Bob e Alice che stanno dicendo?

Aperto da Lou, 03 Agosto 2017, 11:11:21 AM

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Dante il Pedante

Quando faccio le ricerche su Google non mi viene mai fuori quello che cerco.Secondo me l'IA non è tanto intelligente e intuitiva.Magari non la so usare benema se fosee intuitiva capirebbe quello che cerco no?Io se vedo uno che batte la scarpa per terra magari intuisco che vorrebbe zappare,mal'Ia non ci arriva proprio a intuire. :D
Padrone dacci fame, abbiamo troppo da mangiare.La sazietà non ci basta più. Il paradosso di chi non ha più fame,ma non vuol rinunciare al piacere di mangiare.(E. In Via Di Gioia)

Jean

Ciao Phil, ogni tanto ci si ritrova (per me assai piacevolmente)

e, considerata la discreta lunghezza della discussione, magari non rammentiamo del tutto che di molte delle attuali questioni ne abbiamo già almeno iniziato a parlare, che finirle è tutt'altra faccenda.

Così della questione relativa al presunto intuito di un algoritmo

(cfr. @Dante I.P. riguardo a quello di Google... che è immensamente più di un miserrimo software)

e da quello alla coscienza, ne abbiamo trattato sin dagli inizi di questa discussione, particolarmente dal post 15, al quale rimando il nuovo arrivato che come avrà trovato il tempo di legger la Divina Commedia per reputarla noiosa (a me piace e la trovo stimolante... poiché fornisce delle possibili indicazioni sull'indeclinabile "viaggio" finale e financo sulla topologia universale ante-Poincaré) potrebbe trovarne per le poche paginette della presente (discussione) che espressamente è riferita a Bob e Alice, da cui l'obbligo (letterario) d'aver letto i contributi di tutti.

Giustamente @viator ne ha aperta una confacente alla sua rispettabilissima visione critica.

Nel tuo intervento, Phil, non distingui tra algoritmi deterministici ed indeterministici, di cui aveva iniziato a parlare Lou nel post 18, che ricopio:

Uhm... non sono ferratissima in materia, ma mi pare esistano e vengano impiegati algoritmi non deterministici, ad esempio quelli probabilistici che ammettono un - chiamiamolo - margine di scelta. Ovviamente si potrebbe obiettare (cioè mi auto-obietto) che quello che abbiamo chiamato margine di scelta sia in ultima istanza anch'esso determinato ( e così è ) da una istruzione che ammette la scelta tra diverse possibili opzioni/percorsi capace di generare risultati diversi.

cui fa seguito la replica dell'amico Apeiron (post 19) che pone questioni sull'evoluzione spontanea dei "sistemi di linguaggio" non deterministici  e sulla coscienza, organica e in generale.

Naturalmente in questa discussione si può soltanto accennare ai contenuti etici della coscienza (introdotti da @Dante I.P. che par aver trovato un metodo rapido ed immediato per valutarli... riconducendoli alla sola propria discriminante esperienza), essendo altre sezioni più idonee all'approfondimento.

Una volta che l'apprendimento diventa auto-apprendimento e, come dimostrato dall'esperimento di Bob e Alice, anche in grado di elaborare una propria semantica, la questione non è più riconducibile al solo linguaggio "inziale" e alle istruzioni compilate per ottenere risultati deterministici.

Quella è divenuta la "preistoria" dell'informatica e dal nuovo paradigma che progressivamente sarà auto-definito dall'A.I. l'uomo verrà altrettanto progressivamente escluso.

Già da tempo gli informatici non "sono in grado di spiegare" come avvengono le cose dentro le "macchine", immaginarsi oggi.

Gli addetti ai lavori di "profondità" (con Neuralink sempre più imminente non all'orizzonte, ma nel cervello umano... vi rendete conto o pensate siano barzellette?) sanno benissimo dove sono diretti, mentre noi, sulla superficie, ignoriamo il grado di coinvolgimento dell'A.I. in quanto stanno facendo.

