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Enigma, tra mito e arte

Aperto da doxa, 18 Ottobre 2020, 17:37:47 PM

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A volte cerco l'etimologia di una parola e rimango coinvolto nelle sue diramazioni. Mi è capitato anche ieri con il lemma "enigma".


"Enigma": questo sostantivo di origine greca allude ad un indovinello oppure  ad un breve componimento che esprime un concetto nascosto, da trovare tramite l'interpretazione delle metafore e delle allusioni presenti nel componimento stesso.

Etimologicamente "enigma" deriva da "ainìgma" (dal verbo "ainìssomai"),  che allude al "parlare oscuro".


Per gli antichi Greci l'ainìgma era una delle tre forme di comunicazione; le altre due erano "semaìno" (= spiegare) ed "ekphràzo" (= mostrare).

Le divinità comunicavano con gli individui tramite enigma. Il dio Apollo se ne serviva quando voleva rivelare la storia e il destino degli umani.

Che l'enigma sia molto più di un semplice espediente letterario del pensiero mitico, ce lo conferma il filosofo Aristotele, quando afferma che la natura dell'enigma è di "congiungere cose impossibili nel dire cose reali" (Poetica, 1458 a 26 -30).

Pur essendo un modo paradossale, perciò selettivo di comunicare, l'enigma non è un ostacolo alla rivelazione, ma chiede impegno per poterne capire il significato.


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Si narra che fu la Sfinge la prima a porre una domanda enigmatica.

Nell'antica lingua greca il nome  Sfinge significa "strangolatrice", ma Eschilo afferma che la sfinge mangiava le persone.

Nell'arte antica veniva rappresentata in forma di mostro con diverse sembianze.

Le sculture delle sfingi erano generalmente collocate vicino a strutture architettoniche come le tombe reali o i templi religiosi.

La più antica  scultura  di sfinge conosciuta è  del 9.500 a. C. circa ed è stata trovata vicino a Göbekli Tepe (in lingua turca significa "collina tondeggiante"), un sito archeologico in Turchia, al confine con la Siria.

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Nella  mitologia dell'antico Egitto la Sfinge, in quanto immagine del sovrano, è prevalentemente maschile, ma c'erano anche  sfingi femminili, personificazioni di regine.

La regina Hetepheres II, della quarta dinastia (Museo de Il Cairo)

Nel simbolismo regale, la Sfinge appare la proiezione magica della duplice natura umana e divina del faraone.

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Di solito le sfingi egiziane erano di tre tipi con corpo leonino (a volte anche canino):
   
androsfinge: ha il corpo di leone e la testa con sembianza umana;

ieracosfinge: corpo di leone e la testa che raffigura quella del  falco;

criosfinge: corpo di leone e testa di capra


Androsfinge

Egitto: necropoli di Giza, la "Grande Sfinge, raffigurata sdraiata; ha la testa di uomo e il corpo di leone, perciò anche detta androsfinge o sfinge andricefala". La scultura è in pietra calcarea dell'altopiano di Giza, a sud della capitale: Il Cairo.
E' la più grande statua  monolitica tra le sfingi egizie: è lunga 73 metri (dalla coda alle zampe anteriori), alta 20 metri (dalla base alla punta della testa) e larga 19 metri; la sola testa ha un'altezza di 4 metri.

L'androsfinge veniva raffigurata con sulla testa il nemes: copricapo di lino, con due ampi lembi ai lati che scendevano sulle spalle e sul  petto. Il nemes veniva   decorato con strisce alternate di colore blu e oro.





Il nemes veniva  indossato dagli antichi sovrani egizi per simboleggiare la natura divina del faraone, figlio di Ra, il dio Sole. Al centro del nemes c'è l'ureo, l'immagine del serpente cobra, aveva la funzione di amuleto per la protezione del sovrano.

androsfinge alata del 480 a.C., originariamente facente parte del palazzo (situato a Susa) di Dario "il Grande" (impero persiano).




ieracosfinge

Il nome "ieracosfinge"  fu coniato dallo storico greco Erodoto (484 a. C. circa – 430 a. C. circa) per le sfingi a testa di falco che vide in Egitto.


criosfinge


criosfinge: raffigura un leone con la testa di capra., simbolo della forza fisica e dell'energia fecondatrice del dio Amon-Ra, in quanto in sé riuniva la forza del leone e l'ardore delle capre.

