Menu principale

Mondi dell'utopia

Aperto da Sariputra, 24 Febbraio 2017, 09:12:39 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Sariputra

L'evidente sfacelo dell'attuale struttura delle società umane, il fallimento della globalizzazione finanziaria e le tensioni migratorie innestate da questa, mi hanno fatto riflettere, tra il serio e il faceto  :) , su quale potrebbe essere un nuovo ideale per l'umanità, una nuova forma di convivenza possibile. Leggendo un vecchio saggio thailandese del monaco Buddhadasa mi sono , ancora tempo fa, imbattuto nella sua visione di un nuovo "socialismo" utopico ( che lui aveva provocatoriamente proposto per la Thailandia, in quell'epoca sotto dittatura militare) da lui definito come 'socialismo dhammico". Partendo da quello che è il Sangha ( la comunità) dei monaci buddhisti, in cui , a parte poche cose di proprietà privata, tutti i beni vengono messi in comunione tra tutti i membri, aveva ipotizzato questo modello come valido per l'intera società thailandese. Così , fantasticando tra me e me, come fanno di solito gli esseri inadeguati, né sinistri nè destri ( perché ormai "suonati" da ambo le parti  ;D...) mi sono immaginato la società italiana ed europea in genere abbracciante questa filosofia sociale di convivenza. Intanto premetto che, quando si parla di socialismo dhammico, non s'intende qualcosa che abbia a che fare con il socialismo di stampo europeo e nemmeno marxista. Funzionerebbe più o meno così: ad ogni persona sarebbe garantita una piccola proprietà ( una casa, dei vestiti , dei mobili, un appezzamento di terreno) mentre tutto il resto sarebbe a disposizione della comunità. Naturalmente  si dovrebbe realizzare un modello economico fondato sul ritorno all'agricoltura e quindi la rivalorizzazione del territorio ( distruzione e smantellamento dei residuati dell'industrializzazione, decementificazione, ricoltivazione delle aree collinari e montane ora lasciate al degrado e all'incuria,ecc.). Naturalmente , essendo proprietà private, nulla vieterebbe di scambiare la propria casa con quella di un altro, ma senza compravendita in denaro; e così anche per gli altri beni in possesso. Nessuno potrebbe possederne più di una , evitando così il pericolo dell'arricchimento personale. Il sistema sanitario sarebbe totalmente comunitario e quello privato smantellato per la coltivazione di grano o mais sulle sue macerie. Ovviamente anche l'industria farmaceutica sarebbe pubblica. Servire la comunità in un ospedale o in una campagna avrebbe lo stesso valore sociale ( visto che nessuno verrebbe stipendiato...). I municipi sarebbero trasformati in dispensari di tutto ciò che serve per la vita quotidiana ( in primis il cibo e le medicine adeguate). Per evitare il formarsi di una oligarchia dei controllori dei dispensari, si dovrebbe farli ruotare tra tutti imembri adulti di quella particolare comunità. Il ritorno ad una società basata sull'agricoltura appare forse come un mostruoso regresso visto che noi intendiamo l'industrializzazione e la tecnologia che serve all'industrializzazione e alla finanza come un progresso, ma in realtà non sarebbe un ritorno al passato. In primis perché sarebbe una scelta consapevole e non uno stato necessario, come nell'antichità, e poi perché si continuerebbe a svolgere attività di ricerca e sviluppo, in campo medico soprattutto ma anche in generale, solo che questa ricerca non sarebbe più sottoposta all'interesse particolare. I ricercatori infatti si servirebbero degli stessi dispensari di tutti gli altri....e almeno per un mese all'anno dovrebbero aiutare nelle campagne ( in particolare in settembre...) per mantenere la consapevolezza della durezza della vita...Dato che è un'utopia si potrebbe anche pensare che la gente trovi finalmente un pò di pace in questo tipo di società, dirottando la propria intelligenza invece che sulla continua e incessante necessità di aumentare il proprio tenore di vita, nella coltivazione di un arricchimento umano e spirituale, invece che materiale come avviene oggigiorno. Le scuole sarebbero quindi i luoghi deputati per formare nuovi socialisti dhammici, consapevoli dell'importanza di questa simbiosi con l'ambiente naturale, ma nello stesso tempo profondamente creativi ( quindi ritorno ad una valorizzazione delle arti e delle lettere nell'insegnamento scolastico). I dispensari quindi anche come luoghi dove poter trovare tutto il materiale occorrente per l'esercizio della propria creatività umana, gratuitamente e in condivisione con gli altri creativi. E quindi concorsi, mostre, appuntamenti teatrali, ecc. dove poter far emergere l'innato spirito competitivo dell'uomo, che si riverserebbe verso la cultura e non verso i beni materiali...Poi, dato che è un mondo utopistico, ci si può sbizzarrire a piacimento...ognuno per il suo. Sognare non costa nulla ( almeno per adesso  ;) )...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Secondo me l'utopia di per sé non ci renderà mai felici. Potremo in un certo senso vivere tutti come i monaci buddisti o i francescani ed essere contenti eppure io sono il primo a non volere la povertà. Il problema è che per la nostra natura debole chi più chi meno ha bisogno della proprietà. Un ricco  accetterebbe la povertà (NON la miseria!) solo dopo essere riuscito a rinunciarci. Ma purtroppo non siamo tutti uguale e la nostra intrinseca debolezza (o "peccaminosità") fa in modo che il tuo scenario sia del tutto impossibile. Questa debolezza d'altronde è il vizio.