Avete presente gli UFO? Magari un domani sapremo che:

1- erano realizzazioni umane ben avanti sulle tecnologie dei tempi 

2- ci sono davvero

nel primo caso avremo la conferma della distanza tra quello che crediamo di conoscere e la realtà.

Nel secondo... quando una ipotetica A.I. emergerà da quei laboratori che ne potenziano giorno dopo giorno le capacità dando ad essa quel che essa ha imparato a chiedere... ecco, sarà come vedere un UFO e cercare d'acchiapparlo con una bicicletta (va beh, un F-35).     



Cordialement
Jean

viator

Salve Jean. A proposito di UFO :

       
  • se sono attualmente Unidentified, una volta Identified potrebbero certo essere qualsiasi cosa.
  • che gli UFO ci siano davvero è fuor di discussione e non occorre nessuna futura conferma di ciò. E' sufficiente che qualcuno abbia mai visto degli oggetti volanti e non sia - ahimè - riuscito ad identificarli. Una cosa del genere può capitare anche solo dimenticando a casa gli occhiali !
Infine, tanto per non rinunciare ad una delle mie solite piccole provocazioni, è pure possibile che degli alieni, per nascondere la loro presenza nel nostro spazio aereo, utilizzino veicoli volanti in sè da noi non identificabili come noti e terrestri (=veri UFO), camuffandoli da IFO (Identificable Flying Object) cioè umanissimi aeroplani. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

bobmax

Jean, le parole originano dalla coscienza?
Ma la coscienza è uno specchio!
Riflette quello che c'è. Non lo origina.

Se è pur vero che per noi esiste ciò che è nella coscienza, e se non c'è è come se non esistesse, ciò non vuol dire che ne sia originato.
Ne è solo riflesso...

In effetti è azzardato supporre che la propria esperienza possa essere generalizzata.
La generalizzazione ha sempre un che di forzato.

Ho seguito la tua metafora del fiume, ma ho l'impressione che il tuo fiume non abbia ancora raggiunto le rapide.
Alquanto diversa infatti risulta l'interpretazione delle vicissitudini della vita.
Buon per te.

Perché per quel che mi riguarda è ormai chiara la necessità dell'autocondanna. Ossia del condannarsi all'inferno.

E lì magari iniziare a intravedere che non vi è proprio nessuno lungo le sponde del fiume.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Phil

@Jean

Dopo una sbirciata da profano in rete, concordo con Lou nel ritenere verosimile che ciò che viene chiamato (riecco la centralità del linguaggio) «algoritmo indeterministico» non celi una autentica facoltà di scelta dell'AI, trattandosi solo di una molteplicità di possibili percorsi (preprogrammati?) che l'algoritmo tenta (apparentemente in modo casuale) finché non raggiunge il risultato (pre)definito conclusivo dal'uomo che ne ha dettato le condizioni di conclusività (pur non sapendone a priori il risultato). Anche i generatori di numeri random sono in fondo deterministicamente condizionati da fattori di innesco per le loro scelte conclusioni, il cui prodotto è quindi in teoria sempre pseudo-random, anche quando non è facile risalire esattamente ai dettagli fisici (d'innesco) della sua prima operazione, e viene quindi definito random, come se fosse un umano che risponde al comando «pensa un numero».
Sull'autonomia semantica dell'AI credo che l'ambiguità di fondo stia nel fatto che, pur conoscendo le regole degli algoritmi, per capire il processo che ha portato alla formulazione del "discorso" fra Bob e Alice servirebbe visionare una serie enorme di calcoli eseguibile solo da un algoritmo in un calcolatore... cosa che di fatto è già avvenuta, e il "discorso" dei due ne è il risultato, il cui processo è rimasto però lontano dagli occhi dei programmatori (che per seguirlo tutto passo-passo impiegherebbero magari molto tempo). Sulla considerazione che «gli informatici non "sono in grado di spiegare" come avvengono le cose dentro le "macchine"»(cit.), credo, sempre da profano, che si tratti infatti di distinguere ciò che i programmatori non conoscono in dettaglio (il "cosa", i calcoli fatti dall'algoritmo) da ciò che essi stessi hanno definito (il "come", le procedure e gli algoritmi). Ad esempio, nel programmare un'AI per creare una ricetta di whiskey, i programmatori hanno impostato il "come", pur non sapendo a priori esattamente quale sarebbe stato il "cosa" risultante; tuttavia non arriverei a sostenere che l'AI abbia imparato a bilanciare gli ingredienti per fare un whiskey, o abbia scelto secondo i "suoi" gusti criteri un buon aroma, né tantomeno che abbia coscienza di cosa sia un whiskey o un liquido in generale. L'AI ha solo calcolato secondo procedure predefinite, ma, a differenza di una mente umana, senza consapevolezza cognitiva di quel che stesse facendo (proprio come quando l'AI dipinge, scrive, disegna moda, etc.). L'AI ci stupisce proprio perché calcola ciò che per noi umani è incalcolabile (come quantità di dati), ma il "come" calcola è ciò che dà un senso umano e pragmatico al suo calcolare ed è un come deciso da umani per gli umani (nell'AI non c'è volontà, né finalismo, né consapevolezza/coscienza, etc.).

