Perché si dice che la compagnia è preferibile alla solitudine?

Aperto da Socrate78, 06 Luglio 2018, 16:08:33 PM

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Socrate78

Come mai è opinione così diffusa quella secondo cui la solitudine per l'essere umano sia un male terribile mentre la compagnia sia la condizione in assoluto più apprezzabile? Io non trovo, almeno per la mia esperienza, che sia così. Certo sto in genere abbastanza bene con gli altri, ma è la solitudine a darmi un senso maggiore di libertà e a stimolare la mia riflessione anche a livello filosofico, a permettermi di coltivare i miei hobby con la massima libertà ed efficacia.  Quindi, facendo un'attenta analisi, direi di essere di indole piuttosto solitaria anche se non a livelli estremi.I vantaggi della solitudine sono molti, innazitutto si evitano tutta una serie di conflitti che il rapporto con gli altri può creare, inoltre ti fa sentire pienamente padrone della tua vita visto che se sei da solo nessuno può minimamente giudicarti o anche solo influenzarti nelle scelte che decidi di intraprendere, farti pressioni in un senso o nell'altro. Inoltre nelle relazioni umane non si è mai sinceri al cento per cento, l'ipocrisia domina i rapporti e non si dice mai veramente quello che si pensa. Gli scrittori, gli artisti, i filosofi, hanno avuto proprio nell'intimità della solitudine le loro intuizioni più efficaci e geniali. Quindi se la solitudine ha tutti questi vantaggi perché la si disprezza? Forse perché in fondo molti odiano la compagnia di se stessi?

viator

Salve, Socrate78: A proprosito dell'alternativa di cui parli, occorrerebbe scindere l'argomento in due distinti punti di vista; quello sociologico e quello psicologico. Essi sono interconnessi ma esaminabili separatamente.
L'evoluzione ha privilegiato la vita sociale, la quale è di gran lunga la più efficiente ai fini della sopravvivenza sia del singolo che della specie. L'ha privilegiata a tal punto da condizionare sia la psiche che - soprattutto - la cultura dei singoli, al punto da costruire una morale che considera ammessi e positivi i comportamenti collettivi (almeno quelli non troppo istintivi) ed ammessi ma sospetti quelli troppo individualistici.
Dal punto di vista psicologico individuale occore invece introdurre la polarità psichica fondamentale rappresentata dal binomio intro- ed estro- versione.
Tutti noi siamo catalogabili a seconda della nostra maggiore o minore propensione verso uno di questi due atteggiamenti interiori (le persone in esatto equilibrio tra i due atteggiamenti sono in verità ben poche).
L'introverso, in sintesi, è colui che preferisce proiettare dentro di sè i contenuti del mondo. Tende ad "aspirarlo", a "succhiarlo", arricchendo la propria interiorità. A creare un mondo "proprio".
L'estroverso, simmetricamente, è colui che preferisce proiettare nel mondo la propria personalità. Tende a "soffiarvi dentro". A fornire al mondo una impronta di sè.
Dal punto di vista della condizione esistenziale va notato che i due comportamenti risultano del tutto equivalenti. Si tratta di strategie che hanno la medesima possibilità di soddisfare o di deludere chi le adotta.
La ragione è che entrambe hanno la funzione tendenziale di raggiungere lo scopo esistenziale unico e fondamentale per l'essere umano : sentirsi amati e compresi (sia nel senso dell'essere capiti che in quello dell'essere inclusi) dal mondo che ci ha generati ed al quale apparteniamo.
Così l'introverso tenderà al voler imprigionare in sè ciò che ama e dal quale vorrebbe essere amato, mentre l'estroverso tenderà a dissolvere sè proiettandosi verso ciò che ama e dal quale vorrebbe essere amato.
Per quanto riguarda il binomio solitudine/compagnia (riflesso di quello intro-/estro-) diventa ovvio che l'introverso sviluppi atteggiamenti più riflessivi e quindi una maggiore creatività interiore e sia, ad esempio, poco sensibile all'esteriorità delle cose ma più attento ai loro contenuti simbolici ed artistici.
L'estroverso invece spesso, dovendo proiettarsi all'esterno, tenderà ad essere molto più comunicativo ed a dedicarsi alla cura della propria immagine, risulterà più attivo anche se spesso al prezzo di una più marcata superficialità. Apprezzererà anche di più gli aspetti pratici del muoversi nel mondo il quale, tutto sommato, è il proprio palcoscenico.
A questo punto, Socrate78, dimmi un pò tu quale delle due tipologie psicologiche offre la migliore  e più ampia visibilità di se? A chi toccherà la maggiore attenzione dei propri simili, particolarmente della parte più numerosa di essi, costituita da estroversi mediocri ? (Estroversi ed introversi sono in umero uguale, ma gli estroversi contengono una percentuale molto più alta di persone disposte all'applauso od alla critica pubbliche !). Salutoni.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

