Hotel Logos

Aperto da Jean, 10 Febbraio 2017, 14:03:33 PM

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Jean

 
In treno puoi scegliere
se rivolger lo sguardo
a quel che lasci
o quello che man mano
appare.

Potendo,
se i tuoi compagni di viaggio son d'accordo,
oscurare con la tenda ogni visione,
lasciando che l'apparire sia
un movimento dell'immaginazione
e lo scomparire
un ritorno alla memoria.

In questi tempi sempre più difficili
non potete esser certi
che il treno, per qualche motivo,
non si fermi per un un po'
o del tutto.

Così che non arriverete in tempo
o per nulla
alla vostra destinazione.

Quella che pensavate
fosse la vostra destinazione,
prima che l'imponderabile
o il prevedibile,
ne decidesse un'altra
per voi.

Ritrovarsi in compagnia
non è detto
sia un vantaggio
e neppure un sollievo.

Dipende dalla compagnia
e dalla forma
con cui si manifesta
l'imponderabile
e se, nell'altro caso,
il prevedibile
mantenga la promessa.

Oggi, nel viaggio,
i miei occhi
son rivolti a quel che lascio
e dentro di me,
in quello spazio
di cui non son mai riuscito a scorgere i confini,
per suo conto,
a volte aggiornandomi,
procede una sorta
di conto alla rovescia.

Via via che la distanza diminuisce
alle mie spalle,
o proprio le mie spalle,
osservano
la destinazione che si avvicina.

Qualcosa in noi
ci collega
a tutte le cose,
vede con le spalle
e respira con gli occhi,
seguendo i rumori
che provengono
da fuori,
rincorrendoli
uno dopo l'altro,
sinché l'ultimo rumore,
l'ultimo suono,
è quello dal quale
avete iniziato il viaggio
e, stranamente,
anche la vostra destinazione.

Prima o poi
in uno dei miei viaggi,
in uno dei vostri viaggi,
in uno dei viaggi dell'intero mondo,
si presenterà
l'imponderabile,
o il prevedibile.

L'ultimo suono
sarà come il primo,
il suono
di un respiro.

Il mio
il vostro
quello di tutti
quello del mondo.

Quello dell'imponderabile,
o del prevedibile,
che solo allora
saremo capaci
di udire.

Chi qui legge
sente una voce
dentro di sé
che gli scandisce
queste parole
che son simboli, forme,
a cui
vien prestata voce.

A chi appartiene
quella voce?

È la vostra,
la vostra voce interiore?

O quella che immaginate
sia la mia?

O son le due assieme?

O non c'è alcuna voce,
solo l'illusione di una voce?

In un viaggio
lo spazio cambia,
i panorami cambiano,
il tempo scorre
dall'ora di partenza
a quella d'arrivo,
se ci sarà.

Ma senza quella stessa
muta eppur parlante
voce interiore,
non ci sarebbe
alcun spazio,
alcun tempo,
né alcun viaggio.

Una voce che legge
una parola alla volta,
una sillaba per volta,
uno sguardo per volta,
un tocco alla volta,
a volte una carezza.

Una voce che è
un unico respiro
che si muove
dentro e fuori di te,
dentro e fuori dal mondo.

E come il mare
accoglie ogni cosa
che incontra.

 
Quando arriverò,
se arriverò,
ci sarà un sentore di mare
ad accogliermi,
e il respiro

delle sue onde.  

Jean

Questo viaggio, di cui avete letto, dopo qualche giorno ebbe un ritorno.


Era sera e il primo treno a causa di un problema nella linea ha subito un ritardo importante che non mi ha permesso d'arrivar in orario per la coincidenza con un altro.

Ma, fortunatamente, quasi come un gioco d'incastro, una combinazione d'orari e poter prender senza prenotazione né sovrapprezzo un Freccia, mi ha rimesso (è il caso di dirlo) in binario... anzi, addirittura con la prospettiva dell'arrivo anticipato di una decina di minuti.

Proprio il caso di dir che non tutti i mali vengon per nuocere, almeno i piccoli mali.

Così pensavo, comodamente attendendo la conclusione del viaggio... ma ecco, qualcosa di strano, uno strappo dovuto alla forte frenata del treno in procinto di  superare una stazione senza fermata.

Mi è parso di sentire un rumore sordo prima che il convoglio si fermasse, un centinaio di metri oltre la stazione.

Il rumore, forse un guasto, il cedimento di qualche pezzo...


Prima o poi
in uno dei miei viaggi,
in uno dei vostri viaggi,
in uno dei viaggi dell'intero mondo,
si presenterà
l'imponderabile,
o il prevedibile.


Il treno è fermo e solo dopo una decina di minuti vien comunicata la sosta a causa di non meglio precisati problemi.
 
Inizia il passaparola...  dopo una ventina di minuti arriva la notizia che una persona è stata travolta dal treno, qualcuno dice volontariamente.

Il treno vien fatto retrocedere sino alla stazione. 
Arriva la polizia a bordo a chieder informazioni (?). 
Passano altre due ore.
 
Sbarcati su un binario si attende un altro freccia, anch'esso in ritardo a causa dell'incidente, dove saliamo. 

Ma qualcuno non ha più d'arrivar da nessuna parte, avendo scelto di por fine ad un altro tipo di viaggio, quello dell'esistenza.


L'ultimo suono
sarà come il primo,
il suono
di un respiro.


L'ultimo respiro di quella persona e quello dei passeggeri, ancora in essere...

Il mio
il vostro
quello di tutti
quello del mondo.


Il viaggio riprende... era destino che non s'arrivasse in orario, quella sera. 
Qualcuno s'interroga sulla vita, altri guardan l'orologio... il poliziotto deve averne viste altre di scene (il corpo è stato recuperato) analoghe e par sinceramente dispiaciuto... dicono fosse  giovane.

Quel rumore sordo... cosa c'era in esso e oltre esso, chissà se altri l'hanno avvertito, chissà se altri l'han sentito, come me, un suono sinistro...


Quello dell'imponderabile,
o del prevedibile,
che solo allora
saremo capaci 
di udire.

 


Om namah Shivaya
 
 


J4you

cvc

Mi aggiravo per i corridoi
Incuriosito e sospettoso,
Un estraneo negli spogliatoi
O un testimone solo e ozioso

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Forse in principio la ragione
Del mio brancolare senza meta,
Era la noia , quell'orrida prigione,
Come acqua ferma che  inquieta

Ma mi pare assai superficiale
Questo modo di pensare,
Come se fosse semplice e banale,
Come un guasto da aggiustare.