Per questo motivo il tuo modello non funzionerebbe se prima non si educa la gente ad essere così. Ossia prima di creare un'utopia per tutti, tutti dovremo cambiare noi stessi. Il "dimenticarsi" di questo "piccolo dettaglio" ha trasformato ogni tentativo di utopia in un inferno.

L'utopia prima dobbiamo costruircela "dentro" di noi e nelle relazioni a noi più immediate (ossia col "prossimo"). Per questo motivo io non credo che l'approccio giusto sia calarla dall'alto (dal governo), bensì bisogna costruirla dal basso, ossia dall'individuo e dalle relazione più immediate che esso ha.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:36:31 PMSecondo me l'utopia di per sé non ci renderà mai felici. Potremo in un certo senso vivere tutti come i monaci buddisti o i francescani ed essere contenti eppure io sono il primo a non volere la povertà. Il problema è che per la nostra natura debole chi più chi meno ha bisogno della proprietà. Un ricco accetterebbe la povertà (NON la miseria!) solo dopo essere riuscito a rinunciarci. Ma purtroppo non siamo tutti uguale e la nostra intrinseca debolezza (o "peccaminosità") fa in modo che il tuo scenario sia del tutto impossibile. Questa debolezza d'altronde è il vizio. Per questo motivo il tuo modello non funzionerebbe se prima non si educa la gente ad essere così. Ossia prima di creare un'utopia per tutti, tutti dovremo cambiare noi stessi. Il "dimenticarsi" di questo "piccolo dettaglio" ha trasformato ogni tentativo di utopia in un inferno. L'utopia prima dobbiamo costruircela "dentro" di noi e nelle relazioni a noi più immediate (ossia col "prossimo"). Per questo motivo io non credo che l'approccio giusto sia calarla dall'alto (dal governo), bensì bisogna costruirla dal basso, ossia dall'individuo e dalle relazione più immediate che esso ha.

Sì, l'utopia è irrealizzabile ( proprio perché utopia). Ma alcune idee di un'utopia possono essere rese sistema, Per primo mi verrebbe da dire che si ha sempre bisogno di una 'rivoluzione' per rendere effettivo un reale cambiamento che parta da un sogno utopistico. Una rivoluzione 'non-violenta' potrebbe scardinare il sistema attuale e aprire le porte per l'affermarsi del nuovo. Pensa a quante persone vivono miseramente nel mondo: sono nettamente la maggioranza. Invece di proporre il sogno irrealizzabile di arricchirsi come la minoranza che detiene il potere, un nuovo soggetto politico globale potrebbe avanzare l'obiettivo di formare una società in cui il necessario per vivere e curarsi venga garantito a tutti . In più anche la possibilità di tenere una parte di proprietà privata ( la casa, del terreno, ecc.). Questo, che a noi sembra povertà ( non disporre più privatamente del Suv, dei viaggi turistici, degli abiti firmati, dei gadget tecnologici,ecc.), è invece un autentico miraggio per la maggior parte dell'umanità. Un livellamento autenticamente socialista che abbassi i pochi per alzare i molti. Segue...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

