L'innocenza nella lingua, nella poesia... Nel pensiero, nella storia...

Aperto da PhyroSphera, 15 Maggio 2024, 10:35:28 AM

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PhyroSphera

Evoluzioni linguistiche e non solo...

La parola latina culpa aveva tanti usi, tra cui anche quello sessuale, potendo indicare le trasgressioni amorose. Io notai, semplicemente considerando la differenza tra mentalità pagana e cristiana, che l'uso latino antico non riguardava codici morali. Mentre noi italiani nella nostra lingua neolatina potremmo usare il termine corrispondente colpa per indicare un adulterio, una mancata promessa o un ripensamento grave, i latini definivano la minore o insufficiente soddisfazione, secondo una concretezza di fondo e non solo idealmente, quindi con riguardo proprio all'atto sessuale.
Questa osservazione fu per me assai significativa: mi ritrovai infatti, per il solo tramite linguistico, a ricostruire la vicenda dell'abbandono dello stato di natura da parte dell'umanità, il sopravvenire di un giudizio di stima, circa l'amore carnale.
D'altronde l'antica lingua latina non era un fenomeno unitario. Leggendo i poeti classici latini, io non sempre usavo mentalità romana. In questo non difettavo di comprensione. Si tratta infatti di scritti che letterariamente non sono definibili romani. A prescindere dalle interpretazioni che ne dava il mondo romano, si presentavano delle alternative non tutte compatibili. In particolare, notavo che se la poesia di Catullo poteva essere ascritta alla umanità oramai separata dallo stato di natura, non era questo il caso di Ovidio. Alcuni sublimi versi di Ch. Baudelaire su di lui mi resero meno solitario: c'era qualcun altro che aveva avuto le mie stesse comprensioni!
La lettura della Vulgata, la Bibbia latina, mi mise invece a contatto con una realtà radicalmente diversa da quella della poesia di Ovidio. L'amarezza del grande poeta in esilio non era un pensiero commensurabile alla semplicità e genericità dei Salmi della Vulgata. In questi si offriva una indistricabile molteplicità di sensi e significati ad esclusione di altri. Era come camminare per le strade di Roma antica al tempo della decadenza dell'Impero, quando gli incontri sempre diversi imponevano dei gesti diversi e non tutti potevano esprimere sé stessi...
Nelle Lettere dal Ponto, l'autore esprimeva un grave paradosso. La punizione data dall'Imperatore al poeta seduttore assumeva qualcosa di sinistro e poi di impotente, a fronte della evocazione, in realtà compiaciuta, della barbarie di quei luoghi. Due mondi a confronto! Traduzioni non universali a parte, nella Bibbia si dice di coloro che non trasgredirono come Adamo. Cioè di storie diverse, in cui la Caduta è quella altrui, la civiltà non è lontana dalla natura, la sessualità non è circondata da stime ma vissuta ancora in semplicità. Nella traduzione della Bibbia fatta per il popolo, queste storie non apparivano più; e ancora adesso non appaiono nei sinistri proclami del Vaticano, dove si pensa solo parte della natura umana e si trasforma quell'antica stima in sentenza.

La ricerca quasi disperata di Baudelaire di qualcosa di nuovo, al termine del suo viaggio attorno al mondo e del suo grande componimento Il viaggio, sembrarono a molti la soluzione per una civiltà occidentale stanca ed esautorata; ma il poeta francese titolava la sua raccolta I fiori del male. Tante generazioni si perdevano e si perdono nella inconsapevolezza, illuse di rivoluzioni e cancellazioni, sotto il grande giudizio estetico del primo poeta simbolista francese.
Così appaiono tante figure di filosofi, ridotte a semplici comparse: Marx ed Engels, Nietzsche, Heidegger, Sartre... La religione come oppio dei popoli, il cristianesimo come debolezza... Il disastro del nazismo in Germania, la sconfitta del comunismo in Russia... Materialità e sessualità mortificate, speranze di riscatto deluse... L'illusione 'di aver trovato i veri colpevoli' senza andare al fondo della nostra cultura, anche nella spiritualità e religione, per capire in realtà quali siano gli autentici messaggi sui quali è stata basata e si può fondare la nostra convivenza.
Davvero tutti i guai vengono dal pensiero greco, come tra i tanti ha detto il pensatore E. Severino e ripetuto il professor Galimberti, oppure ritornare all'antico mondo culturale greco pone in condizioni di capire cosa è veramente fondamentale per la nostra morale, cosa necessario per la nostra etica? Non è forse attraverso il concetto (greco, oltre che biblico) della metanoia che si può comprendere cosa sia, liberamente e senza prepotenze culturali, un pentimento?
E se davvero non si vuole questo, perché allora si teme la barbarie e non ci si accorge che una civiltà e cultura pretendevano e pretendono universalità ma sono incapaci di rappresentare tutti? Non è meglio barbari che primitivi incapaci di progresso e inetti alla vita selvaggia?
La storia deve essere raccontata e gestita secondo la caduta nella vergogna, la civiltà del vestito; il continuo rinnovo della caduta di Roma antica? Continuando ad aggrapparsi a tutto questo come ragione di vita, ma in definitiva motivo di morte?


