Se non hai vissuto la mia vita, allora non puoi giudicarmi.

Aperto da cvc, 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AM

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sgiombo

Ciao Mauro (Oxdeadbeaf).
 
Non trovo problematico il fatto che la vita é complessa e impone spesso scelte sulla cui "complessiva bontà" non si può avere certezza: é anche questo che intendevo quando obiettavo a Paau11 che la "virtù" necessita non solo di bontà ma anche di forza d' animo, coraggio, disponibilità a sporcarsi le mani e a correre il rischio di sbagliare.
 
Ma questo, il fatto che quasi mai o piuttosto mai si può agire assolutamente bene, senza qualche inevitabile "ombra di male", che a volte si é costretti a optare per il "male minore", come anche il fatto che esistano comportamenti malvagi e anche sbagliati in buona fede (che l' etica di fatto universalmente presente nell' uomo nei suoi aspetti più generai astratti variamente declinati porta a giudicare ben diversamente) che contravvengono alla morale, era perfettamente vero (e non problematico a mio avviso) anche quando Dio era ben "vivo e vegeto" e lo é oggi anche per quanti (non pochi) lo credono tuttora tale: la "morte di Dio" (nella limitata misura in cui effettivamente é accaduta) é del tutto irrilevante in proposito.
 
Ciò non toglie che, morto o vivo che sia Dio, il "bene" da noi preferito è quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione se siamo buoni (e non che buoni e cattivi, generosi e magnanimi da una parte e gretti e meschini dall' altra, non si distinguono reciprocamente in quanto tutti indiscriminatamente desiderano identicamente ciò che desiderano, qualsiasi cosa sia; e ovviamente sono felici se lo conseguono, infelici in caso contrario).

Sariputra

Sono perplesso in questo equiparare l'etica con l'accettazione dell'ingiustizia. Che i paria indiani siano e siano stati costretti ad accettare l'ingiustizia sociale, per esempio, non significa affatto che in cuor loro lo ritenessero giusto e che non provassero ripugnanza per ciò. Che un saggio scritto da un occidentale pretenda di comprendere l'intera sofferenza provata e subita da quegli infelici e poi , non si sa come, stabilire che lo ritenessero in cuor loro persino giusto (come se si potesse misurare l'assenza di rancore in persone talmente avvilite dalle loro condizioni inumane e dalla sofferenza...li hanno intervistati? >:( )è una cosa assurda. Che siano tornati a lavorare per i loro aguzzini delle caste superiori dimostra solamente l'estrema miseria, povertà e soggezione che erano (e in parte sono ancora...) costretti a subire, pur di sopravvivere. Negli stessi anni c'era già chi parlava contro questo sistema sociale iniquo e ingiusto e non dimentichiamo che, ben 2400 anni prima, c'era già chi, in India stessa, non faceva distinzioni di casta alcuna...
Che l'etica imponga anche (o soprattutto...) coraggio lo dimostra il fatto che spesso coloro che parlavano contro una morale falsa, egoista e antiumana...hanno fatto una brutta fine!
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Jacopus

Sgiombo. Lungi da me essere razzista o renziano come insinui. È  vero i lestofanti vivono ad ogni latitudine ma proprio a causa dei concetti  che ho illustrato qui, dove si sviluppa una certa etica individualistica e familistica amorale (Banfield) l'universalismo diventa un simulacro adatto per le processioni. Laddove l'universalismo è coltivato con più serietà si trasforma più facilmente in prassi riconosciute e legali. Non parlo di singoli soggetti ma di istituzioni e società. Ovviamente c'è anche il rovescio della medaglia. I popoli mediterranei ben difficilmente, a livello generale, sono portatori di valori assoluti. Probabilmente la vicinanza con il mare ci ha vaccinati sia dagli eccessi idealistici messi in pratica sia dalla capacità di fidarci degli altri. Scetticismo più individualismo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Jacopus

