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Il Sasso Manduino

Aperto da viator, 02 Giugno 2020, 18:34:07 PM

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viator

 La Sentinella dell'Eternità, ovvero la realtà della trascendenza.
Al colmo del dosso comparve, ancora distante, la piana in cui convergevano le due valli: queste rinserravano tra loro le prime brutali avvisaglie delle vere montagne, a sfondo delle quali si mostrava la prima di esse, quella che lui chiamava la Sentinella dell'Eternità.
Amava la montagna perché essa era nuda e vera. Era come il corpo di quella che ti può dare piacere con la propria nudità per poi magari deluderti con la propria verità. Ma la montagna in ciò si rivelava specularmente diversa: ti dava la sofferenza della fatica per poi invariabilmente appagarti.
L'amava inoltre perché era alta e remota, come i sogni; infine perché era fuori di lui, oltre che sopra di lui, come il Dispotico.
Una precoce, recente nevicata, in alto, rendeva la Sentinella ancora più remota. Non conosceva monte più emblematico. Era, per lui, il perfetto connubio tra la sveltezza e l'imponenza.
Ogni volta che la vedeva era sedotto da associazioni letterarie: ancora avrebbe avuto ragione Marta, con il suo ".....troppi libri!". Ma ancora avrebbe avuto anche torto poiché erano associazioni non di testo e di contenuto, ma unicamente di titoli di opere che non aveva mai letto e di cui conosceva semplicemente l'esistenza, magari il genere e l'autore, ma nulla più: "Cime tempestose","La montagna dalle sette balze", "Muraglie" oppure "Cime abissali" e così via. E non parlavano certo della realtà della montagna.
Aveva visto ed in piccola parte anche frequentato tutte le maggiori montagne delle Alpi, ed al suo occhio assolutamente assuefatto al cogliere forme, contenuti e misura tridimensionale di quegli ambienti non erano certo sfuggiti tanti altri monti come quello non celebrati ma dotati comunque di spiccata individualità.
Né ai suoi sensi né alla sua ragione era mai apparso qualcosa che reggesse il confronto.
Era perché applicava alle montagne, senza intenzione, certo, i medesimi criteri che regolavano le proprie preferenze femminili ed anche altri generi di preferenze. Doveva certo trattarsi di qualcosa di radicale. Gli aveva dato una propria interpretazione filosofica.
Forse la maggior parte di coloro, moltissimi, che transitavano quella strada, non ne conosceva neppure il nome e probabilmente mai si sarebbe curata di chiederselo. Nome vero assolutamente rustico, locale, privo di qualsiasi particolare suggestione. Per i locali, per le centinaia di generazioni che ne erano state dominate, la Sentinella era quella che era, non quella che poteva sembrare ad un forestiero come lui. Un ammasso da subire nel proprio retroterra, la cui unica utilità era il poter cavar sassi dai suoi avancorpi ed il fornire un riferimento al ritorno dai più lontani spostamenti. Sì, col tempo l'ideale romantico aveva attecchito anche in quei luoghi, d'altra parte tutt'altro che isolati od arretrati, e qualcuno di loro ora la trovava anche imponente, elegante. Dava un poco di lustro, da questo punto di vista, ed era persino finita su qualche calendario e cartolina.
Da una base bassissima, posta a quota ridicola che non riusciva ad introdurre neppure il presagio della collinarità, fermandosi lungo la strada sarebbe stato sufficiente alzare una scarpa per cominciare a saggiarne la roccia.
Ma era da una certa, quasi rispettosa, distanza che la Sentinella diceva ciò che doveva dire. Come se apparisse quella che era solo prima di aver concesso il permesso di avvicinarsi.
Pochi, mimetici e limitati alle bassure i segni e gli sfregi dell'uomo lungo le sue pendici; come se la frenesia del lavoro, dell'appropriazione del territorio e del suo rimestamento, così evidenti nella piana, si fosse persa d'animo contro quelli che non erano ancora i suoi abissi, ma solo le sue balze.
Vallette e solchi sempre pronti a raccogliere le acque temporalesche ma per il resto asciutte; gobboni, scivoli di granito e placconate nelle cui fessure cresceva la flora più contorta e resistente, poi faggio e castagno dove possibile, sopra frammischiati a poche gracili betulle.