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Più nel profondo occorre cercare
Il perché dell'occhio nella serratura,
L'orecchio appiccicato alla parete
Come una cozza alla scogliera

È quel morbo che abbiamo dentro,
Il perenne agitarsi della coscienza,
Che ci spinge l'uno contro l'altro,
Tutti e nessuno, presenza e assenza

E se mi sto ora distraendo
Forse quando non conviene,
Spento, acceso, acceso, spento:
Il mio lume è luce e buio insieme

Forse non è questo che dovrei dire,
Un si vile pensiero e intento
Altra moneta dovrebbe esibire
L'avventore al sui pagamento

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Jean

Citazione di: cvc il 31 Marzo 2017, 17:36:17 PM
Mi aggiravo per i corridoi
Incuriosito e sospettoso,
Un estraneo negli spogliatoi
O un testimone solo e ozioso

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Forse in principio la ragione
Del mio brancolare senza meta,
Era la noia , quell'orrida prigione,
Come acqua ferma che  inquieta

Ma mi pare assai superficiale
Questo modo di pensare,
Come se fosse semplice e banale,
Come un guasto da aggiustare.

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Più nel profondo occorre cercare
Il perché dell'occhio nella serratura,
L'orecchio appiccicato alla parete
Come una cozza alla scogliera

È quel morbo che abbiamo dentro,
Il perenne agitarsi della coscienza,
Che ci spinge l'uno contro l'altro,
Tutti e nessuno, presenza e assenza

E se mi sto ora distraendo
Forse quando non conviene,
Spento, acceso, acceso, spento:
Il mio lume è luce e buio insieme

Forse non è questo che dovrei dire,
Un si vile pensiero e intento
Altra moneta dovrebbe esibire
L'avventore al sui pagamento

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Grazie CVC dell'intervento,

dedicandoci un po' del tuo tempo per realizzarlo in forma poetica gli hai conferito un valore aggiunto, oltre quello che contiene al di là delle parole.

Non per lisciarti il pelo, ma le quartine che riportano le impressioni del  tuo viaggio (al luogo che ci ospita) son intrise della condizione esistenziale dell'uomo (dell'osservatore), sviluppata in riflessioni che ne dissimulano la profondità, mediante la scelta di parole e versi apparentemente semplici.

Meriterebbero una parafrasi nel caso se ne ravvisasse interesse in qualcuno.

Mi permetto solo di considerare la scelta dei due termini: irritati-irretiti, mentre del primo non v'è da dir molto, significa quel che il senso comune assegna... per il secondo...
 

Treccani:

irretire (ant. inretire) v. tr. [dal lat. irretire, der. di rete «rete»] (io irretisco, tu irretisci, ecc.).

– In senso proprio, non com., catturare con la rete: i. i pesci. Più spesso fig., impigliare, inviluppare come in una rete: S'io fui del primo dubbio disvestito Per le sorrise parolette brevi, Dentro ad un nuovo più fu' inretito (Dante);

- è termine specifico nel diritto canonico: sacerdote irretito nella (o da) censura, a cui sia stata inflitta una pena ecclesiastica (scomunica, interdetto, sospensione).

- In partic., attrarre a sé o sedurre con arte, con inganno, abbindolare, imbrogliare: fu irretito da quella donna; i. con lusinghe; i. gli sciocchi con vane parole; compor fittizie parole, le quali lacci sono ad irretire gli uomini di pura fede (Boccaccio).
 

... si apre un mondo di significati nascosti, sì che mi vien da chiederti sia stata scelta voluta o venuta da sé... riservandoci di approfondir tale ricordo di viaggio alla prossima occasione.
 

Un caro saluto
Jean

cvc

Citazione di: Jean il 15 Aprile 2017, 11:09:37 AM
Citazione di: cvc il 31 Marzo 2017, 17:36:17 PM
Mi aggiravo per i corridoi
Incuriosito e sospettoso,
Un estraneo negli spogliatoi
O un testimone solo e ozioso

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Forse in principio la ragione
Del mio brancolare senza meta,
Era la noia , quell'orrida prigione,
Come acqua ferma che  inquieta

Ma mi pare assai superficiale
Questo modo di pensare,
Come se fosse semplice e banale,
Come un guasto da aggiustare.

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Più nel profondo occorre cercare
Il perché dell'occhio nella serratura,
L'orecchio appiccicato alla parete
Come una cozza alla scogliera

È quel morbo che abbiamo dentro,
Il perenne agitarsi della coscienza,
Che ci spinge l'uno contro l'altro,
Tutti e nessuno, presenza e assenza

E se mi sto ora distraendo
Forse quando non conviene,
Spento, acceso, acceso, spento:
Il mio lume è luce e buio insieme

Forse non è questo che dovrei dire,
Un si vile pensiero e intento
Altra moneta dovrebbe esibire
L'avventore al sui pagamento

Fra schiamazzi e salotti improvvisati,
L Hotel logos mischia estasi e lamenti,
Alcuni degli ospiti se ne scappano irritati,
Altri perplessi ma irretiti tornano contenti

Grazie CVC dell'intervento,

dedicandoci un po' del tuo tempo per realizzarlo in forma poetica gli hai conferito un valore aggiunto, oltre quello che contiene al di là delle parole.

Non per lisciarti il pelo, ma le quartine che riportano le impressioni del  tuo viaggio (al luogo che ci ospita) son intrise della condizione esistenziale dell'uomo (dell'osservatore), sviluppata in riflessioni che ne dissimulano la profondità, mediante la scelta di parole e versi apparentemente semplici.

Meriterebbero una parafrasi nel caso se ne ravvisasse interesse in qualcuno.

Mi permetto solo di considerare la scelta dei due termini: irritati-irretiti, mentre del primo non v'è da dir molto, significa quel che il senso comune assegna... per il secondo...


Treccani:

irretire (ant. inretire) v. tr. [dal lat. irretire, der. di rete «rete»] (io irretisco, tu irretisci, ecc.).

– In senso proprio, non com., catturare con la rete: i. i pesci. Più spesso fig., impigliare, inviluppare come in una rete: S'io fui del primo dubbio disvestito Per le sorrise parolette brevi, Dentro ad un nuovo più fu' inretito (Dante);

- è termine specifico nel diritto canonico: sacerdote irretito nella (o da) censura, a cui sia stata inflitta una pena ecclesiastica (scomunica, interdetto, sospensione).

- In partic., attrarre a sé o sedurre con arte, con inganno, abbindolare, imbrogliare: fu irretito da quella donna; i. con lusinghe; i. gli sciocchi con vane parole; compor fittizie parole, le quali lacci sono ad irretire gli uomini di pura fede (Boccaccio).

... si apre un mondo di significati nascosti, sì che mi vien da chiederti sia stata scelta voluta o venuta da sé... riservandoci di approfondir tale ricordo di viaggio alla prossima occasione.


