura, a causa del retroterra tecnologico-culturale che ha sviluppato negli ultimi 10.000 anni. A causa del quale ciò che è naturale potrebbe e dovrebbe essere considerato inumano, altrimenti dovremmo sempre dare ragione ai partigiani dell'homo uomini lupus e della "selezione del più adatto". Ideologia, come noto, in realtà solo più adatta ad un certi tipo di distribuzione della ricchezza.
Secondo me non é affatto vero che la selezione naturale imponga una guerra egoistica di tutti contro tutti e in particolare che abbia condotto al preteso, fantomatico, ideologico "homo homini lupus" di Hobbes e degli odierni corifei (anche sotto pretese mentite spoglie pseudoscientifiche) del capitalismo.
Questa non é scienza ma ideologia reazionaria.
La biologia scientifica evoluzionistica correttamente intesa rileva che l' altruismo non é meno adattivo dell' egoismo.
E l' antropologia scientifica rileva che il comportamento umano é solo in parte determinato dal genoma (soprattutto nella parte più "biologicamente elementare" a tutti comune), ma che invece in gran parte é culturalmente, psicologicamente e socialmente condizionato (soprattutto nei suoi aspetti più sofisticati e creativi, peculiarmente umani).
l' etica e l' etologia non vanno certo confuse né con l' epistemologia, né con l' ontologia.
L' ontologia filosofica generale e la particolare ontologia materiale scientifica ci dicono che cosa (realmente) é, non che cosa deve essere (che é compito dell' etica), né che cosa l' uomo nelle diverse situazioni in cui agisce di fatto fa (che é compito della scienza unama dell' antropologia).
Per Giopap. Quello che intendevo dire è che la nostra condizione umana attuale è tale che possiamo tranquillamente pensare di svincolarci da ipotetiche condizioni "naturali", ammesso e non concesso (come dici tu, e sono d'accordo) che queste ipotetiche precondizioni naturali siano tendenzialmente egoistiche.
Molto più realisticamente ci muoviamo in uno spazio dove egoismo e solidarietà convivono nella specie homo sapiens sia filogeneticamente che ontogeneticamente (ne' angeli ne' demoni). Ma questo non impedisce alla specie homo di restare impalata in questo guado, senza spostarci da questa fisionomia angelodemoniaca. Proprio il corredo culturale dell'uomo ci impone, eticamente, di aumentare il livello di corresponsabilità nei confronti dei nostri simili e dell'ambiente, perché anche se fosse vero, biologicamente, che "homo homini lupus", quell'homo ha il dovere etico di superare quella condizione, in quanto homo dotato di humanitas, che in latino, non a caso, ha anche il significato di cultura.
Citazione di: Jacopus il 18 Aprile 2020, 12:03:50 PM
La specie umana e il suo destino, per quanto questa affermazione possa sembrare nietzschiana, è scissa (parzialmente) dalla natura, a causa del retroterra tecnologico-culturale che ha sviluppato negli ultimi 10.000 anni. A causa del quale ciò che è naturale potrebbe e dovrebbe essere considerato inumano
Ghelen (
qui un breve saggio in merito)
sosteneva che l'uomo ha trovato il suo posto ovunque nel mondo grazie alla tecnica, che coincide con la possibilità di «esonerarsi»(cit.) dalla istintività animale e pre-culturale, grazie all'instaurarsi di una dimensione storica che è essenzialmente storia della tecnica, della plasticità della mente che conforma plasticamente la materia, dalla selce scheggiata all'atomica. Sopra il pianeta naturale l'uomo ha costruito il mondo artificiale («innaturale» dice Ghelen), in cui, aggiungerei, ora si è ormai soppalcato stabilmente anche un "terzo mondo", quello informatizzato, piuttosto "povero" di attività fisica (si va poco oltre il digitare e il cliccare) ma stracolmo di senso e di socialità (dalle videochiamate private alla contro-informazione di massa, dalla produzione di opere culturali-artistiche allo smart working, etc.).G. Anders (qui un articolo sul suo pensiero) rilevò, in tempi non o poco sospetti, una certa «vergogna prometeica»(cit.) nella potenza della tecnica, uno scenario in cui il golem della tecnica sopravanza l'uomo, rendendolo «antiquato»(cit.), come nella ormai preventivata «singolarità tecnologica».Come raccontato goliardicamente anche da un noto comico in questo video (circa la stessa sequenza, ma con i sottotitoli italiani è qui e poi continua qui) il corpo dell'uomo è sempre più estraniato dall'ambiente circostante; non ha più i piedi per terra (letteralmente: usiamo scarpe su superfici artificiali) e siamo gli unici animali che non vivono allo stato brado, stato in cui la maggior parte di noi urbanizzati durerebbe forse un paio di giorni, anche per limiti biologici (disadattamento come involuzione?) oltre che nozionistici (boy scout e "survivors" a parte).Le uniche parti corporee perennemente scoperte (o coperte solo di rado, per il freddo, il sole o la moda), lasciate al naturale, erano sinora volto e mani, esteticamente baluardi dell'animale più linguistico e più "
faber" che ci sia. L'incombente prospettiva di dover usare costantemente mascherine e guanti completa dunque il nostro "distanziamento" fisico rispetto all'ambiente naturale; estraneazione in veste di "autoconfezionamento" che dovrebbe garantire alla nostra specie una sopravvivenza "tecnodipendente" e la (sovra)proliferazione planetaria, ma che, parodiando Louis C.K., non potrebbe che suscitare negli dei, o in un osservatore esterno (alieno o alienato che sia), qualcosa fra
lo scherno, la pietà e il disappunto.