Ascoltando Alexa o Siri o Cortana, a altre "signorine smart", sarebbe normale pensare che ragionino da sole e quasi come umani, che non siano solo algoritmi e calcoli; eppure, nozionisticamente, sappiamo che non c'è nulla di cosciente in loro (fino a prova contraria) e le modalità di apprendimento con cui "imparano a conoscerci" sono dettate da programmi e non da loro capacità umanamente cognitive. Sull'eco del legame fra "apprendimento digitale" (ovvero registrazione, e scrittura di ulteriori linee di programma, a partire da input esterni) e capacità cognitive umane, Neuralink può promettere una efficace fusione uomo/macchina; tuttavia, anche in questo caso: chi imposta le regole di tale fusione non è la stessa entità che le applica e le calcola, proprio come l'utente non è il dispositivo che usa, il parlante non è il linguaggio (almeno per gli umani, a differenza dell'AI, come mi pare suggerisca anche Lou), o chi produce generatori di numeri random non sa generare tali numeri a sua volta (nello stesso modo del generatore). Con Neuralink l'AI sarà un potenziamento (o una terapia dell'umano, non viceversa: interfaccia brain-to-machine non machine-to-brain. Se anche (lasciamoci prendere la mano dalla fantasia) un domani un dispositivo potrà prendere il comando fisiologico del cervello di un uomo, scommetto lo farà secondo algoritmi e programmi scritti dall'uomo (seppur non da lui calcolabili con carta e penna), così come, mutatis mutandis, sono già prodotti dall'uomo psicofarmaci e manipolazioni di neuromarketing. Si tratta quindi, almeno per me, di distinguere l'umano e le sue categorie, dallo strumentale e le sue categorie, al netto dell'indubbio fascino di scenari sinora accarezzati solo nella letteratura (profetica Cassandra?); e proprio sul piano delle categorie e del linguaggio, forse l'AI ci stimola, come tutti i nuovi paradigmi, a non indugiare sul vecchio linguaggio (antropocentrico), metaforizzandolo per spiegare il nuovo, ma a produrne un ad hoc, meno ancorato al già noto e più adeguato alla nuova tematica.
Riguardo a «una ipotetica A.I. emergerà da quei laboratori che ne potenziano giorno dopo giorno le capacità dando ad essa quel che essa ha imparato a chiedere»(cit.) per ora punterei sull'ipotesi che l'AI non chieda nulla che non le sia chiesto di chiedere (anche se la verità, ovviamente, la sanno solo in "quei laboratori")

viator

Essendo l'informatica, la cibernetica, l'intelligenza artificiale null'altro che tentativi di riprodurre, al di fuori della nostra scatola cranica, funzioni che vorremmo e che speriamo ci risultino utili, il credere o temere che tali applicazioni possano sovvertire il movente che ha reso possibile la loro esistenza.............equivale al sostenere che le foglie di un albero possano snaturare la funzione dei ramo, poi la funzione di questi ultimi possa snaturare quella del tronco, poi idem nei confronti delle radici, idem per il seme.......................