cvc

È un bell'argomento. Effettivamente nei nostri tempi la solitudine soffre di una sorta di ostracismo. Forse anche per merito di una certa psicologia che individua la sanità mentale nell'individuo socievole ed espansivo e la problematicità in quello solitario e riservato. È colpa dei luoghi comuni. Il semplice socializzare o la semplice riservatezza non sono di per sé indice di niente. Dipende tutto dal contesto. La psicologia invece decontestualizza e rende preferibili alcuni comportamenti dimenticando che essi di per sé non sono ne buoni ne cattivi. Socializzare non è sempre un bene (dipende dagli scopi per cui si socializza, anche il crimine è una sorta di socializzazione), essere solitari non è sempre un male. Un conto è socializzare in un contesto di vita contadina o paesana dove tutti conoscono tutti e si è disposti ad aiutarsi l'uno con l'altro. Altro conto è socializzare in un contesto di vita cittadina dove spesso si è soli in mezzo alla folla. Anche la solitudine può essere negativa se è disprezzo indiscriminato del mondo o positiva se è volta alla realizzazione di taluni positivi obiettivi personali.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

InVerno

Per compagnia bisogna capire cosa si intende.. infatti diciamo anche che esiste una "buona compagnia" e una "cattiva compagnia". Per me la buona compagnia è quando nella sua forma non va a ostacolare l'amore platonico tra i "compagni", cioè permette e agevola il contatto tra le persone anzichè nullificarlo. Di questo avviso era anche Kant che era solito dire il numero massimo di commensali a tavola non doveva superare i 13. Personalmente già dopo i 6 comincio ad avvertire la compagnia come un brusio che rende insopportabile l'idea di avere un contatto reale con il prossimo, ma ovviamente ognuno avrà il suo numero. Ovviamente anche la qualità ha il suo peso e non solo il numero. Se anche la compagnia fosse fatta di due solamente, se uno si è trovato un\a compagna\o che non mette a rischio la propria solitudine (è effettivamente un rischio perderla) non vedrà cosi diametralmente questa divisione. Insomma, anche se sempra logicamente impossibile, si può essere soli anche in mezzo alla gente, anzi, è proprio dove la solitudine ti colpisce di più..salire su una metro (senza essere già "assuefatti" a questo assurdo mezzo di "compagnia") per rendersene conto .
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Freedom

Fin da bambino la solitudine ha sempre esercitato, su di me, un fascino irresistibile. C'era un fumetto (ai miei tempi i fumetti erano molto letti e, anche, appassionanti) che si chiamava "Lone wolf" e mi piaceva moltissimo. Credo fosse pubblicato sull' "Intrepido" o sul "Monello". Più in generale ho sempre ritenuto il vivere o meglio il saper vivere (nel senso di saper affrontare) in solitudine prova di forza, equilibrio e, addirittura, saggezza. Roba da veri uomini, insomma. 8)


Ora, nella fase avanzata della mia vita, pur non rinnegando l'insostituibile "abilità" necessaria ad ogni essere umano per saper affrontare la solitudine e trarne preziosi insegnamenti; ho maturato la profondissima convinzione che nella relazione con gli altri ci sia "il segreto" della vita stessa.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

paul11

Citazione di: Freedom il 14 Luglio 2018, 23:29:09 PM
Fin da bambino la solitudine ha sempre esercitato, su di me, un fascino irresistibile. C'era un fumetto (ai miei tempi i fumetti erano molto letti e, anche, appassionanti) che si chiamava "Lone wolf" e mi piaceva moltissimo. Credo fosse pubblicato sull' "Intrepido" o sul "Monello". Più in generale ho sempre ritenuto il vivere o meglio il saper vivere (nel senso di saper affrontare) in solitudine prova di forza, equilibrio e, addirittura, saggezza. Roba da veri uomini, insomma. 8)


Ora, nella fase avanzata della mia vita, pur non rinnegando l'insostituibile "abilità" necessaria ad ogni essere umano per saper affrontare la solitudine e trarne preziosi insegnamenti; ho maturato la profondissima convinzione che nella relazione con gli altri ci sia "il segreto" della vita stessa.
ricordo anch'io che da bambino ,sui nove dieci anni, non so come e perchè, leggevo moltissimo e di tutto.
Tanto che i miei amici mi soprannominavano "cavernicolo".Erano momenti che duravano anche settimane.

C'è una bella frase in un testo di Giorgio Gaber che ascoltai dal vivo parecchi anni fa:"La solitudine non è mica una follia,
è indispensabile per stare in bene in compagnia".
Ritengo che vadano dosati, come uno ci si sente.Ci sono momenti in cui desideriamo stare soli,per raccoglimento, riordinare le idee, o stanchi dal "casino che ci gira attorno".
La compagnia è fondamentale, noi siamo fatti per socializzare.

Quindi, come per molte o forse tutte le cose del mondo, come una medicina vanno dosati.
L'importante è sentirci in buon armonia

Ercole

Ho un'opinione simile a quella di Paul11; in questi anni mi sono formato la seguente opinione: frequentare qualcuno è un antidoto necessario ai rischi della solitudine (mancanza di confronto con gli altri, eccessivo rimuginare, univocità di stimoli) tuttavia la personalità cresce sotto ogni punto di vista solo quando si è soli... occorre quindi prendere questo rimedio con la stessa precisione di una medicina, senza abusarne ma senza dimenticarsene mai.

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