donquixote

L'utopia di Buddhadasa, nelle sue linee generali, non è molto diversa dalla cosiddetta "teologia della liberazione" in voga nell'america latina, ed è uno dei numerosi e maldestri tentativi di applicazione "politica" di una dottrina che idealizzando l'uomo di fatto lo disumanizza. Le dottrine utopiche che hanno avuto un tentativo di applicazione nella realtà sono clamorosamente fallite nel sangue, nell'infelicità e nella disperazione, perchè non esiste un ideale "paradiso" qui sulla terra e la "politica", da quando esiste come scienza e come tecnica di governo, ha continuamente peggiorato le condizioni dei popoli anzichè migliorarle (o se le ha migliorate questo miglioramento è stata una tragica illusione e si è verificato per brevissimi periodi che successivamente sono stati dolorosamente pagati da quelli che sono venuti dopo). Il socialismo in particolare (che lo si chiami "dhammico" o in qualunque altro modo), se è più o meno come descritto, è una delle ideologie più disumane che esistano perchè con la sua malintesa idea di un'uguaglianza in realtà inesistente (checchè ne pensasse Voltaire che non aveva capito un tubo) intende perseguirla appiattendo e uniformizzando (spesso ad ogni costo e con qualunque mezzo) tutte le persone al medesimo standard (che ovviamente deve essere quello di livello inferiore poichè dal "meno" non si può trarre il "più" ma solo viceversa) mortificando così gli spiriti migliori e costringendoli in una gabbia. Il problema essenziale di queste utopie è quello di non avere senso della realtà, di non riuscire a vedere gli uomini come sono ma solo come se li immagina chi se le inventa, e di non comprendere innanzitutto che ognuno di noi è diverso da qualunque altro e il dovere di una comunità che abbia senso e persegua l'equilibrio e l'armonia fra tutti è quello di mettere chiunque nelle condizioni di esprimersi al meglio per quello che è in grado di dare. Nonostante il periodo in cui Buddhadasa concepì quell'idea fosse quello in cui in Cina e poi in tutto il sud-est asiatico le idee socialiste (variamente interpretate, fra cui, più avanti nel tempo, quelle di Pol_Pot e dei Khmer rossi in Cambogia che ingaggiavano una guerriglia costante ai confini con la Thailandia) ebbero il successo maggiore ed è comprensibile come un giovane come lui (ai tempi) potesse essere attratto da esse, mi risulta che poi fosse rientrato nei "ranghi" del sangha, anche se rimase una specie di "mito" per tutti gli idealisti filovietnamiti e filocambogiani.
L'altro errore esiziale della politica e di coloro che ritengono di avere una "visione" della società (utopica o meno) e intendono perseguirla (cosa questa peraltro molto moderna) è quello di avere una mentalità meccanicistica che li conduce ad elaborare un progetto e poi tentare di realizzarlo, come fosse un grattacielo o un ponte; ma gli uomini non sono mattoni, non sono oggetti inanimati che dove li metti stanno, e se li obblighi con la forza delle leggi o della violenza nella migliore delle ipotesi costruirai una società di infelici e di frustrati. La comunità umana è un organismo vivo, ove ogni appartenente ad essa deve trovare da sé il proprio ruolo al suo interno e realizzarlo al massimo delle proprie potenzialità. Il compito di coloro che stanno al vertice della gerarchia dovrebbe essere quello di trasmettere i valori spirituali su cui si base tale comunità (ed è solo questo che avrebbe dovuto fare Buddhadasa per adempiere al suo ruolo) e amministrarla gestendo le istituzioni in modo da mantenere l'armonia e l'equilibrio fra le varie componenti sociali, considerando il fatto che come un organismo si sviluppa dall'interno verso l'esterno più che "progettare" un'utopia dovrebbe sviluppare la cultura e lo spirito del popolo in modo che questo si manifesti spontaneamente nelle azioni e sgorghi dall'interno di ogni persona. Questo comportamento è quello che è stato adottato dal sovrano di Thailandia morto qualche mese fa che, in collaborazione con il sangha, ha elaborato la "filosofia della sufficienza" convincendo i thai a vedersi come popolo e collaborare gli uni con gli altri per garantire la "sufficienza" di ognuno, e poi se per qualcuno particolarmente abile viene qualcosa di più è tutto grasso che cola, condannando peraltro l'avidità e la competizione come "motore dello sviluppo". Se anzichè quel sovrano illuminato i thai avessero avuto un altro monarca molto probabilmente adesso occuperebbero il posto del Giappone o della Corea del sud nello scacchiere economico internazionale, ma certo non si potrebbe definire la Thailandia "la terra del sorriso".
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

Sariputra

Sono sostanzialmente d'accordo con Apeiron e con  il Don che l'unico vero e profondo cambiamento sociale può venire solo da un cambiamento interiore dell'uomo. Ma anche questa, purtroppo, è utopia.
Come mi appare utopia il pensare che le società umane abbiano la capacità di autoregolarsi e ben lo stiamo vedendo ( e vivendo) in questi anni nello sfociare di tutte le contraddizioni e le violenze che questo modello sociale fondato sul possesso dei beni e sulla competizione sfrenata sta portando. E' anche difficile stabilire se sono stati più i morti provocati dalle "utopie" in un certo modo imposte alle popolazioni o quelli provocati dalla società capitalistica che ormai impera in ogni continente. Non mi sembra che il livello di conflittualità e di violenza sia diminuito se non che questa conflittualità viene sapientemente "dislocata" in territori altri dai nervi del potere e qui si risolve in una mattanza di persone inutili ai fini della produzione di beni e di ricchezza. 
L'utopia per me ha il valore di una meta verso cui tendere, una sorta di obiettivo, senza il quale l'uomo non solo rinuncia a cambiare, ma infine dispera di cambiare ( ed è il sentimento comune della maggior parte della popolazione mondiale...).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

#5
Secondo me e' nell'idea stessa di un utopia che nasce la contraddizione,essendo appunto l'utopia irrealizzabile,ossia,nel senso stesso di non reale  (il cortocircuito che poi più o meno regolarmente sfocia nel suo esatto contrario)...infatti a me sembra che tutte le distopie sono nate proprio da un idea di origine utopica e non reale...

un esempio su tutti, oltre a quelli già citati da Donquixote;  "liberte egalite fraternite" !!!!   ???

Allora il punto secondo me e' "sapere" cose' la Realtà ed adeguarsi conseguentemente a questa, ma più che adeguarsi (o sapere) dovrebbe sentirsene (naturalmente) parte,perche l'uomo non può in tutta la sua evidenza esserne separato, cosi che poi tutto proceda secondo armonia e che e' appunto della realtà stessa o della natura intesa nella sua più larga accezione.

paul11

Nasco da ragazzo come anarchico utopista e la politica fu la prima passione culturale. 

