Nella follia si rivela la vera natura della psiche?

Aperto da Socrate78, 02 Gennaio 2023, 17:57:12 PM

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daniele22

Volevo fare ancora una considerazione sulla mia esperienza in riferimento a quanto già detto. Se è vero che ogni esperienza arreca necessariamente conoscenza e se è vero che noi regoliamo il nostro modus operandi cercando di adeguarlo nei limiti delle possibilità alla nostra conoscenza sarebbe implicito che l'esperienza da me avuta fa parte della mia conoscenza. E infatti, ancor oggi, io cerco di adeguarla nei limiti delle mie possibilità. Qual è dunque la conoscenza trasmessami dalla mia esperienza e come si manifesta?
Dal mio punto di vista, la conoscenza trasmessami è una conoscenza più che ovvia, ma probabilmente, dato che tutti la conoscerebbero a livelli più o meno consapevoli, non è altrettanto scontato che tutti la manifestino adeguandosi nei limiti delle loro possibilità a tale ovvietà. La mia scoperta dell'acqua calda sarebbe infine quella di sapere che il futuro è incerto. Tralasciando le relazioni con le cose, comunque importanti giacché le persone parlano delle cose, per quel che attiene invece alle relazioni sociali una conseguenza sarebbe che io non so mai chi mi trovo di fronte e a questo fatto dovrei adeguare un sano comportamento. Nella fase acuta della violenta reazione mentale che ebbi, manifestatasi nei primi quindici o venti giorni come già raccontato, non mi fidavo dei miei amici, ma non in senso maligno, semplicemente non mi fidavo in modo innocente, ovvero io cercavo solo certezze per me. Se avessi avuto inclinazione alla diffidenza in senso maligno probabilmente mi sarei perso nei labirinti delle ossessioni. Ma non andò così. Col tempo, fortunatamente, presi coscienza che il mio comportamento non era mutato nei confronti di persone che non conosco, ma era mutato nei confronti degli amici; di questi ora mi fidavo, ma solo in ragione del fatto che a parlarmi, più che l'amico, parlava la sua storia, e questa era quella alla quale mi affidavo per fidarmi più o meno di lui. In questo forum ho accusato scherzosamente inVerno, Eutidemo e anthonyi di essere rispettivamente un resident in Russia al soldo dei nostri servizi, un troll filo russo e anthonyi un alto funzionario militare con competenze economiche. Anthonyi ha capito ed è stato sicuramente al gioco. E' vero che io scherzavo, ma non proprio del tutto se avete ben inteso quanto ho detto prima di tirare in ballo loro tre in questo post. E infatti, come dice il buon Vasco, la vita è tutta un equilibrio sopra la follia, e questo è vero nel senso più letterale dell'espressione. Gli è cioè che io, nella mia posizione, abbia difficoltà a dimensionare il significato di "non sai mai chi ti trovi di fronte". E questo perché un individuo mai come oggi corre spesso il rischio di prendere delle fregature, in termini di tempo e/o danaro. In riferimento quindi a questo "non sapere chi hai di fronte" in altri Topic dissi già che la supponenza è una cattiva abitudine di cui si fa spensieratamente uso oltre ogni ragionevole misura. Sarebbe di fatto proprio così che nell'insistere a pretendere in primo luogo di sapere che le nostre conoscenze siano accertate e ancor più di sapere quali siano le intenzioni dell'altro, tutto questo regime mentale di certezze appunto, che si fa forza più che altro a fronte delle condivisioni che ottiene, le famose bandiere, possa costituire infine il primo gradino verso patologie di natura ossessiva.
Concludendo la considerazione, questa abitudine che io vedo praticata spensieratamente e che produce la cultura di un "nemico" (ma pure di un "amato") sarebbe un segno di come una sana follia, cioè quella del sottoscritto, venga costantemente soffocata dalla cosiddetta normalità (per me patologica) che non si rassegna all'ineluttabilità a cui si riferisce appunto la scoperta dell'acqua calda ... cioè che non sai mai chi hai davanti e quali siano le sue intenzioni, Dio compreso. Un saluto

