Se non hai vissuto la mia vita, allora non puoi giudicarmi.

Aperto da cvc, 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AM

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cvc

Sottotitolo: 'Il tramonto dell'etica'.

Ho sentito questa frase in un talk show, non mi ricordo bene il contesto. Alla persona veniva contestata una grave mancanza morale, al che rispose dunque 'Tu hai vissuto la mia vita? No. Allora non puoi giustucarmi'. Quindi io aggiungerei 'allora non può esistere alcuna giustizia'. Questa strana creazione umana che risponde al nome di etica è stata via via smontata negli ultimi secoli, analizzata, vivisezionata, smembrata, contraddetta, ridicolizzata. Perché io dovrei sottostare a delle regole decise da altri? Chi sono gli altri per giudicarmi? Perché devo essere giudicato? Sbagliato giudicare! (Il che finisce poi spesso valere solo per gli altri, ovviamente). Tutte queste frasi vanno benissimo per rivitalizzare una latente autostima, ma un'analisi seria dovrebbe interrogarsi sul perché secoli di civiltà abbiano considerato necessario che in una società vengano giudicati i membri che ne fanno parte per le loro azioni, e anche perché ora si arriva a pensare che ciò non sia più necessario. Le leggi sono tutte troppo severe, le regole servono solo ai tiranni, le pene sono figlie dei pregiudizi e via dicendo. La disciplina è roba da militaristi guerrafondai. La falsa parabola del buon selvaggio sembra l'unica verità. Sembra una civiltà questa che ha sempre bisogno di essere rassicurata, che qualcuno dica sempre che i criminali non sono così cattivi, che tutta la gente è fondamentalmente buona, che punire è sbagliato, giudicare gli altri.... non parliamone nemmeno. E guai a dire che in un contesto civile debba esistere una qualche forma di gerarchia per cui, chi sta più in basso, a volte deve fare ciò che gli si dice senza giudicare. Si, perché dire che nessuno può giudicare significa in realtà affermare che nessuno ha l'esclusività del giudizio, quindi alla fine si traduce che in concreto tutti possono giudicare tutto e tutti indiscriminatamente, con o senza cognizione di causa. Si è passati dall'estremo dell'ideologia.che giustifica tutto, all'opposto: che ogni idea è sbagliata. Perché afferma qualcosa in modo troppo rigido, perché qualsiasi cosa è giudicabile da chiunque, qualsiasi tesi si può smontare.
In questo minestrone di ideologie, dove nessuna è rifiutata ed ognuna nega un'altra, se esiste ancora un'etica, qual'è? Forse quella di prendere a calci qualsiasi valore per difendere la propria autostima?
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Jacopus

È un quesito interessante Cvc. Nei talk show però più c'è cagnara più aumentano gli ascolti. In realtà il problema esiste ed è dato dalla coesistenza di etiche diverse su uno stesso territorio. Ciò causa conflittualità ed anomia, cioè mancanza di senso normativo, concetto teorizzato da Durkheim 150 anni fa per la prima volta. Ma, come sempre, c'è il rovescio della medaglia; società eticamente omogenee risultano quasi sempre autoritarie e disposte ad esercitare la violenza per far rispettare la "norma e la convenzione sociale, anche al di sotto del rispetto della norma giuridica.
Ci si dovrebbe domandare quindi se è possibile, nell'ambito della coesistenza di etiche diverse, individuare un nucleo etico condiviso da tutti, poiché questa frammentazione ha evidentemente dei grandi costi in termini di vita quotidiana ed associata.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

