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Nun Me Scuccia'

Aperto da acquario69, 25 Giugno 2016, 05:51:44 AM

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paul11

Citazione di: acquario69 il 11 Gennaio 2019, 03:52:17 AM
Citazione di: paul11 il 11 Gennaio 2019, 00:25:43 AM
l'analisi è condivisibile, ma il punto importante è alla fine: quale rivoluzione culturale?
Tanti hanno capito e ormai sanno analizzare in via generale le problematiche esistente.
Ma quasi nessuno ha capito la malattia e l'antidoto.
L'accenno al nomos, quando si indica armonia ed equilibrio nella cultura dell'antica grecia, presupponeva non solo il dominio naturale e quindi materiale e quindi particolare e frammentato della propria famiglai, fino all'individuo.
Storicamente il "mio" prevarrà sempre di più su il "nostro".
Che cosa è accaduto? Semplicemnte che la verità divenne  le verità  multiformi e indeterminabili,solo materialisticamente accertabili, solo naturalisticamente osservabili,.In questa cultura che con la modernità diventa preponderante sono all'interno le èlite succedotesi con poteri economici e politici, ma anche gli antagonisti il socialismo, il comunismo e se vogliamo il nazismo e il fascismo, in quanto tutte hanno accettato di fondo la medesima cultura fondativa portandosi quindi all'interno della costruzione del pensiero le stesse contraddizioni di fondo.
Gli antidoti socialisti ecomunisti non hanno funzionato perchè non basta ideologicamente sostenere il nostro contro il mio se di fondo accetta le regole naturali e materiali.
Perchè se si accettano le regole naturali e materialistiche, la selezione del più forte e più furbo vincono contro qualsiai "buonismo altruistico", in quanto afferma il mio e non il nostro.Per quanto quindi si possano creare società socialiste o comuniste ne usciranno le contraddizioni dei privilegi nei poteri riaffermando "la selezione naturali" con formazioni di altri tipi di èlite.Ma sempre èlite sono.

Sono d'accordo.
Non so se l'autore dell'articolo quando fa riferimento ad un "liberatore" lo intenda come "esterno" (per cui, come descrivi anche tu, si finirebbero poi per riprodursi le stesse dinamiche)
Credo che l'antidoto sia invece e comunque di ritrovare un liberatore "interno"...che cioè sta innanzitutto dentro di noi.
Secondo me se il "mio" ha prevalso sempre di più sul "nostro" (senza per questo escluderne la legittima esistenza, che poi credo sia quello di identità) e' perché la visione del mondo da universale si e' sempre più ridotta ad una visione solamente umana..
L'esempio l'ho fatto anche nel mio ultimo intervento, quando scrivo in sostanza che la Realtà non e' una contrapposizione..per cui il soggetto si percepisce fondamentalmente separato dal resto (il che e' appunto non reale), ma una complementarità o come in altri termini analoghi si può tentare di trovarne una possibile definizione..Lo sintetizza in maniera a mio avviso impeccabile Giordano Bruno quando scrive:

Tutti gli esseri viventi, sono fenomeni diversi di un'unica sostanza universale; traggono dalla stessa radice metafisica, e la loro differenza è quantitativa, non qualitativa)

...e mi sembra altrettanto chiaro che tutto cio non può che provenire da un altrettanta e parallela visione materialistica dell'esistenza.
Sono d'accordo.
Ma accentuerei il dilemma di una domanda che posi a me stesso.............quarantacinque anni fa, se non di più:
"perchè se ognuno e quindi tutto insieme ci sentiamo "anime belle", non riusciamo a costruire una società migliore, più umana".
E non è che i giovani succedutesi nelle le ve , nelle generazioni abbiano perso la sensibilità umana: che cosa condiziona talmente i comportamenti tanto che una persona può dare il meglio di sè oppure il peggio di sè"?
Altro esempio: l'adolescente paul11 aveva fra i suoi riferimenti culturali due figure musicali :Bob Dylan e Fabrizio De Andrè.
All'epoca erano collocabili come "controcultura".Il regime del sistema sociale e culturale non è migliorato ad oggi, dal "movement" degli anni Sessanta ricorderei "il riflusso al privato degli anni Settanta,tranne un sussulto del Settantasette, e gli anni Ottanta del "rampantismo" individualista.

Oggi le figure di De Andrè e Dylan lo stesso regime le sacralizza ,allora significa che il clima attuale culturale può benissimo "introiettare" quella controcultura che fu reietta negli anni Sessanta ,in quanto pericolosa, nell'attualità dove non sono più "pericolosi"

Questa premessa lunga e per dirti, va bene, anzi benissimo che ogni individuo cerchi di liberarsi, o quanto meno  di essere coscienti delle condizioni sociali, culturali. ma una volta "coscienti" del pericolo sistematico del regime imperante, fra l'altro già dichiarato da una pletora di personalità culturali, tante se pensiamo anche solo l'intero Novecento,............nulla muta.

Ritengo proprio per dare un tentativo di risposta alla mia stessa domanda del "siamo tutti buoni ,sensibili ed uguali" che non sia nell'ambito strettamente politico,strettamente economico, ma nei fondativi culturali che contraddistinguono l'Occidente , la misura stessa che ha decaduto quel senso di estraniazione, di alienazione, di ansie e paure, oltre ovviamente a questioni di sopravvivenze materiali per popolazioni intere.
Se è cultura, non sarà l'emancipazione(intesa quì come crescita di coscienza) del singolo individuo a mutare un "sistema culturale" che oblia l'uomo, che diventa abitudine educativa,e quindi comportamento passato culturalmente come istintivo.

Ogni essere umano nasce dalla natura,ma è già "bollato" ,segnato dal futuro educativo ,dalle condizioni, dai "roumor" ambientali che saranno,abitudine, consuetudine, convenzioni, tanto da fargli credere che "è così perchè da sempre è stato così" .
Già uscire culturalmente, vale adire rendersi coscienti delle proprie condizioni materiali, sociali, culturali è un atto di sensibilizzazione della propria coscienza. ma per mutare quella cultura ritenuta inossidabile, non basta le singole coscienze sparse, se si vuole appunto mutare le condizioni culturali.

Affinchè l'umanità torni ad essere umana e non seguire il declivio che lo porta ad un uomo privo di umanità(con tutti i limiti umani),
i parametri devono essere fuori dall'uomo, non dentro l'uomo. Questo è un grossissimo problema ,nella attuale cultura.