Un caro saluto
Jean
Ti ringrazio dell'interesse e tuttavia, se il mio intervento può avere un qualche pregio, non sarebbe potuto essere se non stimolato dalla vocazione poetico-letteraria che tu hai molto originalmente introdotto nel forum, oltre alla geniale trovata dell'immagine "Hotel Logos". Per quanto riguarda la mia alquanto ipotetica vocazione poetica, essa è pressochè del tutto debitrice della lettura antica e incompetente del genio assoluto contenuto in quel tripudio di arte romantica che sono "I fiori del male" di Baudelaire e annessi pellegrinaggi in Alan Edgar Poe. Basta sprofondare in un paio di versi per sentirsi traslati in un salotto parigino dell'ottocento....
Sentirsi irretiti significa secondo me sentirsi attratti da qualcosa senza saperne neanche bene (a livello conscio) i motivi, significa sospendere per un momento la razionalità per non venir meno al potente richiamo dell'inconscio. Questo è la forza del nostro hotel, ci affascina per la sua profondità e magari noi ne siamo attratti (a me capita spesso) ancor prima di aver ben compreso chiaramente la trama di ciò che si sta trattando
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Jean

«Un amico è qualcuno che ti conosce molto bene e, nonostante questo, continua a frequentarti »

(Oscar Wilde)
 

Quando sono arrivato nel vecchio forum, diverse persone hanno dato bada ai post di un principiante qual ero e, a distanza di tempo, devo dire che la frequentazione di questo luogo, oggi Hotel Logos,  mi è servita molto, facendomi da specchio in svariati modi.

Ho imparato a conoscere (ed apprezzare) diversi utenti mentre uno non me lo ha permesso, per scelta o giudizio, ma va bene lo stesso, si impara anche e forse più ritrovandosi davanti ad un muro, di cemento o gomma che sia.

Ma se non avessi incontrato sin dall'inizio una persona in particolare, credo che il mio cammino non sarebbe stato lo stesso.

La sua gentilezza al nostro primo incontro è subitamente diventata l'esempio da seguire.

La disponibilità verso uno sconosciuto (senza conoscenze specifiche) l'arte da imparare.  

La cultura non esibita ma offerta un dono da ricambiare, con quello che si ha a disposizione, in qualche modo... qualche modo si trova sempre, se lo si vuole.

Nel tempo, questa persona che mi onoro di considerare un amico, ha appreso (ed io di lui) alcune informazioni che mi riguardano e si sa che non è tutto oro quel che luccica, certamente anche nel mio caso, dovuto ad errori passati.

Ma si giunge a conoscere anche senza informazioni e senza parole, per empatia. 
E forse in quella parola sta la risposta a contatti che si fermano e svaniscono dopo un promettente avvio.

Nel pensare ad un amico mi figuro una persona alla quale mostrare  il contenuto del nostro personale vaso di...

Pandora, che aveva ricevuto dal dio Ermes il dono della curiosità, non tardò però a scoperchiarlo, liberando così tutti i mali del mondo, che erano gli spiriti maligni della vecchiaia, gelosia, malattia, pazzia e il vizio.

Sul fondo del vaso rimase soltanto la speranza (Elpis), che non fece in tempo ad allontanarsi prima che il vaso venisse chiuso di nuovo.
Prima di questo momento l'umanità aveva vissuto libera da mali, fatiche o preoccupazioni di sorta, e gli uomini erano, così come gli dei, immortali.

Dopo l'apertura del vaso il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale simile ad un deserto, finché Pandora lo aprì nuovamente per far uscire anche la speranza ed il mondo riprese a vivere.

(wiki)
 

... confidando non lo richiuda subitamente ma possa accettar, in nome della speranza che sortirà per ultima, che i mali (allegorico) di uno siano i mali del mondo e viceversa.

Ci son amicizie dove ci si specchia materialmente l'uno nell'altro e ci son...

amici di penna: persone che vivono in un'altra nazione, o comunque in un posto troppo lontano perché li si possa incontrare di frequente, e con cui si rimane in contatto tramite posta ordinaria od elettronica...

... come nel nostro caso, importanti come ogni altra forma.
 
Ho postato qui perché considero l'amicizia un viaggio... uno tra i più significativi che ci sia dato di compiere... e spesso son viaggi cominciati e di seguito interrotti, magari per una diversa visione politica, filosofica, spirituale, ecc. e per mille altri motivi.

Anzi, verrebbe da dire che siano anche tra i viaggi più difficili da concludere... perché hanno la particolarità, quando ben avviati, di non terminare... neppure con la morte del viaggiatore...
 

Grazie della tua amicizia, Paul11, non verrà mai meno la stima che nutro per te.
 

Jean

Jean

Vitti 'na crozza
(in memoria di Rosa Balestrieri)
 
Ho scoperto nell'Hotel Logos una stanzetta...

sapete, quando gli Hotel erano gli Hotel... disponevano, anche se non tutti, di impianti di filodiffusione... per soffondere la musica nelle sale comuni e volendo in quelle d'alloggio.

Eh, tempi antichi... al figurarseli si intraprendono un altro tipo di viaggi, quelli della memoria... e considerato che son uno dei pochi ad esserne interessato, all'individuare codesta stanzetta mi ci son intrufolato... 'un si sa mai trovassi qualcosa d'interessante da riferir agli amici, in transito o residenti, per distoglierli un pochino dagli impegnativi ragionamenti che nelle stanze ai piani alti li impegnano sì duramente...

Cotal stanzetta, docilmente apertasi alla mia mano (... va beh, incidentalmente impugnante un cacciavite che 'un avevo trovato ove riporre...) di appena cinque metri quadri (alquanto polverosi) disponeva d'un tavolo dov'erano collocati apparati audio di vario tipo e due seggiole diverse, scomode entrambe in verità... però una men che l'altra, da cui la mia scelta...

Ben disposti sui ripiani alle pareti innumerevoli dischi e vecchie cassette (quelle col nastro magnetico, per i giovani lettori che magari non l'han mai usate)... da far felice un collezionista e scatenare una crisi allergica (povere decennali con pollini d'epoca) al sottoscritto che non ha resistito al visionarli... e ascoltarli... così se v'è parso di sentir aleggiar una musica, un canto... ora ne conoscete la causa... il vecchio Jean c'ha dato di manovella...

Signori e signore... oggi propongo alla Vs. gentile attenzione...
questa canzone (Vitti 'na crozza) che al leggerne la storia è più avvincente d'un romanzo, anzi qualcuno (Sara Favarò) ne ha tratto proprio un bel romanzo:
 
17 Mag 2015

Al Salone internazionale del libro di Torino la scrittrice siciliana Sara Favarò presenta il suo libro: Storia di Vitti 'na crozza (la Messa negata). Vicenda triste dove il mondo della zolfara si lega all'insensibilità della Chiesa cattolica a cavallo tra '800 e '900
Qual è la vera storia di Vitti 'na crozza, una tra le più celebri canzoni della tradizione siciliana?
Non è una canzone allegra. Tutt'altro.

Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza.
Un mondo descritto in modo magistrale da alcuni scrittori siciliani: basti ricordare Ciàula scopre la luna, la celebre novella di Luigi Pirandello.
Insomma, una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l'ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno "un toccu 'ri campane".

A raccontare la storia di questa celebre e amara canzone è Sava Favarò, artista siciliana a tutto tondo: scrittrice, giornalista e cantante. In questo caso autrice di un libro – Storia di Vitti 'na crozza (edizioni Qanat) – che oggi viene presentato al Salone internazionale del libro di Torino
Il testo è il frutto di dieci anni di ricerche. 
Uno studio attento "per comprendere il vero significato della canzone più popolare e più oltraggiata della tradizione siciliana e che nulla ha da spartire con l'allegro refrain", come si legge in un comunicato. Il libro contiene in appendice il testo dell'atto unico teatrale Dal ventre della terra, che, grazie alla partecipazione dell'attore Enzo Rinella, della cantautrice Francesca Calamaio e della stessa autrice, sarà in parte rappresentato durante la presentazione del libro.

"Chi ascolta la celebre canzone siciliana Vitti 'na crozza crede che l'allegro motivo sia una sorta di inno alla vita, ma basta prestare attenzione alle sue parole per rendersi conto che si tratta di altro – scrive Sara Favarò.
Protagonista della canzone è 'na crozza, ossia un teschio. Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo.

La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso 'cannuni' dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un tragico evento di guerra. Ma così non è!".
Scrive il professore Francesco Meli dell'Università Iulm di Milano nella prefazione al libro: "La storia narrata ha dell'incredibile. 

Con intensa indignazione Sara ripercorre l'ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare. I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste il teschio della canzone, un semplice rintocco di campana! La pietas verso i defunti non è assente nella classicità ed oltre ad essere invocata è non raramente riservata perfino ai nemici: in effetti segnala un passaggio cruciale nell'affermazione di una condizione che siamo soliti definire civiltà".

"La voce del teschio – sottolinea ancora Francesco Meli – implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un'onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell'aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un'esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un'oscurità permanente...".

Dice la sceneggiatrice Nennella Buonaiuto (che ha sceneggiato con il regista Pasquale Scimeca il film Rosso Malpelo) nella postfazione al libro: "Più o meno 15 anni dopo, in vacanza sul lago di Carezza, io cantavo a squarciagola con le mie amiche siciliane Vitti 'na crozza con il trallallero, pensando fosse una sorta di canzone degli alpini in siciliano, dato che per me si trattava di una croce sopra un cannone. Dico questo perché negli anni Sessanta c'era già stata quella mutazione culturale che aveva cancellato qualsiasi memoria del passato e che ci spingeva verso uno spensierato conformismo. 
Il trallalero era proprio questo. 
Bene ha fatto Sara Favarò a riportare il testo di Vitti 'na crozza al suo significato originario".

Il testo è impreziosito dalle fotografie di scena e set di Giulio Azzarello, realizzate durante le riprese del film Rosso Malpelo del regista Pasquale Scimeca, e dai disegni a china da Piero Favarò.

http://www.lavocedinewyork.com/mediterraneo/2015/05/17/la-vera-storia-di-vitti-na-crozza-che-non-e-una-canzone-allegra-parola-di-sara-favaro/
 
 
E com'è accaduto che a un canto d'una tal profondità venissero aggiunti trallallero e mandolini a iosa? Andiamo al cinema... e al grande Pietro Germi...
 
VITTI 'NA CROZZA: STORIA DI UNA CANZONE 


È la locandina del film "Il cammino della speranza" le cui riprese cominciarono a Favara, in provincia di Agrigento, nel 1950. Per chi non ricorda o non ha mai visto il film – e a tanti farebbe un gran bene vederlo, visto che parla dei nostri nonni, poveri e disperati emigranti in cerca di lavoro fuori dal proprio Paese - diciamo subito che la nostra canzone ne " Il cammino della speranza" è indiscussa protagonista sonora. E diciamo anche che senza questo film ' Vitti 'na crozza' forse non sarebbe mai nata. 


Ma andiamo con ordine: è il 1950 quando Pietro Germi, già conosciuto e apprezzato regista, viene in Sicilia per iniziare le riprese del suo film, inizialmente intitolato ' Terroni'. Ad Agrigento gli viene presentato il Maestro Franco Li Causi, chitarrista, compositore, nonché Direttore di una sua orchestra, a cui chiede (e usiamo le parole del Maestro tratte dalla lunga intervista concessa al giornalista Gabriello Montemagno nel 1978) " un motivo allegro-tragico-sentimentale " da inserire nel film. Nessuna delle tante composizioni del Maestro soddisfa il regista, che però invita il Li Causi ad assistere alle riprese nella vicina Favara. E proprio sul set comincia la nostra storia: il 16 marzo del 1950, il minatore Giuseppe Cibardo Bisaccia (che avrà poi una particina nel film) recita a Germi una poesia popolare che ricorda a memoria; questi sono i versi recitati quel giorno:


Vitti 'na crozza supra nu cannuni
fui curiusu e ci vosi spiari
idda m'arrispunniu cu gran duluri
muriri senza toccu di campani

Si 'nni eru si 'nni eru li me anni
si 'nni eru si 'nni eru e nun sacciu unni
ora ca su arrivati a ottant'anni
u vivu chiama e u mortu unn'arrispunni

Cunzatimi cunzatimi stu lettu
ca di li vermi su manciatu tuttu 
si nun lu scuttu cca lu me piccatu
lu scuttu a chidda vita a sangu ruttu


(Vidi un teschio sopra un cannone/fui curioso e gli volli chiedere/esso mi rispose con gran dolore/morire senza tocco di campane Se ne sono andati i miei anni/se ne sono andati non so dove/ora che sono arrivati a ottant'anni/il vivo chiama e il morto non risponde Preparatemi il letto/perché dai vermi sono tutto divorato/se non lo espio qua il mio peccato/ lo espierò in quella vita col mio sangue)

Germi resta affascinato dai versi e chiede a Li Causi se può musicarli; Li Causi si apparta sotto un albero, un piede appoggiato a un muretto per sostenere la sua chitarra, e compone la musica che tutti conosciamo. E subito capisce che ha creato una melodia orecchiabile, di impatto positivo e immediato, piacevole e cantabile. Il giorno stesso spedisce alla Società che tutela il diritto d'autore, la SIAE, il deposito della sua composizione. In futuro, come vedremo, questo atto burocratico sarà di vitale importanza.


La nuova 'antica' canzone si diffonde subito: testimonia Alfieri Canavero – allora giovane operatore cinematografico oggi vispo ottantaduenne – che, sempre nel corso delle riprese, scesero un giorno in miniera dove, immersi in un caldo insopportabile, praticamente senza vestiti addosso, i minatori stavano cantando ' Vitti 'na crozza' , accompagnandosi col ritmo ... della pompa dell'aria. E lì il Canavero realizzò la prima registrazione della canzone, con un piccolo registratore a cavo che aveva con sé.