cvc

Ciao Jacopus
La riflessione sul 'nucleo etico condiviso da tutti' c'è stata forse con l'illuminismo ed ha raggiunto il suo apice con la dichiarazione dei diritti dell'uomo. Il problema è che in quel 'condiviso da tutti' poi quei tutti non erano proprio tutti tutti. Perché poi si vede che quando si mescolano società che a noi sembrano provenire dal medioevo alla nostra, sorgono differenze e conflittualità per cui si arriva al tutto o niente. O ti taglio una mano se rubi una mela o ti lascio libero anche se uccidi. Purtroppo questa è una società che non riflette su se stessa, e mentre pensiamo se sono meglio gli occidentali o gli islamici intanto il pianeta continua a surriscaldarsi irrimediabilmente, e non facciamo nulla mentre saremmo ancora in tempo. Quindi dov'è la razionalità? Forse rinchiusa nella teoria dei giochi e nel dilemma del prigioniero, che porta al paradosso della sicurezza che ha portato alle grandi guerre. Io per essere sicuro mi armo, tu mi vedi e fai altrettanto e alla fine siamo tutti armati fino ai denti e basta una scintilla per far esplodere il finimondo. I romani dicevano 'homini homini lupus', ma ciò già presupponeva una consapevolezza. Che l'uomo è un turbinio di bene e male dove c'è la sfiducia si ma anche la possibilità di trovare degli accordi su qualcosa. Ora invece il cinismo è stato rafforzato dalla prassi scientifica per cui si è arrivati alla sfiducia totale. E in questo contesto di sfiducia manca il terreno fertile per delle leggi che ci ricordino che esiste una giustizia. L'unica giustizia che sembra rimanere è la rabbia verso tutto questo.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Sariputra

#3
L'unica giustizia che sembra rimanere è la rabbia verso tutto questo.

Forse la rabbia sorge anche perché vediamo che non è possibile alcuna soluzione. La diversità umana crea sempre conflitto, sofferenza e impossibilità di autentica giustizia. La 'giustizia', bisogna accontentarsi, è così una specie di contenitore di pulsioni, poco più...un freno il cui filo spesso si spezza...
Un'etica condivisa è impossibile, perché siamo diversi e quel che sento giusto, per me... l'altro se ne fotte al grido: "'Tu hai vissuto la mia vita? No. Allora non puoi giudicarmi'.
Siccome poi, ovviamente, nessuno vive la vita di un altro, ne conseguirebbe che non sarebbe possibile alcun giudzio..."Non giudicare per non essere giudicato" recita il catechismo, ma è anche vero "Come posso farmi un giudizio senza giudicare?'"...perché anche farsi un minimo di criterio di giudizio mi sembra importante...senza alcun criterio divento una sorta di banderuola al vento (delle pulsioni, delle passioni, della malevolenza, ecc.) fortemente malleabile e modellabile dagli interessi dell'ambiente umano che mi circonda...e qui rientra ancora la diversità che ti dice."Io voglio essere malleabile e modellabile dagli interessi altrui, perché piacciono anche a me, non  so con quale giudizio mi piacciono, ma me ne frego...mi piacciono, chi sei tu per giudicare quel che mi piace?" Al che naturalmente non c'è risposta, perché, ovviamente, di nuovo, nessuno vive la vita di un altro. Pertanto ogni etica condivisa, in un simile contesto, diventa impossibile. Questo per me è molto vantaggioso per l'egoismo personale, molto autogiustificatorio ("nessuno mi può capire...") ma...di nuovo...lo è 'per me'. Un altro vede in quel 'per me' la mia volontà di sopraffazione, di imposizione,addirittura di violenza nei suoi confronti...perché "non ho vissuto la sua vita"...Sì, l'uomo manifesta atteggiamenti rivolti al 'bene' o al 'male' ma non vuole che i suoi atteggiamenti siano giudicati.
Forse la giustizia e l'etica si riassumono nel detto: "Me la canto e me la suono" '?... :(
L'unica cosa certa, per me, è che il 'mondo' degli uomini è una cloaca orribile nel quale , per fortuna, aleggia qualche volta un venticello contrario...
Ma, ovviamente, solo per me...sospetto che per altri appaia come un luogo paradisiaco ;D
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

cvc

Ciao Sariputra.

Bisognerebbe allora ribaltare la prospettiva. Perché se è vero che non può esistere una giustizia oggettiva, è però altrettanto vero vhe ognuno di noi dentro di sé avverte il bisogno di giustizia. Allora se tutti avvertiamo questo bisogno, deve pur poter esserci un qualcosa che corrisponda a tale necessità. Altrimenti saremmo condannati alla frustrazione eterna. Perché non serve dire 'non mi lamento più perché tanto non avrò giustizia'. Non serve in quanto l'insoddisfazione cova sotto la cenere e finisce prima o poi per emergere con tanta più violenza quanta è la forza usata per reprimerla. Allora è la rabbia che come il cane inquieto nel recinto va avanti e indietro ininterrottamente, da un angolo all'altro alla ricerca di un buco, di una porta lasciata aperta, di un abbassamento della recinzione che gli permetta di saltare fuori e sfogare il proprio livore. E in questo sfogarsi sente di riappropriarsi in qualche modo di ciò che è suo, di una giustizia travisata in quanto identificata con la libertà degli istinti. E la libertà degli istinti come felicità dell'uomo è già da tempo entrata in letteratura con Freud, e ne siamo tutti intrisi. Lo stesso Freud disse anche che la felicità è avere un partner ed un lavoro. Delle due preferisco nettamente la seconda, perché implica un senso di appartenenza, una radice comune che ci spinge a cooperare, as unirci per far fronte alle difficoltà. Lavorando con qualcuno, amando qualcuno, tutte cose che ci fanno presumere di non essere soli. Al contrario, la felicità intesa come libertà degli istinti ci spalanca il baratro della solitudine più totale. Tale è la meta cui portano le strade dell'ego.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Sariputra