Io sono diverso da te e tu quindi da me. Affinchè i diversi e gli'"altrui" si accettino, non possiamo pensare di trovarlo "dentro di noi" ,perchè siamo ancora dentro l'individualismo. Ci accetteremo quando  una"legge", intesa come condizione culturale condivisa culturalmente ci dica che le diversità individuali esistono, ma che l'umanità è fatta di uomini uguali, per quanto diversi, che non sono natura e materia, ma sono universali. Non è la mia una novità in tutto e per tutto.
Ma se l'esperienza storica dimostra che le regole naturali e materiali se vengono "unte e sacralizzate" dalla cultura dominante, portano a  dividerci, frammentarci, fino ad estraniarci in un mondo di estranei  e ,a  dover difendere la nostra sensibilità umana da un mondo che non ci assomiglia, forse, ribadisco, si tratta  di riflettere bene i fondativi della modernità se non ancora più in là.

acquario69

#61
Citazione di: paul11 il 11 Gennaio 2019, 10:32:50 AM
"perchè se ognuno e quindi tutto insieme ci sentiamo "anime belle", non riusciamo a costruire una società migliore, più umana".

paul..la verita e' che non gliene frega niente a nessuno!..anzi tutti (vabbè diciamo quasi tutti) cercano solo un padrone perché in sostanza quello che veramente vogliono e' rimanere schiavi

Citazionei parametri devono essere fuori dall'uomo, non dentro l'uomo.

In realta' il rapporto e' simmetrico..l'uno condiziona l'altro e viceversa (come ho detto prima sulle polarità)...e se la bilancia pende solo da una parte (dalla parte dell'IO,dell'individuo,che nella nostra società ne fa un valore ASSOLUTO) naturale che poi vengono fuori gravi scompensi e che questi ricadono anche sullo stesso individuo, che pensava pure di essere "furbo" ma in realtà soffre di gravissima miopia.. compresa la mentalità contemporanea che l'accompagna

acquario69

"Beh! meglio tardi che mai" disse lui. "No, tardi non è meglio; tardi è tardi", disse lei.
(Charles Schulz, Peanuts)


L'individualismo come fenomeno di massa non è un fatto psicologico congiunturale, che renderebbe i nostri contemporanei eccezionalmente egoisti o portati a ripiegarsi in sé stessi.  E' un fatto di struttura che mette l'attore individuale, coi suoi diritti ma anche i suoi interessi, in primo piano, con l'esclusione del resto. 

– il politico specialmente, che non ha più altro ruolo se non al servizio dei diritti e degli interessi individuali -
..Ne risulta un programma che si può riassumere così:  la libertà totale di ciascuno e' l'impotenza completa di tutti".

La citazione, forse un po' difficile, è di Marcel Gauchet. Storico e filosofo della storia, una  delle poche grandi menti rimaste in un'Europa dove il pensiero non serve più, 70 anni,  Gauchet mi pare colga bene il  "capolinea" in cui si  è ficcata la civiltà europea, e che angoscia e paralizza nel profondo – il senso di aver perso la strada. " La dinamica  dei diritti individuali –  dice –  diventa la macchina per dissolvere la capacità collettiva di governarsi,  detto altrimenti, della democrazia".
Il trionfo dei "diritti individuali"  è vissuto ovviamente dai più come  una grande liberazione, invece che una crisi – e crisi terminale; soprattutto, ci sembra un fenomeno di liberazione  spontaneo. Invece, spiega Gauchet, esso è indotto;  è il risultato di una "ipertrofia"  della dimensione del diritto; in concreto, dei diritto degli individui a spese delle altre dimensioni della vita collettiva.
E  questa ipertrofia ha degli autori: le oligarchie che hanno formato "la costruzione europea: essa è animata da una volontà post-politica, quella di ridurre la democrazia all'esercizio più largo possibile delle libertà individuali; che sono sì un elemento; ma la democrazia consiste essenzialmente e prima di tutto nella capacità di fare scelte collettive. La filosofia delle istituzioni europee, ossessionate dal superamento delle nazioni, consiste a suggerire ai cittadini: sfuggite all'autorità dei vostri stati. Il loro messaggio subliminale è che esse non hanno a che fare se non con individui, sui quali nessuno stato deve esercitare un'autorità indebita".
E non è un caso che questa ipertrofia dei diritti individuali coincida con la globalizzazione: "La quale dà a chi se lo può permettere di giocare il 'fuori' contro il 'dentro'.  Per esempio di trarre il massimo profitto dall'organizzazione di origini – per esempio un'alta istruzione gratuita – riducendo al minimo le obbligazioni  –  per esempio le imposte pagate".
Ben  sappiamo, abbiamo degli esempi grandiosi di multinazionali specialiste  in questo gioco.  "Ciò non accresce il sentimento di un destino comune da cui accettare le costrizioni in vista di un meglio collettivo".
 Dunque la politica è divenuta impotente, incapace di rispondere alle aspirazioni  delle popolazioni?
"Si tratta di un'impotenza fabbricata, e in un certo senso desiderata da certi attori della costruzione europea; la loro filosofia soggiacente è svuotare gli apparati politici nazionali di ogni sostanza. Instaurare uno spazio post-statuale, dove la 'governance', mescola di diritti e di regolamentazioni economiche, sostituisce il governare: ossia l'azione di governi eletti, sempre accusato di inefficacia e di arbitrio.  A perseverare in questa 'unione politica' senza politica si affonda in un buco nero catastrofico".
Particolarmente catastrofico proprio di fronte alla globalizzazione: in essa si affermano identità collettive fortissime (la Cina, gli Stati Uniti), mentre "l'Unione" Europea è incapace di pensare politicamente la mondializzazione: la sua logica spontanea è di dissolvercisi dentro. Essa dà una lettura della globalizzazione in cui si tratta di aprirsi sempre più, senza mai vedere il mondo globalizzato come quello in cui si tratta di situarsi strategicamente con scelte collettive forti. L'Europa, zona più aperta del mondo,è anche quella dove l'individualismo (dei "diritti individuali") è più potente".
In questo 'individualismo'  malato e paralizzante, abbiamo superato – dice Gauchet –anche gli americani. "Gli americani continuano a pensare che sono membri della nazione americana; gli europei penserebbero piuttosto di essere membri di nulla (de rien du tout).  Negli Stati Uniti la religione resta una armatura vivente, laddove gli europei sono quelli che sono andati più avanti nella liquidazione del loro passato".
Specie nei paesi latini, Gauchet vede che "gli inquadramenti collettivi, religiosi, sociali, comunitari sono i più radicalmente distrutti". E  la cancellazione non è limitata alle classi alte mondializzate. "quando si studia un villaggio della Francia profonda, si constata che non c'è più nulla della vita comunitaria che resisteva ancora trent'anni fa".
Cosa dobbiamo dire noi in Italia?  Solo pochi mesi fa il Garante dell'Infanzia (esiste anche questo) ha pubblicato dati agghiaccianti Su "L'incesto in Campania" – tanto da   farlo ritenere "normale"  in ambienti  provinciali di scarso livello culturale, dove una volta  la tradizione cristiana formava e la sua morale era tutto  quel cui si riduceva la loro "cultura"
Ora non ci sono più questi 'umili', ma solo praticanti del più devastante libertarismo e trasgressionismo consigliato dalle elites mediatiche – e ci sono esposti  senza difesa, come schiavi sessuali, i bimbi. La liquidazione di ogni traccia di religiosità porta ad effetti mostruosi.
Gauchet sottolinea una differenza fondamentale fra l'individualismo americano e quello, nuovo, europeo, a cui  non si pensa mai: "L'individualismo americano è quello del pioniere. Il pioniere si assume i rischi e si prende i duri colpi che gli si abbattono sopra – da cui anche il capitalismo americano, così feroce, "è vissuto come un fattore della potenza americana, la sua dinamica proiezione del mondo":
L'individualismo europeo, ohimé, "è in larga misura il prodotto dello Stato-provvidenza, che assicura a ciascuno di dispiegare la Propria libertà individuale nella sicurezza. E' una differenza fondamentale".
Si può ben dire. La mentalità corrente, il libertarismo di massa, congiurano dunque  con l'ideologia delle oligarchie euopeiste a rendere impossibile la svolta. Svolta politica, che s'impone perché "La fase neoliberale si sta esaurendo", e lo stato sociale (su cui si appoggiano tante "libertà"  trasgressive e irresponsabili ) viene smantellato sotto i nostri occhi.  Occorrono invece scelte politiche forti, da parte di politici capaci di vincere questa "libertà totale di ciascuno e impotenza completa di tutti".
Si chiama forse questo "Populismo"?  Additato dai media e dalle oligarchie privilegiate come un ritorno del  "nazionalismo" e anzi del 'fascismo' in Europa? "un risorgere dei totalitarismi" per Gauchet è un fantasma senza senso agitato dai propagandisti (demagoghi) dello status quo :
"Per molti aspetti, siamo agli antipodi del momento totalitario. Il partito unico, lo stato onnipotente, il culto del capo, tutto ciò è morto e sepolto.  Ciò che ci minaccia non è il 'tutto-politico', ma è la dissoluzione della coerenza politica delle nostre società". Ma attenzione, conclude il filosofo della politica: "Dopo lo schiacciamento dell'individuo da parte della società" di cui si accusano i totalitarismi, "siamo nel sogno dell'individuo  SENZA società:  che non è più vivibile di quello".

