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Il Grande Nero

Aperto da viator, 02 Giugno 2020, 18:27:01 PM

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viator

 Il Grande Nero, ovvero la mistica della immanenza.



Cosa c'è di più immanente di una montagna?
Che c'è di più brutalmente materiale, di insensibile, di inerte? Un mucchio di pietre, dopotutto.
Proprio di fronte alla Sentinella dell'Eternità, quale pilastro terminale dell'opposto versante della valle in cui si stava avviando si alzava un altro monte. Lui lo chiamava il Grande Nero.
Molto diverso dalla prima, di questo appariva inoltre il versante "al vago", cioè all'ombra, come veniva detto in quel modo nella parlata locale. Era di trecento metri più basso ma ancora più incombente. Se la Sentinella era una virago, quest'altro sarebbe stato paragonabile ad un lottatore di "Sumo".
Una base possente, apparentemente immutabile, articolata in mille pieghe ora rischiarate ora trascurate dal sole. La vita vegetale che si affollava alle quote inferiori ma era costretta, assieme a quella animale ed umana, a diventare via via più rada, semplice e resistente mano a mano che volesse innalzarsi.
Diciamo che la particolarità fisica della montagna è che essa rappresenta ciò che di più grande (ancora: immane) un occhio umano possa cogliere e valutare nelle sue dimensioni in modo istantaneo.
Mare e cielo e deserti sono anche più grandi, ma essi sono essenzialmente bidimensionali, e l'allontanarsi, l'indefinirsi del loro limite ci fornisce forse la sensazione di infinità, ma ci nega quella di concreta grandiosità riferibile ad un unico corpo fisico. Che per rivelarsi completo dovrà risultare tridimensionale. Inizio, fine e contorni tutti proiettati su di un unico piano davanti a noi.
Le cose umane sono il finito mentre mare, cielo o lontani orizzonti sono l'infinito; la montagna è la misura di quanto grande sia la distanza tra i due riferimenti precedenti, e suggerisce l'unico possibile collegamento fra essi.
Comunque, più si fosse saliti – non importa se solamente con lo sguardo – più varietà si sarebbe lasciata sotto di sé.
Anche le forme e gli stessi ingredienti inanimati del monte si semplificavano verso l'alto.
Diminuiva la quantità d'immanenza  poiché la massa si restringeva ma ne aumentava la qualità, l'emblematicità, in quanto la materia si faceva più semplice, più bruta. Più essenziale, fino alla nudità.
Mano a mano, ci si sarebbe trovati poggianti su di un'immanenza sempre più esigua e circondati da spazio e luce sempre più invasivi, dominanti.
Noi od il nostro sguardo giungiamo in cima. Dopo aver percorso la faticosa nudità, che è semplicemente la realtà e la verità della montagna e, in modo non del tutto allegorico, di noi stessi, della nostra vita e del mondo, si arriva nel punto in cui l'immanenza finisce congiungendosi con il cielo, cioè la trascendenza, e trasformandosi in questi.
Il percorso è compiuto; siamo sorti e partiti dalla materialità e, volendo fuggirla, siamo arrivati dove essa termina.
E' questo il richiamo della montagna, per chi lo sente. Ed è' ciò che rende conto, completandola, della risposta che venne data da un celebre alpinista a chi gli chiedeva – molto retoricamente – la ragione del suo faticare ed esporsi per salirla. L'alpinista disse laconicamente : "Perché è là..."
Ecco il peso del verbo essere : è pari a quello di una montagna. Mauro aveva proseguito oltre quelle tre parole: "...e solo lassù è la verità".
Cosa c'è di più trascendente di una montagna ?


Essa è piena ed immanente, e conduce verso il cielo che è vuoto e trascendente.
La montagna è la materia perché è piena, ed il cielo lo spirito perché è vuoto.
Il vuoto è eternamente immutabile. Quindi il concetto metafisico di cielo, quello di spirito e quello di eternità  coincidono con il vuoto.
Noi cerchiamo i valori spirituali, cioè la vuota assenza di materia, solo nella misura in cui ciò che è pieno di materia non ci soddisfa.
Vogliamo sfuggire al destino di tutti i "pieni", cioè per noi la morte, che non è altro che la restituzione del nostro corpo al mondo cui sempre è appartenuto, il quale ne distruggerà la forma utilizzandone la sostanza per la creazione di altri "pieni" dei quali non comprendiamo il (nostro) significato e che quindi "non ci piacciono" poiché non riusciamo ad immedesimarci in essi.
Ed i più restano scioccamente convinti dell'inverso, cioè che la sostanza, la materia, pur essendo l'entità senza quale nessuna forma e nessuna spiritualità può generarsi ed esistere, con la morte si disperda senza che ciò ci riguardi, mentre la forma resterà immutata sotto una delle diverse denominazioni che ci piace darle: anima, spirito, prana, soffio vitale.............. Si chiama naturale egocentrismo. Incapacità di uscire da noi stessi.
Siamo "inconsciamente consapevoli" del fatto che noi, la nostra identità, siamo il risultato "unico" di una colossale, vertiginosa elaborazione iniziata quindici miliardi di anni fa e compiutasi – per noi – con la nostra nascita ma rifiutiamo la prospettiva che tutto ciò venga (ancora : per noi!) vanificato dalla legge della vita che deve eternamente rimestare la sostanza variandone la forma. Che deve generare nuove anime distruggendo il nostro meschino egocentrismo.
Quanti mondi ci sono a questo mondo, e la gente non li conosce, e non fa altro che cercare altri mondi fuori di questo!!.
Siamo così troppo pieni di noi, appunto..................................!!

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.