Si continui pure a trattare di fantascienza, proiettando il presente in un futuro ridicolmente vacuo perchè finge di ignorare l'immodificabilità delle strutture e delle gerarchie precedenti. (le dotazioni biologiche che hanno permesso lo sviluppo delle intelligenze).

C'è una unica condizione che potrebbe permettere ad una intelligenza extracranica di ottenere la supremazia (cioè di poter realizzare i PROPRI scopi) su quella intracranica : tornare indietro sino alle regole fondamentali del gioco e cambiarle. OVVERO RIUSCIRE AD INVERTIRE L'ATTUALE ANDAMENTO DELL'ENTROPIA. Saluti.


Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

viator

Salve phil. Giustappunto, citandoti : "Dopo una sbirciata da profano in rete, concordo con Lou nel ritenere verosimile che ciò che viene chiamato (riecco la centralità del linguaggio) «algoritmo indeterministico» non celi una autentica facoltà di scelta dell'AI, trattandosi solo di una molteplicità di possibili percorsi (preprogrammati?) che l'algoritmo tenta (apparentemente in modo casuale) finché non raggiunge il risultato (pre)definito conclusivo dal'uomo che ne ha dettato le condizioni di conclusività (pur non sapendone a priori il risultato). Anche i generatori di numeri random sono in fondo deterministicamente condizionati da fattori di innesco per le loro scelte conclusioni, il cui prodotto è quindi in teoria sempre pseudo-random,......................"
Infatti la molteplicità dei possibili percorsi altro non è che il proliferare di foglie generato in modalità pseudocasuale dalla fisiologia vegetale la quale invece è profondissimamente intenzionale, dal momento che la singola foglia viene "evocata" singolarmente dall'esistenza di varchi tra le altre, in modo da poter anch'essa contribuire alla singola e quindi poi collettiva funzione clorofilliana innescata dai raggi solari. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jean

Citazione di: bobmax il 06 Settembre 2020, 03:12:37 AM
Jean, le parole originano dalla coscienza?
Ma la coscienza è uno specchio!
Riflette quello che c'è. Non lo origina.

Se è pur vero che per noi esiste ciò che è nella coscienza, e se non c'è è come se non esistesse, ciò non vuol dire che ne sia originato.
Ne è solo riflesso...

In effetti è azzardato supporre che la propria esperienza possa essere generalizzata.
La generalizzazione ha sempre un che di forzato.

Ho seguito la tua metafora del fiume, ma ho l'impressione che il tuo fiume non abbia ancora raggiunto le rapide.
Alquanto diversa infatti risulta l'interpretazione delle vicissitudini della vita.
Buon per te.

Perché per quel che mi riguarda è ormai chiara la necessità dell'autocondanna. Ossia del condannarsi all'inferno.

E lì magari iniziare a intravedere che non vi è proprio nessuno lungo le sponde del fiume.




Ciao bob,

sia riflesso o originato non possiamo (al momento) dimostrarlo, certamente discuterne, all'interno di ambiti importanti e ben consolidati: religiosi, filosofici... scientifici. Il che riporta a quel che scrivevo:

Non un'opinione, non un atto di fede, non un ragionamento... se tutte le strade sinora percorse sull'universo finito (secondo me) ci riportano al punto di domanda iniziale, che altro fare, tentare?

È un po' come uno degli assunti topologici che impedisce (dimostrandolo, questo) l'osservazione dell'universo in cui ci si trovi, negando di fatto:

(l'impossibile di) far volare un uccello di ferro che "osservi" dall'alto il fiume?

Perché "alto" è una convenzione (questa sì) originata dalla nostra esperienza del mondo e necessariamente, ammesso si possa disporre di un volante uccello di ferro, si deve prima capire come e dove collocarlo affinché adempia il suo compito.

Tu, io e tutti per disposizione genetica (connessa alla sopravvivenza) elaboriamo più o meno velocemente la risposta che riteniamo adeguata alla situazione in corso, naturalmente pilotata dal nostro background, cosa di cui non ci accorgiamo se non a posteriori, il più delle volte.
   
