Perché abbiamo paura della morte?

Aperto da Mariano, 18 Dicembre 2020, 18:22:39 PM

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Mariano

Sul  "Fatto Quotidiano" di oggi ho letto un articolo di Massimo Fini e ne riporto uno stralcio:

"Non tutto il Covid sarà venuto per nuocere, qui in Europa, se ci avrà fatto ricordare un semplice concetto molto presente nel Medioevo contadino: la morte non è solo la conclusione inevitabile di ogni vita, ma è la precondizione della vita. Va quindi combattuta nei limiti del possibile ma, alla fine, anche accettata senza vivere sotto una costante cappa di terrore e di paura dice il vecchio e saggio Epicuro: "Muore mille volte chi ha paura della morte".


iano

#16
La paura della morte è irrazionale, ma sono diverse le cose poco logiche che concorrono a tenerci in vita.
Avevo 5 anni quando ho assistito a una discussione fra una signora e il vecchio suocero a suo carico :
- Ma voi perché non volete morire? Avete paura di morire?
-No, non ho paura, ma se muoio poi come faccio a mangiare?
-Va' bene per stasera un uovo fritto.
- Va' bene.  :D

Mentiva sul fatto che non avesse paura della morte, ma diceva il vero affermando che non mangiava per vivere,  ma che viveva per mangiare.
È l'irrazionalità che ci salva.
Se dovessimo assumere cibo come una razionale medicina saremmo gia' estinti.
Non sarà che il piacere sia una ragione pesantemente imbellettata?😊
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

E che ne facciamo del piacere di rinascere mille volte , caro vecchio Epicuro ?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alex Pirino