Sì, come è stato scritto il problema è l'uomo.
Credo al circolo virtuoso; le condizioni ambientali ,nel senso sociale, della famiglia, scuola, relazioni sociali sono fondamentali per cambiare un sistema.Dubito nei fatti che da noi in Occidente che sia possible,lo vedo più attuabile dove  non è stato compromesso da secoli, di guerre, possessi proprietà, carte bollate, ruolificazione e divisione della conoscenza. Non dimentichiamoci che i piccoli paesi anche in Italia i avevano una vita in comune; forni in comune, pulizia dei sentieri, pozzi d'acqua in comune,Poi sono arrivati i soldi e il turismo. Il denaro ha una forte contaminazione e il desiderio di possesso ,di proprietà, di "farsi vedere", di prevaricare  è forte.

Il vero anarchismo non ha imposizioni di nessun tipo, quindi lascia ad ognuno le proprie qualità , non c'è lo schiacciamento o appiattimento verso il basso. semplicemente chi ha qualità le mette a disposizione degli altri.
Si tratta di capire se la meritocrazia che apporta ai privilegi nel liberalismo, materiali e spesso di potere possono veramente essere sostituiti da quel circolo virtuoso anzi detto in cui il guadagno del fare e dare agli altri è sentimento, relazioni vere, sincere.Nonostante tutto, ci credo ancora perchè le persone hanno dentro di sè una umanità, magari seppellita, dimenticata, obliata, ma l'hanno.

Il sistema di delega a rotazione è attuabile se c'è aiuto anche per chi teme la responsabilità o pensa di non esserne capace.Lo feci sperimentare sul lavoro anche contro il parere delle centrali sindacali, la democrazia o è vissuta e partecipata o è nulla, una parola priva di atto.
Non penso che l'industria o la tecnologia siano controproducenti e necessariamente bisogna tornare alla terra tutti quanti. Il problema è cambiare una cultura a trecentosessanta gradi e non si può fare da noi soprattutto in un giorno.
Un filosofo politico a cui fu richiesto quale fosse il sistema utopistico migliore, indicò quelli cinesi, non so se questo indicato da Sariputra o ve ne siano altri, ma è comunque un pensiero. E io credo che molto dell'uomo sia una questione di coscienza, il che è facile adirsi enormemente difficile a farsi.
Ma proprio dalla mia esperienza personale ho imparato che chi ha il potere non vuole che si tenti, è minare la sua figura perchè nel ruolo privilegiato dispensa favori, divide et impera, applica sotterfugi e controlla manipolando, non ha interesse a far crescere nuove mentalità partecipative.

Sariputra

#7
Tutti noi sogniamo e desideriamo vivere in un mondo 'buono e bello'. Tommaso Moro giocando con le parole utopia-eutopia ( nessun luogo-buon luogo) definì l'utopia, mi sembra, come un buon luogo , ma inesistente. Eppure sul sogno di un buon luogo ove poter vivere sono nate le aspirazioni politiche e sociali umane e non solo.  Persino i "paradisi" di diverse religioni si presentano quasi come luoghi dell'utopia, mondi perfetti di pace e di giustizia. Il Treccani definisce l'utopia anche come : speranza, progetto, ideale. Qualcosa cioè a cui si aspira ma che, ahimè, non può avere attuazione. Ma chi metterebbe consapevolmente al mondo dei figli se, in cuor suo, non gli rimanesse nell'animo un briciolo di speranza utopistica che il mondo futuro sarà per loro un 'buon luogo' dove poter vivere? Almeno un luogo leggermente più "buono" di quello in cui si è costretti a vivere?
Ci sono utopie collettive e utopie individuali ( penso che il libero mercato, e la sfrenata competizione che si ritiene faccia migliorare l'essere umano, sia una forma di attuazione di utopia individuale).
Nell'utopia socialista 'dhammica' del Buddhadasa, che è una sorta di sogno collettivo di un ritorno al rapporto autentico con la terra, da quel che ho letto, non è presente quella radicalità del socialismo e comunismo occidentale. Intanto è ben presente il valore della famiglia come nucleo della comunità. Poi la spiritualità viene coltivata e non invece ritenuta una 'droga' per il popolino. In più si va incontro alla necessità , che definirei quasi psicologica dell'uomo di poter dire:"questo è mio", permettendo la proprietà 'sufficiente' ad ognuno, ma non l'accumulo della stessa , che è il cardine del capitalismo.
Ma ,al di là di questa particolare forma di utopia, avevo aperto e pensato il topic come uno spazio dove poter riversare la nostra voglia/nostalgia (?) di immaginare possibilità altre, diverse di poter vivere. Mi sembra che uno dei più grandi problemi dell'umanità attuale sia proprio la rinuncia stessa al sognare possibilità diverse, che alla fine, si sa, sono irrealizzabili, ma lo stesso sono sprone per tentare di cambiare le cose in maniera autentica.
Lascio questa frase di Oscar Wilde trovata su Wikipedia:
« Una mappa del mondo che non include Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo paese al quale l'umanità approda di continuo. E quando vi approda, l'umanità si guarda intorno, vede un paese migliore e issa nuovamente le vele. »

