Se non hai vissuto la mia vita, allora non puoi giudicarmi.

Aperto da cvc, 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AM

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Jacopus

#45
Per Phil: la l'interpretazione storico-spiritual-culturale della morale è un bluff esattamente come credere che l'uomo sia mosso solo da valori utilitaristici.
Inoltre ripeto vi sono dei riscontri organici a livello cerebrale che indicano come alcune parti del ns cervello si attivino di più di fronte a situazioni di ingiustizia e che si sviluppino di più questi sentimenti in bambini con famiglie integrate socialmente.
Inoltre avendo una visione alla Damasio, è scontato che il propagandare una visione utilitaristica non fa altro che condizionare il nostro cervello e le nostre azioni sulla base di quel modello. È un problema piuttosto noto: siamo contemporaneamente soggetto e oggetto delle ns riflessioni a differenza della milza o del rame.
Se questo non ti basta puoi sfogliare un libro di storia e paragonare i livelli di violenza quotidiana/tolleranza di 200 o 2000 anni fa e quello che accade oggi nel mondo occidentale.
A scanso di equivoci non sono neppure incantato dalle magnifiche sorti e progressive. Limitiamoci a constatare gli eventi storici.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Jacopus

Per Phil (seconda risposta). L'ipotesi che formuli avvalora quindi la mia tesi, poiché un ambiente favorevole (famiglia altruistica) non fa altro che insegnare dei valori che il bambino apprende. Ma il meccanismo incide addirittura sull'organismo.
La mancanza emozionale, sociale, nutrizionale negli umani, nei primi anni di vita, causa un funzionamento a regime ridotto della corteccia orbito-frontale (interessata al legame sociale e all'autocontrollo), della corteccia limbica, dell'ippocampo e dell'amigdala. Per converso cure attente ed amorevoli sono in grado di modificare la parte esterna del dna. Basta una leccata di topo al suo topolino per cambiare l'espressione genica dell'ippocampo (res extensa e res cogitans iniziano a tremare).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

0xdeadbeef

#47
A Phil
Mah guarda, sono personalmente convinto (anzi, per meglio dire lo temo...) che, come afferma la filosofia
anglosassone, il movente primo dell'agire umano sia la ricerca dell'utile.
Quindi figurati se penso che l'uso della forza sia fine a se stesso...
Machiavelli, a proposito del "Principe", diceva che egli deve prendere il potere con la bruta forza (il leone),
ma poi, una volta acquisito il potere, deve governare con giustizia; e questo non per amore della stessa, ma
per sua convenienza (deve quindi agire poi con astuzia - la volpe).
Vorrei quindi riallacciare quel mio "faccio tutto ciò che la mia forza mi consente di fare" con la tesi di
Machiavelli...
Machiavelli dunque dice, a proposito del momento in cui il "Principe" ha già preso il potere, che il governare
con giustizia è nel suo stesso interesse: perchè?
Semplicemente perchè i sottoposti al suo potere potrebbero ribellarsi ad un dispotismo troppo accentuato (il
debole può pugnalare alle spalle il forte, o avvelenarlo, dice Machiavelli - o forse ricordo male e la frase
era di qualcun'altro - comunque essa illustra molto bene il pensiero di Machiavelli).
Insomma, da questo punto di vista il mio "faccio tutto ciò che la mia forza mi consente di fare" coincide
necessariamente con il tuo "faccio tutto ciò che mi conviene fare", perchè è impensabile che l'essere umano faccia
qualcosa contro il suo utile o conveniente (nemmeno nel caso dei masochisti, afferma lo psicologo A.Adler).
Ma tutto questo, ritengo, non può che voler dire che, al bisogno (ovvero laddove questo rapresentasse un utile),
l'uomo usi solo e soltanto la forza bruta (come, nel caso del "Principe", la fase di presa del potere), senza
minimamente curarsi se tale uso infranga o meno le regole etiche.
In altre parole, a mio parere viene a invalidarsi quel tuo: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza
degli individui "in lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo..." (che, dicevo, io
vedo come passaggio dirimente di tutto il tuo discorso).
Mi riservo di rispondere a parte sull'innatezza delle regole etiche (anche per rispondere a Jacopus).
Diciamo anzi che sto leggendo con grande interesse le vostre "botta e risposta" sull'argomento....
saluti

Phil

Citazione di: Jacopus il 14 Ottobre 2018, 13:36:28 PM
la l'interpretazione storico-spiritual-culturale della morale è un bluff esattamente come credere che l'uomo sia mosso solo da valori utilitaristici.
L'indimostrabilità e la strumentalizzazione di alcune mitologie è facilmente constatabile (da cui il "bluff"); invece come dimostrare che sia un "bluff" il constare come l'utile sia criterio dominante nella società contempranea? Mi sembra un dato di fatto... in che senso intendi che "è un bluff credere che l'uomo sia mosso solo da valori utilitaristici"?