CitazioneCiò non toglie che, morto o vivo che sia Dio, il "bene" da noi preferito è quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione se siamo buoni(e non che buoni e cattivi, generosi e magnanimi da una parte e gretti e meschini dall' altra, non si distinguono reciprocamente in quanto tutti indiscriminatamente desiderano identicamente ciò che desiderano, qualsiasi cosa sia; e ovviamente sono felici se lo conseguono, infelici in caso contrario).
Accidenti che sforbiciata di manicheismo. È la bontà di grazia in cosa consiste? Anche Mussolini ha fatto cose buone. Probabilmente anche Hitler.
E poi che tutti facciano cose per ottenere la propria felicità, anche quella "personalizzata, non mi sembra proprio realistico. Ho esperienza di moltitudini di soggetti che agiscono consapevoli e inconsapevoli per realizzare la propria rovina. Ma in questo caso per vedere bisogna scavare e fidarci della nostra mente è della esperienza scritta nei testi di psicoanalisi piuttosto che negli esami clinici o nelle proprie monolitica convinzioni.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sgiombo

Citazione di: Jacopus il 16 Ottobre 2018, 10:42:54 AM
Sgiombo. Lungi da me essere razzista o renziano come insinui. È  vero i lestofanti vivono ad ogni latitudine ma proprio a causa dei concetti  che ho illustrato qui, dove si sviluppa una certa etica individualistica e familistica amorale (Banfield) l'universalismo diventa un simulacro adatto per le processioni. Laddove l'universalismo è coltivato con più serietà si trasforma più facilmente in prassi riconosciute e legali. Non parlo di singoli soggetti ma di istituzioni e società. Ovviamente c'è anche il rovescio della medaglia. I popoli mediterranei ben difficilmente, a livello generale, sono portatori di valori assoluti. Probabilmente la vicinanza con il mare ci ha vaccinati sia dagli eccessi idealistici messi in pratica sia dalla capacità di fidarci degli altri. Scetticismo più individualismo.


Perché, forse che la miserabile pornocrazia (in senso letterale) odierna negli anglosassonissimi USA, con i continui pretesi stupri a ripetizione e "a comando", oltre che "ad orologeria" datanti mezzo secolo (ammazza che memoria per ricordare -solo cinquant' anni dopo, non prima; e solo nei casi in cui sono pagate sottobanco per rovinare politici più o meno scomodi- che "a pensarci bene non era loro  piaciuto"!), oppure le vicende di quell' autentico martire della verità che é Julian Assange, accusato, more solito, di "stupro" in maniera assolutamente non consistente e non minimamente credibile nella nordicissima e protestantissima Svezia al servizio del governo USA avrebbero forse qualcosa da invidiare alla peggior ipocrisia "(psudo-) cattolica" delle peggiori dinastie papali?

sgiombo

Citazione di: Jacopus il 16 Ottobre 2018, 10:53:29 AM
CitazioneCiò non toglie che, morto o vivo che sia Dio, il "bene" da noi preferito è quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione se siamo buoni(e non che buoni e cattivi, generosi e magnanimi da una parte e gretti e meschini dall' altra, non si distinguono reciprocamente in quanto tutti indiscriminatamente desiderano identicamente ciò che desiderano, qualsiasi cosa sia; e ovviamente sono felici se lo conseguono, infelici in caso contrario).
Accidenti che sforbiciata di manicheismo. È la bontà di grazia in cosa consiste? Anche Mussolini ha fatto cose buone. Probabilmente anche Hitler.
E poi che tutti facciano cose per ottenere la propria felicità, anche quella "personalizzata, non mi sembra proprio realistico. Ho esperienza di moltitudini di soggetti che agiscono consapevoli e inconsapevoli per realizzare la propria rovina. Ma in questo caso per vedere bisogna scavare e fidarci della nostra mente è della esperienza scritta nei testi di psicoanalisi piuttosto che negli esami clinici o nelle proprie monolitica convinzioni.

Assolutamente non capisco (nulla di queste insinuazioni, ma soprattutto la taccia di "manicheismo").

Che la perfezione non esista, tanto nel bene quanto nel male, che per fare davvero del bene si debba avere anche grande forza d' animo e disponibilità a sporcarsi le mani (evitare la qual cosa non é moralità ma invece moralismo) é proprio una delle tesi che più tenacemente sto sostenendo in questa discussione (fra lo scandalo di conformisti e buonisti politicamente corretti).