Quel versante era, per via della sua esposizione, un implacabile divoratore di raggi solari ed anche con il maltempo, grazie ad un certo gioco della circolazione locale dell'aria, era quello che prima degli altri si liberava dei vapori, delle nuvole; come avesse eternamente fame di luce.
Nonostante una simile solarità le balze e, più in alto, gli abissi del vero e proprio corpo della montagna formavano una sorta di universo infernale, tale forse da addirittura angosciare spiriti troppo trepidi che si aggirassero loro intorno o che si dedicassero alla loro perlustrazione visiva.
Era il contesto più appropriato per l'ambientazione del mito di Sisifo.
Era l'orrido che, salendo, conduceva poi alla liberazione da sé. Era l'immanenza che andava a sciogliersi. Era l'informe che diventava l'eleganza della trascendenza.
Orridi ed immani erano i contrafforti della Sentinella ma salendo l'immane si dissolveva attraverso l'assottigliamento delle masse arrotondate, delle gibbosità che da numerose e caotiche andavano come a raccogliersi rarefacendosi e poi annullandosi l'un l'altra per generare costole, poi creste ora quasi rettilinee ora che si incurvavano a raggiungere le altre, vestite unicamente di grigia nudità, quasi mai neppure di neve.
E queste, spingendosi addosso alla parte più elevata della montagna, finivano per frantumarsi in gradini e torrioni, guglie e pilastri di slancio sempre maggiore e dai fianchi sempre più lisci e selvaggi. Perciò, mentre l'orridità restava, l'immanenza diminuiva.
Solo salendo ancora, questa volta con lo sguardo aderente alla porzione sommitale della montagna, anche l'orrido cedeva il passo. Diventava l'isolato ed il poderoso; era dovuto al fatto che ormai non esisteva, attorno a ciò che si stava osservando, altra quinta che non fosse il vuoto, il cielo.
La materia che penetra il cielo. E quindi l'immanenza che si trasforma nella trascendenza fino a dissolversi in essa. Sempre gli opposti incontrano la loro reciproca contiguità.
Il caos si era stemperato e si trasformava in quello che, nel troppo tecnico linguaggio orografico, si chiamava "edificio sommitale", consistente in una colossale piramide tronca.
Abissi che si avventavano verso l'alto mozzandosi di colpo in due creste la cui congiunzione generava una specie di pianerottolo occupato da massi accatastati che determinavano, visti da sotto, un profilo terminale sfrangiato, appunto come spezzato.
Non l'aveva mai salita, né l'avrebbe fatto. Non ne era in grado, ora.
Ma non era questa la cosa importante. Non sarebbe stato per autocompiacimento e men che meno per raccontarne ad altri, che l'avrebbe fatto. Aveva nutrito rimpianto solamente per il panorama sconfinato e vertiginoso che, se la giornata fosse stata giusta, avrebbe potuto godere di lassù. Abissi e muraglie, ed il risucchio della vertigine che vuole trascinarti giù da dove ti sei faticosamente sollevato, e solitudine solare, luce, aria, spazio, e giù in fondo la ridicola ed insensata presenza dei suoi cosiddetti simili...........
Poi aveva saziato anche quello, concedendosi un sorvolo di quelle zone con un piccolo aereo pilotato da un collega, qualche anno prima. Certo, la differenza soggettiva era stata quella che passa tra una corsa in motocicletta ed un tragitto in autobus..............
Ricordi e considerazioni che lo accompagnavano mentre ormai aveva lasciato che quella visione gli scorresse accanto mentre imboccava ora la valle di destra. Andava altrove, oggi.
Davanti, altre montagne alte e remote, immobili, inanimate ed immutate, insensibili a sé ed a lui. Materia.
Era sempre stato triste per lui osservare come molti vivano in modo conflittuale la solo apparente contraddizione ed estraneità reciproca tra materialità e spiritualità, sembrino non capire che la trascendenza non può fare a meno e non può generarsi che dall'immanenza e che entrambe hanno la medesima dignità di contenuti. Anzi, come pensava lui in modo non certo originale ma molto, molto strutturato, che in fondo a tutte le cose c'è una cosa sola.


Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

iano

Sudato, ma appagato , arrivato in cima. :)
Bello, bello.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

viator

Salve Iano. Incredibile ma vero. Un cenno di vita (il tuo commento) all'interno di un simile deserto di rocce. Intanto grazie, Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.