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La magia del Natale

Aperto da stelle dell'auriga, 30 Novembre 2019, 18:21:33 PM

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Christmas effect /2


Per molte persone le festività natalizie diventano un periodo di stress, perché c'è la tendenza a crearsi delle aspettative, si pretende che tutto vada bene, che i rapporti interpersonali siano soddisfacenti. Per altre persone le festività diventano ansiogene perché temono di non riuscire a fare ciò che si prefiggono: il menù, i regali, riunire nonni, nipoti, zii, senza scontentare nessuno.

Le riunioni conviviali evidenziano le assenze per vari motivi, fanno accorgere delle persone che non ci sono più, delle persone con cui vorresti parlare e non puoi. Ma si procede, si deve festeggiare in allegria.

C'è chi preferisce rimanere da solo e chi subisce la solitudine sociale.

Gli individui "coraggiosi" che preferiscono rimanere da soli anziché festeggiare insieme con persone anche antipatiche evitano gli scambi di doni, gli auguri, le riunioni di famiglia per i cosiddetti "cenoni" oppure i pranzi di Natale e di Capodanno che obbligano ad una forzata cordialità ed allegria.

Ci sono individui con legami affettivi che gradualmente perdono d'intensità e non vengono invitati, cercati ; rimane loro come unica compagnia la malinconia, la "depressione da feste natalizie", da condividere, se possibile con chi ha lo stesso problema, trascorrendo il Natale o il Capodanno come un giorno qualsiasi.
 
Lo scrittore portoghese José Saramago (1922 – 2010) nel suo libro "L'anno della morte di Ricardo Reis" scrisse che  "La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo a una pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice."

Per chi è single e sa apprezzare la solitudine, questa ha anche dei vantaggi: la libertà di non avere vincoli e scegliere cosa fare, con chi stare, se restare o partire, senza compromessi e i limiti imposti dal/la partner o da altri. 

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Christmas effect /3

Da bambini le festività natalizie si attendono con trepidazione, da adulti molti sono scontenti perché idealizzano quei lieti giorni della loro infanzia e subentra la nostalgia.

Le persone che si lasciano coinvolgere dal periodo natalizio e di fine anno hanno la capacità di attribuire un significato importante a queste giornate: condivisione, reciprocità, giocosità, hanno voglia di fare regali e di riceverli, di stare insieme con parenti ed amici, di guardare le  addobbate ed illuminate vetrine dei negozi, fare shopping.
 
Nel 1956 lo psicoanalista Eric Fromm nel suo libro "Arte di amare" scrisse:  "La felicità dell'uomo moderno: guardare le vetrine e comprare tutto quello che è possibile in contanti o a rate".

Se non ricevessimo nessun dono, se nessun Babbo Natale si affacciasse alla nostra porta, nessun postino ci recapitasse un pacco-dono, resteremmo proprio del tutto indifferenti?

Paolo di Tarso  ai suoi discepoli ricordò le parole di Gesù, che disse: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere!" (Atti 20, 35).

La ritualità del dono natalizio è  anche oggetto di esilaranti ironie quando  capita di smarrire o confondere i cartoncini d'auguri; oppure  quando non riesce bene il riciclaggio  del regalo ricevuto: si dimentica nell'involucro il biglietto del primo donatore; o, quando capita, la reiterazione dello stesso regalo.

Durante le festività natalizie e di fine anno  molti appaiono contenti, sorridenti, beneauguranti, altri, invece, pensano di non aver nulla da festeggiare, minimizzano le aspettative e pensano al Natale e al Capodanno come ricorrenze senza l'obbligo dell'allegria, anzi sono giorni che detestano, li subiscono passivamente, li considerano in contrasto con il proprio stato d'animo, triste, insofferente.

I ricordi dolorosi amplificano la malinconia e si isolano.  Vengono coinvolti dal  "Christmas blues", frase usata col significato di "depressione natalizia", che di solito finisce al termine delle festività.  La malinconia   compare con maggiore frequenza in chi nel passato ha sofferto di depressione, ha avuto esperienze negative sentimentali e sociali che inficiano l'autostima, in chi soffre di solitudine psicologica o sociale, in chi ha carenze affettive, chi ha difficoltà economiche.




Le riunioni conviviali di Natale e Capodanno mettono alla prova le proprie capacità assertive, possono creare tensione se non si è in armonia con i partecipanti.