Che cercando la propria felicità si possa anche finire nel procurarsi l' infelicità non significa certo che si cerchi la propria sofferenza deliberatamente!
Le mie convinzioni sono più o meno salde, comunque sempre nell' intento di sottoporle da parte mia alla più severa e spietata critca razionale.

0xdeadbeef

A Ipazia e Sgiombo
Si parlava, se non erro, di innatezza della morale...
In un precedente intervento, dicevo che l'empatia verso l'"altro" scema man mano che ci si allontana da se stessi. Quindi se
stessi, la propria famiglia, la propria cerchia di amici e parenti, quella dei conoscenti, e così via fino ad arrivare agli
sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani sia geograficamente che culturalmente.
Sulla base di ciò, mi chiedo se la definizione di "morale", e di "bene", di Ipazia ("L'etica è qualcosa di molto concreto,
finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti") e Sgiombo
("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie") "dica" la moralità o dica qualcos'altro...
Sicuramente la morale così come da loro intesa è un qualcosa di innato; ma è davvero ancora definibile come "morale"?
Su una tale base, come è possibile, ad esempio, reputare immorale l'intenzione nazista di cancellare la "razza" (...)
ebraica? Non era forse, essa, vista dai nazisti come un pericolo per la sopravvivenza della razza ariana?
E allora? Lasciamo forse che sia il "nomos" umano a dirimere su ciò che è degno di sopravvivere e riprodursi e ciò che non
lo è (come del resto nell'esempio degli Hindi riportato da Jacopus)?
Ah sì, nei fatti non possiamo che agire in tal modo, d'accordo; ma, appunto, se reputiamo come "fondata" una morale che
fa NON della sopravvivenza e riproduzione dell'INTERO genere umano, ma della sopravvivenza e della riproduzione di un
particolare gruppo umano la propria sostanza, allora siamo in tutto e per tutto dentro la definizione utilitaristica della
filosofia anglosassone.
Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una
certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto"). Che vuol dire l'impossibilità "ultima" di giudicare alcunchè
("non puoi giudicarmi", dice infatti la casalinga oggetto originario di questo post).
Non credo esista un "dato evolutivo reale" che possa confortarci circa una possibilità concreta di superare "oggettivamente"
questa impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità (se c'è, io non lo conosco...).
Mi tengo allora la definizione "continentale". Pur se "senza sbocchi" (Ipazia); pur se, giustamente, a rigor di logica dovrei
pormi il problema della bistecca di manzo e della carota; essa mi dà però un riferimento che l'altra non può darmi.
Ma quale riferimento? Non certo quello di un articolo di fede...
Essa mi indica non tanto una oggettività "possibile" (altrimenti ci sarebbe uno sbocco...), quanto appunto la necessaria
mancanza di ogni riferimento nell'altra, sulla quale è appunto impossibile la formulazione di qualsiasi giudizio di valore,
o morale che dir si voglia.
saluti

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 15:18:59 PM
A Ipazia e Sgiombo
Si parlava, se non erro, di innatezza della morale...
In un precedente intervento, dicevo che l'empatia verso l'"altro" scema man mano che ci si allontana da se stessi. Quindi se
stessi, la propria famiglia, la propria cerchia di amici e parenti, quella dei conoscenti, e così via fino ad arrivare agli
sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani sia geograficamente che culturalmente.
Sulla base di ciò, mi chiedo se la definizione di "morale", e di "bene", di Ipazia ("L'etica è qualcosa di molto concreto,
finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti") e Sgiombo
("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie") "dica" la moralità o dica qualcos'altro...
Sicuramente la morale così come da loro intesa è un qualcosa di innato; ma è davvero ancora definibile come "morale"?