Perché abbiamo paura della morte? questa è una bella domanda. Mi chiamo Alex e posso dire questo: tutti abbiamo paura nella vita. La paura è un sentimento umano naturale fino a quando rimane un sentimento che non domina ,sostituendosi alle scelte della vita diventando così ansia o malattia o purtroppo di più. Esiste una netta distinzione tra la gestibilità di un sentimento come la paura o altri, avere bisogno di una camomilla come si deve è tutt'altra cosa che utilizzare l'ansiolitico che è ad uso farmaceutico per una malattia. Un conto è calmare altro è avere una malattia. La morte è inevitabile e i sentimenti che derivano da chi è morto prima di noi lasciano dentro di noi una faticosa assimilazione di sentimenti negativi da mandare giù e fa male ma è inevitabile.. per cui ci sono dei tempi di metabolizzazione della morte subita, ad esempio quando è morto un nostro parente vicino con cui abbiamo vissuto tutta la vita e allora oltre a succedere la metabolizzazione e ad accettare che non tornerà mai più è usare la fede. La fede in dio di fronte a una morte sensata e davvero significativa per quello che è rimasto nel nostro cuore di chi ci ha lasciati, dà alla fede in Dio un potere di cui abbiamo bisogno, per lasciarci aiutare da chi può esserci vicino per allevviarci da quello che sentiamo dentro, e poi dare all'anima quanto può possiamo fare per fare sentire meglio una persona che non c'è più e cioè pregare per lei ritenendolo risolutorio. Dovessi morire io invece credo la gente, tra le persone che mi hanno voluto bene, piangerebbe qualcuno come per tutti. Più che altro morire adesso non potrei altro che dire che la vita è stata triste per tante cose, non sono stato un uomo amato nonostante non venissi dal lebbrosario di calcutta o dalla profonda africa nera dove si muore di fame eppure nella vita si parla di quotidianità di gente laureata, di donne da premio nobel, di gente davvero comune anche. Sono sei anni che una donna non è capace di telefonarmi per un qualsiasi motivo, non esisterà domani nessuna iniziativa da parte di nessuna ed è avere 30/40 anni lauerate dottoresse medici di tutto e di più.. Non è credibile ed è così umiliante perché può succedere, è profondamente triste sapere che le donne , tante donne dicono buone se stesse ma sono sei anni che nessuna fa una pizza o propone un film, o fare una colazione ad un uomo, un piatto di pasta.. Le donne non sanno niente ne dell'uso dei farinacei, ne dell'uso delle penne e delle matite, non sanno che cosa è una lavagna e fare una telefonata..non se ne parla neanche e il non farla, le fa sentire sconfitte guardandosi dentro... questa è stata il loro vivere l'amore nei miei confronti fino ad oggi e per cui la vita è solo triste e senza mai i complimenti, solo che non vedo la stessa grande intraprendenza che le ha fatto ideare e fare palazzi, scoperte scientifiche.. non so ma più che non rimanere altro che rimanere quelle della porta accanto o del piano di sopra che fanno sessso l'amore in sei anni di vita di loro così vicine eppure così umane non ho potuto scegliere, non ho potuto valere ne una carezza ne un oggetto a livelllo di oggettistica ne imparare, ma sono una persona non meno di loro ne meno uomo di chi le ama e non lo sono mai stato meno uomo. Non essere grandi medici o grandi malati che separa queste verità a sei occhi, i centimetri del paragone o della distanza della salute, perché quando uno soffre ed è rifiutato o è malato non lo sa e invece gli innamorati lo sanno tante volte a quattro occhi o due cuori innamorati dove la distanza di cm li volta guardando i due occhi soli e malati che in mano non hanno altro che la "collana" di una donna davvero superiore a queste bassezze dell'amore che non ha capito altro che se stesse anche se avrebbero potuto non farlo..  Il rosario è una preghiera a Maria, una donna che lorro non vedono in nessun altro modo dove essere donne in una comunità di tossicodipendenti vuol dire solo tuo marito perché in 6 anni non puo valere neanche la libertà ne di una carezza ne di uno stipendio ecc... bon, ci sono persone cattive ma anche buone perché di altre mentalità. Sono quasi 17 anni che nessuna mi fa i massaggi sulla schiena, ma 6 che nessuna mi fa una pizza o una telefonata la sto aspettando ancora adesso e sono triste perche vengo da una comunità dove avere vissuto sei anni conferma che amare non vuol dire altro, fare figli ed essere coetanei ma fare finta che i dati che ho scritto  appena sopra saranno confermati anche domani e dopodomani da un egoismo di coppia comunitario che mi vede qui con i loro rifiuti e obblighi e le iniziative che confermano incapaci delle vere  e proprie laureate, lauerate anche domani mattina confermando il mio tentativo di efficacia ancora fallito.. La morte per cui rispetto a queste quotidianità così umilianti e approffitanti  a causa dell'umiliare malattie anche grazie al potere dei cuori lauerati mi rende triste perché ancora mi sento solo senza nessuna. Esistono persone cattive Alex mi direbbe un mio amico per cui coraggio fatti una vita e non avere paura e abbi fede.


daniele22

Citazione di: Mariano il 25 Dicembre 2020, 18:40:16 PM
Non penso di avere sbagliato nell'inserire questo argomento in "percorsi ed esperienze", ma i contributi ricevuti a mio avviso spostano il tema in un argomento filosofico/spirituale.
Il mio intento era invece solo di stimolare il lettore ad interrogarsi sui motivi elencati (ai quali ora aggiungo il pensiero di essere soli con la morte) per elaborarli con l'obiettivo di morire il più tardi possibile in serenità.


Per quel che mi riguarda le mie paure si rivolgono non alla morte, ma come diceva uno scrittore russo alla paura del dolore della morte. Quell'aspetto possibile del fenomeno di morire è quel temo. La morte in sé non mi fa paura ... la caduta nell'oblio un poco mi rattrista

viator

Salve. La morte secondo me non è nè misteriosa nè dolorosa. Anzi, essa è rigorosamente sicura (certa) e sicuramente liberatoria per chi soffra.
L'unico vero grande mistero è quello contenuto eventualmente contenuto dalla vita, e consiste nel perchè possa esistere della sofferenza sterile,inutile. Saluti.



Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

Io temo principalmente il pensiero di cose non fatte, perché anche se ci fosse vita oltre la morte, quanto facciamo nella vita terrena si iscrive nell'eternità, e l'infinità delle cose non fatte è molto più grande del piccolo novero di quelle fatte.


Se la morte è destino universale, tutte le strade portano alla non-sofferenza, ma pochissime strade portano alla felicità intesa come entità positiva correlativa della sofferenza.