Sono criosfingi le statue collocate in fila a Luxor, l'antica Tebe, e nei dromos dei templi dedicati ad Amon sia a karnak sia a Napata.

Anche il nome "criosfinge" venne coniato da Erodoto.

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La sfinge  nella mitologia ellenica

Nell'antica Grecia  le sculture di sfingi, maschili e femminili, sono presenti  sia nel periodo miceneo sia in quello minoico;.


Solo successivamente la figura femminile  fu dominante. Inizialmente la Sfinge poteva essere alata o non alata, con barba, con zampe di altri animali oltre al leone.

In Grecia la sfinge divenne alata e femminile solo dal VI secolo a.C..
 
Una coppa del 550-540 a.C. mostra sfingi femminili alate con accanto il nome.
 
La Sfinge fu l'emblema della città-stato di Chio e comparve sui sigilli e sul lato rovescio delle monete della città dal VI secolo a.C. al III secolo d.C.

Diversamente dalla Sfinge protettrice egizia, quella della mitologia greca uccideva chi non sapeva rispondere ad un suo enigma.

Nelle culture coeve egizia e greca la postura del corpo  della Sfinge è diversa: la sfinge greca non è distesa sulla pancia ma è seduta sulle zampe posteriori, col busto eretto e le mammelle sporgenti. Essa non è un simbolo protettivo dell'aldilà del faraone sepolto nella piramide,  ma un terribile mostro, simbolo di forza perversa e distruttiva, descritta anche nel mito e nel dramma di Edìpo.


Sfinge greca del VI – V sec. a. C.,  da Selinunte (prov. di Agrigento).

Il mito narra che dall'Etiopia la Sfinge fu mandata a Tebe (città greca nella Beozia) dalla dea Hera per vendicare la morte  di Crisippo, ucciso da Laio, re della città, e marito di Giocasta.


L'oracolo di Delfi  raccomandò a Laio di non avere figli da sua moglie o il figlio l'avrebbe ucciso e avrebbe sposato Giocasta. Ma una notte, mentre Laio era ubriaco, si unì alla donna, la quale concepì un figlio.

Per timore dell'avverarsi della profezia dell'oracolo,  il neonato fu abbandonato sul monte Citerone, ma  fu trovato da un pastore che lo chiamò  Edìpo, poi lo diede a Polibo e Peribea, sovrani di Corinto che lo crebbero.

Da un ragazzo di Corinto il giovane Edipo seppe di non essere un principe ma un "trovatello", perciò volle conoscere la verità sui suoi genitori. Andò dall'oracolo di Delfi,  questo non rispose al suo interrogativo ma gli predisse che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre. Edipo inorridito, e convinto che i suoi veri genitori erano Polibo e sua moglie, fuggì da Corinto per andare lontano, verso Tebe.

Il fato gli fece incontrare Laio, che si stava recando a Delfi per interrogare l'oracolo,  dopo aver avuto il presagio che il figlio stesse tornando per ucciderlo.

La strada era stretta e re Laio chiese al giovane di farsi da parte per far passare la sua carrozza trainata da cavalli.

L'arrogante Edìpo, ignorando che l'uomo che gli stava di fronte era suo padre, non solo non gli dette la precedenza, ma ruppe il timone di quel carro, poi sfoderò la spada e uccise  sia il sovrano  sia l'araldo che era con lui,  anche perché uno dei cavalli gli aveva pestato un piede.

Poi Edipo, come se nulla fosse accaduto,  si diresse verso Tebe.

Vicino ad una delle porte d'ingresso fu fermato dalla Sfinge, con volto e petto femminili, corpo leonino. Era su una vicina altura  e chiedeva ai viandanti di  rispondere a un enigma o indovinello per consentire il loro  passaggio. Chi sbagliava lo uccideva.

L'enigma più ricorrente era: "Qual è l'animale che di mattina cammina a quattro zampe, a mezzogiorno con due e alla sera con tre?".

La Sfinge disse lo stesso indovinello a Edìpo. Il ragazzo meditò per un po', poi rispose: "L'animale è l'uomo che da bambino procede  sul pavimento aiutandosi con le braccia e con le gambe;   da adulto cammina sulle due gambe; da vecchio usa un bastone come sostegno durante il cammino".