La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l'autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore. Fu per rispetto nei suoi confronti che regista e produzione evitarono di citare il Li Causi come autore? O c'era in atto un tentativo di appropriarsi di un probabile successo discografico? 


Oggi non possiamo rispondere a questa domanda; è certo che il successo ci fu e varcò i confini della Sicilia e dell'Italia. Non solo per merito del film, ma anche perché nel 1951 il Maestro Li Causi fa incidere 'Vitti 'na crozza' al tenore Michelangelo Verso in un disco della CETRA e l'etichetta, dopo il titolo, recita ' trascr. F.Li Causi '. Il disco avrà un grande successo e farà conoscere in America questo pezzetto sonoro di Sicilia. Il motivo per cui l'autore risulta semplicemente 'trascrittore' è presto detto: all'epoca la SIAE non prevedeva la possibilità che un testo antico di anonimo potesse essere musicato successivamente e avere così un autore della melodia.

Ma è uno dei pochi casi in cui il nome di Li Causi figura; in tanti, successivamente, incideranno la canzone, senza mai citare l'autore della musica. La canzone, anzi, passa per 'tradizionale' e va acquistando un passato, una storia che in verità non ha mai avuto e non poteva avere. A titolo d'esempio vogliamo citare una pubblicazione dei primi anni '60: " Un secolo di canzoni" a cura di F.Rocchi, Roma, Parenti 1961. È una raccolta di 'fogli volanti', di quei fogli a stampa, cioè, venduti dai cantastorie quando ancora non c'erano o non avevano larga diffusione i dischi: ne riporta ben 377, copie perfette degli originali, recuperati in tutte le regioni d' Italia; e a pagina 378, a chiusura del volume si può leggere:


1914. Scoppia la << grande guerra >>. Altre canzoni, altri fogli volanti.
Qui termina la nostra raccolta perché riteniamo non solo che abbia inizio un nuovo ciclo della storia, ma anche un nuovo gusto per la poesia popolare e per la sua musica.
<< Vittì >> (sic!) è un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave; è bello nel suo tragico linguaggio come nel ritmo della musica e può chiudere degnamente la lunga catena qui presentata.



E a pagina 379 viene pubblicata 'Vitti 'na crozza' – ovviamente non il suo foglio volante, che non può esistere – un po' storpiata nel testo e nel dialetto, ma indiscutibilmente lei. Nel disco allegato un famoso cantante – Domenico Modugno – canta per la prima volta 'Vitti 'na crozza', canto tradizionale siciliano! E' ovvio che pubblicazioni di questo genere o meglio invenzioni di questo genere non fanno altro che alimentare gli equivoci: basta pensare che anche il nostro Andrea Camilleri è stato tratto in inganno dalla presunta 'anzianità' della composizione, e la fa figurare nel repertorio dei due suonatori che nel romanzo "Il casellante" (ambientato nei primissimi anni '40) allietano i clienti del barbiere del loro paese.


Ma in verità prima del film e del disco CETRA nessuno aveva mai sentito questa canzone; e purtroppo le raccolte di canti popolari siciliani – dove sono riportati circa 20.000 canti – sono appunto raccolte di canti, non di poesie. L'unica vaga rassomiglianza con la nostra canzone la troviamo nel ' Corpus di musiche popolari siciliane' di Alberto Favara: dal numero 175 al 178 sono trascritte quattro varianti di un canto dove il protagonista sogna una crozza e con essa si mette a parlare; ma la somiglianza finisce qui. Tra l'altro la raccolta del Favara – compilata a cavallo tra '800 e '900 – viene pubblicata solamente nel 1957.


Ma altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla? A chi vanno attribuite correttamente le varie parti del dialogo? Sempre che di dialogo si tratti! Ogni versione in prosa proposta finora ha sempre lasciato gli stessi interrogativi iniziali. È corretto allora avanzare qualche ipotesi: e tra le più fondate c'è quella che possiamo chiamare 'dei pezzi mancanti'. 


In ogni trasmissione orale, affidata cioè alla memoria di chi trasmette l'informazione, occorre fare i conti con la possibilità che l'informatore non ricordi esattamente quello che, a sua volta, ha ascoltato e di cui vuole riferire; abbiamo allora delle lacune, ma anche delle aggiunte del tutto originali o estrapolate da altra fonte. Se pensiamo poi che la canzuni siciliana – e per canzuni si deve intendere un componimento non necessariamente con musica – è formata da otto endecasillabi a rima alternata, Vitti 'na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzuni di cui si sono perse varie componenti. 

Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di 'Vitti 'na crozza' se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio. 


Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare - per esempio a Mazzarino – l'uso di chiamare la torre del castello 'u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere 'u cannuni , non tutte le torri e, in ogni caso, la 'crozza' sarebbe 'mpisa e non supra.

Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, ed anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell'agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare. Ipotesi affascinante – sposta l'attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l'assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.


(segue)

Jean

(continua)

In ogni caso, sia che la poesia alluda a fatti di guerra o a disastri minerari o a condannati a morte, stona parecchio quell'assurdo ritornello, il famigerato tirollalleru che nei primi anni '60 qualcuno infilò tra una strofa e l'altra, consegnando il canto al filone più 'turistico' del folklore siciliano.
Ritornello che male si accorda con l'impianto generale del canto, e che induce ad un accompagnamento che si discosta nettamente dalle prime esecuzioni, quelle per intenderci presenti nel film o registrate dal tenore Michelangelo Verso, più vicine agli intendimenti del Maestro Li Causi. 
Il quale – e qui chiudiamo – dovette fare causa alla SIAE per avere riconosciuta la paternità della musica; paternità che infine, grazie a decine di testimonianze (tra cui quella di Cibardo Bisaccia) e a quel deposito alla SIAE del 1950, gli venne riconosciuta 'a norma di legge' nel luglio del 1979. 
Ma, dopo neanche un anno, il Maestro Franco Li Causi moriva.

https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=4392&lang=it#agg230899


tramutata la poesia in canzone (restando da dir l'ultima parola fosse o meno un canto popolare) tra i molti che l'han interpretata una voce (importante)  mancava...

 
Siciliani e Sicilianità- la storia di ROSA BALISTRERI, cantastorie siciliana.

Leggendo e sbirciando alcuni libri sulla Sicilia e i suoi personaggi, mi sono imbattuta in una donna forte, combattiva, che ha amato tanto la sua terra più di ogni altro. Sto parlando della cantastorie siciliana Rosa Balistreri, nota non solo per aver recuperato testi di arcaica memoria, ma soprattutto per averli reinterpretati attualizzandoli al suo ambiente culturale.