Citazione di: Jacopus il 14 Ottobre 2018, 13:36:28 PM
vi sono dei riscontri organici a livello cerebrale che indicano come alcune parti del ns cervello si attivino di più di fronte a situazioni di ingiustizia e che si sviluppino di più questi sentimenti in bambini con famiglie integrate socialmente.
Ho già accennato di come la reazione fisiologica dei "neuroni specchio" non sia, secondo me, da confondere con le reazioni comportamentali dovute all'indottrinamento culturale (natura vs cultura, tanto per banalizzare).

Citazione di: Jacopus il 14 Ottobre 2018, 13:36:28 PM
Se questo non ti basta puoi sfogliare un libro di storia e paragonare i livelli di violenza quotidiana/tolleranza di 200 o 2000 anni fa e quello che accade oggi nel mondo occidentale.
Concordo che la vita di oggi sia meno violenta, anche questo credo sia un dato di fatto (sebbene non colga il nesso con quanto dicevamo).

Citazione di: Jacopus il 14 Ottobre 2018, 13:48:11 PM
L'ipotesi che formuli avvalora quindi la mia tesi, poiché un ambiente favorevole (famiglia altruistica) non fa altro che insegnare dei valori che il bambino apprende.
Esatto, per questo dico che la morale non è né innata né ontologica, ma viene appresa, dall'ambiente familiare, dal contesto sociale, etc. Faccio sempre l'esempio della lingua: la sua predisposizione è neurologica, ma il suo utilizzo e i suoi contenuti sono indotti.

Phil

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Ottobre 2018, 15:30:02 PM
In altre parole, a mio parere viene a invalidarsi quel tuo: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza
degli individui "in lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo...".
In fondo concordiamo. Non a caso, parlo di "maggioranza degli individui" e, ad occhio, non mi risulta che la maggioranza delle persone non esiti a usare la forza per procurarsi cibo o soldi... certo, ci sono alcuni che lo fanno ma, per fortuna, direi che sono una minoranza (fra tutti quelli che potrebbero farlo, intendo).

0xdeadbeef

Sull'innatezza della morale
Vi confesso il mio disagio quando il discorso prende una piega scientifica...
Anche l'amico Sgiombo mi diceva di questi studi sull'innatezza della morale; io, che non ho una conoscenza
specifica dell'argomento mi limito, come si suol dire, a prenderne atto (sapendo l'attendibilità di chi mi
riporta certe notizie).
Posso quindi solo giudicare così, "a naso", fidandomi ma non troppo di quelle che sono le mie conoscenze
e le mie percezioni.
Ferma restando l'inconoscibilità "ultima" dell'essere umano, sono propenso a credere ad una preponderanza
dell'aspetto "sociale" su quello biologico.
Ciò che mi sembra di notare è che man mano che ci sia allontana dall'"io" l'empatia verso l'"altro" scema.
Proviamo gioia per la gioia di un nostro familiare, dolore per il suo dolore. Questi sentimenti vanno
affievolendosi già quando si parla di amici o parenti, e via via essi divengono sempre più flebili negli
abitanti del medesimo paese (io che vivo in un paesino di campagna posso testimoniare di come ancora vi
sia empatia fra gli abitanti), della medesima regione e nazione.
Scusate la brutalità, ma quando poi si arriva a parlare dei 20.000 morti che lo tsunami ha causato in
Indonesia, questa notizia ci procura, e nonostante l'enormità, assai poco dolore (ci fa quasi lo stesso
effetto della pioggia quando siamo al calduccio dentro casa, come disse quel famoso scrittore di cui adesso
non ricordo il nome).
Sono questo genere di considerazioni che mi portano a pensare che l'etica sia più un prodotto sociale che altro.
Sia, ovvero, più un prodotto dell'istinto di sopravvivenza, nostra e della nostra "gente", che una specie di
codice inscritto nella nostra biologia (nel qual caso, ritengo, i 20.000 morti indonesiani ci getterebbero
in uno stato di nera disperazione - come in realtà, kantianamente, ci "dovrebbero" gettare...).
saluti