Molti si sentono costretti a condividere lunghi pranzi o cene con parenti ed amici con i quali ci sono tensioni o questioni "in sospeso". Vivono questi incontri in "apnea", costrette a non sottrarsi alla conviviale, e pensano "non vedo l'ora che finisca", celando l'insofferenza che può indurre atteggiamenti d'ira e di rancore. Basta che uno dei convitati dica una frase capace di urtare la suscettibilità altrui e cominciano le  polemiche, si scatena  il proprio rancore represso, le proprie antipatie. Ogni partecipante diventa come una miccia accesa.

Per evitare discussioni, chi può permetterselo  preferisce andare in vacanza lontano da casa. Chi è costretto a rimanere affronta con ansia il disagio, si isola psicologicamente.

Dopo i lauti pasti molti anziani si assopiscono mentre guardano la televisione, mentre i più piccoli piagnucolano perché vogliono tornare ai loro giochi. Le ore sembrano non passare e nessuno osa prendere l'iniziativa di alzarsi e proclamare con voce stentorea ed autorevole: "Leviamo la mensa". E finalmente la tavola, tracimante di quel che resta dell'abbondante pranzo o cena, si svuota. Tutti si alzano per tornare a casa.

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Le piante simbolo di Natale

Agrifoglio: fu il naturalista svizzero Gaspard Bauhin, nel 1596, ad attribuire all'agrifoglio il nome scientifico "Ilex aquifolium".
E' una pianta  esteticamente piacevole, perciò usata per gli addobbi natalizi.


                 
Nell'antichità era creduta dotata della facoltà apotropaica, capace di allontanare gli "spiriti maligni", perciò beneaugurante. In epoca romana in occasione delle feste "Saturnalia" molte persone  si appuntavano sui vestiti ramoscelli di agrifoglio. In varie parti d'Europa i contadini appendevano i ramoscelli di agrifoglio nelle case  per allontanare i sortilegi e nelle stalle per propiziare la fecondità degli animali.

Per la tradizione cristiana la foglia evoca la corona di spine di Gesù Cristo e le drupe il suo sangue.

 
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Pungitopo: anche questo arbusto sempreverde con bacche rosse è usato come ornamento natalizio. E presente nel sottobosco ed è considerato  un anti-maleficio.
 



Nell'antichità il pungitopo veniva utilizzato in erboristeria.

Il botanico e medico greco Dioscoride, vissuto nell'Urbe in epoca neroniana, lo consigliava  come diuretico e antinfiammatorio.

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"Stella di Natale". E' diffusa come pianta ornamentale natalizia. Questa euphoria è detta "pulcherrima"( = bellissima). E' nota anche col nome: "Poinsettia": nome che le venne dato in onore del botanico Joel Poinsett, che la scoprì nel 1825 in Messico mentre era ambasciatoredel governo degli Stati Uniti. La vide in fiore su una collina. Quando tornò in patria portò con sé alcune piantine. A Filadelfia le consegnò al floricoltoreRobert Buist, che riuscì a farle riprodurre.

In Messico la pianta allo stato naturale può crescere fino a 4 metri di altezza.

Geneticamente modificata, la  "stella di Natale" può avere diversi colori: rossa, rosa, albicocca, anche bianca. Sono le foglie, dette "brattee",   che assumono la colorazione.




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Vischio.L'usanza di appendere il vischio in casa per festeggiare l'arrivo del nuovo anno è anglosassone.

Cresce sugli alberi come pianta parassita o emiparassita:  approfondisce le radici prima nelle fessure della corteccia e poi nel legno della pianta ospite, asportando linfa e sostanze nutritive.
Di solito cresce sugli alberi fruttiferi, ma anche sui pioppi, salici e pini.




Nel periodo natalizio i rametti di vischio vengono usati per decorare le porte  e come simbolo beneaugurante.



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31 Dicembre: San Silvestro

Nell'ultimo giorno dell'anno il calendario ricorda san Silvestro. Chi era ? Fu vescovo di Roma e pontefice della Chiesa dal 314 al 335, anno della sua morte. Morì il 31 dicembre (perciò viene commemorato in questo giorno)  e fu inumato a Roma nella chiesa da lui voluta nell'area delle catacombe di Priscilla.