Mauro Pastore

PhyroSphera

Citazione di: PhyroSphera il 15 Maggio 2024, 10:35:28 AMDavvero tutti i guai vengono dal pensiero greco, come tra i tanti ha detto il pensatore E. Severino e ripetuto il professor Galimberti, oppure ritornare all'antico mondo culturale greco pone in condizioni di capire cosa è veramente fondamentale per la nostra morale, cosa necessario per la nostra etica? Non è forse attraverso il concetto (greco, oltre che biblico) della metanoia che si può comprendere cosa sia, liberamente e senza prepotenze culturali, un pentimento?
In verità Galimberti ha imputato tutti i nostri guai a Platone. Non c'è dubbio che il pensiero di Platone sia greco. Ci si potrebbe chiedere se esso è stato rifiutato da Galimberti proprio in quanto pensiero greco. Apparentemente no. Galimberti anzi ha dichiarato spesso di essere greco, in ragione di un proprio presunto senso del limite. In verità io non ritengo vera questa dichiarazione. Molto semplicemente, della grecità riferita da Galimberti faceva parte anche la hybris, segno storico di una realtà per nulla dominata dal senso del limite. Non mi risulta che la hybris fosse una caratteristica della non grecità. A riguardo non bisogna restare a quanto si dice sui greci quando li si vorrebbe fare uscire dalla propria cultura e storia. Ci vuole attenzione non solo ai limiti anche alle negatività della esistenza, senza idealizzazioni.
Galimberti altresì non ha proprio considerato il cristianesimo greco. Per lui la metanoia sarebbe di fatto estranea allo spirito cristiano e invece non è così. Secondo la vulgata di Galimberti il cristianesimo sarebbe per chi non ha previo senso del limite. Questa è una solenne sciocchezza, perché il cristianesimo esiste in ragione — non in virtù! — di eventi negativi che superano le capacità umane non per rimediare a una ignoranza dei limiti.
A parte tutto questo, possiamo dire che, ammesso e non concesso che Galimberti non rifiuti di Platone la grecità, nondimeno il male che gli imputa viene pur sempre da il pensiero greco, proprio come ho detto io.
È davvero deprecabile che certe dichiarazioni pubbliche di Galimberti pongano serie difficoltà proprio a chi ha qualcosa di molto serio da dire sulla grecità.

Mauro Pastore

Ipazia

Galimberti è un piazzista, un pataccaro. Purtroppo, la storia della filosofia e l'esegesi connessa si prestano a questo genere di "esperti", che costruiscono le loro fortune editoriali sul nulla, riscontrabile anche praticamente oltre che metafisicamente. Il pensiero greco è variegato è chi lo indaga da specialista le differenze le vede, a differenza del pataccaro.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Non entro nel merito della discussione ma su questo:
Citazione di: Ipazia il 15 Maggio 2024, 21:33:35 PMGalimberti è un piazzista, un pataccaro. Purtroppo, la storia della filosofia e l'esegesi connessa si prestano a questo genere di "esperti", che costruiscono le loro fortune editoriali sul nulla, riscontrabile anche praticamente oltre che metafisicamente. Il pensiero greco è variegato è chi lo indaga da specialista le differenze le vede, a differenza del pataccaro.
Non sono un fan sfegatato di Galimberti ma dire che è un pataccaro andrebbe indagato come sintomo di qualcosa che tende ad abbassare il livello di tutto. Come se i principi democratici avessero l'effetto (già ampiamente scrutato da Tocqueville) di chiedere "democraticamente" che tutti condividano l'ignoranza. Ad ogni modo basta leggere un qualsiasi libro di Galimberti per dedurre che la sua valutazione sul pensiero greco è tutt'altro che polarizzata. Persino Platone viene valutato nelle sue molteplici facce, senza che ne dia un giudizio "solo" negativo (il che sarebbe stupido ed impossibile). Il nemico di Galimberti, sulla scia dell'Heidegger visto da sinistra è la "tecnica" non il pensiero greco, a cui riconosce l'esplicitazione di valori che andrebbero riscoperti come la politica e l'etica, momenti di opposizione a ciò che è reale perché "funziona" e funziona perché è tecnicamente competente, senza chiedere cosa funziona e cosa potrebbe funzionare altrimenti.
Per non parlare della sua biografia, visto che Galimberti è davvero un One-Self-Made-Man, con dieci fratelli e un padre operaio se ne andò a lavorare in fabbrica per due anni per pagarsi gli studi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