Impagabile (da WP) :D :
"Ancora prima, nel 1954 lo scrittore di fantascienza Fredric Brown, nel brevissimo racconto La risposta, anticipava il concetto di singolarità tecnologica immaginando la costruzione di un "supercomputer galattico" al quale viene chiesto come prima domanda, dopo l'accensione, se esiste Dio; il supercomputer rispondeva "Ora sì".
Ogni moneta ha il suo rovescio. L'uso delle scarpe ad esempio evita quei geloni ai piedi, piuttosto dolorosi, di cui mi parlava mia nonna. E la tecnologia ha sconfitto alcune malattie fastidiose come la poliomelite. Per non parlare della possibilità di trascorrere molto tempo a divagare, leggere, ascoltare musica, passeggiare, invece di essere ossessionati dalla ricerca di cibo o dalla paura di essere cibo per altre specie. Non esiste un'età dell'oro e quella degli ultimi ottanta anni e forse quella che le si avvicina di più (per il 10-20 per cento della popolazione, gli altri sono gli addetti al nostro benessere). Quello che dobbiamo domandarci è se per raggiungere questo livello di benessere non abbiamo dato fondo alle risorse del pianeta troppo sconsideratamente. Ovvero il problema non è tanto la tecnica in sè, ma l'uso esponenziale che se ne è fatto, sia per un bisogno di potenza, connaturato alla specie homo sapiens che i greci chiamvano hybris, sia per scaricare sulla natura ipersfruttata le contraddizioni sociali dovute al capitalismo.
Per Ipazia. In guida galattica per autostoppisti invece risponde "42".
https://it.wikipedia.org/wiki/Risposta_alla_domanda_fondamentale_sulla_vita,_l%27universo_e_tutto_quanto
Lotta di titani nella mitologia metatecnologica dell'avvenire tra il supercomputer scientista ("ora sì") e quello nichilistico-situazionista ("42")
Citazione di: Jacopus il 18 Aprile 2020, 15:40:00 PM
Per Giopap. Quello che intendevo dire è che la nostra condizione umana attuale è tale che possiamo tranquillamente pensare di svincolarci da ipotetiche condizioni "naturali", ammesso e non concesso (come dici tu, e sono d'accordo) che queste ipotetiche precondizioni naturali siano tendenzialmente egoistiche.
Molto più realisticamente ci muoviamo in uno spazio dove egoismo e solidarietà convivono nella specie homo sapiens sia filogeneticamente che ontogeneticamente (ne' angeli ne' demoni). Ma questo non impedisce alla specie homo di restare impalata in questo guado, senza spostarci da questa fisionomia angelodemoniaca. Proprio il corredo culturale dell'uomo ci impone, eticamente, di aumentare il livello di corresponsabilità nei confronti dei nostri simili e dell'ambiente, perché anche se fosse vero, biologicamente, che "homo homini lupus", quell'homo ha il dovere etico di superare quella condizione, in quanto homo dotato di humanitas, che in latino, non a caso, ha anche il significato di cultura.