Sì, perchè è adeguata all'evoluzione dei costumi (mores) di una comunità. Pensi davvero che questo esempio:

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 15:18:59 PM
Su una tale base, come è possibile, ad esempio, reputare immorale l'intenzione nazista di cancellare la "razza" (...)
ebraica? Non era forse, essa, vista dai nazisti come un pericolo per la sopravvivenza della razza ariana?

lo sia ? O non sia stata piuttosto un'operazione politica oscenamente strumentale, la cui falsità era percepibile da chiunque avesse un pur minimo livello etico/culturale consono ai livelli di civiltà europea di quell'epoca, tedeschi compresi.

Citazione di: 0xdeadbeef

E allora? Lasciamo forse che sia il "nomos" umano a dirimere su ciò che è degno di sopravvivere e riprodursi e ciò che non
lo è (come del resto nell'esempio degli Hindi riportato da Jacopus)?
Ah sì, nei fatti non possiamo che agire in tal modo, d'accordo; ma, appunto, se reputiamo come "fondata" una morale che
fa NON della sopravvivenza e riproduzione dell'INTERO genere umano, ma della sopravvivenza e della riproduzione di un
particolare gruppo umano la propria sostanza, allora siamo in tutto e per tutto dentro la definizione utilitaristica della
filosofia anglosassone. Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto"). Che vuol dire l'impossibilità "ultima" di giudicare alcunchè
("non puoi giudicarmi", dice infatti la casalinga oggetto originario di questo post).
Non credo esista un "dato evolutivo reale" che possa confortarci circa una possibilità concreta di superare "oggettivamente"
questa impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità (se c'è, io non lo conosco...).
Mi tengo allora la definizione "continentale". Pur se "senza sbocchi" (Ipazia);

Non mi ispira l'utilitarismo ideologico che postula le comunità e gli individui eternamente immobili in loro stessi, tipico della metafisica anglosassone, ma un'evoluzione etica che rifonda continuamente il significato di comunità e di individuo al suo interno. La dichiarazione universale dei diritti umani ha contenuti che corrispondono al ceck di quello che intendo per evoluzione etica e mi pare che postuli l'intera umanità come soggetto di tali diritti.

Citazione di: 0xdeadbeef
pur se, giustamente, a rigor di logica dovrei pormi il problema della bistecca di manzo e della carota;

Essì, altrimenti postuliamo un Bene a mezzo servizio, specista, anziché razzista. Relativista a sua insaputa.

Citazione di: 0xdeadbeef
essa mi dà però un riferimento che l'altra non può darmi.
Ma quale riferimento? Non certo quello di un articolo di fede...
Essa mi indica non tanto una oggettività "possibile" (altrimenti ci sarebbe uno sbocco...), quanto appunto la necessaria
mancanza di ogni riferimento nell'altra, sulla quale è appunto impossibile la formulazione di qualsiasi giudizio di valore,
o morale che dir si voglia.
saluti

Sull'utilitarismo anglosassone e la sua progenie darwinista sociale, concordo. Sulla necessità di calare l'innata pulsione morale, ancorata fin da subito al valore "vita umana", in un processo evolutivo, non credo vi siano alternative di sbocco. Siamo già coinvolti in questioni etiche da Io robot di Asimov e tra poco rischiamo seriamente di finire in quelle poste da 2001 Odissea nello spazio e Blade runner. Senza tralasciare quelle già emerse aspeciste.
saluti
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 15:18:59 PM
A Ipazia e Sgiombo
Si parlava, se non erro, di innatezza della morale...
In un precedente intervento, dicevo che l'empatia verso l'"altro" scema man mano che ci si allontana da se stessi. Quindi se
stessi, la propria famiglia, la propria cerchia di amici e parenti, quella dei conoscenti, e così via fino ad arrivare agli
sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani sia geograficamente che culturalmente.
Sulla base di ciò, mi chiedo se la definizione di "morale", e di "bene", di Ipazia ("L'etica è qualcosa di molto concreto,
finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti") e Sgiombo
("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie")
"dica" la moralità o dica qualcos'altro...
Citazione
NO, questa é una semplificazione errata delle mie convinzioni.
I sentimenti e i valori morali in una consistente parte universalmente umani, anche se in altra impostante parte culturalmente declinati con discreta variabilità storica (diacronica) e sociale (anche sincronica), si sono imposti dallo sviluppo di tendenze comportamentali anche pre-umane perché tali tendenze e tale sviluppo non sono  antiadattativi ma anzi hanno contribuito al superamento della selezione naturale.
MI sembra ovvio che il fatto che queste tendenze siano state e siano utili alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie non ne sminuisce affatto gli intrinsechi aspetti e caratteri in larga, a mio parere nettamente prevalente misura (ovviamente non assoluta) di altruismo, generosità, magnanimità.