Sconfitta, la Sfinge si gettò in un baratro e morì.

Edìpo poi si unì a Giocasta, ma questa è un'altra storia...

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"Et quid amabo nisi quod aenigma est?" (= E che cosa amerò se non l'enigma delle cose?) scrisse  Friedrich Wilhelm Nietzsche, il filosofo tanto ammirato da Giorgio De Chirico, il quale trascrisse la frase sul suo "Autoritratto", realizzato nel 1911. Vedere sulla cornice in basso.


L'enigma: questo è l'interesse di De Chirico  nella sua pittura metafisica. Per lui e per Nietzsche la realtà  è da interpretare per cercare il significato immanente delle cose.

In numerosi suoi quadri questo pittore  dipinse scene enigmatiche per rappresentare ciò che è oltre l'apparenza della realtà, che è al di là dell'esperienza sensoriale.  Ci sono sovente piazze soleggiate e vuote o con  rare presenze umane, di solito  in atteggiamenti statici, inoltre,  statue, manichini, busti di gesso, monumenti, portici. Le ombre diventano elementi narrativi complessi ma anche enigmatici.

Il tema dell'enigma servì a questo artista per titolare alcuni suoi dipinti, che vi presento



Giorgio de Chirico, "L'enigma dell'oracolo", 1910.

A sinistra una figura di spalle sul bordo estremo di un terrazzo senza ringhiera di protezione; sembra avvolto come una mummia.

Ancora a sinistra, in alto, la veduta parziale di una tenda, mossa dal vento, che  permette la veduta  del paesaggio sottostante.  Sulla destra, più in ombra, un'altra tenda scura nasconde in parte una statua classica: se ne vede solo la testa.

Per questo quadro forse De Chirico fu influenzato dal dipinto titolato "Ulisse e Calipso", del pittore  svizzero Arnold Bocklin (1827 – 1901).


Arnold Bocklin, "Ulisse e Calipso", 1883, Basilea, Kunstmuseum

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La genesi della pittura metafisica  di De Chirico è individuabile in questo dipinto



"L'enigma di un pomeriggio d'autunno", 1910.

Lo realizzò dopo un'esperienza sensoriale avuta a Firenze in piazza Santa Croce.


La luce del sole autunnale illuminava la statua di Dante Alighieri (che è al centro della piazza) e la facciata del duomo. De Chirico ebbe la sensazione di trovarsi in quella piazza per la prima volta. E fu motivato a dipingerla diversa, in uno spazio limitato, con la quattrocentesca cattedrale di Santa Maria del Fiore in stile gotico immaginata  come un  antico tempio greco  e il monumento a Dante come una statua antica.

Un altro dipinto  enigmatico



Giorgio de Chirico, "L'enigma dell'arrivo e del pomeriggio", 1911/1912

In questo dipinto lo spazio è attraversato orizzontalmente da un muro di mattoni rossi. C'è la contrapposizione tra luce e ombra. Fra il passato, "incarnato" nelle due figure poste  sul bordo della scacchiera,  e il futuro,  individuabile nella vela mossa dal vento "là oltre il muro".

In questo quadro De Chirico affronta il tema dell'eterno presente. La riflessione sul tempo è un capitolo fondamentale della filosofia. 

Cos'è il tempo ? Non è un attributo dell'universo ma è una dimensione costruita dalla nostra mente per comprenderlo.  Il tempo considerato come dimensione induce a calcolarlo (con l'orologio), a distinguere gli eventi tra passato, presente e futuro. 

Il passato ed il futuro esistono solo in relazione al presente: dal tempo presente si diramano due vie, una verso il futuro infinito, l'altra verso il passato infinito.  È la nostra percezione a darci l'impressione del "trascorrere del tempo". In realtà, il tempo non scorre, il tempo "è". Come Dio, è eterno presente. 

L'eternita' non si può' misurare, eppure, per chi ci crede,  il Dio Eterno abita nell'eternità, senza inizio né fine, perché Dio trascende il tempo. 

Eternità significa  sia infinita estensione del tempo sia assoluta atemporalità, senza successione temporale; in questa seconda accezione l'eternità è riferita specificamente a Dio. 