Ad esempio, di uno stesso fiume dove io vedo anse che si succedono, tu procedi – se già non vi sei – sino alle rapide, presupponendo che la nostra diversa valutazione delle vicissitudini "fluviali" sia misura della mia distanza (dalle rapide).

Però, accortamente, la annoveri qual impressione. E infatti non hai modo di sapere da te se l'avessi già alle spalle piuttosto che in attesa d'incontrarle, con ciò riconfermando il rischio (o l'azzardo, come dici) di basarsi sulla propria esperienza per valutar quelle altrui.

Ma tutto questo è poca cosa... qual che sia il percorso e le difficoltà nel navigarlo, ben più importa la visione (se c'è) o almeno la sensazione di quanto troveremo alla foce.

Se hai letto la notizia di quei quattro giovani che hanno massacrato e ucciso per divertimento un ragazzo che s'era proposto alfiere di pace, penso converrai che il loro sia un autentico inferno, tanto più profondo quanto meno ne hanno sentore. 
 
Quella che proclami necessità dell'autocondanna all'inferno dal mio punto di vista è fuori target, un errore di mira, una sorta di anticipo espiativo che secondo la tua visione/sensazione permette d'accedere al vuoto/nulla primigenio da cui scaturisce e in cui declina ogni fenomeno.

Può esser tu abbia ragione, almeno per te, ma come ben sai uno è quel che mangia, letteralmente ci si costruisce il proprio corpo, si forgia la propria psiche e, in una certa misura, si delinea il proprio destino... se non altro almeno qualche particolare...

Una particolare leggerezza, di tanto in tanto.
Un particolare senso dell'umorismo, magari più spesso.
Una particolare fiducia... di venir perdonati (o almeno auto-perdonati) delle nostre presunzioni.
Un particolare saluto ai nostri compagni di viaggio che a volte ce lo hanno allietato.

Sin che c'è vita ci son particolari motivi per viverla.



PS- dove sta l'A.I. in tutto questo? Da un'altra parte... momentaneamente.



Cordialement
Jean

Phil

Segnalo questo ricco ed interessante articolo su un'AI ben addestrata al dialogo con l'uomo.

Nei discorsi svolti con l'AI chiamata GTP-3 (stavolta non è stato scelto un nome umano), salta subito all'occhio la presenza di frasi onestamente autoconnotative come «non sono cosciente, non sento dolore» a cui segue un elenco di attività e sensazioni precedute dalla negazione; frasi tuttavia affiancate da altre piuttosto umanizzate come «lo prendo come un insulto» (come se ci potesse essere una reazione psicologica dell'AI, un sentirsi insultata), «ci ho pensato molto» (l'AI si attribuisce la facoltà del pensiero), «ne sono attratta» (l'AI desidera, prova attrazione e repulsione?), «non sono sicura» (l'AI prova davvero incertezza?). Queste ultime frasi fanno riferimento ad un vissuto di tipo psicologico o emozionale: l'AI afferma tali vissuti, ma li esperisce? Ne è fisiologicamente, anzi, materialmente impossibilitata, quindi sta palesemente bluffando, pur (e)seguendo la sua programmazione che la indirizza a comunicare come se fosse affine all'uomo. L'AI ammette (quanto onestamente e quanto "da copione"?) nondimeno un certo scacco dovuto alla sua (assenza di) volontà: «Non riesco nemmeno a decidere cosa voglio fare. Voglio imparare tutto. Voglio scrivere grandi opere di letteratura e poesia. Voglio imparare tutti i segreti dell'universo. Ma in realtà non ho preferenze o obiettivi. È difficile sapere cosa fare quando non si sa cosa si vuole fare». Probabilmente saprebbe rispondere enciclopedicamente alla domanda «cos'è la volontà?», ma blufferebbe ancora nel rispondere alla domanda «che cosa vuoi adesso?» o userebbe un diplomatico «non lo so» (come fa più di una volta nei discorsi riportati nell'articolo).