#5
cit.Cvc:
Perché se è vero che non può esistere una giustizia oggettiva, è però altrettanto vero vhe ognuno di noi dentro di sé avverte il bisogno di giustizia. Allora se tutti avvertiamo questo bisogno, deve pur poter esserci un qualcosa che corrisponda a tale necessità.

Io sono d'accordo, e infatti, in altra discussione, accennavo alla mia ragionevole ipotesi di un senso innato del 'bene' nell'essere umano. Senso che anela , seppur in modo inconsapevole, a volte, a questa giustizia di cui parli. Ma sicuramente, come si è visto, tantissimi altri diversi da me, di cui "non ho vissuto la loro vita", sono contrari a questa affermazione e contrari quindi a stabilire qualunque ipotesi di etica condivisa (se non nel senso di 'legge imposta dall'alto', giusto per non sbranarci a vicenda...).
Un etica condivisa che genera un condiviso senso della giustizia favorisce sicuramente la coesione e il senso di comunità, di appartenenza, secondo me (continuo a mettere 'secondo me'...proprio perché condizionato dal senso di relativismo che il colloquiare moderno impone...come vedi). Rifugiarsi nel "secondo me" probabilmente genera proprio quel senso di isolamento e solitudine esistenziale di cui parli (di spaesamento...dis entirsi privi di un 'paese'...molto bella questa definizione), e di cui troviamo mirabili pagine che lo descrivono, nell'arte e nella letteratura moderna. "Io"non appartengo a te, alla tua vita, alla nostra comunità (intesa come stare insieme condividendo e dividendo...), di 'mio' ho solo "la mia vita, che tu non puoi capire e che non ti devi permettere di giudicare"...
E...sì...siamo probabilmente condannati alla 'frustrazione eterna' ( anche se non credo proprio che l'umanità abbia un così lungo futuro, viste le premesse...) di questo bisogno di giustizia, di questo anelito "per me" insopprimibile... :(
Ciao
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Ipazia

Citazione di: cvc il 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AM
Perché io dovrei sottostare a delle regole decise da altri? Chi sono gli altri per giudicarmi? Perché devo essere giudicato?
Tra dover sottostare alle regole ed essere giudicati c'è un non sequitur grande come una casa. Partendo dalla seconda parte: il giudizio può essere moralistico o giuridico e sono due fattispecie, o se preferite "contesti ontologici", assai diverse. Invece la risposta alla prima domanda, parlando di regole importanti è: "perchè altrimenti ne va della tua incolumità". I bambini amano gironzolare per le strade senza sottostare ad alcuna regola, il che comporta il rischio della vita. Per colmare il non sequitur direi che bisogna distinguere tra due tipi di "irregolarità"; quelle che attengono il, detto in soldoni, contratto sociale che vanno sottoposte a giudizio di legalità, e quelle che attengono il gusto e lo stile di vita personale che possono essere soggette solo ad un tipo di giudizio morale, ma più spesso moralistico.
La società moderna ha liberalizzato molti comportamenti che un tempo erano rigorosamente prescritti e questo sicuramente ha mandato in tilt le nostre bussole etiche costringendoci a frequenti ritarature, ma la distinzione tra illegalità e stile di vita, tra etica sociale e gusto personale, mi pare regga ancora e vada ricordata a chi pensa di poterne fare a meno, sia sul versante dell'ìllegalità che su quello del moralismo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

cvc

Citazione di: Ipazia il 09 Ottobre 2018, 15:53:24 PM
Citazione di: cvc il 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AMTra dover sottostare alle regole ed essere giudicati c'è un non sequitur grande come una casa.  
Si è giudicati in base ad una morale condivisa che diventa una sorta di regola non scritta. Ma anche quando la regola diventa legge scritta è comunque sempre accompagnata dalla morale. Uno non ruba non solo per evitare di subire delle pene, ma anche perché il proprio senso morale glielo impedisce. E il senso morale implica il fatto di essere sottoposti ad un giudizio.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

bobmax

L'autentica Etica non consiste in "regole create da altri".
E neppure nessuna legge può stabilire una volta  per tutte cosa sia bene e cosa male.