Fonte:
https://www.maurizioblondet.it/europei-vi-siete-ridotti/

Ipazia

L'UE é il sogno, o meglio incubo, realizzato di chi piú la avversó: Margaret Thatcher.  Essa realizza l'annichilimento della società nell'individuo produttore-consumatore facile preda di ogni potere politico-economico neppure tanto forte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

acquario69

Citazione di: Ipazia il 13 Gennaio 2019, 18:12:37 PM
L'UE é il sogno, o meglio incubo, realizzato di chi piú la avversó: Margaret Thatcher.  Essa realizza l'annichilimento della società nell'individuo produttore-consumatore facile preda di ogni potere politico-economico neppure tanto forte.


fino a non molti giorni fa sono stato in Italia e a differenza delle altre volte ho percepito a pelle un malessere diffuso, che pero va detto,non era certo venuto fuori all'improvviso...se ho avuto più netta questa chiara sensazione e' dovuto molto probabilmente al fatto che stavolta, a differenza delle altre, la mia presenza era necessaria per sbrigare alcune questioni importanti per cui mi sono ritrovato di nuovo immerso nell' "ambiente Italia" e in definitiva come non mi avveniva da quando mi sono trasferito ben quindici anni fa.
in generale per chi vive in un posto tutti i giorni tende a non far molto caso ai cambiamenti..ma per chi come me ci ritorna a distanza di tempo, comporta un effetto diverso...naturalmente dipende pure dal livello di sensibilità di ciascuno.

Ebbene nonostante e' il mio paese, che amo, nonostante ho i miei affetti più cari...da una parte non posso negare che non vedevo l'ora di tornare,perche la sensazione più netta che ho avuto e' stata quella dell'oppressione ma anche dell'impotenza e dell'isolamento,quello dell'alienazione dei suoi stessi membri (questi credo lo descriva nei suoi motivi e nei suoi effetti in maniera ineccepibile l'articolo che ho postato sopra)

In base alla mia esperienza e in base alla mia particolare situazione che mi da l'opportunita di vivere in due posti cosi diversi e cosi lontani, mi sono fatto l'idea che "l'unione" (fra virgolette) europea e' come se fosse allo stato attuale l'epicentro di un fortissimo terremoto (chiaramente provocato)...e secondo me perché l'europa e in particolare i paesi mediterranei fino a non molti anni fa vi erano ancora presenti delle "sacche di resistenza" (che io definirei come sacche di marcata identità..successivamente smantellate, anzi massacrate fino alla loro quasi completa eliminazione) e alla diversissima mentalità delle generazioni precedenti..non ancora del tutto rincoglionite...

Il problema aggiunto e' che questi paragoni (ormai verificabilissimi) vengono osteggiati dalle stesse persone che ne sono affette  ;)

donquixote

Un tempo, fra i riti insegnati dai genitori ai figli come il lavarsi le mani prima di mangiare e i denti prima di dormire, ve n'era uno particolarmente significativo e importante, che precedeva la preghiera e il bacio della buonanotte: l'esame di coscienza. Questo era solitamente rivestito di una particolare solennità, poiché si trattava di ripercorrere con la memoria la propria giornata al fine di capire se durante la medesima ci si era comportati correttamente, se si aveva adempiuto al proprio dovere, se si erano mantenute le promesse e gli impegni e insomma se non ci fosse niente da rimproverarsi e di cui eventualmente chiedere scusa al Signore impegnandosi, nel caso, a rimediare il giorno successivo. Una sorta di processo in cui il giudice e l'imputato coincidevano, e proprio per questa ragione l'autogiustificazione e la menzogna dinnanzi al tribunale della propria coscienza assumevano una particolare gravità, creando sensi di colpa maggiori di quelli provocati dal mentire ad altri poiché in quel caso si tradiva se stessi. 