0xdeadbeef

Citazione di: Phil il 14 Ottobre 2018, 15:38:43 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Ottobre 2018, 15:30:02 PM
In altre parole, a mio parere viene a invalidarsi quel tuo: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza
degli individui "in lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo...".
In fondo concordiamo. Non a caso, parlo di "maggioranza degli individui" e, ad occhio, non mi risulta che la maggioranza delle persone non esiti a usare la forza per procurarsi cibo o soldi... certo, ci sono alcuni che lo fanno ma, per fortuna, direi che sono una minoranza (fra tutti quelli che potrebbero farlo, intendo).

Temo che la maggioranza non lo faccia per motivi etici, ma perchè non si sente forte abbastanza da poterlo
fare...
Non molto tempo fa lessi di un dilemma filosofico che, fra l'altro, riconduco a quanto dicevo sopra sull'etica.
Il problema, diceva il dilemma, consiste nel dire cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte di uno
sconosciuto che vive a migliaia di km da noi.
Lo trovo affascinante...
saluti

Jacopus

#52
Per Phil. Se intendi l'utilitarismo come prassi e non come dato naturale alla stregua del homo homini lupus, sono d'accordo. Lo reputavo un bluff se lo ponevi in una posizione naturalistica.
Sul binomio natura/cultura tocchi il punto centrale della mia tesi (veramente sviluppata da altri ma che propagando in modo convinto). Ovvero che la cultura è in grado di modificare la natura del ns comportamento non solo attraverso il condizionamento pavloviano, l'apprendimento educativo e cognitivo ma giungendo a modificare la ns stessa fisiologia influenzando la dinamica eugenetica. La modifica all'ippocampo di cui parlavo è stata sperimentata su un topolino che leccava premurosamente i suoi cuccioli, misurata su un gruppo di controllo accudito ma privo dell'affettivita' materna (Liu eh alii, maternal care, hippocampal glucocorticoid receptors... in Science 277, 1997, pg . 1652-1662).
Se questo accade ad organismi relativamente semplici come i topi immagina quanto spazio di modifica comportamentale hanno i componenti della specie homo sapiens. Ed immagina anche come diventi labile da questa prospettiva la distinzione natura/cultura (che in altre discussioni ho difeso a spada tratta  :P.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

sgiombo

Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Ottobre 2018, 16:33:54 PM
Sull'innatezza della morale
Vi confesso il mio disagio quando il discorso prende una piega scientifica...
Anche l'amico Sgiombo mi diceva di questi studi sull'innatezza della morale; io, che non ho una conoscenza
specifica dell'argomento mi limito, come si suol dire, a prenderne atto (sapendo l'attendibilità di chi mi
riporta certe notizie).
Posso quindi solo giudicare così, "a naso", fidandomi ma non troppo di quelle che sono le mie conoscenze
e le mie percezioni.
Ferma restando l'inconoscibilità "ultima" dell'essere umano, sono propenso a credere ad una preponderanza
dell'aspetto "sociale" su quello biologico.

In realtà non ho mai inteso fare riferimento a studi particolari di etologia relativi ai comportamenti più o meno altruistici o egoistici e in generale (ho scarsissime conoscenze in materia), ma piuttosto ho criticato come pessima ideologia antiscientifica (e reazionaria) le pretesa di molti scienziati (dai darwinisti sociali del XIX° secolo ai "scoiobiologi" e fautori del preteso "egoismo dei geni" del XX° e XXI°) che l' uomo sia per effetto dell' evoluzione biologica egoista e naturalmente privo di moralità (che sarebbe stata furbescamente inventata dai più deboli e svantaggiati per fregare i più forti e in generale "adattati"; ma la furbizia nel fregare i più fortunati non rientrerebbe comunque nel preteso "adattamento" e vantaggio evolutivo dell' egoismo?).