Credo di concordare, nel senso che la natura non può essere negata (contraddetta) dalla cultura (per esempio non si possono ignorare nelle attività antropiche i limiti delle risorse naturali e delle possibilità di ripristino delle condizioni naturali necessarie alla nostra sopravvivenza come specie artificialmente alterate, pena l' autoestinzione umana; per l' appunto); ma invece la cultura la sviluppa ulteriormente e coerentemente in una sorta di "superamento dialettico" (che non é pura e sempllice negazione).
Salve. Io non ci vedo nulla di titanico negli sforzi elaborativi producenti l' "Ora si" piuttosto che il 42, entrambi frutto (a proposito.......ma la bolletta della corrente per questi usi.....chi la paga ?) non di incapacità computazionale, ma di incapacità formulativa umana. Son capaci tutti di fare domande del c...(tali sono i due quesiti dal punto di vista della logica computazionale) mettendosi a parlare in una lingua ignota ad uno strumento noto. Saluti.
In entrambi i casi (e pure nel pregevole manualetto di Floridi) i supercomputer ci fanno capire l'importanza di fare domande corrette, che possono anche dipendere dalla differenza di linguaggio, ma più radicalmente a livello filosofico derivano dall'inadeguatezza della domanda, dalla carenza di elementi che la rendano una buona domanda filosofica. Anche nel costruire una buona domanda filosofica bisogna sapere molto, pur conservando l'impostazione mentale socratica dei sapere di non sapere. Il cui alter ego implica anche il sapere sapiente di ciò che si sa. Sapere sapiente che consiste nella chiarezza del piano onto- ed epistemo- logico della domanda.
Ritorno al caso.
Einstein riteneva che Dio non giocasse a dadi, per me la realtà è un gioco a dadi. Gioco che ha delle regole, ma le stesse regole, a loro volta casuali, garantiscono che l'esito sia casuale.
Per me la realtà è un miscuglio di caso e necessità, di determinismo e indeterminismo. Anche per questo motivo, la combinazione di caso a livello genetico e necessità a livello ambientale, apprezzo Darwin e il darwinismo. Darwinismo che a differenza dell'intervento divino e del disegno intelligente, spiega benissimo non soltanto la complessità e l'intelligenza, ma anche e soprattutto la semplicità e la stupidità del disegno, mi riferisco in particolare alle mostruosità genetiche.
Miscuglio che si applica alla stessa conoscenza, a maggior ragione se si apprezza la teoria della selezione dei gruppi neuronali di Edelman come spiegazione della mente, altra teoria di derivazione darwiniana.
Proprio per questo ritengo che il caso preceda la conoscenza e che perciò il caso non sia frutto dell'ignoranza ma il contrario.
Il caso si rivela in due modi strettamente correlati: il primo è l'emergere del nuovo, il cambiamento, l'innovazione. Il secondo modo è l'individuo, il singolo, il caso appunto, contrapposto al generale, all'universale.
Ritengo seria e fondata e molto interessante sul piano scientifico la teoria della selezione neuronale di Edelman, anche se sono convinta sul piano filosofico che non riguardi la conoscenza (e più in generale la coscienza) ma invece quell' altra ben diversa cosa, anche se necessariamente con la coscienza coesistente, che é il funzionamento cerebrale.
Ritengo le mutazioni genetiche casuali solo in senso epistemologico soggettivo e deterministiche in senso ontologico oggettivo: il loro determinismo c' é realmente, solo non lo consociamo (e forse non lo conosceremo mai).
E credo che nell' eterno divenire naturale nulla mai di realmente nuovo accada (evito una nota citazione biblica influenzata dalla contemporanea discussione sul "citazionismo intimidatorio"), ma si ripetano sempre gli stessi eventi particolari concreti, "individuali", singolari estremamente numerosi (forse in numero infinito) secondo sempre le stesse modalità o leggi universali astratte.
Questa tesi, esattamente come la contraria, non é dimostrabile, ma se così non fosse non se ne potrebbe dare (del mondo naturale materiale; che a mio parere non esaurisce la realtà in toto) conoscenza scientifica.
Non capisco questo
horror casus epistemologico.
E' evidente che tanto una mutazione genetica che le variazioni ambientali hanno una filogenesi determinabile, ma l'incontro dei due eventi può essere, considerato a livello del processo evolutivo cui dà origine, del tutto casuale. L'idea di una quadra del Tutto è ponibile solo metafisicamente, ma a livello scientifico ed epistemologico è un "falso prezzo" della ricerca. Una sterilità inutile.