P.S. Io, che ho una figlia adolescente, vedo continuamente quanta 'utopia' ha ancora nell'animo e quanto desiderio di giustizia. E così in molti giovani che conosco. Noi , aridi e spenti, realisti e cinici, pensiamo tra noi "Eh, cresceranno anche loro..." ( intendendo che si adegueranno al nostro cinismo).  Per me siamo invece solamente degli assassini delle loro speranze di realizzare un "buon luogo" ove vivere...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

acquario69

Citazione di: Sariputra il 25 Febbraio 2017, 09:03:03 AM
Ma chi metterebbe consapevolmente al mondo dei figli se, in cuor suo, non gli rimanesse nell'animo un briciolo di speranza utopistica che il mondo futuro sarà per loro un 'buon luogo' dove poter vivere? Almeno un luogo leggermente più "buono" di quello in cui si è costretti a vivere?

e' quello che mi domando pure io!

Comunque secondo me se siamo arrivati a questo punto e' perché dentro di noi si sono stratificate una montagna di cazz...menzogne, partite da molto, molto lontano e che sono le stesse che a loro volta impediscono di fatto di vedere la Realtà..in altre parole quella che stiamo vivendo non sarebbe cosi il frutto di un irrealtà diventata "realtà"?
ok il mio e' un ragionamento un po particolare..ma e' comunque una mia riflessione.

e percio, almeno per come la vedo io,bisognerebbe proprio tornare alla Realtà e non inseguire un altra utopia

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 24 Febbraio 2017, 15:55:34 PM
Citazione di: Apeiron il 24 Febbraio 2017, 15:36:31 PMSecondo me l'utopia di per sé non ci renderà mai felici. Potremo in un certo senso vivere tutti come i monaci buddisti o i francescani ed essere contenti eppure io sono il primo a non volere la povertà. Il problema è che per la nostra natura debole chi più chi meno ha bisogno della proprietà. Un ricco accetterebbe la povertà (NON la miseria!) solo dopo essere riuscito a rinunciarci. Ma purtroppo non siamo tutti uguale e la nostra intrinseca debolezza (o "peccaminosità") fa in modo che il tuo scenario sia del tutto impossibile. Questa debolezza d'altronde è il vizio. Per questo motivo il tuo modello non funzionerebbe se prima non si educa la gente ad essere così. Ossia prima di creare un'utopia per tutti, tutti dovremo cambiare noi stessi. Il "dimenticarsi" di questo "piccolo dettaglio" ha trasformato ogni tentativo di utopia in un inferno. L'utopia prima dobbiamo costruircela "dentro" di noi e nelle relazioni a noi più immediate (ossia col "prossimo"). Per questo motivo io non credo che l'approccio giusto sia calarla dall'alto (dal governo), bensì bisogna costruirla dal basso, ossia dall'individuo e dalle relazione più immediate che esso ha.
Sì, l'utopia è irrealizzabile ( proprio perché utopia). Ma alcune idee di un'utopia possono essere rese sistema, Per primo mi verrebbe da dire che si ha sempre bisogno di una 'rivoluzione' per rendere effettivo un reale cambiamento che parta da un sogno utopistico. Una rivoluzione 'non-violenta' potrebbe scardinare il sistema attuale e aprire le porte per l'affermarsi del nuovo. Pensa a quante persone vivono miseramente nel mondo: sono nettamente la maggioranza. Invece di proporre il sogno irrealizzabile di arricchirsi come la minoranza che detiene il potere, un nuovo soggetto politico globale potrebbe avanzare l'obiettivo di formare una società in cui il necessario per vivere e curarsi venga garantito a tutti . In più anche la possibilità di tenere una parte di proprietà privata ( la casa, del terreno, ecc.). Questo, che a noi sembra povertà ( non disporre più privatamente del Suv, dei viaggi turistici, degli abiti firmati, dei gadget tecnologici,ecc.), è invece un autentico miraggio per la maggior parte dell'umanità. Un livellamento autenticamente socialista che abbassi i pochi per alzare i molti. Segue...

L'utopia è una meta a cui si tende. In un certo senso è uno scenario che serve a dare una direzione al nostro progresso. Il nostro mondo di SUV, di case riscaldate ecc era una sorta di "utopia" per un antico tuttavia abbiamo ancora problemi. Vedo persone anziane che provano un risentimento contro i giovani "viziati e nati nelle ricchezze" ma questo risentimento in realtà è il risentimento contro se stessi visto che è esattamente il mondo che hanno voluto loro. Se gli anziani hanno lavorato tanto per far nascere i figli negli agi non ha senso poi prendersela con i figli perchè vedono gli agi come una normalità (d'altronde non hanno mai vissuto in altro modo). La miseria genera la sete di ricchezza e la ricchezza genera il vizio. Finché non cambiamo le prospettive delle persone anche nel mondo ideale "socialistico" succederà sempre che uno pretenderà più ricchezze di quello che dispone.
Per questo motivo è giusto parlare di utopie, ma l'utopia non nasce dall'imposizione dello stato ma dal "cuore" delle persone. E per come vedo me e le altre persone oggi il "cuore" delle persone è contrario alla rinuncia degli agi o per vizio o per la sete della ricchezza.