Quindi la morte per me è un invito a riflettere sull'ineffabile differenza tra il non soffrire e l'essere felici, insomma sciogliere il dilemma del senso e capire se la sofferenza, che è la realtà di base da cui partiamo, ha un contrario nell'ordine della natura, come stanno tra di loro l'acqua e il fuoco, la terra e l'aria, o solo un negativo logico-esistenziale come la luce e il buio, il bene come essere e il male come mancanza d'essere, perché il negativo, che è la morte, è per tutti, il contrario, che è la felicità, se è, è per pochi.


La via stretta insomma, che, al contrario di un cammino filosofico classico, si svincola del senso come senso della vita e arriva al senso come sensazione.


Io penso che il tempo non abbia ne inizio ne fine, ogni cosa che viene immersa nel fiume infinito del tempo ne è mediana e spartiacque, è il presente che crea il passato e il futuro, e li crea come infiniti e insieme trapassati, inconcepibilmente e per assurdo già superati nella verità stessa dell'attimo; se la perennità del passato non mi ha impedito di esistere, se ho attraversato l'infinito per esistere, in qualche modo, ugualmente, la perennità del futuro non mi impedirà di esistere, il miei attimi sono struttura del tempo; la mia esperienza, iscritta nella sensazione, vale più della mia conoscenza, iscritta in quello che è culturale e acquisito,  in quello che soggettivamente, a torto o a ragione, ritengo essere il senso della mia vita; perché io possa essere nato, infinito tempo è passato, perché io possa tornare infinito tempo passerà, e questo vale per ogni essente; il cosmo non ha stadi definitivi in cui qualcosa possa morire per sempre, non li ha all'inizio, non li ha alla fine, non li ha in nessun punto mediano, l'impermanenza stessa è impermanente, è il nulla della morte che nega la morte...


penso anche che dovrei essere coscienza del tutto coscienza per morire nell'oblio, ma io non mi esaurisco già qui in vita nel fatto stesso della mia coscienza, ho corpo, ho inconscio, ho istinto, ho volontà, quindi anche in morte non penso che mi esaurirò nel fatto stesso del mio oblio.


Rimane solo l'angoscia per le cose non fatte, e il rimpianto per quelle fatte non al meglio.


Non bisogna avere paura di terminare, bisogna avere paura di riempirsi di contenuti di vita e di coscienza indegni, perché la vita e la coscienza sono tutto quello che abbiamo, e probabilmente che avremo per sempre. Il valore di quello che in vita ci succede e ci circonda è infinito, ma è difficile assaporarlo e goderne.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Eutidemo

Personalmente, non solo non ho "paura della morte", ma, anzi, non vedo l'ora che essa arrivi, per mettermi al sicuro dai rischi e dai numerosi e sgradevoli inconvenienti della vita; ed infatti, una volta morti, non si può certo rimpiangere di non essere più vivi, mentre, essendo rimasti vivi più del necessario, si può rimpiangere di non essere morti prima (come diceva mia nonna, alla quale, ad ottanta anni suonati morì il figlio primogenito).
***
Ho invece, ovviamente, "paura di morire", in quanto, così come la nascita, il "trapasso" è, in genere, alquanto doloroso; ma, a ben vedere, si tratta semplicemente di "paura della sofferenza", non certo di "paura della morte" (sono due cose diverse).
La morte, infatti, è la fine della sofferenza!
D'altronde c'è scritto pure sulla Bibbia che "Il giorno della morte è molto migliore del giorno della nascita!" (Ecclesiaste 7 - 1)
Pur essendo la cosa evidente di per sè, se sta scritto pure lì, possiamo senz'altro crederci!
;)