Per me vi é una solare evidenza (al di là delle molteplici e varie e almeno in parte diversificate particolarità etologiche) del fatto che tendenze comportamentali sia egoistiche sia, e ancor di più, altruistiche  sono (variamente nelle diverse circostanze ambientali) utili alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie e anche di più grandi classi tassonomiche e dunque "promosse" dalla selezione naturale, in tutte le specie; in diversa misura le une e le altre nelle varie specie, in quanto i comportamenti animali sono tutti in più o meno plastici e "modulati", su una "base genetica", dall' ambiente.
Ma questa generalizzata plasticità del comportamento presenta un colossale incremento, quello che può ben dirsi un "salto di qualità", nella specie umana, nella quale si sviluppa non contraddittoriamente ma invece del tutto coerentemente con la "storia naturale", la cultura e la "storia umana".
La quale condiziona fortemente i modi particolari e concreti in cui assai variabilmente le tendenze comportamentali (ad agire e a valutare "teoricamente" le azioni proprie ed  altrui: l' etica) naturali universalmente diffuse si esprimono di fatto (e qui il materialismo storico secondo me spiega benissimo questa variabilità sociale e le sue dinamiche storiche).

Ma (qui mi sembra che un tuo eccessivo pessimismo, ben comprensibile se ci guardiamo intorno oggi per lo meno in Occidente ma non per questo non errato, a mio parere, ti induca in errore) l' esistenza di un' etica naturalmente presente nell' uomo (non dimostrabile logicamente, "di diritto" per così dire, ma ben reale "di fatto" universalmente nei suoi aspetti più generali e astratti, per quanto socialmente, storicamente declinati in modi relativamente diversi e talora reciprocamente contraddittori, non  non significa certo che comportamenti immorali non debbano essere possibili (come d' altra parte erano possibilissimi e realissimi anche prima della vera o presunta, a mio parere non affatto generalizzata, "morte di Dio": né più nè meno, a mio parere che dopo la "morte di Dio" o per coloro per i quali "Dio é morto": di certo l' immoralità non é mai stata e non é un problema per l' etica! Ma se per assurdo lo fosse per l' etica dopo la "morte di Dio", allora, esattamente allo stesso modo, lo sarebbe stata anche prima, anche con "Dio vivo e vegeto").

0xdeadbeef

Ciao Sgiombo
A parer mio ancor prima del "dove" (è la morale), è il caso di stabilire il "cosa" (è la morale). Perchè la definizione
di essa non è univoca, ed è su questa non-univocità che, per così dire, si gioca la partita.
Ti propongo la seguente definizione: la morale (o etica che dir si voglia) è la condotta rivolta al bene. La qual
definizione, come ovvio; ci rimanda allo stabilire un'altra definizione; quella di "bene" (e qui la facciamo finita con
questo gioco di scatole cinesi...).
Quindi: cos'è il "bene"?
Ti cito il Dizionario Filosofico di N.Abbagnano: "l'analisi della nozione di "bene" mostra subito l'ambiguità che essa
cela: giacchè il bene può significare o ciò che è - per il fatto che è - o ciò che è oggetto di desiderio, di
aspirazione etc".
Mi sembra che la tua definizione di "bene" ("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie")
rientri nella prima di quelle due categorie (infatti tu non dici che quello è ciò che desideri, ma che è quello che è).
Questo ti porta a squalificare come immorali quei comportamenti non conformi all'"essere" che affermi (senza, naturalmente,
tener conto che quei comportamenti potrebbero essere stati dettati da un desiderio ben preciso - magari di vivere meglio io
piuttosto che altri, o magari proprio vivere io piuttosto che altri...).
Torno sul dilemma filosofico di cui dicevo in un precedente intervento: cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte
di uno sconosciuto che vive in un paese sconosciuto, a migliaia di kilometri da noi?
Saremmo disposti a donare una grossa somma di denaro, tutto ciò che possediamo o la stessa vita di un nostro familiare?
Certo, sacrificheremmo forse un figlio per evitare la morte di migliaia di persone a noi sconosciute? Non sembrino queste
cose poi così assurde (anche se in un certo qual modo lo sono). Perchè la loro presunta assurdità ci mette davanti alla
domanda: cosa faccio io per gli altri, e cosa sarei disposto a fare?
Quante volte abbiamo anteposto il NOSTRO interesse personale o l'interesse di una ristretta cerchia a quello di un non ben
definito "interesse generale"? Quante volte abbiamo tacitato la coscienza con gli argomenti più disparati per non ammettere,
ecco che torna il punto, che il "bene" da noi preferito è stato quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione (non
quello che è)?
La filosofia anglosassone (per la quale il "bene" è l'utile individuale, quindi è ciò che è oggetto di desiderio) se la
cava troppo facilmente: c'è Dio che interviene a regolare per il meglio le volizioni individuali (un concetto che in
economia si traduce con il vero fondamento di tutto il liberismo, e cioè la "mano invisibile" di A.Smith), ma per
quanto riguarda la filosofia "continentale", la nostra?
Per la "nostra" (ho qualche dubbio su questo aggettivo possessivo, visto che ormai la mentalità anglosassone sta dilagando)
filosofia il "bene" è ciò che è; e che lo è "assolutamente", cioè a prescidere dalla volizione soggettiva.
La nostra è dunque una posizione molto più scomoda di quella anglosassone; una posizione che, se presa seriamente (cioè alla
lettera), ci obbligherebbe a scelte morali pesantissime: persino a sacrificare noi stessi o la nostra famiglia sull'altare
della sopravvivenza e riproduzione degli altri.
saluti