Importante nella vita di Rosa l'incontro con Ignazio Buttitta, il grande poeta dialettale siciliano, che la spinse ad andare oltre all'interpretazione dei canti siciliani classici e a comporre nuove melodie, fornendo anche la traccia musicale oltre all'interpretazione canora.
Ecco cosa disse di lei il poeta Buttitta: "La voce di Rosa, il suo canto strozzato, drammatico, angosciato, pareva che venisse dalla terra arsa della Sicilia. Ho avuto l'impressione di averla conosciuta sempre, di averla vista nascere e sentita per tutta la vita: bambina, scalza, povera, donna, madre, perché Rosa Balistreri è un personaggio favoloso, direi un dramma, un romanzo, un film senza volto.". 

Per capire chi è Rosa Balistreri, bisogna conoscere la sua vita, le sue vicende, il suo grande amore per la Sicilia. Presero vita canzoni come "Mafia e parrini", "I Pirati a Palermu" e tante altre, come quelle sull'emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata.
E' la terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell'oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, quella cantata da Rosa, cantata con dolore e, allo stesso tempo, con amore come sa fare chi, nonostante tutto, rimane legato alla sua terra.

Rosa Balistreri nacque nel 1927 in un quartiere degradato di Marina di Licata, in provincia di Agrigento. Figlia di un falegname geloso e violento, Rosa ebbe due sorelle e un fratello, Vincenzo, paraplegico dalla nascita. La famiglia era molto povera, e Rosa visse l'infanzia e la giovinezza nella miseria. Fin da bambina, si dedicò alle più umili attività: servì presso le case di famiglie benestanti, andò a lavorare nella conservazione del pesce, a spigolare per i campi assolati dei paesi vicini.

In queste difficili condizioni, Rosa, dalla voce carica, roca e profonda, riversava nel canto la sua disperazione e la sua speranza. A quindici anni, ancora analfabeta, indossò il suo primo paio di scarpe e, ormai nota per la sua voce, cominciò a essere chiamata per cantare in chiesa durante battesimi e matrimoni. Un anno dopo, fu costretta a sposare Iachinazzo, e quando questi perse al gioco il corredo della figlia, Rosa lo aggredì e, credendo di averlo ucciso, andò a costituirsi ai carabinieri, affrontando anche sei mesi di detenzione.

Ritornata alla libertà e dopo un periodo di stenti, si presentò l'opportunità di recarsi a Palermo, al servizio di una famiglia nobile, ma li conobbe di nuovo la disperazione. Rimasta incinta dal figlio del patrone, Rosa fu spinta da costui a rubare denari nella casa dei genitori. Scoperta, fuggì ma fu nuovamente arrestata e trascorse altri 7 mesi in prigione. Nonostante fosse incinta, fu costretta a vivere per strada, fino a quando non fu accolta da un'amica ostetrica che la aiutò a partorire un bambino morto.

Ripresasi, Rosa andò al servizio del conte Testa, e poté così sistemare la propria figlioletta in collegio a Palermo e imparare finalmente a leggere e scrivere. Dopo un breve periodo, abbandonò la casa del conte e visse come sagrestana in un sottoscala, insieme a suo fratello Vincenzo, che faceva il calzolaio. Quando il prete però tentò di abusare di lei, Rosa, senza cedere, svuotò le cassette dell'elemosina e comprò due biglietti ferroviari: per sé e per suo fratello. Insieme giunsero a Firenze, dove Rosa visse per i successivi vent'anni.

Vincenzo aprì una bottega di calzolaio e Rosa trovò lavoro al servizio di una distinta famiglia fiorentina, conquistando così una certa tranquillità. La sorella Maria li raggiunse poco dopo, scappando da Licata, e sfuggendo alle prepotenze del marito che, raggiuntala, la uccise. Il padre di Rosa non sopportò il dolore di questa tragedia e si tolse la vita impiccandosi sul Lungarno.

Superati questi ennesimi dolorosi avvenimenti, per Rosa iniziò un periodo di serenità: incontrò il pittore Manfredi Lombardo, con cui visse per dodici anni, che le diede amore e la possibilità di conoscere grandi personaggi della cultura e dell'arte. Tra i tanti conobbe Mario de Micheli, il quale, incantato dalla sua voce, le diede la possibilità di incidere il suo primo disco con la Casa Discografica Ricordi. 
Rosa non si fermò a interpretare vecchie canzoni. 

Grazie all'amicizia con musicisti e poeti, tra i quali vi era Buttitta, che la indusse a prendere lezioni di chitarra, partecipò attivamente alla composizione di testi, fornendo a volte anche la traccia musicale oltre all'interpretazione canora. Presero vita, così, canzoni come "Mafia e parrini", "I Pirati a Palermu" e tante altre, come quelle sull'emigrazione e sul duro lavoro di contadini, minatori e jurnatari, cioè i lavoratori a giornata.

Tramite le sue canzoni si entra dentro la terra arida di Sicilia, nei campi assolati, nell'oscurità delle miniere di zolfo, nella solitudine e nel dolore dei carcerati, nella nostalgia degli emigranti, ma il percorso non si esaurisce nel dolore ma è esaltato nell'amore per la propria terra, per i piccoli, per le tradizioni religiose, e si sublima infine nella speranza, nella certezza di una giustizia sociale, nel rispetto per i lavoratori.

Conosciuto Dario Fo, partecipò nel 1966 al suo spettacolo "Ci ragiono e canto". Finita l'avventura con il suo Manfredi, che la lasciò per una modella, Rosa cadde in depressione, e tentò il suicidio. Inoltre, la sua unica figlia era fuggita, incinta, dal collegio. Per questo chiese aiuto agli amici del Partito Comunista, che le permisero di esibirsi nelle Feste dell'Unità in varie città. Fu solo alla fine degli anni Sessanta che decise di tornare in Sicilia, non più come povera serva, ma come artista affermata.

Nel 1973 partecipò al Festival di Sanremo con la canzone in italiano "Terra che non senti", ma fu esclusa alla prima serata, perché il suo genere musicale fu considerato fuori moda. Stabilitasi definitivamente a Palermo, proseguì la sua attività recitando e cantando al Teatro Biondo in "La ballata del sale", spettacolo scritto per lei da Salvo Licata. 

Il 1987 fu per Rosa l'ultima estate artistica come attrice teatrale, mentre come cantautrice continuò a girovagare per il mondo: in Svezia, in Germania, in America, raccogliendo sempre applausi e apprezzamenti. A Licata tornò un anno prima di morire, nel 1989, e in quell'occasione Giuseppe Canta scrisse la sua biografia. 
Rosa si spense all'ospedale di Villa Sofia a Palermo, il 20 settembre del 1990, colpita da un ictus cerebrale.


http://www.radioluce.it/2015/10/24/siciliani-e-sicilianita-la-storia-di-rosa-balistreri-cantastorie-siciliana/#.WTWLrmjyi00
 


... ma Rosa questa canzone non l'ha mai incisa... tuttavia la potete trovare su youtube (un grazie di cuore a chi l'ha messa) con la spiegazione ...
 