Basta concentrarsi, con un minimo sforzo di fantasia, ad immaginare quello che accade agli sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani, o comunque lontani non solo geograficamente ma anche culturalmente quanto si vuole, per provare esattamente gli stessi sentimenti e moti d' animo che ceteris paribus sentiamo per i più stretti parenti che abbiamo immediatamente sotto gli occhi e dunque  le loro sofferenze (ma anche le loro gioe e felicità) immediatamente constatiamo senza sforzi mentali, neanche minimi.
E' casomai una deliberata, intenzionale diseducazione alla grettezza e meschinità "pararazziste" a rendere insensibili gli uomini verso i "lontani" culturalmente, geograficamente, ecc., al contrario delle spontanee tendenze innate nei bambini, come mi conferma continuamente mia moglie, maestra elementare "non troppo di sinistra", non cattolica praticante, che non ha mai fatto volontariato per la "Chatitas e affini" che anzi fa da sempre oggetto di un certo sospetto e  diffidenza.

Se tutto questo non é autentica moralità, allora l' autentica moralità non esiste (o meglio: se lo si pensa, allora della sua esistenza non ci si avvede, cadendo nel nichilismo).





Sicuramente la morale così come da loro intesa è un qualcosa di innato; ma è davvero ancora definibile come "morale"?
Su una tale base, come è possibile, ad esempio, reputare immorale l'intenzione nazista di cancellare la "razza" (...)
ebraica? Non era forse, essa, vista dai nazisti come un pericolo per la sopravvivenza della razza ariana?
E allora? Lasciamo forse che sia il "nomos" umano a dirimere su ciò che è degno di sopravvivere e riprodursi e ciò che non
lo è (come del resto nell'esempio degli Hindi riportato da Jacopus)?
Citazione
Qui, mi dispiace sinceramente constatarlo, cadi sempre nel solito paralogismo per cui le violazioni dell' etica sarebbero prova dell' inesistenza dell' etica.

Ci sono sempre state, e in misure "colossali", da far impallidire il nazismo (e il sionismo, che personalmente reputo peggiore del nazismo), violazioni dell' etica, anche quando e dove Dio "godeva della più splendida, robusta, vitalistica salute", e mai nessuno le ha considerate (del tutto giustamente) prove dell' inesistenza dell' etica.
Non per niente dove e quando "Dio godeva e gode di strepitosa salute credenze in inferni e punizioni terribili per i malvagi "prosperavano" e "prosperano" non meno salubremente dell' "Altissimo": ci sarà pure un motivo!

MI sembra evidente che l' etica sia tanto più solidamente fondata quanto meno ha bisogno di spauracchi diavoleschi per essere rispettata.
E guarda che intorno  noi, anche in quest' epoca di merda in cui ci tocca vivere, perfino in essa, non ci sono solo omicidi, imbroglioni, gretti e  meschini profittatri delle disgrazie e difficoltà altrui!
Ci sono anche sindaci che si fanno gli arresti domiciliari (per ora) per amore di giustizia; e monsignori che vanno serenamente incontro al martirio (non solo per la fede, ma per quel che mi riguarda anche e soprattutto per la giustizia; e noi comunisti li abbiamo "laicamente canonizzati" trent' anni prima della chiesa cattolica, quando "SantosubitoGP2" andava d' amore a d' accordo con gli assassini che li hanno uccisi in chiesa col calice in mano); e pubblicisti anticonformisti (riterrei decisamente offensivo chiamarli "giornalisti") che sono agli arresti domiciliari in ambasciate sudamericane da anni e rischiano di essere consegnati agli aguzzini torturatori USA per amore della verità.