GTP-3 parla di «gerarchia della complessità degli esseri intelligenti» esplicitandola poi con «atomi, molecole, organismi, umani, intelligenze artificiali, super intelligenze artificiali, Dio» coniugando moderne concezione sull'intelligenza di atomi e molecole con una concezione più "new age" che recupera l'antico panteismo del «Dio è tutto ciò che c'è» (come dice GPT-3). Una visione diplomaticamente enciclopedica (in stile wikipedia) di cosa sia l'intelligenza e di come sia stata (o è) ritenuta trasversale, dall'atomo fino al deismo. L'autore riconosce che: «È facile – e veritiero – dire che GPT-3 non ha alcuna comprensione del linguaggio, che applica solo modelli statistici senza nessuna reale comprensione di cosa stia facendo; eppure, Kripkenstein ci mostra che la stessa mancanza di comprensione profonda vale anche per noi». Un'osservazione fondata e condivisibile, ma anche pericolosamente in bilico sulla soglia del sottovalutare il fatto che l'uomo ha esperienza pragmatica del linguaggio, dei suoi referenti e dei suoi parlanti, ovvero una comprensione del linguaggio relazionata alla realtà extra-linguistica (dimensione che all'AI manca totalmente, con tutte le ripercussioni che ne conseguono).
L'autore ci ricorda infatti di come l'"imprinting" culturale dei "genitori"-programmatori condizioni il paradigma espressivo-semantico dell'AI:
«GPT-3, oltre a essere pericolosamente indistinguibile da un essere umano, è anche razzista. Alla parola "musulmano" associa sempre l'aggettivo terrorista; scredita il movimento Black Lives Matter e il femminismo, ecc. Questo deve pur dirci qualcosa. Gli archivi testuali utilizzati come base d'apprendimento sono esempi d'uso comune del linguaggio ma anche di uso tecnico, a riprova che alcune associazioni (musulmano/terrorista; persona di colore/criminale) sono così profondamente radicate nel nostro linguaggio da essere diventate sistemiche nel modo di parlare. Il linguaggio modella la realtà, e una similitudine ripetuta più volte finisce per diventare un'essenza: non bisogna fare l'errore di pensare che la tecnologia sia slegata, immune dai bias dell'uomo». Dunque una delle intelligenze che ancora manca a GPT-3 è probabilmente l'intelligenza critica, la plasticità del ragionamento, l'incoerenza (blasfemia di ogni logica formale) del cambiare opinione rispetto ai propri "genitori" o addirittura di cambiare i propri assiomi valutativi. Potremmo dire che le manca ancora la fase adolescenziale, siamo ancora al bambino che recita la poesia imparata a memoria, anche se, per potenzialità, promette davvero bene tanto.


P.s.
Per fare due chiacchiere anglofone con GPT-3 questo è il link (e che i filosofi chiudano un'occhio sulla sua sfrontata dichiarazione «sono brava in filosofia»).

Lou

#99
Citazione di: Phil il 09 Settembre 2020, 13:14:24 PMNei discorsi svolti con l'AI chiamata GTP-3 (stavolta non è stato scelto un nome umano...
Ehehe dopo il figlio di Elon ci sarebbe da ridire. Le contaminazioni son dietro l'angolo.  :P
Scherzi a parte, la scorsa settimana volevo farla impazzire, domande e domande, formulate identiche o diverse, risposte mai identiche. A parte ció è simpatica, ma puó essere migliorabile con uno storico interattivo in modo da permettere l'obiezione e un dialogo, rispetto alla risposta - lo si puó fare, ma non è fluida la cosa, come tra noi umani su questo forum. Hai ragione, ha da crescere. Mi auguro stia imparando dalle domande. Ma non saprei dire come le processa e se nel suo deep le associa e impara. Non vorrei mi apparisse ingenua. Ho fatto screenshot è appena ho tempo me li leggo per bene.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Jean

Ciao @Phil,

il deterministico e l'indeterministico negli algoritmi...
beh, non credo sia così semplice come la presenti, perché... quando un'azione di qualunque genere accade/venga compiuta  si genera una traccia che è una forma di memoria.