Quindi sì è giusto pianificare l'utopia e quella che tu hai proposto è interessante ma questo prima di tutto serve a cambiare il nostro "cuore".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

InVerno

Mi ricordo quando uscì il libro di Silvano Agosti "Kirghisia" che raccontava appunto di una nazione utopica. Qualche incauto lettore si fece fuorviare dal nome della nazione e dal tono del libro pensando si trattasse di una descrizione di un paese reale, e i commenti su internet partirono a cascata "ma dove sta questo posto partiamo!" poi ad un certo punto arrivò il guastafeste a dirgli che non si trattava di una nazione reale, ma di un utopia. E allora i commenti degli stessi fessi che se l'erano creduta, diventarono tutto ad un tratto venticativi nei confronti di Agosti "ci ha preso in giro!". Con le utopie è sempre cosi, saresti pronto a viverle, se qualcun altro le avesse già costruite per te. Le utopie sono mete, non si raggiungono mai ma il percorso per raggiungerle è veritiero. Persino la democrazia è un utopia, ma morbida, perchè nessun dittatore la costringe in maniera meccanicista. L'eccesso di razionalismo oggi impedisce di sognare, quasi lo vieta. Una delle ultime vere utopie scattò con lo sbarco sulla luna, tutta la cultura occidentale si spremette per inventare il nostro futuro "interplanetario", due decenni di fantascienza ispirano ricercatori e scienziati ma anche persone comuni, per alcuni era nato un "nuovo obbiettivo" Poi ci stufammo, l'asticella era troppo in la. Ma ne valse la pena? Io penso di si, nessuno "vive la giornata" abbiamo bisogno di progetti e di idee da coltivare per non perdere la nostra identità tra i mille bisogni estemporanei.

Non confiderei troppo nelle "rivoluzioni", tendono ad essere etimologicamente fedeli e riportare al punto di partenza dopo poco tempo, i mutamenti veri invece, accadono per necessità. Se si vuole fare una vera rivoluzione, bisorrebbe anche rivoluzionare i termini con i quali i drastici cambiamenti sociali sono accaduti nella storia. Anche per il motivo che dice Donquixote, gli uomini sono prodotti storici solo per chi crede di esserne il dominatore. E bisorrebbe intentare progetti che prevedano e accompagnino le necessità, come unica spinta affidabile. Se si vuole abbattere il capitalismo non basta sparare a Trump, bisogna imparare a fare a meno dei giganteschi ammassi piramidali di potere, e farlo seguendo le mutate necessità umane. Se si vuole cambiare il mondo bisogna cambiare l'ambiente dove vivono le persone. Ha senso pensare a una rivoluzione dei metodi di produzione quando presto le industrie saranno completamemente automatizzate? Non cambieremmo la vita di un singolo individuo.


  • Ripartire dalle identità umane concrete, gli "atomi indivisibili",i nuclei familiari e amicali. Le identità personali non subiranno mai alcuna disgregazione, non si tratta di regioni o nazioni basate su posticcie ideologie e confini arbitrari, si tratta di noi, dei nostri bisogni, nessuno ne può fare a meno, e tanti che vivono nella solitutine ne farebbero volentieri parte.
  • Gli Italiani sono fortunati, gli basta tornare ai vecchi paesini ora abbandonati per scoprire che sono già perfettamente dimensionati e configurati per questo tipo di struttura sociale, è la nostra milllenaria cultura campanilistica, scritta pietra su pietra. La robotizzazione disintegrerà la necessità dei giganteschi agglomerati urbani che rimarranno appannaggio del terziario avanzato o quaternario. Quelli che oggi si ostinano a vivere in città pretendendo che milioni di persone vivano facendo i "creativi" cambiando lavoro ogni giorno saranno presto condannati alla fuga, prima all'estero e poi quando anche li l'automazione sarà completa dove?
  • Fare rete tra gli atomi vicini e distanti, è l'unico modo per creare modelli indipendenti dal capitalismo di stato che beneficia enormemente dell'assenza del mutuo soccorso attraverso decine di intermediari posticci creati ad arte. Una decina di nuclei in rete possono tranquillamente fare a meno di gran parte degli intermediari tipici che rendono il capitalismo cosi attraente.
  • Evitare luddismi assurdi, ci possono tranquillamente essere nuclei in contesti rurali che sviluppano software
  • Ancora di più se questi nuclei sono in rete non su scala territoriale ma globale. Il campanilismo italiano ha un difetto, il vicino di casa ha un bassissimo potenziale di scambio di risorse perchè presumibilmente sfrutta le stesse tue ed è inutile scambiare carote con carote. E' necessario un buon bilanciamento tra contatti locali per il mutuo soccorso e contatti globali per stabilità del nucleo stesso attraverso un reddito commerciale\turistico.