bobmax

Galimberti è una brava persona.
È in buona fede. L'ho constatato di persona, avendo avuto modo di confrontarmi direttamente con lui in più occasioni.

Ha dato tanto, e studiato tantissimo.
Tuttavia non è filosofo.
Come d'altronde non lo è quasi mai un professore universitario.
Per il quale la filosofia coincide con la propria erudizione.
Mentre la filosofia non è mai erudizione. Che è mera lettera morta, se non rivitalizzata dallo spirito.

Così Galimberti, come tanti altri, cade nell'equivoco di scambiare per reale ciò che è solo metafora.
I greci rappresentano il passaggio dal mito al consolidamento razionale, dall'intuito alla rigidità logica.
Ne sono solo una metafora.

È la stessa umanità che sta evolvendo.
Imboccando decisamente il sentiero della notte (altra metafora).
E perciò la tecnica, e perciò il nichilismo.
È tutto nell'ordine delle cose.

Non vi è nessuna isola della razionalità circondata dal mare della irrazionalità (metafora di Galimberti e pure sbagliata, ma motivata dalle sue buone intenzioni).
Galimberti ha tradotto tantissimo di Jaspers, ne era discepolo. Sebbene non lo abbia fatto suo.
Ognuno di noi fa quello che può.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

PhyroSphera

Quest'oggi ho fatto tappa in libreria dove ho dato un'occhiata a un libro, Sull'arroganza, Saggio di psicoanalisi, di G. Civitarese; e ho ripensato a questa discussione qui su questo forum.

Arroganza o hybris... Quale patologia da curare, anche della stessa psicoanalisi — dall'autore purtroppo ridotta a una, quella malsana dei freudiani "ortodossi" ossessionati dalla figura mitica di Edipo, la quale essi non comprendono nel suo valore archetipico e nella sua non centralità psichica, oltre che non unicità... O quale natura ineliminabile del soggetto umano.
Certo nel libro si usa un linguaggio pessimo... Difatti dire hybris non è come dire psiche: quest'ultimo è termine acquisito, il primo solo importato... L'autore oscilla tra linguaggio di stampo criminologico — l'arroganza, che è pure dei molestatori... — ed espressione di tipo etnico — la hybris, che è un concetto universalizzabile a patto di non fraintendere o abusare la cultura greca classica, dai freudiani e i loro compari trattata come un cadavere illustre, essendo invece anche un retaggio vivo...
Tuttavia (linguaggio a parte) si avvia una critica al sistema sanitario comunemente imperante, che appunto convince o obbliga o seduce a trattamenti tesi a eliminare l'ineliminabile, a produrre sorta di gentilezza, irreale, tendendo, in casi estremi di apparente insopportabile aggressività, direttamente verso la non-vita (questo non lo ho trovato scritto in suddetta pubblicazione, durante la mia rapida, brevissima ma strategica scorsa di alcune sue pagine).

Insomma la vera e propria hybris è un dato connaturato alla vita greca, la cui manifestazione è a torto imitata e avversata. Anche il mondo non greco ne ha il corrispettivo. Direi che unitariamente, antropologicamente, si potrebbe definire tale elemento: pre-potenza, non nel senso necessario di ignoranza dei limiti.


MAURO PASTORE

PhyroSphera

Citazione di: PhyroSphera il 23 Ottobre 2024, 00:12:59 AMInsomma la vera e propria hybris è un dato connaturato alla vita greca, la cui manifestazione è a torto imitata e avversata. Anche il mondo non greco ne ha il corrispettivo. Direi che unitariamente, antropologicamente, si potrebbe definire tale elemento: pre-potenza, non nel senso necessario di ignoranza dei limiti.


MAURO PASTORE

Forse la mia scrittura è parsa contraddittoria agli ingenui, da qui le non risposte. Faccio una precisazione.