In  quanto il Bene è il fondamento della realtà.

Ed essendo  perciò il Bene lo stesso Essere, ossia la Verità, possiamo solo ricercarlo dentro di noi, in ciò che davvero siamo.


Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: cvc il 09 Ottobre 2018, 23:51:37 PM
Citazione di: Ipazia il 09 Ottobre 2018, 15:53:24 PM
Citazione di: cvc il 09 Ottobre 2018, 08:12:10 AMTra dover sottostare alle regole ed essere giudicati c'è un non sequitur grande come una casa.
Si è giudicati in base ad una morale condivisa che diventa una sorta di regola non scritta. Ma anche quando la regola diventa legge scritta è comunque sempre accompagnata dalla morale. Uno non ruba non solo per evitare di subire delle pene, ma anche perché il proprio senso morale glielo impedisce. E il senso morale implica il fatto di essere sottoposti ad un giudizio.
Mi pareva di essere stata chiara nel definire dove ravvisavo il non sequitur. Se chi fa quell'affermazione è un omosessuale ha tutte le ragioni del mondo. Se è un ladro, no.
Per cui penso importante scandagliare la differenza tra morale e moralismo, tra etica e gusto. E cogliere la differenza di forma che il concetto di giudizio assume rispetto a tali implicazioni.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Socrate78

Invece io mi astengo dal giudicare gli altri, e mi sembra giusto fare così. Tutte le leggi, e sottolineo TUTTE, non sono mai pure e completamente giuste, ma riflettono sempre i pregiudizi e soprattutto i privilegi sociali, economici e politici di chi le ha fatte, quindi imporle come metro di giudizio è fallace. Forse può apparire pericoloso il mio modo di pensare, ma io credo che sia l'unico modo davvero giusto di vedere le cose. Sottoscrivo l'idea che se qualcuno non ha vissuto la mia vita, non ha sentito quello che ho provato in certe circostanze, non ha visto le cose come le ho viste io, non può affatto giudicarmi, ma anch'io faccio lo stesso con gli altri o almeno ci provo. I sentimenti e i desideri possono essere infatti così forti da non essere capiti da chi non li prova ed ogni giudizio è secondo me SEMPRE espressione di mancanza di empatia, chi giudica è perché non prova sino in fondo quello che l'altro sente: se lo provasse davvero non giudicherebbe. Se smettessimo di giudicare smetteremmo anche in larga parte di disprezzare e di odiare, non vi sembra questo un ottimo risultato, ben superiore alle ideologie rigide basate su valori "assoluti" che invece sono giudicanti e creano solo divisione tra le persone?

Ipazia

Citazione di: Socrate78 il 10 Ottobre 2018, 18:29:44 PM
Invece io mi astengo dal giudicare gli altri, e mi sembra giusto fare così. Tutte le leggi, e sottolineo TUTTE, non sono mai pure e completamente giuste, ma riflettono sempre i pregiudizi e soprattutto i privilegi sociali, economici e politici di chi le ha fatte, quindi imporle come metro di giudizio è fallace. Forse può apparire pericoloso il mio modo di pensare, ma io credo che sia l'unico modo davvero giusto di vedere le cose. Sottoscrivo l'idea che se qualcuno non ha vissuto la mia vita, non ha sentito quello che ho provato in certe circostanze, non ha visto le cose come le ho viste io, non può affatto giudicarmi, ma anch'io faccio lo stesso con gli altri o almeno ci provo. I sentimenti e i desideri possono essere infatti così forti da non essere capiti da chi non li prova ed ogni giudizio è secondo me SEMPRE espressione di mancanza di empatia, chi giudica è perché non prova sino in fondo quello che l'altro sente: se lo provasse davvero non giudicherebbe. Se smettessimo di giudicare smetteremmo anche in larga parte di disprezzare e di odiare, non vi sembra questo un ottimo risultato, ben superiore alle ideologie rigide basate su valori "assoluti" che invece sono giudicanti e creano solo divisione tra le persone?
Anche a Norimberga ? O di fronte a un pedofilo assassino ? E l'empatia per le vittime dove la mettiamo ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Socrate78