Era un esercizio difficile, impegnativo, serio, che se compiuto con lealtà e rigore poteva risultare molto utile ai fini della crescita individuale, morale e sociale, contribuendo a sviluppare quelle doti che dovunque e da sempre vengono esaltate e rispettate nell'essere umano: la sincerità, la lealtà, l'onore, il senso di responsabilità e quello del dovere, il rispetto della parola data. Questa buona e sana abitudine ha col tempo perso d'importanza, ed è stata progressivamente sostituita da una diversa, più moderna, più adeguata a questi tempi di ipertrofia dell'ego ed esaltazione di quel processo psicologico moderno che si chiama autostima (e che una volta, più correttamente, veniva chiamato vanità ed inserito nei peccati capitali) che porta alla costante autoassoluzione e contestualmente alla ricerca di un capro espiatorio per le difficoltà o i problemi incontrati durante la giornata. Così il vecchio esame di coscienza si è trasformato nell'esame delle coscienze altrui e nella colpevolizzazione di chiunque, per i più svariati motivi, non si sia occupato di dare soddisfazione al proprio ego e alle sue pretese. E il senso di frustrazione che ne deriva viene espresso quotidianamente con gli insulti, il livore, il rancore, l'astio e il risentimento nei confronti di chiunque abbia un minimo di potere o di visibilità e che si pretende debba utilizzare per fare il "nostro" bene, incuranti della contraddizione insita in tale pretesa: se ormai chiunque non riesce a vedere al di là del proprio ego malato e non riesce a dargli soddisfazione da sé come si può pretendere che altri come loro possano farlo? Come si può credere che il senso di responsabilità e del dovere che ormai è andato perduto possa essere rimasto solo a coloro che più di altri sono stati contagiati da questa forma di egolatria e sono disposti a fare di tutto per alimentarla? 

E le parole ignoranti, odiose, grette e volgari che la "libertà di espressione del pensiero" garantita a chiunque e consentita dalla apparente interazione diretta veicolata dai cosiddetti "social" permette di indirizzare ai più svariati personaggi rimarranno patetica testimonianza di un'invidia sociale che il mondo dell'individualismo e della libertà per tutti e da tutto (a cominciare da quella dal concetto di "Verità") ha partorito, cresciuto e ingrassato; un mero sfogo bilioso che lungi dall'avere qualche utilità non potrà che distrarre ulteriormente dalla responsabilità che ognuno deve avere innanzitutto nei confronti di se stesso e della propria vita. Si vantano e si esaltano "progresso" ed "evoluzione" umana, ma il risultato è stato quello di tornare nuovamente ai tempi di Adamo ed Eva, ove il primo accusava la seconda di avergli offerto il frutto proibito mentre Eva incolpava il serpente di averla tentata, e nessuno voleva prendersi la responsabilità dell'atto che aveva compiuto.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

acquario69

Citazione di: donquixote il 14 Gennaio 2019, 20:30:50 PM
Un tempo, fra i riti insegnati dai genitori ai figli come il lavarsi le mani prima di mangiare e i denti prima di dormire, ve n'era uno particolarmente significativo e importante, che precedeva la preghiera e il bacio della buonanotte: l'esame di coscienza. Questo era solitamente rivestito di una particolare solennità, poiché si trattava di ripercorrere con la memoria la propria giornata al fine di capire se durante la medesima ci si era comportati correttamente, se si aveva adempiuto al proprio dovere, se si erano mantenute le promesse e gli impegni e insomma se non ci fosse niente da rimproverarsi e di cui eventualmente chiedere scusa al Signore impegnandosi, nel caso, a rimediare il giorno successivo. Una sorta di processo in cui il giudice e l'imputato coincidevano, e proprio per questa ragione l'autogiustificazione e la menzogna dinnanzi al tribunale della propria coscienza assumevano una particolare gravità, creando sensi di colpa maggiori di quelli provocati dal mentire ad altri poiché in quel caso si tradiva se stessi.

Era un esercizio difficile, impegnativo, serio, che se compiuto con lealtà e rigore poteva risultare molto utile ai fini della crescita individuale, morale e sociale, contribuendo a sviluppare quelle doti che dovunque e da sempre vengono esaltate e rispettate nell'essere umano: la sincerità, la lealtà, l'onore, il senso di responsabilità e quello del dovere, il rispetto della parola data. Questa buona e sana abitudine ha col tempo perso d'importanza, ed è stata progressivamente sostituita da una diversa, più moderna, più adeguata a questi tempi di ipertrofia dell'ego ed esaltazione di quel processo psicologico moderno che si chiama autostima (e che una volta, più correttamente, veniva chiamato vanità ed inserito nei peccati capitali) che porta alla costante autoassoluzione e contestualmente alla ricerca di un capro espiatorio per le difficoltà o i problemi incontrati durante la giornata. Così il vecchio esame di coscienza si è trasformato nell'esame delle coscienze altrui e nella colpevolizzazione di chiunque, per i più svariati motivi, non si sia occupato di dare soddisfazione al proprio ego e alle sue pretese. E il senso di frustrazione che ne deriva viene espresso quotidianamente con gli insulti, il livore, il rancore, l'astio e il risentimento nei confronti di chiunque abbia un minimo di potere o di visibilità e che si pretende debba utilizzare per fare il "nostro" bene, incuranti della contraddizione insita in tale pretesa: se ormai chiunque non riesce a vedere al di là del proprio ego malato e non riesce a dargli soddisfazione da sé come si può pretendere che altri come loro possano farlo? Come si può credere che il senso di responsabilità e del dovere che ormai è andato perduto possa essere rimasto solo a coloro che più di altri sono stati contagiati da questa forma di egolatria e sono disposti a fare di tutto per alimentarla?

E le parole ignoranti, odiose, grette e volgari che la "libertà di espressione del pensiero" garantita a chiunque e consentita dalla apparente interazione diretta veicolata dai cosiddetti "social" permette di indirizzare ai più svariati personaggi rimarranno patetica testimonianza di un'invidia sociale che il mondo dell'individualismo e della libertà per tutti e da tutto (a cominciare da quella dal concetto di "Verità") ha partorito, cresciuto e ingrassato; un mero sfogo bilioso che lungi dall'avere qualche utilità non potrà che distrarre ulteriormente dalla responsabilità che ognuno deve avere innanzitutto nei confronti di se stesso e della propria vita. Si vantano e si esaltano "progresso" ed "evoluzione" umana, ma il risultato è stato quello di tornare nuovamente ai tempi di Adamo ed Eva, ove il primo accusava la seconda di avergli offerto il frutto proibito mentre Eva incolpava il serpente di averla tentata, e nessuno voleva prendersi la responsabilità dell'atto che aveva compiuto.