Eutidemo

#23
Ciao Mariano. :)
Per rispondere in modo un po' più dettagliato al tuo originario quesito, ritengo che valga la pena che io, sia pur molto sinteticamente, consideri una per una tutte le circostanze che, secondo te, potrebbero indurci ad avere paura della morte.
1)
Come ho già detto, il pensiero della "sofferenza" che di solito si prova "nel momento di morire" (almeno se si affida la faccenda al caso) , ovviamente, mi preoccupa un po'; ma la "paura del modo di morire" e la "paura di essere morto", sono due cose "molto" diverse tra di loro, anche se molti fanno confusione al riguardo.
La prima ce l'ho anch'io, la seconda per niente!
2)
Circa la "paura dell'ignoto", Amleto diceva: "Chi mai porterebbe fardelli, grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? Così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azioni!"
Io, invece, questa "paura dell'ignoto", non la nutro affatto, in quanto distinguo chiaramente:
- ciò che NON possiamo sapere che ci accadrà dopo morti;
- ciò che, invece, possiamo benissimo sapere che NON ci potrà accadere dopo morti.
Sono due cose radicalmente diverse, sebbene molti le confondano tra loro.
Ed infatti:
- pur non sapendo assolutamente cosa potrà accadere dopo la mia morte fisica (sebbene io abbia al riguardo qualche "supposizione", circa l'IO che torna al SE');
- tuttavia sono assolutamente certo che il mio "io individuale" cesserà necessariamente di esistere, in quanto, visto che ho direttamente sperimentato come esso cessi "temporaneamente" di esistere durante un'anestesia totale, non vedo proprio perchè non dovrebbe cessare "permanentemente" di esistere, a maggior ragione, dopo una revolverata in testa.
Come dicono i professori di logica di Oxford: "It doesn't make any sense!"
Da un pollo si può ricavare un bel brodo; ma da quel brodo non si potrà mai più ricavare quel bel pollo.
Ovvero, come poeticamente scriveva Catullo: "Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Almeno, "uti singuli" (cioè "come individui").
3)
Circa l'annullamento dell'io (individuale), di cosa mai dovrei aver paura?
Sarebbe come se una lampada si preoccupasse di quando verrà spenta; quando verrà spenta, infatti, starà esattamente così come stava prima di essere accesa.
Dopo morto, infatti, starò esattamente come (non) stavo prima di nascere; per cui non vedo cosa mai dovrei temere.
Non me la passavo mica tanto male!
4)
Quanto alla "perdita di possesso delle cose", questo è un problema che può affliggere soltanto chi è ancora in vita; ed infatti, una volta morti, non potremo più rimpiangere di aver perso qualcosa, perchè il nostro io individuale avrà cessato di esistere.
E, se non si può rimpiangere quel che si è perso, è esattamente come se non lo si fosse perso affatto!
5)
Circa il "pensiero delle cose non fatte", vale lo stesso ragionamento; ed infatti, una volta morti, non potremo più rimpiangere non essere riusciti a fare determinate cose, perchè il nostro io individuale avrà cessato di esistere.
6)
Per quanto, infine, riguarda "il pensiero del dolore di chi resta", poichè dopo morti non "penseremo" più, neanche questo mi fa paura; però è indubbiamente un pensiero che mi affligge finchè resto in vita, perchè, in effetti, l'idea che un giorno verrò a mancare a chi mi ama, mi procura sicuramente sofferenza.
Ed infatti, per come la vedo io, suicidarsi è un peccato gravissimo:
- se si hanno ancora figli piccoli;
- se si hanno ancora genitori anziani;
- se, in ogni caso, ci sono persone che dipendono da noi;
- se ancora abbiamo obblighi a cui adempiere.
Diversamente, una volta diventato vecchio, ed in assenza delle circostanze di cui sopra, sebbene  l'idea che un giorno verrò a mancare a chi mi ama, mi procuri indubbiamente sofferenza, ritengo inutile farmene un problema; ed infatti è naturale ed inevitabile che i giovani sopravvivano ai vecchi (semmai è brutto il contrario), per cui non ci posso far niente.
Come diceva Marco Aurelio: "Ti sei imbarcato, hai fatto il tuo viaggio, sei arrivato in porto: adesso sbarca!"
Mi consola il fatto che, una volta che sarò morto, anche tale sofferenza non avrà più ragion d'essere; e, soprattutto, che qualche persona più giovane che amo, muoia prima di me (come accadde a mia nonna paterna).

***
Mi dispiace molto, invece, che il pensiero della morte, che io trovo così profondamente consolante, debba affliggere, senza motivo, tante persone.
***
Un saluto! :)
***

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