L'antico filosofo Parmenide di Elea (polis della Magna Grecia) identificava l'eternità come un continuo presente, che esclude il passato ed il futuro. L'attimo, il presente, l'hic et nunc, il "qui e ora" è la vera realtà temporale, mentre l'eternità è  un'astrazione.
Se in questo post dedicato al tempo e all'eterno presente ci sono delle inesattezze vi prego di evidenziarle.

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Giorgio De Chirico, "L'enigma dell'ora", 1911. Il titolo originale del dipinto è in lingua francese: "L'enigme de l'heure".

Nell'immagine il  portico, sovrastato da una loggia, occupa quasi l'intero spazio della tela. Nell'ombra una figura umana immobile aspetta nella seconda arcata da destra.

I raggi del sole pomeridiano (lo si può dedurre dalla luce proveniente sulla sinistra guardando il quadro) sfiorano una vasca con uno zampillo d'acqua e illuminano la donna che è di spalle, vestita di bianco. 

In questo quadro non ci sono statue ma tre figure umane: la donna di spalle in primo piano sembra stia fotografando l'orologio; la seconda figura  è l'uomo quasi nascosto nell'ombra della seconda arcata da destra;  la terza figura, quasi assente nel dipinto, è  poggiata sulla balaustra nella loggia superiore, sulla sinistra  guardando l'orologio.


Un altro dipinto "enigmatico" 



Giorgio de Chirico, L'enigma di una giornata, 1914; olio su tela, Museu de Arte Contemporânea da Universidade de São Paulo, Brazil


Poggiati sul podio dove c'è la statua al centro del dipinto, ci sono  tre palle di cannone e una bombarda.


Alla sinistra del monumento si vedono le ultime arcate di un portico.

In lontananza si vedono due indistinte figure umane, la solita ciminiera e la torre bianca, la quale, secondo l'autore, simboleggia l'infinito.

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Giorgio De Chirico: "Enigma di un giorno", 1914

Le arcate del porticato si restringono nella fuga prospettica. In fondo ci sono due ciminiere.


Anche in questo quadro si vedono in lontananza due piccole sagome umane.

Al centro  domina la statua nella postura declamante.


Nello stesso anno De Chirico realizzò anche "Enigma della partenza"


Giorgio De Chirico, "Enigma della partenza", 1914, olio su tela; Fondazione Magnani-Rocca

De Chirico considerava  la partenza come momento che trasforma l'individuo in soggetto errante.


Sulla strada la luce solare proietta due ombre, prodotte  dall'interposizione della statua marmorea e da una persona non visibile.

Sulla sinistra il portico, sovrastato da un piano superiore. in fondo  a questo edificio ci sono due piccole figure umane; in  lontananza la ciminiera, simbolo dionisiaco maschile, secondo l'autore.

La casa sulla destra evidenzia il rapporto tra esterno ed interno dell'abitazione. Nell'oscuro interno si vede una finestra che si apre  verso il mare dove c'è una barca a vela.

Vela e mare sono simboli nietzschiani, metafore delle avventure della mente e di un itinerario dello spirito tra gli enigmi dell'esistenza. Voi dite che è così ?

Nel piano superiore dell'edificio c'è una persiana spalancata ed una persona affacciata alla finestra.

The end
p. s.  se ne avete, sono gradite  ulteriori notizie  e precisazioni

viator

#9
Salve doxa. Complimenti per il tuo "excursus" storico-cultural-artistico.Purtroppo, non essendo io personalmente interessato nè alla storia antica, nè all'arte umana.....(ti chiederai : ma da che si fa coinvolgere, costui ?), mi limito a condividere con te l'interpretazione del senso del tempo, estendendola secondo il mio parere.

Il tempo altro non è che la modalità attraverso la quale la nostra percezione psichica e poi quindi mentale, riesce a strutturare (è obbligata, costretta a strutturare) il fluire degli eventi intesi come successione ordinabile di cause ed effetti. In particolare, dovrei affermare che "il tempo è la dimensione unicamente nostra ed interiore al cui interno percepiamo gli effetti dell'esistenza dell'energia".


Infatti gli eventi, consistenti nel divenire (degli effetti) in quanto conseguenza dell'essere (delle cause), consistono semplicemente in variazioni o spostamenti di energia all'interno di quel certo ambiente.


Simmetricamente, si dovrà dire che il complementare del tempo (lo spazio) altro non sia che "la dimensione al cui interno percepiamo l'esistenza della materia".


