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Carro della sposa

Aperto da doxa, 01 Maggio 2023, 19:30:16 PM

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A Roma, nel Museo Nazionale Romano, nella sede delle antiche Terme di Diocleziano, dal 4 maggio al 30 luglio di quest'anno, in occasione della grande mostra titolata "L'istante e l'eternità". Tra noi e gli antichi", verranno esposti circa 300 pezzi tra opere greche, romane, etrusche, italiche, e l'atteso "carro della sposa", che veniva usato dalle persone benestanti per le cerimonie di matrimonio.



Fu  rinvenuto nel 2021 a sei metri di profondità in un ambiente che faceva parte di un portico a due piani aperto su un cortile nella bella villa di Civita Giuliana, a nord del complesso archeologico di Pompei.

Nella stessa area, nel 2018, furono rinvenuti nella stalla i resti di tre cavalli con le loro bardature. Erano pronti per portare in salvo delle persone presenti nella casa, ma queste non fecero in tempo. Furono sopraffatte  dall'eruzione del Vesuvio nel 79 d. C., descritta da Plinio il Giovane in due lettere in cui raccontava le tragiche circostanze della morte dello zio, Plinio il Vecchio, partito con una nave dal porto militare di Miseno (Campi Flegrei) per portare soccorso agli abitanti di Pompei.

Chissà se quel giorno di festa la giovane sposa l'abbia vissuto oppure le fu impedito dall'eruzione vulcanica.





Questa tipologia di carro, che i Romani chiamavano "pilentum" , era conosciuto dagli  studiosi soltanto dalle immagini su mosaici, bassorilievi e dal racconto delle fonti antiche: Livio, Virgilio, Claudiano.

Dopo il lavoro archeologico per il recupero, durato un anno,  il carro è stato  studiato, ricostruito,  restaurato in ogni suo pezzo e assemblato con un lavoro che non ha precedenti.

Quando fu rinvenuto c'erano impresse nella cinerite le tracce delle corde, delle stoffe, dei legni. Nella cenere anche l'impronta delle due spighe di grano lasciate sulla seduta. Tutte cose che il tempo ha dissolto.

Era una lussuosa carrozza, con lo stretto cassone di legno, dipinto, ornato con medaglioni in bronzo e in argento, sui quali ci sono impressi amorini, scene erotiche con abbracci e amplessi, figure femminili. 



I restauri che hanno reso leggibili i decori riportando alla luce centinaia di particolari, confermano il legame di questo carro con il mondo femminile e con le nozze.

Il deperito legno del cassone è stato ricostruito con elementi in plexiglass per indicare le parti mancanti. Le grandi ruote del carro erano in legno di faggio e cerchioni in ferro.

Il fenomeno della mineralizzazione ha mantenuto in parte i tronconi dei mozzi in legno, il lungo perno in ferro che garantiva il movimento delle ruote anteriori ancora  funziona.

Della spalliera della seduta è rimasta soltanto la parte in ferro, ma è facile immaginarla coperta di cuoio e di comodi cuscini, con i due braccioli per rendere più agevole il percorso alla sposa e a chi l'accompagnava verso la casa dello sposo.

Con la ricostruzione delle parti mancanti, il carro è diventato visibile non solo nella sua grandezza, ma anche nei suoi colori e nell'estetica complessiva.

Un carro simile a questo fu rinvenuto  anni fa nell'antica Tracia, in una tomba appartenuta a una famiglia di alto rango. Per non danneggiarlo si decise di lasciarlo nel tumulo senza restaurarlo né rimontarlo.

Post scriptum: il sito archeologico della villa di Civita Giuliana fu scoperto  dagli archeologi e  parzialmente  indagato nei primi anni dello scorso secolo. Purtroppo fu trovato anche dai cosiddetti "tombaroli", che scavarono numerosi cunicoli  per cercare  manufatti artistici e monili da vendere clandestinamente all'estero. 

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Nel post precedente abbiamo visto la foto del carro usato per le cerimonie in epoca romana.

Ma qual era l'iter per arrivare al matrimonio di due giovani "pubescenti" ?

Alle nuptiae (nozze) gli sposi non sempre ci giungevano per libera scelta: rientrava nella patria potestas del padre  la facoltà di promettere la figlia in matrimonio e decidere  chi doveva essere il marito, accordandosi con la famiglia del promesso sposo.

Le ragazze potevano sposarsi (= nubêre,  significa velarsi,  infatti nella cerimonia religiosa la sposa si velava) già a  12 anni, dodici anni mentre i ragazzi potevano sposarsi a 14 anni.

Al matrimonium si arrivava dopo un lungo periodo di "fidanzamento" (sponsalia), necessario anche perché gli accordi tra i genitori potevano essere presi quando i figli erano ancora bambini.

Il fidanzamento  iniziava quando i padri dei due giovani (se minorenni)  procedevano alla "stipulazio", un contratto formale della promessa di matrimonio (sponsalia).

Lo ius connubii, la capacità di contrarre matrimonio, inizialmente era rivolto solo ad individui della stessa classe sociale.  Tale diritto fu poi esteso durante il principato di Caracalla.

Dopo la stipula del contratto i due fidanzati si scambiavano un bacio sulle guance, seguito  dal reciproco scambio di doni, che dovevano essere restituiti se il fidanzamento veniva interrotto. 

Poi il giovane dava alla ragazza l'anulus pronubus: l'anello  di fidanzamento, di solito in oro o argento, che la donna indossava nel dito anulare della mano sinistra.

In latino sponsus e sponsa indicavano rispettivamente il "fidanzato" e la "fidanzata", mentre in italiano "sposo" e "sposa" significano "marito" e "moglie".




anulus pronubus



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Il matrimonio (matrimonium) era fondato su un "patto" (foedus) tra gli sposi.

Le modalità per contrarlo erano quattro, sulle quali sorvolo.

Veniva scelto il giorno fastus (fasto, propizio, favorevole); in quello precedente la fanciulla si recava in un tempio di sua scelta, si toglieva la toga pretexta e la offriva alla dea Fortuna Virginalis, protettrice delle giovani.

La cerimonia nuziale  avveniva di solito nella casa della sposa. Per l'evento la ragazza indossava una tunica senza orli (tunica recta), fissata con una cintura di lana con un nodo doppio (cingulum herculeum), poi si metteva un mantello (palla) color zafferano, ai piedi sandali dello stesso colore, al collo una collana e sulla testa un'acconciatura, come quella delle vestali, formata da sei cercini posticci separati da piccole fasce (seni crines), avvolta in un velo colorato (flammeum) di colore rosso o arancione; sopra il velo, una corona intrecciata di maggiorana e verbena, in seguito di mirto e fiori d'arancio.

Prima del matrimonio il rituale stabiliva il sacrificio di un animale (maiale, pecora o bovino) nell'atrium della casa (se persone benestanti) altrimenti in un apposito spazio fuori dal tempio.  Il sacrificio veniva "officiato" da  un auspex, che doveva esaminare i visceri dell'animale sacrificato per vedere  se erano graditi agli dei. In caso contrario la cerimonia veniva rinviata.  Generalmente l'esito era sempre positivo, e di fronte al flamine (sacerdote che accendeva il fuoco sull'ara dei sacrifici)  lo sposo sollevava  da sopra la testa della sposa una parte del velo rosso (flammeum,  lemma che deriva da "flamma" = fiamma) e se lo posava sul suo capo.  Poi lei diceva la rituale frase:  "Ubi tu (+ nome dello sposo) ibi ego (+ nome della sposa), significa:  "ovunque tu sarai (+ nome del giovane), io sarò (+ nome della ragazza)". 
Con tale formula la sposa si impegnava ad assumere il nome dello sposo e a coabitare con lui. Nel contempo i due giovani esprimevano il loro consenso al matrimonio; si scambiavano l'anello nuziale,  denominato  "vinculum" (=legame). Inizialmente solo  in ferro e indossato solo dagli uomini, successivamente l'uso fu esteso anche alle donne.

L'usanza delle fedi nuziali in oro venne diffuso dalla religione cristiana, che considera l'oro giallo simbolo di eternità.

Il sostantivo fede (dal latino fides) allude alla fedeltà; la forma sferica dell'anello rappresenta la perfezione dell'unione e la continuità.

Con la presenza di dieci testimoni, venivano firmate  le tabulae nuptiales, il contratto di matrimonio.

La cerimonia si concludeva con l'intervento  della "pronuba": donna sposata amica di famiglia (una sorta di madrina) che prendeva la mano destra degli sposi (dextrarum iunctio) e le congiungeva come atto simbolico di reciproca fedeltà.



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Dopo le  "iustae nuptiae" (legittimo matrimonio, basato sulla reciproca volontà dei contraenti di considerarsi marito e moglie)  si dava inizio ai festeggiamenti con la cena nuptialis.  Alla conclusione di questa i "novelli sposi" salivano sul carro da cerimonia, il pilentum,  trainato da muli o da cavalli per andare nella casa maritale (deductio in domum), seguiti dalla "processione" formata dagli invitati  e aperta da  cinque tedofori,  da suonatori di flauto e l'accompagnamento di canti, come quelli dedicati al dio Talasius, la divinità romana protettore delle unioni matrimoniali , corrispondente al greco Imeneo. 

Durante il tragitto, di solito breve,  gli sposi lanciavano dolcetti o noci ai bambini. 

All'arrivo del corteo davanti la casa maritale lo sposo  prendeva  in braccio la moglie (uxor)  e senza farle toccare i piedi in terra la poggiava al di là della soglia della casa, ornata con paramenti bianchi e verdi fronde. 

Poi tre  amiche di lei entravano in casa. Due di esse le recavano un dono, ognuna un oggetto simbolico:  la conocchia e il fuso, allusione alle future attività casalinghe della moglie (da mulier, che in latino significa "donna");  la terza amica l'accompagnava al letto nuziale,  dov'è l'attendeva il marito. Le toglieva il mantello e le scioglieva il triplice nodo della cintura che fermava la tunica,  mentre tutti gli invitati entravano nella casa per continuare i festeggiamenti. Spesso  duravano fino a tardi. Dopodiché la coppia si ritirava per la notte nelle loro stanze. Infatti le coppie benestanti dormivano in stanze separate,  quelle economicamente disagiate dormivano insieme nello stesso letto. 



The end

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