Il pontificato  di Silvestro I coincise con l'imperium  di Costantino I, detto "il Grande" che nel 313 rese lecito il culto cristiano e favorì la diffusione del cristianesimo.

L'incidenza politica di Silvestro fu debole e  dovette subire le ingerenze costantiniane  in materia religiosa ed ecclesiastica. Fu l'imperatore a gestire il vero potere nella Chiesa, per l'unità dei cristiani.  Egli era capo dello Stato ma anche pontifex maximus, carica definitivamente trasferita al vescovo di Roma nel 376  dal cristiano imperatore Graziano.  

Come pontefice massimo Costantino si autodefinì "vescovo dei vescovi". In questo ruolo l'imperatore intervenne in prima persona per ricomporre le diatribe che scuotevano la Chiesa al proprio interno ed evitare scismi o eresie,  come quella dei donatisti, che provocarono dei tumulti in Africa.

Travalicando l'autorità di papa Silvestro, Costantino convocò un concilio ad Arles (Francia), a cui parteciparono numerosi vescovi di opposte fazioni (senza la partecipazione della Chiesa di Roma, non invitata dall'imperatore) che ribadirono la condanna del donatismo, dichiarandolo fuori della Chiesa, e stabilirono alcuni principi inerenti alla disciplina ecclesiastica.

Costantino intervenne anche nella Chiesa di Alessandria d'Egitto perché si stava affermando la predicazione di Ario, un presbitero che diffondeva la sua dottrina sulla Trinità.
Il patriarca di Alessandria  chiese l'intervento di papa Silvestro, ma  prima che questi decidesse sul da farsi, Costantino aveva già inviato sul posto il vescovo Osio di Cordova, suo consigliere,  il quale, considerate le difficoltà  della questione, propose a Costantino di convocare un concilio ecumenico per discutere dell'eresia ariana. Il concilio venne convocato a Nicea  per il 14 giugno del 325. Vennero invitati tutti i vescovi. Parteciparono in circa 300 e quello fu il primo concilio ecumenico nella storia della Chiesa. Fu presieduto da Osio di Cordova.  Costantino fu il presidente onorario. Papa Silvestro "per motivi di età" inviò i suoi  legati.
I Padri conciliari condannarono l'arianesimo e scrissero il "Simbolo niceno", la prima formulazione del "Credo", poi questa professione di fede fu integrata dal concilio di Costantinopoli nel 381, perciò il Credo è anche detto "Simbolo niceno-costantinopolitano: il Verbo è della stessa natura del Padre: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero generato non creato della stessa sostanza del Padre".

Da aggiungere che nel 321 Costantino ordinò   che la domenica dovesse essere riconosciuta anche dallo Stato come giorno festivo (dies Solis); nel 324 vietò che nei giochi circensi si sacrificassero i condannati a morte.

Nei secoli successivi papa Silvestro I fu coinvolto nella cosiddetta "Donazione di Costantino" (in latino "Constitutum Constantini" = "delibera di Costantino") dell'anno 324, che enuncia concessioni territoriali alla Chiesa di Roma ed utilizzato per giustificare sia la nascita del potere temporale dei pontefici  sia  la legittimazione del proprio potere politico in Occidente.  

Il falso documento (uno dei tanti, come era in uso nella Chiesa medievale e negli ordini religiosi per usurpare diritti di proprietà) concede al vescovo di Roma Silvestro I e ai suoi successori il primato sui cinque patriarcati (Roma, Costantinopoli, Alessandria d'Egitto, Antiochia e Gerusalemme),  attribuisce ai pontefici le insegne imperiali e la sovranità temporale su Roma, l'Italia e l'intero Impero Romano d'Occidente. Inoltre conferma la donazione di proprietà immobiliari.  

Papa Innocenzo IV nel 1246 fece addirittura raffigurare  la  cosiddetta "Donazione di Costantino I" in un ciclo di affreschi suddivisi in 11 riquadri nell'oratorio di San Silvestro, presso la chiesa romana dedicata ai Santi Quattro Coronati.


in questo riquadro è rappresentato l'imperatore Costantino I in ginocchio mentre offre a papa Silvestro I la tiara imperiale, simbolo del potere temporale.  Il pontefice ha sulla testa la mitria vescovile, simbolo del potere religioso.
Con il suo gesto Costantino concede al papa l'autorità civile su Roma e di conseguenza sull'Italia e sull'impero romano d'Occidente. In tal modo il papa aggiunge al potere spirituale anche quello politico.  