Jacopus

Tanto per relativizzare. Gli Hindi dei villaggi sperduti nello scorso secolo, in caso di carestia, reputavano normale e giusto che gli appartenenti alle caste inferiori morissero di fame per far sopravvivere gli appartenenti alla casta superiore. Un concetto morale alquanto diverso sia dall'utilitarismo anglosassone che dell'universalismo continentale.
La cosa straordinaria era che, finita la carestia i superstiti, nel frattempo rimasti orfani o vedovi, tornavano a lavorare per le caste superiori senza alcun rancore. (W. Torry, morality  and harm: hindi peasant adjustment to Famines, temple press, 1978.)
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

viator

Salve Ox. Certo le culture latin-mediterranee sono assai più problematiche nei loro principi rispetto alle culture mitteleuropee od anglosassoni. Nei principi però.......non nella prassi.

Il divario tra principi e comportamenti di un Machiavelli o di un mercante levantino è infinitimente più ampio ed elastico di quello esistente nelle culture settentrionali.

E' per questo che noi troviamo queste ultime tanto "aride", "impersonali", "ciniche", "poco umane".

E' solamente perché esse sono meno ipocrite. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Post didattico/esplicativo.
La distinzione di Ox non è quella nord/sud Europa. Ma tra la tradizione di pensiero anglosassone (uk e usa) e quella continentale, universalistica ed idealistica. Però è vero anche quello che dice Viator. Nell'ambito continentale c'è chi i principi li ha presi un po' più sul serio (nord-europa) e chi li sfoggia in modalità barocca, spesso senza agirli.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Ottobre 2018, 21:10:10 PM
Ciao Sgiombo
A parer mio ancor prima del "dove" (è la morale), è il caso di stabilire il "cosa" (è la morale). Perchè la definizione
di essa non è univoca, ed è su questa non-univocità che, per così dire, si gioca la partita.
Ti propongo la seguente definizione: la morale (o etica che dir si voglia) è la condotta rivolta al bene. La qual
definizione, come ovvio; ci rimanda allo stabilire un'altra definizione; quella di "bene" (e qui la facciamo finita con
questo gioco di scatole cinesi...).
Quindi: cos'è il "bene"?
Ti cito il Dizionario Filosofico di N.Abbagnano: "l'analisi della nozione di "bene" mostra subito l'ambiguità che essa
cela: giacchè il bene può significare o ciò che è - per il fatto che è - o ciò che è oggetto di desiderio, di
aspirazione etc".
Mi sembra che la tua definizione di "bene" ("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie")
rientri nella prima di quelle due categorie (infatti tu non dici che quello è ciò che desideri, ma che è quello che è).
Questo ti porta a squalificare come immorali quei comportamenti non conformi all'"essere" che affermi (senza, naturalmente,
tener conto che quei comportamenti potrebbero essere stati dettati da un desiderio ben preciso - magari di vivere meglio io
piuttosto che altri, o magari proprio vivere io piuttosto che altri...).
Torno sul dilemma filosofico di cui dicevo in un precedente intervento: cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte
di uno sconosciuto che vive in un paese sconosciuto, a migliaia di kilometri da noi?
Saremmo disposti a donare una grossa somma di denaro, tutto ciò che possediamo o la stessa vita di un nostro familiare?
Certo, sacrificheremmo forse un figlio per evitare la morte di migliaia di persone a noi sconosciute? Non sembrino queste
cose poi così assurde (anche se in un certo qual modo lo sono). Perchè la loro presunta assurdità ci mette davanti alla
domanda: cosa faccio io per gli altri, e cosa sarei disposto a fare?
Quante volte abbiamo anteposto il NOSTRO interesse personale o l'interesse di una ristretta cerchia a quello di un non ben
definito "interesse generale"? Quante volte abbiamo tacitato la coscienza con gli argomenti più disparati per non ammettere,