iano

#31
Secondo me il credere di  ''non sapere mai chi si ha davanti'' deriva da una sopravvalutazione del peso della nostra e altrui soggettività, perchè di fatto abbiamo davanti a noi un soggetto condizionato pesantemente, al pari di noi, dal contesto sociale, per quanto a parole ne possiamo prendere le distanze, quindi sostanzialmente un soggetto molto simile a noi.
Abbiamo quindi sempre davanti a noi un soggetto noto che non riconosciamo solo nella misura in cui tendiamo a disconoscerci.
Forse uscire fuori di senno equivale ad uscire da se stessi, nel senso che ci convinciamo di essere quel modello ideale cui tendiamo, e che poi trasferiamo fiduciosamente anche sugli altri. A questo modello adeguiamo poi le nostre aspettative, che andranno perciò facilmente deluse, perchè il modello non corrisponde al nostro essere come frettolosamente vogliamo credere, ma all'essere a cui tendiamo.
Secondo me un indice che può dirci quanto questa automistificazione sia spinta, è la nostra capacità di perdono verso il prossimo.
Minore è questa capacità, maggiore è l'automistificazione.
Quando il perdono viene da sè, è perchè riusciamo a riconoscere l'altro in noi, nella nostra reciproca realtà di fatto similare.
Voler aderire ad un modello ideale non è cosa sbagliata in sè quindi, anzi. Diventa un problema però quando si salta il passaggio iniziale, che è quello di aver consapevolezza piena per quanto possibile di quel che si sia, credendo di corrispondere già in partenza, al modello cui invece si tende.
Come dice il proverbio, la gatta frettolosa fà i gattini ciechi.

Tendenzialmente mi fido di quei soggetti che giungono al bene partendo dal male, ma non di quelli che si posizionano in partenza nel bene, che poi sono quelli più pronti a proporsi come guide al tuo trekking, senza però aver mai percorso un sentiero.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano


Secondo me il credere di  ''non sapere mai chi si ha davanti'' deriva da una sopravvalutazione del peso della nostra e altrui soggettività, perchè di fatto abbiamo davanti a noi un soggetto condizionato pesantemente, al pari di noi, dal contesto sociale, per quanto a parole ne possiamo prendere le distanze, quindi sostanzialmente un soggetto molto simile a noi.
Abbiamo quindi sempre davanti a noi un soggetto noto che non riconosciamo solo nella misura in cui tendiamo a disconoscerci.
Forse uscire fuori di senno equivale ad uscire da se stessi, nel senso che ci convinciamo di essere quel modello ideale cui tendiamo, e che poi trasferiamo fiduciosamente anche sugli altri. A questo modello adeguiamo poi le nostre aspettative, che andranno perciò facilmente deluse, perchè il modello non corrisponde al nostro essere come frettolosamente vogliamo credere, ma all'essere a cui tendiamo.
Secondo me un indice che può dirci quanto questa automistificazione sia spinta, è la nostra capacità di perdono verso il prossimo.
Minore è questa capacità, maggiore è l'automistificazione.
Quando il perdono viene da sè, è perchè riusciamo a riconoscere l'altro in noi, nella nostra reciproca realtà di fatto similare.
Voler aderire ad un modello ideale non è cosa sbagliata in sè quindi, anzi. Diventa un problema però quando si salta il passaggio iniziale, che è quello di aver consapevolezza piena per quanto possibile di quel che si sia, credendo di corrispondere già in partenza, al modello cui invece si tende.
Come dice il proverbio, la gatta frettolosa fà i gattini ciechi.

Tendenzialmente mi fido di quei soggetti che giungono al bene partendo dal male, ma non di quelli che si posizionano in partenza nel bene, che poi sono quelli più pronti a proporsi come guide di trekking, senza però aver mai percorso un sentiero.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: iano il 21 Febbraio 2023, 15:24:41 PMSecondo me il credere di  ''non sapere mai chi si ha davanti'' deriva da una sopravvalutazione del peso della nostra e altrui soggettività, perchè di fatto abbiamo davanti a noi un soggetto condizionato pesantemente, al pari di noi, dal contesto sociale, per quanto a parole ne possiamo prendere le distanze, quindi sostanzialmente un soggetto molto simile a noi.
Abbiamo quindi sempre davanti a noi un soggetto noto che non riconosciamo solo nella misura in cui tendiamo a disconoscerci.
A volte iano mi stupisci per come tu riesca a formulare dei pensieri da persona che vive fuori dalla realtà. Il credere di "non sapere mai chi si ha davanti" non deriva proprio da una sopravvalutazione del peso della nostra e altrui soggettività, bensì è un dato che dovrebbe darsi certo, altrimenti come si spiega che si possano compiere tutti i tradimenti o le truffe che nel mondo si sono sempre compiute?
Quel che ci è noto del soggetto poco conosciuto davanti a noi è solo che appartiene al genere umano, ovvero a quella specie che come arma migliore possiede un discreto uso della mente, truffe comprese. Aggiusta quindi il tiro iano e soprattutto un saluto

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