Ah sì, nei fatti non possiamo che agire in tal modo, d'accordo; ma, appunto, se reputiamo come "fondata" una morale che
fa NON della sopravvivenza e riproduzione dell'INTERO genere umano, ma della sopravvivenza e della riproduzione di un
particolare gruppo umano la propria sostanza, allora siamo in tutto e per tutto dentro la definizione utilitaristica della
filosofia anglosassone.
Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una
certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto"). Che vuol dire l'impossibilità "ultima" di giudicare alcunchè
("non puoi giudicarmi", dice infatti la casalinga oggetto originario di questo post).
Citazione
Scusa, ma da dove salta fuori questa autentica boiata ? ? ?

Con me personalmente non ha proprio nulla a che vedere (anzi ! ! !), e anche circa l' utilitarismo, per quel poco che ne so, il tuo é un indebito stravolgimento (per lo meno teorico; che poi "anche il papa é peccatore", come ripeteva speso il mio prof. di religione del liceo, e dunque Locke, o forse Stuart Mill, non ricordo bene -di certo non Hume!- possedeva schiavi é un altro paio di maniche; ignorandolo ricadiamo nel solito paralogismo "violazione della morale == negazione della morale): non mi sembra abbia mai parlato di utilità limitata a particolari gruppi umani, ma casomai universalmente sociale (dunque per l' umanità nella sua interezza).



Non credo esista un "dato evolutivo reale" che possa confortarci circa una possibilità concreta di superare "oggettivamente"
questa impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità (se c'è, io non lo conosco...).
CitazioneQui non posso che constatare il dissenso fra noi.



Mi tengo allora la definizione "continentale". Pur se "senza sbocchi" (Ipazia); pur se, giustamente, a rigor di logica dovrei
pormi il problema della bistecca di manzo e della carota; essa mi dà però un riferimento che l'altra non può darmi.
Ma quale riferimento? Non certo quello di un articolo di fede...
Essa mi indica non tanto una oggettività "possibile" (altrimenti ci sarebbe uno sbocco...), quanto appunto la necessaria
mancanza di ogni riferimento nell'altra, sulla quale è appunto impossibile la formulazione di qualsiasi giudizio di valore,
o morale che dir si voglia.
saluti
Citazione
Non credo che l' utilitarismo "anglosassone" (pur con tutta la mia "anglosassonefobia") "classico" (di Stuart Mill) sia condannato al dogmatismo e pregiudizialmente impossibilitato alla considerazione etica di tutti i senzienti, anche non umani, quale si sta sviluppando negli ultimi decenni (che presenta peraltro anche eccessi irrazionalisti, da sottoporre a critica razionale).  

Saluti cordiali.

0xdeadbeef

#69
A Ipazia
Comprendo come quello del nazismo sia un esempio "esagerato". Ti ricordo altresì che, allora, dei totalitarismi se ne
aveva un'idea molto diversa da quella posteriore (non dico di oggi, che certi giudizi vanno già annacquandosi...).
Quanto ai tedeschi, mi pare che in Germania non vi fu un'opposizione non dico "forte", ma nemmeno "reale".
Mi pare che persino Heidegger aderì convintamente al nazismo (così come fece Gentile col fascismo), quindi no, non
credo che quella dei nazisti contro gli Ebrei fu una operazione la cui falsità era percepibile da chiunque avesse un
minimo livello etico-culturale.
Comunque, non facciamone una questione storica sul nazismo, e facciamo un discorso un pò più largo...
Chi avrebbe predetto, nelle laiche città arabe degli anni 60 e 70, che un giorno vi avrebbe regnato lo "stato islamico"?
Chi avrebbe predetto, ai tempi dei "lumi" settecenteschi, gli orrori del 900 (non riducibili certo al solo nazismo)?
Cosa avrebbe pensato un Greco seduto nel "teatro" se gli avessero detto che un giorno quel luogo sarebbe diventato
"anfi-teatro", e che lì gli uomini sarebbero stati divorati dalle belve per "diletto" degli spettatori?
Senza tirarla per le lunghe (è chiaro che possiamo fare mattina con questi esempi), io non credo a quello che
è un pò il punto centrale del tuo discorso: "un'evoluzione etica che rifonda continuamente il significato di comunità
e di individuo al suo interno".
Il tuo discorso mi sembra inficiato "in nuce" da un concetto che permea nel profondo la nostra cultura (e che proviene
essenzialmente dalla sfera religiosa): quello di "progresso".
Io non vedo alcun "progresso" morale (diverso discorso, naturalmente, va fatto per la scienza e per la tecnologia); vedo
altresì "mutamenti", che possono essere verso il "bene" come verso il "male" (sempre assolutamente intesi...).
Non dandosi progresso morale, l'innatezza di cui parlate sia tu che l'amico Sgiombo rimame legata a quell'"empatia" di
cui parlavo nel precedente intervento, e che come dicevo non può per me essere identificata con la morale (essendo
empatia verso un particolare gruppo umano - e di conseguenza escludente verso altri).
saluti
PS
Chiaramente scritto prima di aver visto la risposta di Sgiombo.

