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Didàskalos

Aperto da doxa, 22 Agosto 2023, 14:09:55 PM

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doxa

E' importante il titolo del topic: più è strano più richiama l'attenzione del possibile lettore.

Ed è quel che io faccio per  "chiamare" la vostra attenzione su ciò che scrivo.  :)) :'(



Chi fece  questo dipinto ?

Se non si è sufficientemente esperti  e non c'è la didascalia (di questa discetterò nei prossimi due post)  si tenta di indovinare l'artista fra i pittori impressionisti che dipinsero scene di vita quotidiana, paesaggi e natura con colori vivaci e pennellate rapide, senza curarsi della prospettiva e del chiaroscuro.

L'autore di questo quadro fu il pittore post-impressionista Vincent van Gogh, che tracciò la strada verso l'espressionismo.

Il titolo dell'opera: "Paesaggio con covoni e luna nascente", olio su tela,  realizzato a Saint-Remy-de-Provence nel luglio 1889,  Kröller-Müller Museum di Otterlo, Olanda.

La scena: il campo di grano che vedeva dalla finestra  durante il ricovero nell'ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de Mausole.

Era l'8 maggio del 1889 quando Vincent Van Gogh chiese di essere ricoverato nella speranza di riavere la  perduta serenità mentale, ma morì l'anno successivo.

Il panorama che Vincent poteva vedere  dalla stanza con finestre sbarrate: lo stesso campo,  raffigurato ad ogni cambio di stagione, a diverse ore del giorno.

In questo dipinto l'ora è quella del tramonto, il tono violaceo dei monti  evoca un paesaggio pre-notturno.

Quella grande sfera arancione seminascosta dalla cima di un monte è la luna.

Nel cielo  tante stelle biancheggianti.

Sul terreno gli steli del grano  mossi dal vento formano onde che si addensano nei covoni.

segue

doxa

#1
Il sostantivo didascalia deriva  dal greco "didaskalìa" (= istruzione), da didáskalos (maestro),  didásko (io insegno).

A chi osserva un'opera d'arte in un museo o in una mostra la didascalia dà la sintetica informazione o spiegazione che permette di comprendere il dipinto, la scultura, ecc..

Il francese Gérard Genette (1930 – 2018)  era un critico letterario e docente di letteratura francese alla Sorbona. E'  noto per il testo di filosofia estetica "L'opera d'arte" e per il saggio  titolato "Soglie". In quest'ultimo libro mette al centro della sua indagine classificatoria i "dintorni dei testi", cioè le pratiche che 'accompagnano' la produzione e la ricezione di un volume: la copertina, il nome dell'autore, il titolo, la prefazione, le illustrazioni con le didascalie. Queste "protesi"  con funzioni specifiche che  fanno parte del libro, Genette le definisce "paratesto". 

La paratestualità ha la funzione di far meglio accogliere il testo. Se fosse senza alcuna istruzione per l'uso, come leggeremmo l'Ulysses di Joyce se non si intitolasse Ulysses?.

Alcuni anni prima, nel 1978, il filosofo francese Jacques Derrida (1930 – 2004) nel suo libro "La verità in pittura" si era interrogato sul concetto di "parèrgo", sostantivo che deriva dal latino  párergon  = "accessorio". La parola  è composta da "para" (= presso, accanto)  +  "èrgon" (= opera), allude all'aggiunta accessoria in un'opera letteraria o figurativa.

Necessarie aggiunte accessorie sono le didascalie con le informazioni necessarie al lettore o all'osservatore.  Esse  orientano, permettono  di identificare qualcuno o qualcosa. 

Nella sala di un museo nella quale sono esposti oggetti appartenenti a secoli diversi, iscrizioni in lingue note e ignote, le didascalie sono necessarie, ma spesso sono sintetiche, sembrano scritte controvoglia. Ciò che importa ai compilatori è la parte burocratica,  che non interessa l'osservatore, per esempio  scrivono sul cartellino  il numero d'inventario e la collocazione dell'opera.  Sono didascalie che servono all'uso interno e non al pubblico.

In altri casi le didascalie sono male illuminate o stampate con caratteri troppo piccoli, che creano difficoltà di lettura e fanno passare la voglia di leggerle, perciò l'osservatore si limita a guardare l'oggetto senza capire bene ciò che vede. 

Spesso queste "epigrafi"  vengono scritte ricorrendo a espressioni oscure, ermetiche, troppo specialistiche.

Si pensi ai musei di archeologia con pannelli che paiono rivolgersi solo a una ristretta élite, oppure  alle mostre d'arte contemporanea, ricche di apparati scritti da curatori che tendono a non dare adeguati accompagnamenti informativi ed evitano di descrivere le opere esposte, ma presentano testi vaghi, approssimativi, aggrovigliati.
È come se si avesse timore nell'essere divulgativi, chiari.

segue

doxa

In base a quanto detto in precedenza, va affermata l'importanza delle didascalie, attenendosi a un possibile "pro-memoria":

le didascalie devono essere scritte direttamente dal curatore del museo o della mostra, pensando al pubblico non esperto e non a qualche collega; devono essere rigorose, documentate, redatte con parole comprensibili.

Devono essere precise nelle informazioni (nome e cognome dell'artista, luogo e data di nascita, titolo e data dell'opera, misure, tecnica utilizzata, provenienza). 

Le didascalie devono prevedere anche parti narrative e lo svelamento di alcuni "segreti" se ce ne sono in un'opera artistica; le relazioni dell'artista con l'ambiente sociale dentro cui quell'opera è stata realizzata; i rimandi storico-artistici e culturali a essa sottesi; le caratteristiche stilistiche;

le didascalie devono essere ben visibili, accanto all'opera; devono essere stampate in un corpo tipografico leggibile e ben illuminate. 

Nel nostro tempo le didascalie devono essere integrate da Qrcode per l'accesso ad apparati testuali e visivi per ulteriori approfondimenti.

La divulgazione semplifica senza banalizzare; non dà  spiegazioni particolareggiate; non pretende in poche frasi di descrivere il significato attribuito  all'opera dall'artista esecutore; si limita ad offrire notizie indispensabili e pochi concetti essenziali, dare stimoli, dischiudere sentieri, lasciare intravedere problemi senza pretendere di risolverli. Divulgare è un modo non per saziare, ma per incitare all'approfondimento,  per suscitare interesse.

Le didascalie informano, insegnano a far conoscere l'arte, rendono più consapevoli del nostro patrimonio culturale.

Nel 1937 Georges-Henri Rivière, fondatore del Musée des arts et des traditions populaires di Parigi, scrisse: "Il successo di un museo non si valuta in base al numero dei visitatori che vi affluiscono, ma al numero dei visitatori ai quali ha insegnato qualcosa. (...) Non si valuta in base alla sua superficie ma alla quantità di spazio che il pubblico avrà percorso traendone un vero beneficio".