Pubblicato il 18 feb 2013
Un giorno di capodanno Felice Liotti riesce a strappare a Rosa un'interpretazione di "Vitti na crozza " che lei, giustamente, non volle mai cantare in pubblico cosciente dell'uso e dell'abuso che troppi avevano fatto di quella canzone ridotta a rappresentare, già allora e ancora oggi, l'oltraggio più grave e insopportabile che il canto in siciliano abbia mai subito.
Rosa restò fuori dalle contese ideologiche che scoppiarono intorno a quel brano. Non la cantò e basta. Sapeva che le sorti del canto in siciliano erano (e sono) legate a ben altre battaglie molto più importanti. Ma aveva voce per affrontare e riscattare anche quel brano così vilipeso e ridicolizzato forse non solo per cieche e sorde ragioni di mercato.
E lo dimostra.
Francesco Giunta (dall'introduzione a "Rari e Inediti", Teatro del Sole, 1997)

 
 ... da cui ricopio anche questi commenti dell'utente

PIETRO DI CARLO 5 anni fa

Bene ha fatto Rosa,nel periodo del successo a tenersene lontana,perche' snaturare l'anima barattandola con la popolarità può avere un prezzo troppo alto da pagare! Allora, grazie Rosa, per aver ridato dignità a questo canto e se qualcuno se ne avrà male per questo e dovrà trattenere in gola i tirollallero e i tamburelli e i tarallucci, beh pazienza, noi ci teniamo.... l'anima!
 
Questa interpretazione non (mia aggiunta) ha bisogno di commenti, per tutte le volte che in odore di santità sua e dei suoi interpreti prestati, è stata trasfigurata, vilipesa ridotta in baccanale, quando invece ha una interiorità profonda, dolorosa... io è da quando sono bambino che tento di capirne il senso e ancora oggi mi interrogo... posso solo avvertire il senso profondo che lega la vita alla morte, i misteri dell'una e ... dall'altra.

... che condivido completamente.


Grazie Rosa, per aver seguito la tua natura, offrendoci la tua arte...
 
Buon ascolto.


https://www.youtube.com/watch?v=sqFncGFhKp0
 

J4Y

Jean

... in codesta stanzetta, dopo aver ascoltato i quattro brani (vedi alla discussione "varie") successivamente proposti all'attenzione, m'è venuto di rifletter non su grandi temi ma più semplicemente su dove mi trovo... e dove si trovano gli altri, amici e utenti dell'Hotel Logos... e sul significato del nostro viaggiare, dentro e fuori di qui... o sempre dentro (pochi) o del tutto fuori (altri)... o mai veramente dentro (di ben 322 iscritti... quanti usano appunto il Logos inteso come parola?).

Della partecipazione e questioni connesse parlai con CVC (... anch'egli sparito..?) qui:

https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/la-nostra-riserva-indiana-andrea-e-gli-altri/

così che non serve riprender da capo... rilevando perlomeno il notevole incremento nel rapporto femminile/maschile, allora 1:4 ed oggi 1:1,5 davvero rimarchevole...

Al di là (il mio motto...) di tal nota positiva, chi getti un'occhiata quotidiana al forum (... alle stanze dell'Hotel...) s'avvede di qual sia la situazione... un eccesso di polvere, fatta salva la terrazza panoramica dell'Hotel (filosofia) per merito d'irriducibili (al momento) ospiti...
 
 E per non tirarla alle lunghe, la domanda:

 
qualcosa non ha funzionato oppure questo è il massimo che si poteva ottenere?
 

Il cinema inghiottirà il ristorante?

https://grandenapoli.it/maria-la-storica-trattoria-napoletana-rischia-chiudere/

(... ah, Duc in altum!...)
 
 

Un saluto (interlocutorio)

Jean

Sariputra

@Jean scrive:
qualcosa non ha funzionato oppure questo è il massimo che si poteva ottenere?

Rifletto anch'io su questo e mi viene da pensare più alla seconda ipotesi.  Ci sono in giro per il web altri forum specializzati ( per scrittori dilettanti, per variopinti buddhisti, per cristiani che interrogano sacerdoti, ecc.). Però anche in questi si può notare che c'è un manipolo di frequentatori assidui e poi altri che vanno e vengono. Uno dei problemi, ma che non è un problema, del nostro Hotel Logos è sicuramente, a parer mio, il livello molto alto di gran parte delle discussioni. Questo non invoglia certo tutte quelle persone che "vorrebbero dire la loro" , ma che si sentono inadeguate ( come il Sari che però ha dalla sua una incredibile faccia di bronzo, in quanto seguace dell'anatta-non-sè...quindi non è un problema mio...quello che gli altri pensano di me ;D )di fronte alla complessità dei ragionamenti che vi circolano. Notiamo infatti una grande disparità tra il numero di quelli che si iscrivono e quello di coloro che effettivamente poi postano qualcosa ( intimiditi? ...). Mettiamoci pure una certa qual mancanza di "delicatezza" che a volte può urtare gli animi più suscettibili spingendoli ad abbandonare, il tutto condito dall'impermanenza di ogni cosa ( pertanto pure dell'interesse di diversi utenti, che muta...) e la pietanza è condita. Ma credo sia un pò in generale e non solo del nostro Hotel.. L'uomo si stanca di tutto, vuole sempre cambiare ( è il dukkha dell'uomo, è fatto così... :( ). Ci sono poi quelli che oggettivamente hanno più tempo  a disposizione , per mille motivi, e quelli ( come il sottoscritto...) che scrivono pure per il semplice piacere di scrivere ( ma nell'Hotel credo che siamo in pochissimi a nutrire questa passione "artistica"...). C'è poi il problema dei diversi interessi ( il filosofo a cui non interessa nulla di spiritualità o di arte. Quello a cui piacerebbe parlare di Cristo ma non incontra l'interesse del logico-matematico , ecc.). 
Sarebbe interessante sentire pure l'opinione di qualcuno/a che si è iscritto, le sue motivazioni per farlo e il perché poi non ha postato qualcosa di suo...
Utenti "silenziosi" fatevi avanti e aiutateci! :)
 
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

doxa

#10
Ciao Sari,
mi faccio avanti io per dire che la sezione filosofia è frequentata da alcuni assidui che come si suol dire "se la suonano e se la cantano", con frequenti dissonanze, andando spesso  fuori tema rispetto al titolo del topic. In questa sezione molti post sono noiosissimi, chi li scrive pensa  solo a manifestare la propria cultura filosofica.