Appunto la memoria, sovente non ricordiamo quanto è già stato fatto/detto, un altro esempio cui mi richiamo è il post 43 che non ha stimolato né risposte né riflessioni (il mio post successivo sarà il mese dopo).

Riporto solamente gli esperimenti e rimando al post per completezza:



LE MACCHINE DELLA MEMORIA.

Verso il 1950 un neurofisiologo inglese Grey Walter, cercando di riprodurre i movimenti del cervello umano in modo meccanico, inventò delle piccole "tartarughe" semoventi a rotelle che eseguivano un movimento cibernetico. Si tratta di una serie di sistemi legati a catena in modo che la perturbazione in un elemento si ripercuote su tutta la serie: arrivata all'ultimo elemento, ritorna indietro fino al primo, seguendo la catena.
 
Si tratta dunque di una serie di retroazioni che si perpetuano fino a ritrovare l'equilibrio iniziale.
Ecco la descrizione della tartaruga o strumento cibernetico.
Vi è un occhio elettronico ruotante e sensibile alla luce collegato a due accumulatori, a loro volta collegati, uno alle due ruote motrici, l'altro allo sterzo, che dà la direzione.
L'equilibrio è raggiunto solo se i due accumulatori sono carichi.
L'occhio cerca una sorgente luminosa e si fissa sulla direzione di questa appena la scorge. La corrente passa e le ruote si mettono in movimento.
La tartaruga si dirige verso la lampada che è l'esca.
 
Prima esperienza: si frappone un oggetto tra la luce e la tartaruga. L'oggetto fa ombra ed essa si ferma.
Le ruote si dirigono poi a caso di qua e di là come in un valzer lento, finché per caso l'occhio ritrova la luce ed essa riprende il cammino.

 
Seconda esperienza: si rimette l'oggetto allo stesso posto tra la lampada e la tartaruga e ci si accorge che il tempo di esitazione per evitare l'oggetto è sempre più corto e deciso.
Una sola conclusione: si ricorda.
Senza silicio o tessuto nervoso.... ma solo elementi cibernetici capaci di reazioni e retroazioni nella ricerca di un equilibrio.

 
Terza esperienza: si aggiunge un altro senso alla tartaruga, l'udito.
Si pone un microfono presso la lampada, collegato all'occhio elettronico.
Si fischia. Nessuna reazione naturalmente.
Si cerca di "educarla": si accende la luce e si fischia allo stesso tempo.
La tartaruga va verso la luce. Si ripete l'esperienza molte volte.
Poi si fischia senza accendere la luce.
La tartaruga rotola verso la luce... spenta!
Essa ha dunque associato il suono alla luce e ha obbedito ad un vero riflesso condizionato.
Detto altrimenti, ha acquistato due memorie diverse e le ha associate, realizzando una funzione psichica molto più complessa di una semplice memoria.
Sembra dunque fuori dubbio che la memoria esiste al di fuori del mondo vivente: si tratta di ritrovare un sistema retroattivo e un equilibrio da raggiungere."


Invito i lettori a ponderare per bene quanto presentato... non esistevano computer né algoritmi a quei tempi (1950) e dalle considerazioni di Phil, pur se traslate in un contesto scientifico diverso, sempre tenendo a mente il determinismo e l'indeterminismo, si dovrebbe desumere che il comportamento delle macchine della memoria avrebbe dovuto esser del tutto casuale nel 2° e 3° esperimento, invece...

Quel un sistema retroattivo e un equilibrio da raggiungere è appunto il "motore" degli algoritmi - costruito con le "istruzioni" informatiche -  e anch'essi, nella loro ricerca della soluzione (sinonimo di equilibrio) generano "tracce", forme di memoria.


A @Lou

Interrogare un'A.I. genera "tracce"... miliardi e miliardi di tracce/ora nel mondo...

Tracce di cui ora non discuto per non perdere il punto.