Tutto questo ed altro in una parola si chiama "glocal" anche se evito di usarla perchè ho letto libri orripilanti sul tema. Se la Villa Sariputra di cui sento parlare rispecchia le tue idee, dovresti tentare il più possibile di fare rete con altre identità sociali che ti aggradano e spingere le stesse a fare altrettanto, non aspettare Kirghisia. Fai il deposito, il granaio comune, il monastero buddhista, non ha alcuna importanza, gran parte di queste funzioni a livello più ampio di quello locale saranno automatizzate e rimarranno appannaggio probabilmente di qualche corporazione multinazionale fatta di automi, chissenefrega, cambiato il tessuto sociale le infrastrutture inumane seguiranno i bisogni dei loro padroni umani.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

donquixote

Citazione di: Sariputra il 24 Febbraio 2017, 18:53:01 PMSono sostanzialmente d'accordo con Apeiron e con il Don che l'unico vero e profondo cambiamento sociale può venire solo da un cambiamento interiore dell'uomo. Ma anche questa, purtroppo, è utopia.

Questa non è affatto utopia, se si considera il fatto che il cambiamento interiore non è assimilabile ad un "progetto educativo" finalizzato alla realizzazione di un qualche disegno di società da realizzare in tempi determinati, ma è semplicemente lo stimolo a manifestare le qualità che gli appartenenti a quella comunità già possiedono e che le istituzioni devono armonizzare.

Citazione di: Sariputra il 24 Febbraio 2017, 18:53:01 PMCome mi appare utopia il pensare che le società umane abbiano la capacità di autoregolarsi e ben lo stiamo vedendo ( e vivendo) in questi anni nello sfociare di tutte le contraddizioni e le violenze che questo modello sociale fondato sul possesso dei beni e sulla competizione sfrenata sta portando. E' anche difficile stabilire se sono stati più i morti provocati dalle "utopie" in un certo modo imposte alle popolazioni o quelli provocati dalla società capitalistica che ormai impera in ogni continente. Non mi sembra che il livello di conflittualità e di violenza sia diminuito se non che questa conflittualità viene sapientemente "dislocata" in territori altri dai nervi del potere e qui si risolve in una mattanza di persone inutili ai fini della produzione di beni e di ricchezza. L'utopia per me ha il valore di una meta verso cui tendere, una sorta di obiettivo, senza il quale l'uomo non solo rinuncia a cambiare, ma infine dispera di cambiare ( ed è il sentimento comune della maggior parte della popolazione mondiale...).

Una società non potrà mai autoregolarsi se i valori a cui si appoggia sono quelli moderni, basati sull'accaparramento di beni materiali, sulla "crescita" infinita e sulla competitività di tutti contro tutti. E per quanto concerne i morti certamente sono stati in numero maggiore quelli provocati dai tentativi di realizzare le utopie moderne (se consideriamo per calcolarli un periodo di tempo analogo), ma il capitalismo attuale non è altro che l'ennesima utopia che, diversamente dalle altre, non è sociale ma individuale. Il capitalismo insegna a idealizzare un proprio personale "paradiso terrestre" (il famigerato "american dream") e a fare di tutto per perseguirlo, e se per fare ciò sarà talvolta necessario qualche conflitto armato questo sarà solo una deviazione e un "danno collaterale", poichè il capitalismo per sopravvivere ha bisogno della vita, ha bisogno di sempre più "clienti consumatori" che inizino a consumare dai pannolini fino ai pannoloni, e quindi il capitalismo ha bisogno di uccidere l'anima delle persone, non certo il corpo. Il capitalismo è di fatto il "satana" che le dottrine descrivono da sempre e che in cambio dei beni materiali ti toglie ciò che caratterizza l'uomo come tale: la cultura, la spiritualità; e la loro mancanza rende l'uomo non un animale, che ha già un suo equilibrio e non ha bisogno di cultura e spiritualità, ma una bestia o un bruto.
Non c'è cosa più deprimente dell'appartenere a una moltitudine nello spazio. Né più esaltante dell'appartenere a una moltitudine nel tempo. NGD

paul11

#12
..............mi ricordo ,eskimo e sciarpe rosse, cultura alternativa, autogestione.
Ma capii subito che erano atteggiamenti,non era coscienza.Poi il riflusso dal sociale al privato, ognuno per i fatti suoi.
.....mi ricordo di una generazione che ha vinto le quaranta  ore settimanali, che portò allo statuto dei lavoratori.
Il benessere portava denaro, con i soldi si portano invidie e gelosie e si corre, si sacrifica una vita per volere sempre di più. quante generazioni anno perso? Ogni generazione ha una sola occasione per cambiare la storia.
Poi ho visto la generazione del sessantotto al potere. Tutto è finito alle ortiche perchè non era coscienza, era esteriorità. La lotta univa, ma gli scopi alla fine sono ad uso personale.

Penso che i giovani di ogni generazione devono provare ad autogestirsi ,ad avere luoghi, spazi tutti loro dove discutere, fare arte, cultura; molto probabilmente finiranno male, ma fa esperienza,Si domanderanno cosa era giusto e dove si è sbagliato.