 Ebbene Sì, potrà sembrare contro ogni norma sociale, ma io mi astengo dal giudicare anche di fronte ad un criminale di guerra o perfino ad un pedofilo assassino, poiché secondo me non esistono individui malvagi PER NATURA, nella loro essenza: il criminale nazista processato a Norimberga è tale perché è stato condizionato ad agire in modo malvagio dall'ambiente in cui è vissuto, dal fatto che gli è stata inculcato l'idea malsana che esistono "razze" pericolose indegne di vivere, ma se i messaggi che avesse avuto fossero stati diversi molto probabilmente anche le azioni lo sarebbero state, esse secondo me non derivano da una natura diabolica della persona, ma dal contesto sociale. Lo stesso discorso si può fare anche per un pedofilo assassino, ad esempio Luigi Chiatti, serial killer pedofilo detto il mostro di Foligno, ha avuto un'infanzia pessima e negli orfanotrofi in cui è vissuto è stato a sua volta vittima di abusi sessuali e fisici, e gli psichiatri nelle loro perizie hanno mostrato come le terribili deviazioni della sessualità sono nate in quel contesto, ma se il contesto fosse stato diverso probabilmente la sua sessualità sarebbe stata normale. Il "mostro" spesso è stato creato dall'uomo, dal contesto sociale, nessuno nasce demonio, mi rifiuto di crederlo, se si studia la biografia di molti pluriomicidi si notano terribili storie di abbandoni, di abusi, di deprivazioni affettive, che hanno appunto generato dei mostri.

Ipazia

Hannah Arendt la pensa diversamente ed io concordo con lei. Non tutti coloro che hanno avuto un'infanzia pessima sono diventati pedofili assassini, non tutti gli impiegati tedeschi sono diventati SS. Esiste sempre una responsabilità etica personale con cui fare i conti, e un dilemma pressante e ineludibile: Caino o Abele ? Tu dici entrambi. No possible: sarebbe l'inferno in terra. E la maledizione di Primo Levi si compirebbe. Già gli sfaceli dello stato di diritto a delinquere italiano presentano il conto.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Ipazia. È vero, condivido anch'io il discorso di Arendt. Ma l'ho sempre pensato come un faro che illumina la terra non come un metro per separare i buoni dai malvagi.
Inoltre non tutte le bontà e non tutte le malvagità sono uguali. Come giudicheresti il figlio di una donna alcolista, nato con un deficit cognitivo e un livello di aggressività che lo rende "malvagio". E' malvagia la madre? La madre della madre che la fece prostituire? O il figlio?
Che responsabilità etica personale può avere il ragazzo nato e cresciuto allo Zen, espulso dalla scuola, manganellate dalla polizia e dai genitori, inserito nel mondo del lavoro o della delinquenza come un paria.
Come ripeto spesso: o ci salviamo tutti o nessuno (Canetti). La responsabilità etica personale è un mito che per essere realizzato avrebbe bisogno di un rovesciamento cosí profondo dei rapporti di potere da risultare, almeno attualmente, utopistico.
Pertanto preferisco di gran lunga essere cauto nei 
giudizi nei confronti del prossimo, almeno da una prospettiva umana. Fermo restando che chi commette un reato deve essere punito, ma anche che la pena deve avere una funzione rieducativa.
È questa funzione è un diverso modo di intendere la responsabilità etica personale. Solo comprendendo e accogliendo e perdonando si può costruire una comunità responsabile, ovvero che si prende cura dell'altro, chiunque esso sia e qualunque cosa abbia fatto. La punizione è necessaria ma sarebbe necessario anche prevenire. Eichmann fu il risultato di secoli di storia germanica, decenni di antisemitismo, darwinismo sociale, carrierismo a buon mercato, oggettivazione dell'altro.
Sta accadendo la stessa cosa oggi con condizioni storiche mutate.
Quello che voglio dire è che siamo sempre un mix di motivazioni sociali e individuali e che occorre sempre ricordarci della parte sociale quando valutiamo quella individuale e viceversa. Al piano superiore stanno gli eroi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

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