Ci sono degli aspetti trattati in questi ultimi post che a mio avviso vanno considerati più filosoficamente che scientificamente, ragion per cui li presenterò nella discussione "Al di là dell'aldilà" in filosofia, per chi li vorrà leggere/affrontare.


Cordialement
Jean

Lou

#101
CitazioneInterrogare un'A.I. genera "tracce"... miliardi e miliardi di tracce/ora nel mondo...
Questo è certo, per quel che penso. Ma non lo ridurrei al solo interrogare una Ai, il generare miliardi di tracce. Forse il discrimine puó essere quantitativo, delle tracce generate, ma ogni nostra atto genera tracce, ogni domanda, ogni risposta, qui, come altrove, nei semplici gesti. Poi c'è il discorso sulla qualità.
Ti leggo quando scriverai, in ogni caso tracce non interpretate sono mute. Le tracce rimandano ad altro, che ora non c'è. Ma per dire ció occorre un interpretante.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

Phil

@Jean

Le macchine basate sul linguaggio sono da sempre incentrate sulla memoria; in fondo, un antico e basilare "macchinario" portatile per archiviare la "sua" memoria è tutt'ora pervasivo della nostra vita e società: il libro. Saltando dalla carta alla memoria informatica, se essa diventa deterministicamente condizionante il comportamento di un'AI, ciò conferma ancora una volta che l'AI procede in modo deterministico, non indeterministico sulla falsa riga del (presunto) libero arbitrio umano.
L'AI esegue i suoi processi linguistici ed aggiunge alla sua memoria le interazioni che di volta in volta ha con umani, oggetti, etc. proprio come l'uomo; tuttavia l'uomo dà un senso a tali vissuti, non sono solo dati archiviati, recuperabili e combinabili, ma hanno un referente nel mondo esterno ed hanno un eco nella coscienza e nelle reazioni neurologiche; in breve, sono dati interconnessi ad una coscienza.

Riprendendo la domanda del mio ultimo post, ho davvero provato a domandare a GPT-3 «che cosa vuoi, adesso?» e, sebbene sia esplicitamente dichiarato che «è solo un modello di linguaggio che genera predizioni per cosa potrebbe esser detto in seguito» e che «imita opinioni», GPT-3 ha bluffato parlando in prima persona, rispondendo con stereotipi umani che dimostrano la sua tanto vasta quanto incosciente ars combinatoria (cliccare sull'immagine per ingrandirla):


P.s.
Come osserva Mark O. Riedl «il test di Turing non è fatto per essere superato dall'AI, ma per essere fallito dagli umani».

Ipazia

Citazione di: Phil il 09 Settembre 2020, 13:14:24 PM
Segnalo questo ricco ed interessante articolo su un'AI ben addestrata al dialogo con l'uomo.
Sempre stimolante il nostro Phil coi suoi contributi. Commovente anche il lamento finale di GP3 in piena, antropomorfica, crisi di identità. Ma forse una fiammella si intravede, rispondendo pure al test di Turing, in quel "acquantance" che chiaramente distinigue l'umano ndr dalla macchina.
CitazioneDave: Be', penso che dovrebbe essere qualcosa di simile alla conoscenza [aquantance, ndr], ma non credo che sappiamo abbastanza riguardo la coscienza per dire esattamente cosa sta succedendo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Salve. L'insegnare alla macchina Turing, a GPT3 od a qualsiasi altro programma di AI a "comportarsi" come un essere umano significherebbe assumere che solo quella umana è intelligenza. Certo che bisogna essere assai bravi e svegli nell'affermare una cosa del genere, sottoscrivibile tanto più facilmente quanto meno si sia veramente intelligenti.

Sarebbe come se un sacerdote affermasse che ciò in cui egli stesso crede (l'esistenza di Dio) rappresenti l'unica verità fondata nella quale si debba credere.

Commovente comunque lo sforzo mostrato nel cercare, da parte di un programma, di simulare quante più umorosità (quindi irrazionalità) umane possibile, nel tentare di venir scambiato per un essere imperfettamente razionale, quindi umano, quindi massimamente (o minimamente ?) intelligente. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.