Gli estensori di tali post non potrebbero lavorare nei mass media, come giornali, riviste, radio, televisione. Tali mezzi di comunicazione di massa hanno l'esigenza di farsi leggere o ascoltare da tutti, ed attrarre l'attenzione dei lettori o degli ascoltatori.

Argomenti che potrebbero essere esauriti in pochi post vengono prolungati per pagine. Ed anche i temi scelti non invitano alla lettura dei più, perché non sono di interesse generale ma soltanto di chi apre il topic.

Ci sono anche due sezioni del forum che potrebbero ospitare argomenti sociologici o psicologici che penso siano più interessanti di quelli filosofici, ma  vengono ignorati.

Buona notte Sari

Phil

Citazione di: altamarea il 29 Settembre 2017, 23:50:54 PM
la sezione filosofia è frequentata da alcuni assidui che come si suol dire "se la suonano e se la cantano", con frequenti dissonanze, andando spesso  fuori tema rispetto al titolo del topic. In questa sezione molti post sono noiosissimi, chi li scrive pensa  solo a manifestare la propria cultura filosofica.
Eppure c'è anche chi, come me, non ha cultura filosofica ma riesce comunque ad essere noioso  ;D 
Scherzi a parte, in un forum di "filosofia e dintorni", uno degli effetti collaterali inevitabili è che i temi non abbiano abbastanza "appeal" per tutto il pubblico o siano sviluppati in modo un po' confuso e frammentato (in simbiosi con alcuni post  ;) ), ma non essendoci programmazione o plebiscito sugli argomenti, credo sia uno dei rischi che un forum debba correre per garantire una vasta libertà di "autogestione tematica" ai suoi utenti.
Citazione di: altamarea il 29 Settembre 2017, 23:50:54 PM
Gli estensori di tali post non potrebbero lavorare nei mass media, come giornali, riviste, radio, televisione. Tali mezzi di comunicazione di massa hanno l'esigenza di farsi leggere o ascoltare da tutti, ed attrarre l'attenzione dei lettori o degli ascoltatori.
Non so se questo forum nasca con l'intenzione di diventare "forum di massa", per mutuare dai mass media le suadenti modalità di comunicazione e argomenti accattivanti a ampio raggio di target (di certo, se aprissimo topic su qualche reality show, il numero di visite e di post si impennerebbe, ma forse non è questo lo spirito dell'Hotel Logos...).
Nei suoi limiti tematici, il forum mi sembra piuttosto aperto e accogliente (non c'è il test d'ingresso ;D ); allora forse è l'utenza ad essere un po' troppo reticente a farsi avanti... non a caso, come osservi,
Citazione di: altamarea il 29 Settembre 2017, 23:50:54 PM
Ci sono anche due sezioni del forum che potrebbero ospitare argomenti sociologici o psicologici che penso siano più interessanti di quelli filosofici, ma  vengono ignorati.

Citazione di: Sariputra il 29 Settembre 2017, 22:56:47 PM
@Jean scrive:
qualcosa non ha funzionato oppure questo è il massimo che si poteva ottenere?

Rifletto anch'io su questo e mi viene da pensare più alla seconda ipotesi.
Anch'io sono piuttosto perplesso sul fenomeno di utenti, centinaia di utenti (più di 400 iscritti nel 2017!) che si concedono il tempo di scegliere un nome utente, una password, poi si iscrivono, ma non per postare... in fondo, se volessero solo leggere il forum senza partecipare potrebbero farlo anche senza iscriversi... intendiamoci, non che ci sia nulla di male nell'iscriversi e poi non usare il profilo creato, ma che ciò si riveli il denominatore comune di circa il 90% degli iscritti, lo trovo, nel mio piccolo, piuttosto bizzarro...
Suppongo che molti "utenti attivi", si sono iscritti e il giorno dopo avevano già scritto qualcosa, vuoi nella sezione "presentazione", vuoi aprendo un topic, vuoi inserendosi in una conversazione già avviata... sbaglio?.
La costanza con cui invece risultano nuove iscrizioni (circa 50 al mese), e l'altrettanta costanza con cui di nuovi utenti se ne vede "in azione" un paio al mese, mi lascia spaesato sul senso da dare ai dati statistici, quasi al punto che, come direbbe l'intramontabile motto, "a pensar male si fa peccato, ma..." ;D

Apeiron

ALTMAREA
la sezione filosofia è frequentata da alcuni assidui che come si suol dire "se la suonano e se la cantano", con frequenti dissonanze, andando spesso fuori tema rispetto al titolo del topic. In questa sezione molti post sono noiosissimi, chi li scrive pensa  solo a manifestare la propria cultura filosofica.

APEIRON
Altamarea a volte l'impressione è quella. Ma siamo sicuri che questo sia solo un male? Non mostra che certi argomenti in realtà sono molto più vasti di quello che si pensa?

ALTMAREA
Gli estensori di tali post non potrebbero lavorare nei mass media, come giornali, riviste, radio, televisione. Tali mezzi di comunicazione di massa hanno l'esigenza di farsi leggere o ascoltare da tutti, ed attrarre l'attenzione dei lettori o degli ascoltatori.

APEIRON
Ecco, qui invece ritengo che sia un bene di questo Forum.  Non si può per esempio parlare della "metafisica" senza fare discorsi seri e anche pedanti, altrimenti si arriva al parlare del nulla.

ALTAMAREA
Ci sono anche due sezioni del forum che potrebbero ospitare argomenti sociologici o psicologici che penso siano più interessanti di quelli filosofici, ma  vengono ignorati.

APEIRON
Ecco a me interessa la psicologia e ogni tanto intervengo su tali questioni. A riguardo per esempio della politica e della sociologia invece evito di farlo perchè "so di non sapere". Alcuni interventi mi danno l'impressione che tu hai per quelli della "sezione filosofia" ma nuovamente ritengo che ciò sia anche un bene perchè si vede che la gente approfondisce.

Ad ogni modo ritengo che la possibile causa dell'inattività di alcuni è il motivo per cui @Angelo Cannata ci ha lasciati (spero temporaneamente  :'( ): ossia certe discussioni effettivamente hanno toni a mio giudizio esagerati. Questo può allontanare alcuni utenti. Per questo motivo faccio del mio meglio a mantenere toni pacati quando discuto.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron scrive:
Ad ogni modo ritengo che la possibile causa dell'inattività di alcuni è il motivo per cui @Angelo Cannata ci ha lasciati (spero temporaneamente   ): ossia certe discussioni effettivamente hanno toni a mio giudizio esagerati. Questo può allontanare alcuni utenti. Per questo motivo faccio del mio meglio a mantenere toni pacati quando discuto.


Mi associo al 100% a queste considerazioni di @Apeiron oltre a unirmi a lui ovviamente nella speranza che @Angelo Cannata ( e Duc ??) ci ripensi  e torni a frequentare l'Hotel Logos, portando le sue interessanti osservazioni e riflessioni.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.