0xdeadbeef

A Sgiombo
Io non credo che le violazioni dell'etica siano prova dell'inesistenza dell'etica. Credo piuttosto che le violazioni
dell'etica siano semmai prova dell'inesistenza dell'innatezza dell'etica (ma dovrei qui fare importanti distinguo,
che al momento tralascio).
La mia tesi principale in questo argomento non è che le violazioni siano prove dell'inesistenza dell'etica o dell'
innatezza dell'etica; ma è che l'"empatia", di cui parlavo, non è sinonimo di etica (empatia verso gruppi via via
a noi più vicini o lontani), ma è essenzialmente un concetto utilitaristico volto alla sopravvivenza di quelli che
sono ritenuti propri "affini" (e che, cosa importante, vengono da noi "preferiti" - tornando ai discorsi "assurdi":
quanti di noi sacrificherebbero un figlio per la salvezza anche di mille sconosciuti?).
Se poi, come sostiene esplicitamente l'amica Ipazia, vi fosse: "un'evoluzione etica che rifonda continuamente il
significato di comunità e di individuo al suo interno" le cose sarebbero diverse (ma per me, come dico nel precedente
intervento - cui ti rimando - così non è),
saluti

sgiombo

Non so ovviamente per Ipazia, ma per quanto mi riguarda le divergenze di opinione con l' amico Mauro (Oxdeadbeef) sono a questo punto sufficientemente  chiarite e non richiedono ulteriori considerazioni.

Un' ultima precisazione (sono pignolo, lo so!): non sacrificherei nessuno diverso da me (né mio figlio né -esattamente con la stessa, identica convinzione- nessun altro per la salvezza di mille altre persone.
Casomai, nell' ipotesi che ce ne fosse l' occasione, ***SE*** ne avessi il coraggio (sarei ridicolmente presuntuoso a dirmene certo!) mi sentirei fortemente gratificato (sarei sommamente felice) di sacrificare me stesso.

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 16 Ottobre 2018, 19:52:51 PM
A Ipazia
...
Il tuo discorso mi sembra inficiato "in nuce" da un concetto che permea nel profondo la nostra cultura (e che proviene essenzialmente dalla sfera religiosa): quello di "progresso".
Io non vedo alcun "progresso" morale (diverso discorso, naturalmente, va fatto per la scienza e per la tecnologia); vedo altresì "mutamenti", che possono essere verso il "bene" come verso il "male" (sempre assolutamente intesi...).
Non dandosi progresso morale, l'innatezza di cui parlate sia tu che l'amico Sgiombo rimame legata a quell'"empatia" di cui parlavo nel precedente intervento, e che come dicevo non può per me essere identificata con la morale (essendo empatia verso un particolare gruppo umano - e di conseguenza escludente verso altri).