Tali affreschi furono motivati dai contrasti tra il pontefice Innocenzo IV e l'imperatore svevo Federico II. Il papa pretendeva non solo di governare la Chiesa ma di avere anche l'autorità sull'impero, pretesa inaccettabile da parte di Federico II. Quindi lo scopo di quelle provocatorie pitture murali in quel tempo era politico, perché vogliono evidenziare la legittimità del potere temporale dei papi, a cominciare dal papa Silvestro I.


Famoso il giudizio negativo  di Dante Alighieri sugli effetti della donazione: "Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!" (Inferno XIX, 115 – 117).

Nella bolla papale "Inter Caetera" il pontefice Alessandro VI fece riferimento alla "Donazione" per giustificare nel 1493 il suo intervento nella disputa tra Spagna e Portogallo sul dominio del "Nuovo Mondo".

Fino al XVI secolo il documento fu esibito dalla curia romana  per avvalorare i propri diritti sui vasti possedimenti territoriali in Occidente e per legittimare le proprie mire universalistiche.

Nella parte del documento che dal IX al XV secolo  costituì la giustificazione per i papi di rivendicare la sovranità sui propri territori  c'è scritto: "In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che si debba venerare e onorare la nostra santissima Chiesa Romana e che il Sacro Vescovado del santo Pietro debba essere gloriosamente esaltato sopra il nostro Impero e trono terreno. Il vescovo di Roma deve regnare sopra le quattro principali sedi, Antiochia, Alessandria, Costantinopoli e Gerusalemme, e sopra tutte le chiese di Dio nel mondo... Finalmente noi diamo a Silvestro, Papa universale, il nostro palazzo e tutte le province, palazzi e distretti della città di Roma e dell'Italia e delle regioni occidentali".

La prima  negazione dell'autenticità del "privilegium" fu quella del cardinale Niccolò Cusano nel suo "De concordantia catholica", presentato nel 1433. Dimostrò con lo studio storico e linguistico del documento che la donazione era un falso.  Mise in evidenza anacronismi e contraddizioni di contenuto e forma.

Sette anni dopo, nel 1440,  il filologo Lorenzo Valla (1405 circa – 1457) scrisse il "De falso credita et ementita Constantini donatione declamatio" (= "Discorso sulla donazione di Costantino, altrettanto malamente falsificata che creduta autentica"), pubblicato postumo, nel 1517, in ambiente protestante. Con argomentazioni storiche e filologiche, dimostrò che quel documento non poteva essere stato scritto in epoca costantiniana ma nella seconda metà dell'VIII secolo, durante il pontificato di Stefano II (752 – 757).

Quel falso documento diventò per la Riforma protestante uno dei temi della polemica antipapale luterana: Lutero lo usò nel 1520 per il suo appello "Alla nobiltà cristiana della nazione tedesca sull'emendamento della cristianità".

Comunque papa Silvestro I  per i suoi "meriti" fu "elevato agli onori degli altari" e col tempo è diventato tra i santi più noti, perché nella "notte di San Silvestro" si festeggia il Capodanno.

Per la verità la notte di San Silvestro è quella tra il 30 ed il 31 dicembre e non quella tra il 31 e l'1 gennaio.

Tradizionalmente nelle chiese  la sera di San Silvestro nei primi vespri per la solennità di Maria SS. Madre di Dio (che viene commemorata l'1 gennaio)  per ringraziare il Signore dell'anno appena trascorso viene recitato il "Te Deum laudamus", = "Dio ti lodiamo".

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#110
1 Gennaio

Il nome del primo mese dell'anno deriva dal dio Giano, in latino Ianus. Era invocato con numerosi epiteti, per esempio "Ianus bifrons" (Giano bifronte), divinità bicefala, con doppia faccia. Era collegato al simbolismo della porta e del passaggio ma anche allo spazio e al tempo, infatti  le due facce contrapposte guardano in due differenti direzioni spaziali e in due diverse direzioni temporali, una al passato (il viso da anziano) e l'altra al futuro (il viso giovanile).




Giano era pure considerato divinità solare, come tale aveva il controllo delle "Porte del Cielo" (Januae caelestis aulae) collegate  sia al ciclo giornaliero  sia al ciclo annuale del sole.
Nel primo caso  le "porte del cielo" venivano aperte all'alba (Oriente) e chiuse al tramonto (Occidente) dal Sole che vi transitava col suo carro splendente.
Nel secondo caso le "porte"  sono quelle solstiziali (solstizio d'inverno e d'estate),  attraverso le quali il Sole inizia i suoi percorsi annuali, discendente e ascendente.
propria della seconda metà dell'anno (Gemelli/Sagittario): la forza dell'estate e
Giano e il Capodanno

Il poeta e letterato Publio Ovidio Nasone nel suo lavoro incompiuto, "Fasti" (che dedicò al  condottiero romano  Germanico, figlio di Druso, conquistatore della Germania) chiede a Giano di propiziare l'anno nuovo con le seguenti parole: "Germanico, ecco Giano l'anno t'annunzia felice, / Giano che nei miei carmi per primo compare. / Giano bifronte, che l'anno cominci scorrente / silenzioso, solo tra i numi vedi dietro. / Ai duci sii propizio, che danno con l'opera loro / alla fertile terra pace serena e al mare; / il popolo proteggi, proteggi il senato di Roma / e i candidi templi dischiudi col tuo cenno"(Ovidio, Fasti, libro I, vv. 63-70).

In epoca romana l'1 gennaio  c'era l'usanza tra amici e parenti di scambiarsi dei doni: medaglioni e lucerne di terracotta con raffigurazioni del dio Janus, ma anche miele, datteri, focacce dolci, fichi secchi, ramoscelli d'alloro.  In quel giorno a Roma venivano insediati  i nuovi consoli. La cerimonia era caratterizzata da due processioni parallele, che convergevano nella "Via Sacra", poi dal foro magnus (il primo e il più grande dei 6 fori nell'area) il corteo saliva sul colle capitolino per assistere al sacrificio di animali in onore degli dei Veiovis, Giunone e Giano.

Ancora Ovidio, in occasione delle celebrazioni d'inizio anno, interroga Giano sul significato dell'usanza di mangiare  cibi dolci: "Che cosa voglion dire i datteri e i fichi rugosi / e il puro miele offerto dentro candido vaso? / Si fa per buon augurio disse (Giano) perché nelle cose / passi il sapore; e l'anno, qual cominciò, sia dolce. / (Ovidio): Comprendo il perché dei dolci: ma spiegami la ragione del dono in monete, / affinché nulla della tua festa mi sfugga. /(Giano) Rise e disse: Oh quanto ti inganni sui tuoi tempi, / se pensi che ricever miele sia più gradito che ricever monete! / Già, regnando Saturno, ben pochi io vedevo a cui non stesse a cuore la / dolcezza del guadagno; col tempo crebbe l'avidità del possedere, e ora / è arrivata a tal punto che più non potrebbe aumentare" (Ovidio, Fasti, Libro I, vv. 185-196).



Nel simbolismo cristiano la porta  evoca le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo;" (10, 9).
Nell'Antico Testamento l'immagine della porta  rivela il passaggio verso il cielo (Gen 28,17), per arrivare alla presenza  di Dio, in ebraico Shekinah.  
Nelle litanie lauretane la Vergine Maria è invocata come "Ianua Coeli" (porta del cielo).

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1 Gennaio /2

Secondo la tradizione, il  primo calendario  di epoca romana fu istituito nel 753 a. C. da Romolo, fondatore di Roma, ma nel tempo ebbe diverse modifiche.   
Numa Pompilio, considerato  il secondo dei "sette re di Roma", nel 713 a. C. modificò il calendario romuleo aggiungendo i mesi di gennaio e febbraio ai dieci preesistenti. Complessivamente aggiunse 51 giorni ai 304 del calendario di Romolo. Gennaio era il mese successivo al solstizio d'inverno ma l'anno cominciava l'1 marzo.

Il calendario di Numa Pompilio venne parzialmente riformato, e nel 46 a. C.  Gaio Giulio Cesare nel suo ruolo  di pontifex maximus lo promulgò.  Eliminò il mese "mercedonio",  stabilì la durata dell'anno in 365 giorni e introdusse l'anno bisestile. 

La riforma del "calendario giuliano" (dal nome di Giulio Cesare) fu completata durante l'impero di Cesare Ottaviano Augusto. Il mese "Quintilis" fu ridenominato "Iulius (luglio) nel 44 a. C. in onore di Giulio Cesare; il "Sextilis" fu chiamato "Augustus" nell'8 a. C. in onore di Augusto, che in quel mese divenne per la prima volta console e in precedenza aveva ottenuto vittorie in guerra. 