Io sono rimasto alla domanda del ragazzo anarchico utopista di allora: perchè l'umanità non riesce a vivere in pace e felice. E più vedo tecnologia e più ne vedo possibilità. Oggi le infrastrutture tecnologiche permettono scambi di dati, economici, è possibile fare "sistema".Il difficile è uscire da questa cultura, che tende a contaminare a riappropriarsi di qualunque tentativo alternativo.

Ma vedo dalle mie parti almeno un paio di comunità di tipo buddhiste ,  vedo approcci e modalità diverse di fare vita, forse non sono ancora alternativa, però mi auguro e auguro loro che continuino.

Sariputra

#13
Come mi è difficile, ostico quasi, scrivere di utopie. Anch'io, come tutti ( o quasi ) sono immerso in una strana atonia spirituale e morale, in una nuvola di nebbia dove, a tratti, si accendono delle luci per illuminare il terreno dove ci invitano a guardare; così che possiamo scegliere con cura i nuovi prodotti da acquistare. Siamo come quei carabinieri della barzelletta che, smarrita la chiave dell'auto, se ne stanno tutti sotto un lampione illuminato a cercare per terra. Alla domanda:"Ma siete sicuri che la chiave è caduta proprio qui ?" rispondono decisi:" No...ma qui è illuminato".
A cosa servono poi le utopie? Ne abbiamo vista qualcuna realizzata veramente? Il mondo di Atlantide forse? Shambhala? ...Eppure...che fascino esercitano ancora nelle menti infelici, inadatte a vivere in una società senza volto. L'utopia non sembra destinata a noi, è un'isola che non c'è. L'utopia è sorella della Speranza e l'uomo non ha più speranze, se non quella di riuscire a farsi posto, sgomitando, al banchetto di Mammona ( che strano mi fa poi sentire tutti lamentarsi del mondo, quando si discorre amabilmente viso a viso, ma continuare a perpetuarlo e aderire agli ami che lancia...).
Tra l'altro il concetto stesso di utopia è tremendamente pessimista: un luogo felice inesistente. Eppure sembra che, per non perdere del tutto la speranza, questo luogo inesistente va cercato. Va cercato in un altrove radicale, addirittura fuori dall'esistenza. Appare come una 'dis-locazione' dell'essere, la possibilità che ci parla di una dimensione dell'essere che non avevamo presente, simile alla dis-locazione che conosciamo nell'Eros, nell'amore. Addirittura questa possibilità appare come più autentica del reale, a volte, quando l'animo ci si immerge e la fa sua.  E' la possibilità della mente di vivere su piani diversi e quindi sperimentare la pressione che i pensieri utopistici esercitano su di essa per divenire reali. Implicito nell'utopia è anche il rifiuto di questa realtà, che non si accetta e si vuole cambiare. Ma questa realtà...è veramente reale? O non è essa stessa figlia di utopia? ( Utopia in questo caso più accomunabile all'incubo che al sogno felice...).
E.Cassirer definisce così utopia: "Creare spazio al possibile; contro ogni passiva acquiescenza allo stato presente". L'utopia come uno spazio aperto ad ogni possibile, persino all'impossibile come luogo ideale di valore.
Così per il Sari nasce l'impossibile Contea e le sue Ville sparse Sotto il Monte, e l'impossibile gente che l'abita: la signora Uccia e le sue favolose cipolle, l'asino saggio Anselmo, la massaggiatrice shiatsu, le  favolose libagioni e vendemmie, la sua pace un pò malinconica ma vissuta, la terra amata. Una Contea utopistica, impossibile ma che, alla mente e alla fantasia inebetita dell'inadeguato Sari, preme per diventare possibile. Ma è reale la realtà o è reale la Contea?... :-\
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

InVerno

Citazione di: paul11 il 26 Febbraio 2017, 00:21:25 AM
Io sono rimasto alla domanda del ragazzo anarchico utopista di allora: perchè l'umanità non riesce a vivere in pace e felice. E più vedo tecnologia e più ne vedo possibilità. Oggi le infrastrutture tecnologiche permettono scambi di dati, economici, è possibile fare "sistema".Il difficile è uscire da questa cultura, che tende a contaminare a riappropriarsi di qualunque tentativo alternativo.
Mi riesce difficile conciliare questa tua affermazione con altre lette in altre discussioni, evidentemente il tuo pensiero è più ramificato di quanto appaia. Tuttavia, questa cultura "piovra" riesce ad appropriarsi delle esteriorità, non è ancora capace di appropriarsi interamente delle coscienze, seppure probabilmente un giorno ne inventeremo una talmente dettagliata da dargli potere di invasione anche nelle coscienze. Suvvia, gli eskimo hanno prodotto risultati estetici, fermarsi a quel fallimento sarebbe una puerile mancanza di speranza. I narcisi che hanno fondato le comuni non avevano nulla a che fare con la socialità, con una visione sistemica delle istanze culturali, basta prendere la macchina e andare a Calcata per rendersi conto di quali macerie culturali stiano a gozzovigliare tutt'oggi.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia