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Camera del podestà

Aperto da doxa, 03 Marzo 2023, 11:10:54 AM

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A San Gimignano (provincia di Siena) sulla piazza del duomo prospettano, tra gli altri,  la chiesa collegiata, il Palazzo comunale, detto anche "Palazzo del popolo" o "Palazzo nuovo del podestà", e il Vecchio Palazzo del Podestà. 


San Gimignano, piazza Duomo, sulla destra  la chiesa collegiata, al centro il Palazzo comunale, con a fianco la "Torre grossa" (sulla destra) e la "loggia del Comune" (sulla sinistra).

Il Palazzo comunale fu costruito nel 1288 ed ampliato nel 1323. Ospita il museo civico con numerose opere d'arte.

Nell'edificio c'è anche la cosiddetta "Camera del Podestà",  con dipinti in affresco.


"Camera del Podestà"


"Camera del Podestà"

Ci sono affreschi dedicati a scene di caccia e tornei cavallereschi, eseguiti nel 1290 circa dal pittore Azzo di Masetto.

Un ciclo di affreschi è invece dedicato all'iniziazione amorosa di un giovane, realizzato tra il 1305 e il 1311 dal pittore senese Memmo di Filippuccio, suocero del più noto pittore Simone Martini, che nel Palazzo pubblico di Siena dipinse in affresco la "Maestà" (che occupa tutta la parete Nord della "Sala del mappamondo"). 

La narrazione pittorica è articolata in due settori:

sulla parete sinistra  sono rappresentati episodi amorosi dagli esiti infausti, nelle quali sono riconoscibili alcuni personaggi:  il filosofo Aristotele, innamorato della cortigiana Fillide;  i danteschi Paolo e Francesca,  mentre leggono il "libro galeotto".

Sulla parete destra, in contrapposizione,  ci sono scene di vita coniugale, in un ambiente domestico tipicamente medievale.

Interessanti gli ultimi due ultimi riquadri.

Nella prima scena la giovane coppia è nella tinozza  per l'abluzione. I due si guardano e si carezzano, alla presenza di altre persone.



Nella scena successiva la  donna è già distesa nel talamo,  il marito scosta le coperte per mettersi a letto, la fantésca (= domestica, oggi detta collaboratrice familiare) chiude la tenda per celare ad altri sguardi l'intimità della coppia.


Il letto nuziale

Nel Medioevo non dormivano distesi, come avviene oggi, ma in posizione quasi seduta, con alti cuscini che sorreggevano il busto e la testa.

Il termine "testata" del letto  deriva dal fatto che vi si poggiava la testa; idem "spalliera" del letto: cosiddetta perché  il/ la dormiente vi poggiava le spalle.

Quelle abitudini avevano  motivazioni sia culturale  sia pratica.

Culturale per il riferimento alla morte: ai superstiziosi la posizione distesa, supina, evocava quella della salma, e la morte veniva esorcizzata.

Il motivo pratico: la posizione quasi seduta favoriva la digestione e scongiurava gli effetti  del reflusso gastro-esofageo, di cui soffrivano molte persone in quei secoli a causa di diete alimentari disordinate, oltre che dall'assunzione di cibi non sempre di buona qualità.

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La tinozza per il "lavacro" degli sposi nel precedente  post fa volare il mio pensiero alle terme di epoca romana e ai balnea medievali.

Nel Medioevo ed oltre in Europa  soltanto gli aristocratici  e i ricchi borghesi avevano in casa la stanza dedicata al balneum per lavarsi il corpo.



Gli altri per detergersi completamente usavano le tinozze di legno che venivano riempite d'acqua, ovviamente  calda nei mesi invernali, scaldata in grandi pentoloni. Ma in genere le persone si lavavano poco. Per essere pulite anziché abluirsi completamente cambiavano gli indumenti. Pensavano che la "biancheria" assorbisse lo sporco.

I benestanti possedevano molte camicie per cambiarsi. Le ostentavano come segnale di pulizia e ricchezza. Si usavano anche ciprie e panni intrisi di profumo contro gli odori corporei, come quello emanato dal sudore.

Nel XII secolo in Europa furono realizzati  numerosi "balnea", i bagni pubblici, di solito gestiti da privati.

A Lucca (Toscana) all'interno della cerchia muraria c'è un odonimo che allude: "via della Stufa". Il nome di questa strada evoca il passato, la presenza di una "stufa", termine che veniva usato  come sinonimo per indicare un balneum, bagni caldi pubblici.

A volte essi erano accessibili a maschi e femmine e le norme igieniche lasciavano molto a desiderare...
Inoltre, non era raro che diventassero luoghi considerati scandalosi, perché usati per appuntamenti clandestini e per amplessi.  Perciò venivano chiusi dalle autorità.


miniatura del  XV secolo: un bagno pubblico medievale in Borgogna. Sono presenti uomini e donne.



Miniatura tratta dal "De Balneis Puteolanis" di Pietro da Eboli (Roma Biblioteca Angelica).

Non era semplice lavarsi e lavare. l'acqua doveva essere presa da pozzi, torrenti, fiumi, cisterne o fontane, oppure comprata dagli "acquaioli".

Per lavare  gli indumenti le donne andavano sui greti dei corsi d'acqua o nei pubblici lavatoi, perché non avevano l'acqua  in casa. Chi poteva pagare affidava il bucato a lavandaie e lavandai.

Per il bucato si usava soprattutto il ranno, una miscela di acqua e cenere di legna per estrarne le sostanze detergenti. Vi si immergevano i panni prima di strofinarli con il sapone, che era un prodotto costoso per la plebe, cioè la moltitudine delle persone, che spesso usavano anche l'orina perché produce ammoniaca e può "pulire" i tessuti.

Le macchie dagli abiti venivano tolte con l'allume,  vari olii, succo di limone, crusca.

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I balneum  erano piccoli impianti termali nati per iniziativa privata nelle zone più popolose delle città,  aperti al pubblico pagante.

Di solito i  balnea (plurale di balneum) non seguivano lo schema edilizio delle grandi terme e non avevano la palestra o gli spazi per gli esercizi ginnici.

Per il proprietario  del balneum altre fonti di guadagno erano le rendite ricevute per la locazione di botteghe e appartamenti annessi al fabbricato in cui al piano terra c'era il l'impianto termale.

Dal I sec. a.C.  le persone ricche cominciarono a farsi edificare il balneus privato nelle domus in città ma anche nella "villae" al mare o in campagna. Veniva usato dalla propria famiglia e dagli ospiti.

Anche Marco Tullio Cicerone (106 a. C. – 43 a. C.)  volle il balineus (anziché balneus)  nella sua domus sul Palatino. Nel dicembre del 60 a. C. invitò il suo amico finanziere e scrittore Tito Pomponio Attico (110 a. C. – 32 a. C.) a festeggiare insieme la vigilia dei Compitalia e a godere il caldo balineum ("balineum calefieri iubebo" = "ordinerò che il bagno venga riscaldato"). Vedi Cicerone:  "Epistulae ad Atticum", 2, 3 e 4).

Nel 33 a. C. Marcus Vipsanius Agrippa, militare, politico, amico e genero di Cesare Ottaviano Augusto, fu eletto alla carica di edile,  come tale aveva il ruolo di "curator aquarum", il controllo sulla gestione  degli acquedotti e dell'approvvigionamento idrico nell'Urbe.

In quell'anno Agrippa ordinò il censimento dei balnea a Roma: erano 170. Nel IV sec.  erano circa mille; ad essi, da aggiungere le grandi terme fatte costruire a Roma da alcuni imperatori.


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Sauna ("stufa"), miniatura dal "De Universo" di Rabano Mauro, Montecassino, X sec.

La maggior parte delle persone non aveva la possibilità di prepararsi un bagno caldo in casa propria.
Dal XII secolo, le città si dotano di balnea pubblici e privati detti stufe, molto frequentati perché il costo per l'accesso era esiguo.


"Stufa", miniatura del "Regime dei Corpi" di Aldobrandino da Siena, XIV secolo

Nel 1380 in un balneum di Parigi  si pagava 2 denari per usufruire del bagno di vapore (sauna alimentata con secchi d'acqua gettata su pietre roventi; per il bagno caldo volevano  4 denari,  anche perché per scaldare l'acqua in continuazione  serviva molta legna o carbone; sauna e bagno insieme, 8 denari; 1 denaro per l'asciugamano. Erano previsti sconti: ad esempio moglie e marito che insieme  usufruivano di sauna e bagno pagavano 12 denari anziché 16. 

Alcune "stufe" offrivano ai clienti anche il servizio di ristorazione: essi potevano mangiare e bere in modo frugale su una piccola tavola di legno pur rimanendo in piedi nella piscina per il bagno.

Il balneum era diviso in ambienti:

nel sotterraneo c'erano le caldaie in terracotta per scaldare l'acqua o per mandare al piano superiore aria calda e vapore acqueo;

al piano terra, la zona spogliatoio, collegata con un corridoio alla grande sala con piscina in muratura, o vasche di legno; un'altra area era adibita alla sauna, il "bagno di vapore"; la struttura aveva il soffitto a cupola  con foro centrale per la fuoriuscita dell'aria calda; all'interno gradinate o sedili petrosi.

In quell'epoca non usavano il costume da bagno e spesso non c'era un settore maschile ed un altro femminile, perciò uomini e donne facevano il bagno in comune e nudi. Nel Medioevo la concezione del pudore era diversa.

Nei luoghi con balnea le autorità comunali vietavano l'accesso a chi non abitava nella città e alle prostitute, ma invano. Allora alcuni "stabilimenti balneari"  venivano riservati agli uomini, altri alle donne; oppure nello stesso balneum  donne e uomini erano ammessi ma in giorni diversi.

Rammento la novella dell'ottava giornata del Decameron di Boccaccio, in cui la cortigiana siciliana Jancofiore seduce il mercante fiorentino Salabaetto proprio in una "stufa" per poi svuotargli le tasche.

La descrizione che Boccaccio fa della stufa di Palermo in cui avviene l'incontro è fin troppo eloquente: è composta da stanze che possono esser prese in affitto da singoli clienti, stanze in stile moresco, con la grande piscina e una lettiera per il bagno di vapore su cui possono esser stesi materassi e lenzuoli, in un'atmosfera di sapone aromatizzato al muschio e al garofano, e di asciugamani alla rosa, ed essenze orientali che creano un'atmosfera esoticamente erotica.

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