Un calendario della tarda epoca repubblicana evidenzia che l'anno iniziava l'1 gennaio già  prima della riforma introdotta dal  calendario giuliano. 

Alcuni studiosi affermano che nel 153 a. C. Quinto Fulvio Nobiliore, eletto console nel mese di dicembre, doveva  urgentemente domare la rivolta dei Celtiberi, in Spagna.  Perciò chiese al senato di poter assumere subito l'incarico (era il primo gennaio ?)  senza aspettare la scadenza del mandato del predecessore,  alle idi del mese di marzo.
Il senato approvò la sua richiesta, ma da quella volta l'eccezione divenne la regola e i consoli riuscirono ad ottenere di poter svolgere le loro funzioni in concomitanza con la nomina.

All'epoca gli anni venivano indicati con i  nomi dei consoli, e ogni console che assumeva l'incarico determinava l'inizio dell'anno.

Il calendario giuliano rimase in vigore per molti secoli. Fu sostituito nel  1582 dal calendario gregoriano, dal nome del papa Gregorio XIII, che lo promulgò il 4 ottobre 1582 con la bolla papale "Inter gravissimas".
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1 Gennaio /3

Il primo gennaio la Chiesa cattolica celebra la "Solennità della Madre di Dio". La ricorrenza liturgica è connessa con il titolo mariano di Theotòkos (= colei che genera Dio), dogma mariano stabilito nel Concilio ecumenico di Efeso il 22 giugno del 431. L'11 ottobre dello stesso anno, durante l'assemblea conciliare, venne definita la verità di fede della "divina maternità di Maria".

In alcuni  antichi antifonari delle Messe c'è l'attestazione che nell'VIII secolo  l'1 gennaio  era dedicato al "Natale Sancta Mariae", in riferimento alla sua divina maternità. Ma questa ricorrenza religiosa ebbe delle traversie.

Nell'XI secolo fu sostituita nel primo giorno dell'anno dalla celebrazione della  "circoncisione di Gesù", avvenuta, otto giorni dopo la nascita, secondo la prescrizione della legge mosaica.

Il rinnovamento della liturgia cattolica di rito latino, avviato dal Concilio Vaticano II e concluso da Paolo VI e Giovanni Paolo II, indusse ad eliminare dal calendario liturgico la memoria della circoncisione di Gesù, sostituendola dall'1 gennaio 1970 con la celebrazione di "Maria Santissima Madre di Dio": "festum Sanctae Dei genitrix Mariae in octava Domini".

Il mistero della divina Maternità di Maria viene celebrato l'1 gennaio perché è il giorno conclusivo dell'Ottava di Natale, ma il rito ambrosiano continua nello stesso giorno a ricordare la circoncisione di Gesù, mentre Maria Madre di Dio viene commemorata nella VI domenica di avvento con l'appellativo di "Divina Maternità della Beata Vergine Maria".

La  circoncisione (in ebraico brit milà)  è un rituale di passaggio che permette al bambino di far parte del popolo di Israele, come è scritto nella Genesi (17, 9 – 14).

L'evangelista Luca narra che "Quando furon passati gli otto giorni (dalla nascita) previsti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre". (2, 21) Il rito ebraico vuole che il nome venga assegnato al neonato nel corso della cerimonia della circoncisione,  alla quale partecipano parenti ed amici. 

Che fine fece il prepuzio di Gesù ? Incredibile domanda  sul "santo prepuzio". La religiosità o "pietà" popolare  gli attribuì eventi miracolosi o rivelazioni, come accadde a santa Brigida di Svezia, alla quale apparve la madre di Dio per rivelarle che portava il prepuzio sempre con sé come se fosse un gioiello. Le rivelò anche che prima della sua Assunzione in cielo consegnò il cimelio all'apostolo ed evangelista Giovanni.

Caterina da Siena in alcune sue  estasi sosteneva di portarlo al dito come anello di fidanzamento mistico con Cristo.

L'austriaca Agnes Blannbekin immaginò di ingerirlo, come un'ostia consacrata.