Vero!...tutt'altro che banale era quel rito! visto che metteva in condizioni di non auto-ingannarsi ed e' ovvio che aveva le sue benefiche ripercussioni e non soltanto sulla singola persona..inoltre credo che aiutava notevolmente a mettersi in "comunicazione" più o meno diretta con la propria coscienza, intendendo dire con questa qualcosa che non rientra certo con l'utilita calcolata, tipica dell'ego, ma che appunto lo trascende.
interessante poi la sua trasformazione da te descritta che rovescia completamente tutto e altrettanto ovvie sono le stesse ripercussioni, appunto rovesciate.
l'ironia di questa metamorfosi e' pure il credersi liberi e liberati mentre non sarebbe altro che finire prigionieri di se stessi,del proprio narcisismo...
tutti rigorosamente separati e tutti che finiscono inevitabilmente in combutta con tutti più o meno alla rinfusa, perdendo letteralmente di vista qualsiasi senso e qualsiasi prospettiva di benessere sia pure condiviso e condivisibile...e la fatica per arrivare a questo non ce la mettiamo?  :) .. l'inutile spreco di energie e tutte che cadono regolarmente nello stesso vuoto di cui e' sua stessa immagine e somiglianza!

paul11

Citazione di: donquixote il 14 Gennaio 2019, 20:30:50 PM
Un tempo, fra i riti insegnati dai genitori ai figli come il lavarsi le mani prima di mangiare e i denti prima di dormire, ve n'era uno particolarmente significativo e importante, che precedeva la preghiera e il bacio della buonanotte: l'esame di coscienza. Questo era solitamente rivestito di una particolare solennità, poiché si trattava di ripercorrere con la memoria la propria giornata al fine di capire se durante la medesima ci si era comportati correttamente, se si aveva adempiuto al proprio dovere, se si erano mantenute le promesse e gli impegni e insomma se non ci fosse niente da rimproverarsi e di cui eventualmente chiedere scusa al Signore impegnandosi, nel caso, a rimediare il giorno successivo. Una sorta di processo in cui il giudice e l'imputato coincidevano, e proprio per questa ragione l'autogiustificazione e la menzogna dinnanzi al tribunale della propria coscienza assumevano una particolare gravità, creando sensi di colpa maggiori di quelli provocati dal mentire ad altri poiché in quel caso si tradiva se stessi.

Era un esercizio difficile, impegnativo, serio, che se compiuto con lealtà e rigore poteva risultare molto utile ai fini della crescita individuale, morale e sociale, contribuendo a sviluppare quelle doti che dovunque e da sempre vengono esaltate e rispettate nell'essere umano: la sincerità, la lealtà, l'onore, il senso di responsabilità e quello del dovere, il rispetto della parola data. Questa buona e sana abitudine ha col tempo perso d'importanza, ed è stata progressivamente sostituita da una diversa, più moderna, più adeguata a questi tempi di ipertrofia dell'ego ed esaltazione di quel processo psicologico moderno che si chiama autostima (e che una volta, più correttamente, veniva chiamato vanità ed inserito nei peccati capitali) che porta alla costante autoassoluzione e contestualmente alla ricerca di un capro espiatorio per le difficoltà o i problemi incontrati durante la giornata. Così il vecchio esame di coscienza si è trasformato nell'esame delle coscienze altrui e nella colpevolizzazione di chiunque, per i più svariati motivi, non si sia occupato di dare soddisfazione al proprio ego e alle sue pretese. E il senso di frustrazione che ne deriva viene espresso quotidianamente con gli insulti, il livore, il rancore, l'astio e il risentimento nei confronti di chiunque abbia un minimo di potere o di visibilità e che si pretende debba utilizzare per fare il "nostro" bene, incuranti della contraddizione insita in tale pretesa: se ormai chiunque non riesce a vedere al di là del proprio ego malato e non riesce a dargli soddisfazione da sé come si può pretendere che altri come loro possano farlo? Come si può credere che il senso di responsabilità e del dovere che ormai è andato perduto possa essere rimasto solo a coloro che più di altri sono stati contagiati da questa forma di egolatria e sono disposti a fare di tutto per alimentarla?

E le parole ignoranti, odiose, grette e volgari che la "libertà di espressione del pensiero" garantita a chiunque e consentita dalla apparente interazione diretta veicolata dai cosiddetti "social" permette di indirizzare ai più svariati personaggi rimarranno patetica testimonianza di un'invidia sociale che il mondo dell'individualismo e della libertà per tutti e da tutto (a cominciare da quella dal concetto di "Verità") ha partorito, cresciuto e ingrassato; un mero sfogo bilioso che lungi dall'avere qualche utilità non potrà che distrarre ulteriormente dalla responsabilità che ognuno deve avere innanzitutto nei confronti di se stesso e della propria vita. Si vantano e si esaltano "progresso" ed "evoluzione" umana, ma il risultato è stato quello di tornare nuovamente ai tempi di Adamo ed Eva, ove il primo accusava la seconda di avergli offerto il frutto proibito mentre Eva incolpava il serpente di averla tentata, e nessuno voleva prendersi la responsabilità dell'atto che aveva compiuto.
Ricordo ,eccome, mia madre che educava all'"esame di coscienza"
Quando vedeva ingiustizie da parte di qualcuno s'inalberava  dicendo "ma c'è l'ha una  coscienza ?",accompagnato dal gesto di una mano sul cuore.
Non c'è più l'educazione che insegnava la misura e il limite che viene prima di qualunque codice scritto e legge.
Era la premessa che già nelle famiglie s'insegnava il senso di una giustizia ,non solo terrena, che non doveva essere violata.
Ed era altrettanto premessa per una convivenza umana, civile, sociale, che univa e non frammentava

acquario69

Il mondo in cui viviamo, come tutti i mondi abitati, sono intrisi di simboli, e il fatto che non riusciamo a percepirli non è legato ad una loro eventuale assenza, ma ad una nostra incapacità a superare i limiti dei segnali concreti e materiali della realtà contingente.
L'idea illuminista di rendere evidenti i segni e di fare riferimento solo ai significati visibili per interpretare la realtà circostante ha accecato l'uomo nella sua percezione più profonda, ed in questo modo lo ha reso insensibile a tutto ciò che sfugge al controllo e al calcolo. L'avvertimento di Amleto a Orazio, sul fatto che ci siano più cose tra cielo e terra di quante ne possa sognare la nostra filosofia, evidentemente non è servito a nulla, se ci troviamo ad arrancare come miopi in un mondo che ci appare sempre più estraneo alla nostra anima.
I tempi correnti sono quelli della quantificazione, della classificazione e dell'omologazione, mentre la natura, di per sé, è qualificativa, identificativa e differenzialista.
Naturalmente, queste ultime caratteristiche non potevano essere accettate dai fautori della democratizzazione forzata, perché parametri contrari ad ogni forma forzata di livellamento.
La concezione che abbiamo del mondo è una concezione non solo meccanicistica, ma sostanzialmente morta nelle sue continue tensioni non catalogabili, perché forzatamente ristretta in una visione monoculare. Per dirla in termini fenomenologici, la moderna immagine è quella cartografica della mappa geografica e non quella del paesaggio stereoscopico; ed in questo modo abbiamo perduto la ricchezza personale del panorama per limitarci alla lettura della legenda della mappa. Come ha sottolineato Hillman: "Una visione che percepisce il mondo come morto, o che dichiara gli Dei proiezioni simboliche, deriva da un soggetto percipiente che ha cessato di fare esperienza in modo personizzato, che ha perduto la propria immagine del cuor".
In questo senso, la malattia diffusa, che in quanto tale statisticamente si considera norma, è il concretismo.
Sembrerebbe un insulto, un epiteto squalificante, mentre in realtà è proprio un disturbo psichico, una deformazione del pensiero che non è più limitata alla patologia individuale grave come l'insufficienza mentale o la schizofrenia, ma si è diffusa come un morbo inarrestabile fino a diventare un segnale pregnante di malattia di tutta la società. Come lo stesso Hillman ha precisato, e io stesso ho riportato più volte il suo concetto: "Non è più possibile distinguere nettamente tra nevrosi dell'individuo e nevrosi del mondo, tra psicopatologia dell'individuo e psicopatologia del mondo. (...) situare la nevrosi e la psicopatologia esclusivamente nella realtà personale, si compie una rimozione delirante. (...) Oggi la patologia la si incontra nella psiche della politica e della medicina, nella lingua e nel design, nel cibo che mangiamo. Oggi la malattia è "là fuori".
Il concretismo è l'incapacità di astrazione, di simbolizzazione, e la conseguente ristrettezza a considerare soltanto l'aspetto materiale e pratico dell'oggetto. Nell'individuo disturbato questa alterazione può essere una difesa di fronte ad un mondo considerato troppo astratto, quindi minaccioso e ansiogeno.
Con questo deficit simbolico trasmesso a livello societario, quasi in una forma di epidemica psicosi diffusa, ogni fenomeno non aderente alla realtà misurabile, ogni livello di astrazione non riconducibile a parametri di materialità – la solidificazione del mondo di cui parla Guénon – deve essere ricondotto e abbassato alla sua percezione vegetativa e calcolabile.
Alcuni esempi più eclatanti degli innumerevoli che si potrebbero portare?
La sessualità. Questa dimensione dell'umano è sempre stata indirizzata – nella visione tradizionale – verso una trasformazione dei sessi nella trascendenza, in una dimensione "di spirito, di   archetipicità, di verità" , in un cambiamento comune di tipo mistico. Poi arrivò la Dea Ragione, il materialismo storico e il relativismo morale, e tutto si ridusse a biologia e a istinto, a discapito della componente animistica della questione: "Secolarizzata dall'Illuminismo, l'anima non poté più tenere insieme spirito ed eros. Lo spirito fu assunto dall'idealismo materialistico e dal progresso utilitaristico. L'eros trapassò in sentimentalismo castrato e in pornografia".
La vita. L'impresa terrena veniva contrassegnata da precisi passaggi rituali, molto simili, per certi versi, a quelli della natura. Dalla fecondazione alla morte, passando attraverso le varie fasi dell'esistenza, non c'erano salti generazionali né blocchi di sviluppo, ma un regolare e cadenzato delinearsi di doveri, diritti e responsabilità. In ogni momento, ciascuno rispondeva alla comunità del proprio ruolo e delle proprie iniziative, dando così una immagine ed una forma precisa di ordine e di rigore. Ordine e rigore, per intendersi, che non avevano nulla a che vedere con una costrizione esterna o una rigidità formalistica, ma che definivano una superiore armonia di funzioni e di idee. Uomini e donne, genitori e figli, bambini e vecchi non erano semplici categorie sociologiche, ma rappresentazioni di archetipi, di valori e di funzioni.
La politica.
Partendo dall'assunto aristotelico che ogni uomo è di per sé un animale politico, l'arte del governo della città era intesa come l'esercizio di una autorità capace di costruire e di far rispettare un disegno terreno che rispecchiasse un sistema superiore ed invisibile. L'obiettivo era la creazione: di un uomo, di una comunità, di un destino. Il particolare dell'egoismo individuale e delle voglie collettive si estingueva nel desiderio condiviso di una trascendente visione comune, ed ognuno interiorizzava il limite già esistente nell'esperienza di natura. La Politica assumeva la funzione di Arte Regia, con il compito di amministrare il bene pubblico all'interno di un definito mondo di valori.
Il concretismo colpì anche questi due paradigmi. E la vita diventò un solitario percorso egoistico di emancipazione da ogni legame, con la rottura traumatica di un passato sia esso personale che collettivo, e con la evaporazione di un futuro consapevole. Rifiutando qualsiasi vincolo, ritenuto limitante per una tanto vaga quanto velleitaria libertà, l'uomo scelse di vivere al momento e per sé, presentificando ogni voglia e gratificando ogni pulsione. Il risultato è stato ed è una condizione di pseudopadronanza, dove ciascuno crede di volere, mentre in realtà è costantemente scelto nelle sue decisioni da una continua mancanza di qualcosa, da un vuoto incolmabile di significati e di sensi. In fondo, ciò che il concretismo ventila come una semplice e dovuta adesione alla realtà è, nei fatti, una deriva verso la più totale e devastante illusione. La constatazione analitica secondo la quale "Se tutto sembra possibile, allora più niente è reale" ha confermato la sua diagnosi proprio nello sviluppo del disagio esistente. Il concretismo ha ridotto ogni legame in contratto, trasformando il vincolo di sangue e di idea in accordo di interessi e di utilità. La parola ha perduto il suo valore costruttivo di relazione simbolica per lasciare il posto al fare pratico e all'azione finalistica.
La politica è il risultato della stessa patologia. Dove c'era un disegno, c'è una programmazione; dove c'era un destino, c'è un progetto; dove c'era una creazione, c'è un'amministrazione. Dal livello simbolico di realizzazione terrena di un ordine e di una forma trascendente, la politica è diventata gestrice del caos egoistico di singoli e di minoranze, tenutaria di interessi mercantili e di convenienze momentanee e particolari. Il distacco delle funzioni si è estinto, ed è stato sostituito dalla vicinanza promiscua di ruoli intercambiabili. Anche un certo tipo di educazione permanente all'idea virile di Stato è venuta a mancare – per voluta e determinata eutanasia: tutto è stato ridotto a società, con uno pseudo-stato che rispecchia le anomalie diffuse, piuttosto che forzare all'esercizio delle virtù, una rappresentanza dei vizi della popolazione, piuttosto che un ideale verso cui attrarre il popolo, un dispositivo materno di gratificazione delle voglie, piuttosto che un ufficio paterno di riproduzione dei limiti e di esame della realtà.
Si potrebbe continuare quasi all'infinito a puntualizzare singole cadute del simbolico al concreto. Dalla scuola, già modello di elevazione culturale ora distributrice di competenze tecniche,allo sport, già fenomeno di sanità fisica e di messa alla prova di coraggio e di dedizione ora compravendita economica e trattativa miliardaria. E via via elencando.
Le conseguenze di questa concretizzazione della vita e del mondo sono due ricadute pesanti sul singolo e sul contesto di appartenenza: il cinismo e il narcisismo.
Se niente ha valore in sé, e tutto è comparabile ad un utile quantificabile e ad un interesse conteggiabile, allora solo "Io" ha importanza, con il risultato mentale e pratico che tutto ha un prezzo.
Questo cinismo non è quello filosofico del minimalismo dei bisogni e delle soddisfazioni, ma freddezza in ogni legame e disinteresse per qualsiasi trascendenza; è l'esasperazione delle proprie voglie a discapito di ogni responsabilità e di ogni rispetto. In contemporanea, trionfa il narcisismo, con la sua "mancanza di umanità", "la negazione dei sentimenti", l'assenza di rimorso, la ricerca del potere e l'annegamento nell'invidia, fino al rinnegamento dell'identita.
A ragione, Massimo Recalcati sottolinea il valore di un neologismo inventato da Colette Soler: il narcinismo (narcisismo + cinismo). Viviamo in una società narcinistica, nella quale l'imperativo categorico è godere, divertirsi, diluire ad annullare ogni dovere ed ogni impegno; dove la felicità esteriore e materiale ha la prevalenza sulla serenità interiore e spirituale; dove il legame è vissuto come dovere soffocante e dove l'indicativo perentorio è libertà, a costo di naufragare nell'indifferenziato e nell'angoscia.
Ci si meraviglia del degrado individuale e collettivo, dello sfacelo delle famiglie e della deriva della politica, del diffondersi irrefrenabile delle droghe e della violenza, della caduta di ogni stile e dello scarso valore della vita. In realtà ci si dovrebbe meravigliare di meravigliarsi. Ma forse questa meraviglia è un segnale positivo; forse c'è ancora, in qualche recesso della persona e dell'inconscio collettivo, un piccolo barlume di indignazione e di coscienza critica, una minima volontà di potenza per esorcizzare la forza insinuante di questo Forestaro dell'ipermodernità.

PS: se' fatto tardi...e' ora di andare a nanna!

Fonte:
https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=37937

acquario69

OBLIO DELL'ESSERE
(Dinamica sul tramonto dell'Essere)

 
1) LA PIANURA DELL'OBLIO
Repubblica, 620 e-621 b: qui Platone descrive la Pianura di Lethe (Oblìo) come caratterizzata da "tremenda calura e afa", per di più essendo "priva di alberi e di qualunque prodotto della terra"; errando in questo luogo terribile, avviene per l'anima l'accadimento dell'Oblìo: essa "si scorda di tutto", cioè dimentica ciò che essa era prima di cadere nella Manifestazione, e più in generale si scorda del Non-Manifesto, in cui dimorava nascosta e custodita, e degli Archetipi iperuranici (v. Fedro).
 
2) L'OCCIDENTE COME TERRA DELL'OBLIO
Secondo Heidegger, nell'Occidente avviene nel modo più radicale l'esperienza dell'Oblìo dell'Essere, esperienza temibile e inquietante che sarebbe iniziata già ai tempi di Platone. Nell'età moderna, si assiste poi all'espansione travolgente di tale dimenticanza dell'Essere: essa finisce per contrassegnare ogni aspetto della vita moderna e contemporanea, e tutto questo appare come il compimento di un Destino.
 
3) CHE COS'E L'OBLIO DELL'ESSERE E COSA COMPORTA?
Esso è "l'oblìo della differenza tra l'essere e l'ente" (v. Il detto di Anassimandro, in Sentieri interrotti), per cui l'essere viene ridotto all'ente, e quindi "dimenticato" nella sua "differenza ontologica" e nel suo intimo relazionarsi all'ente. Conseguentemente, solo gli enti in quanto tali sono pensati come realmente esistenti: l'attenzione cade dunque esclusivamente su di essi, che non sono più intesi come manifestazione, sia pure parziale, dell' ulteriorità dell'Essere.        
 
4) IL PREDOMINIO DELLA RAGION CALCOLANTE
Tale predominio è correlato all' Oblìo dell'Essere, cresce in proporzione all'intensità di tale "dimenticanza", trattandosi di aspetti di uno stesso "destino". Preliminarmente, occorre precisare che cosa sia "Ragione", ed è l'etimologia stessa a consegnarcene il significato più essenziale, che non è solo quello strettamente "logico".
Ratio = conto, calcolo, stima, valutazione (v. Ernout-Meillet, Dictionnaire étymologique de la langue latine, Paris, 1932); da cui Rationarius = ragioniere, colui che è valente nel fare i conti; Rationarium = libro dei conti; Rationem ducere = condurre il conto (fino al totale) (v. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, 1976).
A volte, Ratio ha anche il significato di piano, progetto, come in Cicerone: per cui  "Instituta ratio" = il piano (progetto) prestabilito. Come si può notare, calcolo e progettazione non sono aspetti secondari e occasionali della ragione, ma appartengono originariamente alla sua essenza, la quale non per caso ha dispiegato tali contenuti nel corso della storia dell'Occidente.
 
5) LA DISPONIBILITA' DEGLI ENTI ALLE PRETESE DELLA RAGIONE
La visione razionale del mondo esige alcuni presupposti tali per cui: a)gli enti sono anticipatamente pensati come eternamente accessibili alle progettazioni della ragione, la quale può disporne a piacimento, in vista degli impieghi ritenuti necessari; b) la potenza della ragione è pensata anticipatamente come illimitata, per cui qualsiasi ostacolo o vincolo può esser tolto nel corso del dispiegarsi della sua potenza: il pensiero tecnico-scientifico è la forma più potente di ragion calcolante, e come tale sostituisce le forme precedenti, troppo impacciate e ormai obsolete. Tali presupposti muovono comunque dall'Oblìo dell'Essere, poiché solo con tale evento essi risultano credibili; in caso contrario infatti....
 
6) DAL PENSIERO COME COM-PRENSIONE AL PENSIERO COME  MEMORAZIONE
Il pensiero razionale tipico della tecnoscienza è essenzialmente "com-prensione" prevaricatrice, nella misura in cui il suo proposito è quello di circondare e catturare gli enti, per assicurarseli in qualche modo; nello stesso tempo, è "non-pensoso", in quanto incapace di pensare l'Essere, avendolo "dimenticato". L'alternativa ad esso è il pensiero pensoso, meditante, rammemorante, detto così perché, avendo "memoria" dell'Essere, ad esso si orienta: il suo simbolo è Mnemosyne, il suo atteggiamento di fondo è quello del "raccoglimento" e del "ringraziamento".
 
7) SULLE TRACCE DELL'ESSERE, FINO ALLA RADURA LUMINOSA, DOVE, NEL DIRADARSI DELLA FORESTA, ESSO TRASPARE...
Il cercatore "memorante" è tale perché, non rinchiudendosi nell'ente, si mette in cammino, sulle tracce dell'Essere...a volte esse si fanno sempre più esili, fino a perdersi nel folto del bosco...altre volte, esse conducono ad una schiarita, dove qualcosa dell'Essere traluce...Ma chi sa inoltrarsi nella foresta selvaggia senza farsi sviare? Per rispondere alla domanda, occorre partire non tanto dal cercatore, dalle sue abilità o dalle sue negligenze, quanto piuttosto dall'Essere stesso: è Esso infatti che, secondo  circostanze che appartengono esse stesse al "Destino dell'Essere", si occulta o si disvela, si sottrae o si concede...
 
8-) IL PERICOLO ESTREMO E L'AUTORIVELAZIONE POETICA DELL'ESSERE
Un'elegia di Hölderlin chiede: A che i poeti, nel tempo della povertà?
Il tempo della povertà e del pericolo estremo è il nostro, in quanto ossessionato dalla furia calcolante e manipolatrice, correlata alla fuga degli dei e al ritrarsi dell'Essere; meditando la domanda di Hölderlin, Heidegger osserva che, da sempre, l'autorivelazione dell'Essere accade nell'autentica poesia sapienziale (per questo la Saggezza Aurorale presocratica si esprimeva nel linguaggio poetico, e non in quello concettuale). Veramente poeti sono quelli cui è concesso il non-sviamento, addentrandosi nei Sentieri dell'Essere.
 
9) HÖLDERLIN, IL PRECURSORE
Nel tempo della "povertà", Hölderlin è considerato da Heidegger il precursore per eccellenza, poiché in lui comincia a riaffiorare nuovamente l'esperienza e la grandezza della Poesia disvelante, rivelatrice dell'Essere. Da essa sgorga l'invito al "Soggiornare poetico" sulla Terra, sotto il Cielo: tale quieto soggiornare, raccolto e pensoso, è senza-calcolo e disarmato, avendo riguardo e rispetto per tutti gli esseri, poiché in essi vede ovunque un segno del Cielo e del Divino inaggirabile, cioè dell' Essere e dei suoi ritmi di rivelazione e nascondimento.

Fonte: www.filosofiatv.org
(Paolo Scoccaro)

Ipazia

La Ratio non è un gadget eliminabile. Se esiste un ordine nel mondo, esso si manifesta attraverso la sua misura e misurandolo lo si conosce.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

acquario69

#71
Citazione di: Ipazia il 31 Gennaio 2019, 18:34:57 PM
La Ratio non è un gadget eliminabile

infatti non mi risulta che abbia mai detto una cosa del genere e nemmeno l'autore dell'articolo sopra (sarebbe interessante sapere come ti sarebbe venuto in mente)

CitazioneSe esiste un ordine nel mondo, esso si manifesta attraverso la sua misura e misurandolo lo si conosce.

La razionalità e' l'elemento caratteristico dell'uomo ma viene in secondo ordine dopo il noumeno.
La ratio misura ma non arriva a conoscere un bel niente perché da sola non riuscira mai a "vedere" dietro le apparenze fenomeniche e perciò basera tutto su delle illusioni generando solo una gran disordine che si riflette nel mondo stesso (e che se quest'oblio continuerà l'esito finale sarà semplicemente l'autodistruzione in tutti i sensi..e in fondo visto l'andazzo non sarà tutto questo danno, il mondo si sarà finalmente liberato da questa brutta infezione!)...come si può tranquillamente riscontrare non essendo altro che il prodotto dei suoi stessi effetti

Ipazia

Se la Ratio non è un gadget eliminabile e non vi sono alternative ad essa  (se sì, quali ?) conviene imparare ad usarla al meglio delle sue possibilità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

acquario69

Citazione di: Ipazia il 01 Febbraio 2019, 09:07:07 AM
Se la Ratio non è un gadget eliminabile e non vi sono alternative ad essa  (se sì, quali ?) conviene imparare ad usarla al meglio delle sue possibilità.


E per usarla al meglio delle possibilità dovrebbe rispettarne la gerarchia 

equivale a liberarsi della propria individualità (che non significa eliminarla)..e' un apertura completamente disinteressata.

Ipazia

Citazione di: acquario69 il 01 Febbraio 2019, 13:04:35 PM
E per usarla al meglio delle possibilità dovrebbe rispettarne la gerarchia

equivale a liberarsi della propria individualità (che non significa eliminarla)..e' un apertura completamente disinteressata.

Non esiste una ratio individuale. La ratio è intelligenza collettiva che si tramanda di progenie in progenie. E' essa a dettare la gerarchia perchè, se ha senso il concetto di noumeno, è la ratio ad incarnarlo.
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