Infatti l'essere, inteso come stare in quanto conseguenza dell'essere immoto, consiste semplicemente in ciò (la materia) che si oppone - assorbendola o riflettendola - alla diffusione dell'energia. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

doxa

#10
Grazie Viator per la tua interessante collaborazione.

Hai scritto
CitazioneIl tempo altro non è che la modalità attraverso la quale la nostra percezione psichica e poi quindi mentale, riesce a strutturare (è obbligata, costretta a strutturare) il fluire degli eventi intesi come successione ordinabile di cause ed effetti. In particolare, dovrei affermare che "il tempo è la dimensione unicamente nostra ed interiore al cui interno percepiamo gli effetti dell'esistenza dell'energia".

Infatti gli eventi, consistenti nel divenire (degli effetti) in quanto conseguenza dell'essere (delle cause), consistono semplicemente in variazioni o spostamenti di energia all'interno di quel certo ambiente.

Simmetricamente, si dovrà dire che il complementare del tempo (lo spazio) altro non sia che "la dimensione al cui interno percepiamo l'esistenza della materia".


In merito ti voglio far leggere parte di un articolo scritto dal neurologo e neurochirurgo Arnaldo Benini , riguardante "I meccanismi del cervello", pubblicato su "Il Sole 24 Ore" del 29 – 4 – 2018.

"Quando guardiamo l'orologio per sapere l'ora, a che cosa attribuiamo il valore numerico che il quadrante ci comunica? Un orologio non ha significato fin quando non diventa un dato dell'autocoscienza, cioè fin quando un cervello umano non lo guarda e non collega il suo segnale ad un processo che sente essere presente e costante, e della cui esistenza il cervello sano non dubita: il tempo. Il dato dell'orologio non coincide sempre con ciò che chi lo guarda prova dentro di sé circa il tempo, perché esso è una categoria variabile della vita. Nondimeno sentiamo che la vita scorre e che la natura cambia ciclicamente nel tempo, in modo regolare e ordinato.

La fisica nega la realtà del tempo, che altro non sarebbe che un'illusione tenace. A che cosa si attribuisce il valore numerico dell'orologio, se il tempo non esiste? Come si può misurare l'inesistente? L'irrealtà del tempo postulata dalla fisica è un modello matematico sostenuto sulla base di sole equazioni. Il senso che non solo gli esseri umani, ma tutti gli esseri viventi con sistema nervoso, hanno del tempo è uno dei tralicci coi quali è organizzata la vita nello spazio a tre dimensioni. Lo spazio tridimensionale è prodotto da meccanismi nervosi che il genoma trasmette da una generazione all'altra.


Il mondo tridimensionale non corrisponde alla realtà, ma è un prodotto della selezione naturale che ci fa vivere in un ambiente più gradevole, e quindi più favorevole alla conservazione della specie, di quello reale: non riusciamo nemmeno ad immaginare che cosa sarebbe la vita se percepissimo la terra su cui siamo che gira a velocità altissima su sé stessa e attorno al sole. Già Galileo, prima di Kant, aveva intuito la posizione centrale dell'essere umano nella fenomenologia della conoscenza. Kant sostiene che il senso dello spazio e del tempo sono categorie a priori rispetto all'esperienza del mondo".


Se ti può essere utile, ti segnalo che il professor Benini ha recentemente pubblicato la nuova edizione di un suo noto libro titolato "Neurobiologia del tempo", nel quale dice che Il senso del tempo è reale ed è una dimensione essenziale della vita. Come il linguaggio e il senso dello spazio, è un evento biologico prodotto da meccanismi nervosi emersi per selezione naturale. L'organizzazione nervosa dei meccanismi del tempo è complessa: le neuroscienze cognitive, impegnate nello studio dei processi che danno vita ai contenuti della coscienza - come il dolore fisico, lo spazio, il senso del bene e del male, la volontà, la musica, il silenzio, il movimento - se ne occupano da almeno trent'anni, ma alcuni dilemmi fondamentali restano ancora da chiarire. Per rendere conto degli ultimi risultati della ricerca, questa nuova edizione è aggiornata con studi e pubblicazioni recenti sul senso del tempo negli uomini e negli animali e con nuove valutazioni di ricerche fondamentali.


Un bel saluto

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