Ignoranza del limite: senza dubbio nella vita accade necessariamente e va gestita oltre che colmata.
Prepotenza: un po' ne abbiamo e dobbiamo averne e ciò, assieme alla ignoranza, definisce un fattore di rischio connaturato alla nostra esistenza di umani.
L'andare oltre i limiti: non prepotenza (nel senso di pre-potenza), ma qualcosa di più; non semplice arroganza. Da un punto di vista greco, si distingue tra hybris e violazione in presenza della hybris; e chi non fa questa distinzione scambia la grecità per gli eventuali torti di alcuni greci o per un arbitrio superiore. Il greco in questa illusione è destinato alla propria sciagura, oltre che all'oblio di sé; il non greco a un sogno su inesistente umanità. Nessuno verrà a salvare con le proprie scelte superiori o se verrà qualcuno ad aiutare o a opporsi non sarà riconoscibile fin quando non verrà meno quel sogno sull'arbitrio assoluto. Per questo motivo l'ortodossia greca non ebbe bisogno di fare riflessioni su libertà e non libertà dell'arbitrio e il cristianesimo ortodosso si confronta diversamente dal cattolicesimo con la Riforma protestante.

Insomma: il Cristo non ha lo scopo di sopperire all'ignoranza dei limiti ma serve a far fronte a una situazione in cui l'umanità da sola non basta; la hybris non è una trasgressione: essa può diventare occasione di violazione, il che è diverso dal pensiero che la concepisce come una negatività da sopprimere.


MAURO PASTORE

PhyroSphera

Sento il bisogno di aggiungere altro, di fare il punto su quanto da me detto con una analisi, per evitare oscurità e per il prosieguo (eventuale) della discussione.

Si possono distinguere vari piani nel discorso, così come andatosi sviluppando:

1) psicologico: la pre-potenza quale modalità insita nella nostra natura;
2) etnologico: la pre-potenza quale hybris nel mondo greco, quale semplice arroganza nel mondo non greco, naturalmente cioè senza problemi di sorta;
3) patologico: la hybris o arroganza non in quanto natura ma in qualità di atto in una fattispecie a rischio di possibili negatività ed eventuali problematicità, ad esempio incapacità di usare le maniere giuste nei rapporti sociali ponendosi sempre oltre convenzioni necessarie, difficoltà ad esprimere sentimenti amorosi cui comunicazioni frammiste a pretese non confacenti, et cetera - sempre sul piano della semplice incapacità, non dell'eccesso di troppo (se proprio affermassimo un problema dell'eccesso di troppo, ci porremmo in conflitto con la naturalità psicologica, etnologica);
4) criminologico: la pre-potenza che si fa prepotenza vera e propria con l'ignoranza del limite e la decisione arbitraria, l'azione temeraria priva di considerazioni adeguate che volontariamente protratta entra in una logica compromettente, fino alla colpa e quindi, se in conflitto con la vita e le léggi, fino al delitto e al crimine.

- Nel primo messaggio della discussione la denuncia di un puritanesimo di troppo rispetto al quale preferibile la pura barbarie anziché la continuazione civile in condizioni antivitali, l'affermazione contro la cieca repressione sessuale attuata in nome della religione cristiana ma per negarne una possibilità, corrispondente alla storia e mentalità greche.
- La polemica contro una visione distorta del cristianesimo quale mero strumento per rimediare alla non accettazione dei propri limiti e lo smascheramento di una concezione sbagliata della grecità quale perfetto e totale equilibrio o, altrimenti, trasgressione direttamente prepotentemente tragica.
 - Il riferimento alla psicoanalisi che descrive una afflizione, cioè la negazione a discapito di una naturale arroganza o hybris nella nostra mente, impresa mortificante in cui coinvolto parte del mondo della stessa psicologia (psicoanalisi compresa), il quale va fuori dal còmpito di provvedere a risolvere le incapacità patologiche ed entra in una logica criminosa o criminale di repressione e impedimento (nell'abuso di tutela e nelle costrizioni), ai danni della naturale pre-potenza e in particolare contro la sua vitalità greca di hybris.

Ma soprattutto, nel primo messaggio, il richiamo alla poesia, che testimonia un mondo, non chiuso o aperto o partecipante alla cristianità, le cui trasgressioni non sono colpe, che non ha mai vissuto il passaggio da una ingenua primitività a una severa etica civile e che vive la sessualità senza ricorrere a moralismi. Un mondo cioè i cui codici sono diversi e che in realtà non è lontano o meno che lontano anzi che è in fin dei conti presente ancora, nonostante si tenti di rimuoverne i segni.


MAURO PASTORE

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