Come c'è la differenza, la variabilità genetica, c'è la differenza, la variabilità culturale (e, in tema col forum, filosofica). Ecco un richiamo ai memi di Dawkins. Per me la differenza è necessaria e, contemporaneamente, è un caso.
Sono d'accordo che non ci sia possibilità di dimostrazione di questa mia preferenza: la dimostrazione contiene già negli assiomi la tesi.
Ritorno al tema, ampliando il mio primo commento, brevemente perché sto meditando da tempo di aprire un apposito argomento sul potere.
L'uomo è responsabile verso la natura, verso gli equilibri naturali; l'uomo può prendere in mano il proprio destino?
Proprio il modello darwiniano toglie alla radice la possibilità che l'uomo abbia quel potere. In primo luogo per il caso che è il motore dell'evoluzione darwiniana e che per definizione è fuori dal controllo umano. In secondo luogo perché l'uomo al massimo è corresponsabile con la natura del processo evolutivo, processo in cui la responsabilità individuale dell'uomo e della natura non è distinguibile, separabile.
Citazione di: baylham il 19 Aprile 2020, 10:52:28 AM
...In secondo luogo perché l'uomo al massimo è corresponsabile con la natura del processo evolutivo, processo in cui la responsabilità individuale dell'uomo e della natura non è distinguibile, separabile.
E' il solito argomento aporetico booleano:
sì-no. Invece la realtà antropologica è:
ni.
Lo dimostra, fresca fresca, empiricamente, la diversa gestione di un evento naturale, come l'epidemia, tra i diversi paesi con esiti e strategie assai diversi tra loro.
Citazione di: Ipazia il 19 Aprile 2020, 09:25:55 AM
Non capisco questo horror casus epistemologico.
E' evidente che tanto una mutazione genetica che le variazioni ambientali hanno una filogenesi determinabile, ma l'incontro dei due eventi può essere, considerato a livello del processo evolutivo cui dà origine, del tutto casuale. L'idea di una quadra del Tutto è ponibile solo metafisicamente, ma a livello scientifico ed epistemologico è un "falso prezzo" della ricerca. Una sterilità inutile.
Scienza ed epistemologia sono diverse cose.
"A livello scientifico", cioé se si fa della ricerca scientifica, la questione caso-ordine ovvero determinismo si può (e
non: si deve!) ignorare come non pertinente.
A livello filosofico, compresa in particolare la filosofia della scienza o epistemologia, non si può, il divenire naturale ordinato, deterministico per o meno in senso debole o probabilistico - statistico, essendo fondante della conoscenza scientifica stessa: una sua ineludibile conditio sine qua non.
Ergo, se la conoscenza scientifica é possibile e vera, allora necessariamente le interazioni fra mutazioni genetiche e selezione naturale possono non essere note di fatto (a livello gnoseologico soggettivo) nei loro complessi e molteplici intrecci causali
deterministici, ma devono necessartiamente darsi deterministicamente, per lo meno in senso debole, in realtà (a livello ontologico oggettivo).
Citazione di: Ipazia il 19 Aprile 2020, 11:44:18 AM
Citazione di: baylham il 19 Aprile 2020, 10:52:28 AM
Baylham:
...In secondo luogo perché l'uomo al massimo è corresponsabile con la natura del processo evolutivo, processo in cui la responsabilità individuale dell'uomo e della natura non è distinguibile, separabile.
Ipazia:
E' il solito argomento aporetico booleano: sì-no. Invece la realtà antropologica è: ni.
Lo dimostra, fresca fresca, empiricamente, la diversa gestione di un evento naturale, come l'epidemia, tra i diversi paesi con esiti e strategie assai diversi tra loro.
giopap:Concordo.
In particolare mi sembra benissimo distinguibile (anche se ovviamente tutt' altro che "abissalmente, incolmabilmente separata", ma interagente)
la responsabilità individuale e sociale dell'uomo da quella "della natura" per esempio nell' effetto serra e nei cambiamenti climatici, fra l' altro da combustione di materiali energetici fossili e deforestazione, o nella diffusione di radioattività letale per esempio dai reattori nucleari di Fukushima" (responsabilità umana), o viceversa ("responsabilità della natura") cicli solari, variazioni nell' orientamento dell' asse terreste, incendi non antropogeni, eruzioni vulcaniche, presenza di elementi radioattivi naturali, ecc..