ecco che torna il punto, che il "bene" da noi preferito è stato quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione (non
quello che è)?
La filosofia anglosassone (per la quale il "bene" è l'utile individuale, quindi è ciò che è oggetto di desiderio) se la
cava troppo facilmente: c'è Dio che interviene a regolare per il meglio le volizioni individuali (un concetto che in
economia si traduce con il vero fondamento di tutto il liberismo, e cioè la "mano invisibile" di A.Smith), ma per
quanto riguarda la filosofia "continentale", la nostra?
Per la "nostra" (ho qualche dubbio su questo aggettivo possessivo, visto che ormai la mentalità anglosassone sta dilagando)
filosofia il "bene" è ciò che è; e che lo è "assolutamente", cioè a prescindere dalla volizione soggettiva.
La nostra è dunque una posizione molto più scomoda di quella anglosassone; una posizione che, se presa seriamente (cioè alla
lettera), ci obbligherebbe a scelte morali pesantissime: persino a sacrificare noi stessi o la nostra famiglia sull'altare
della sopravvivenza e riproduzione degli altri.
saluti
Trovo questa impostazione del problema etico non abbia sbocco proprio per la sua impostazione idealistica, imperniata su una concezione platonica del Bene (ancorata implicitamente al valore Vita, cosa su cui invece, materialisticamente, concordo). L'etica è qualcosa di molto concreto, finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti. Ma le comunità umane sono molte e differenziate per condizioni oggettive, prima che soggettive. E spesso confliggenti tra loro. L'idea di un Bene universale è pura ideologia: nel deserto è Male sprecare l'acqua, in Irlanda, no. Gli esempi qui riportati sulle carestie indiane illustrano alla perfezione il concetto. Quello che a noi di tradizione "cattolico-romana" pare assolutamente inaccettabile, è più che accettato non solo dalle caste indiane superiori, com'è logico, ma pure da quelle inferiori che hanno subito un male concreto, che però non è considerato Male nel loro orizzonte etico. Tutt'al più si consoleranno pensando che nella prossima reincarnazione, se rispettano il loro Karma, potranno rinascere in una casta superiore.

Quindi va bene così; ognuno con la sua etica ? No, esistono etiche più datate che vanno seppellite e forme di convivenza umana più adatte all'ampliamento del concetto di comunità umana, che, fatta la tara degli slanci pindarici dell'idealismo dei trattati, è un dato evolutivo reale. Ma il fatto che se muore uno della mia famiglia, o comunque che conosco, mi coinvolga di più della morte di un perfetto sconosciuto è l'ultimo problema che mi pongo in termini etici e lo trovo assolutamente naturale. Come naturale, nel limite delle possibilità materiali mie e della mia comunità, darmi da fare per le "magnifiche e progressive sorti dell'intera umanità".

Infine, un'etica idealistica rigorosa dovrebbe risolvere anche il problema della bistecca di manzo e della vita contenuta in una carota. Perchè non lo fa ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Citazione di: Jacopus il 16 Ottobre 2018, 01:24:19 AM
Post didattico/esplicativo.
La distinzione di Ox non è quella nord/sud Europa. Ma tra la tradizione di pensiero anglosassone (uk e usa) e quella continentale, universalistica ed idealistica. Però è vero anche quello che dice Viator. Nell'ambito continentale c'è chi i principi li ha presi un po' più sul serio (nord-europa) e chi li sfoggia in modalità barocca, spesso senza agirli.


MI sento in dovere di testimoniare il mio dissenso assoluto e totale (e, se permettete, indignato, da antirazzista quale mi presumo).

Lestofanti e ipocriti di tutte le risme se ne trovano a nord non meno che a sud, a est e a ovest (basta pensare quello che gli anglosassoni e settentrionali governi USA (con la servile collaborazione, fra gli altri, dei loro settentrionalissimi alleati norvegesi) perpetrano in tutto il mondo nel nome dei "diritti civili": SIC ! ! !

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