Bisogna sempre partire da qualche archè. Nel caso specifico è il forte legame affettivo e protettivo che si instaura in un branco di animali sociali. Da lì parte l'etica umana. Che poi viene razionalizzata producendo diritto, filosofia, politica. Il passaggio dal branco familiare al branco globale non è poi così ideologico, appena la ragione prenda atto che la casa di questo branco è l'intero pianeta e, tanto per fare un esempio, che la plastica finita in mare non conosce confine alcuno e ci avvelena tutti. Nessuna etica di successo può partire dall'ideologia, ma deve essere profondamente radicata nel corpo sociale vivente, nella sua natura, prima biologica, poi sociale, poi razionale. Dalle tavole mosaiche possono scomparire i numi, ma non la precettistica che anche oggi è alla base del nostro diritto universale, proprio perchè saldamente radicata nella natura umana. Non mi interessano le etichette: progressismo, utilitarismo, ... Mi interessa la sostanza, ed è quella che ho detto.

Nell'ethos ci sta pure il Male dei filosofi ? E allora dovremmo stracciarci le vesti ? Ma anche no. Preso atto che il branco si è dilatato a dismisura e l'ethos con esso, si lavora per un'etica, che rammento è tecnica della gestione della casa comune, soddisfacente, sfruttando la razionalità che ha fatto sì che questo accadesse. Non è un passaggio ideologico, idealistico o materialistico, ma è pura necessità evolutiva. Etica o barbarie. In questo dilemma, e nella sua soluzione, la filosofia può riprendere a volare.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

0xdeadbeef

Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 09:26:58 AM. Dalle tavole mosaiche possono scomparire i numi, ma non la precettistica che anche oggi è alla base del nostro diritto universale, proprio perchè saldamente radicata nella natura umana.



A Ipazia (e a Sgiombo)
Ma i precetti mosaici erano osservati essenzialmente perchè ritenuti comandamenti divini...
Mi chiedo quanti li avrebbero osservati se la loro origine non fosse stata ritenuta quella (se, per usare le tue
parole, da essi fossero scomparsi i numi).
Certo, se come dici tu quella precettistica fosse "saldamente radicata nella natura umana" non ci sarebbe bisogno di
alcun comandamento divino; ma, appunto, che non lo sia è la mia tesi di fondo.
A mio modo di vedere, nella tua tesi e in quella di Sgiombo è implicita l'affermazione di una natura umana
essenzialmente buona (mentre nella mia la natura umana è essenzialmente libera di operare sia il bene che il
male - pur sottostando a svariati condizionamenti). E questa è una affermazione che a parer mio cozza frontalmente
contro l'andamento della storia, che non mostra affatto questa tendenza umana alla bontà d'animo.
Questo, tra l'altro, è il motivo per cui Sgiombo, quando parla di episodi inerenti la malvagità umana, parla di
"violazioni" (la "violazione" è la trasgressione di un qualcosa visto come la "normalità").
saluti

Ipazia

La precettistica mosaica la trovi anche tra gli aborigeni australiani e i nativi americani. Pur in assenza di tavole della legge e con numi assai diversi da quelli della tradizione biblica. Nessuna comunità umana può essere fondata su omicidio, furto e menzogna. Non si tratta del Bene come idea innata dei filosofi, ma del bene come necessità esistenziale all'interno della comunità. Le cui regole non valevano di certo rispetto a comunità straniere ostilmente interessate al suo territorio e ai suoi beni. Non a causa del Male innato dei filosofi, ma per una naturale competizione tra branchi diversi sulle stesse risorse. 

Diventando i branchi, clan, tribù, nazioni, imperi, la competizione si è raffinata e sublimata in forme politiche. Tale evoluzione "progressista" è reale e con essa si è evoluta anche l'idea di bene. Ritengo più per merito della potenza distruttiva crescente degli armamenti che per l'evoluzione del concetto di Bene di preti e filosofi. Anche se le due cose vanno di pari passo, mentre anche il concetto di Male dei politici, spesso ispirati da preti, filosofi e scienziati, non se ne stava certo a guardare. Sia come sia, oggi l'idea di una comunità umana globale è il campo di gioco da cui non si può prescindere. Per cui, anche senza i numi e il Bene innato o catechisticamente imposto, bisogna provvedere.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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