Nel medioevo di "santi prepuzi"  di Gesù se ne contarono fino a 18, sparsi in varie città d'Europa. Uno fu donato da Carlo Magno al papa Leone III, che lo fece custodire assieme ad altre reliquie nel "Sancta sanctorum" della basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma.

Nel 1421, mentre sua moglie Caterina di Valois era incinta, Enrico V d'Inghilterra ordinò al villaggio francese di Coulombs  di consegnargli il Santo prepuzio, in base a una credenza locale che attribuiva alla reliquia il potere di rendere feconde le donne sterili e di rendere agevole il parto alle donne incinte. Enrico credette a tal punto di aver goduto di benefici dalla reliquia da mostrarsi riluttante a restituirlo dopo la nascita del figlio, il futuro  Enrico VI d'Inghilterra.

In "Baudolino", libro di  Umberto Eco, il protagonista inventa di aver visto il Santo prepuzio e il Santo ombelico a Roma, presso la corte di Federico Barbarossa.

Nel 1900, la Chiesa vietò a chiunque di scrivere o parlare del "Santo Prepuzio", pena la scomunica (Decreto no. 37 del 3 febbraio 1900). Forse capì, con molto ritardo, di aver  sbagliato nella commemorazione di un rito ebraico che non gli apparteneva e suscettibile di curiosità sull'organo genitale maschile. Comunque quel divieto non fu determinante, Infatti, come detto, nel calendario liturgico del rito ambrosiano quella pratica chirurgica viene commemorata.

L'1 gennaio  la Chiesa cattolica oltre alla divina maternità di Maria celebra la "Giornata mondiale della pace", istituita da papa Paolo VI nel 1968 per invitare i fedeli a dedicare il giorno di Capodanno alla riflessione ed alla preghiera per la pace.

Anche l'Onu dal 30 novembre 1981 celebra la "Giornata internazionale della pace. Dal 2001 la data è fissata al 21 settembre.

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I Magi
Nel giorno dedicato alla festività religiosa dell'Epifania si collocano nel presepe le tre statuine dei Magi: questo sostantivo plurale deriva dal greco "Magoi"  (al singolare "màgos", =magio), dal persiano antico  "magush"titolo riferito ai sacerdoti del culto zoroastriano nell'impero persiano. Tale religione fu fondata dal profeta e mistico iranico Zarathustra (o Zoroastro) nato nel 630 a.C.. 

Anche Zoroastro elaborò il mito del salvatore che sarebbe apparso alla fine dei tempi per restaurare il regno di Mazda.
Nello "Zend Avesta", il libro sacro dello zoroastrismo, codificato nel VII sec. a C., si descrive un Messia-Salvatore (Saoshyant), definito "Re e figlio di Dio" che nasce da una Vergine (Vispataurva) e viene purificato (= battezzato) nelle acque di un lago (Kansava); risorge dopo il martirio per giudicare "i vivi e i morti" nel Giudizio finale (Avesta, yasht 19). Questa profezia fu fatta propria dalla comunità ebraica degli Esseni, incaricati di scrutare il cielo per cercare i segni che annunciavano la nascita del successore di Aronne, il "Maestro di Giustizia".

Per lo storico Erodoto (484 a. C. – circa 430 a. C.) i magoi erano astronomi sacerdoti di Zoroastro.
Nell'Antico Testamento, in più parti, si accenna a loro: per esempio, in alcuni Salmi, nel Libro di Geremia (39,3 e 39,13); nel Libro di Daniele  vengono citati più volte i magoi babilonesi (1, 20; 2, 2-10; 4, 6).

Nel Nuovo Testamento l'unico Vangelo canonico che cita i Magi è quello di Matteo, ma non dice quanti erano,  non rivela i loro nomi, né da dove provenivano: "Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e domandavano: 'Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo'. All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: 'A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta (Michea, VIII sec. a. C.):
E tu, Betlemme, terra di Giuda, 
non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda: 
da te infatti uscirà un capo
che sarà il pastore del mio popolo, Israele'
(5, 1 – 3).
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: 'Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo'.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono ( prosekynēsan).  Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt 2, 1 – 12).

Numerosi biblisti contemporanei considerano questo racconto di Matteo una "costruzione" letteraria pensata  a scopo didattico-pedagogico.




Giotto: "Adorazione dei Magi", Cappella degli Scrovegni, Padova.
 
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I Magi /2
L'evangelista Matteo non  dice quanti erano i Magi né i loro nomi, però ci fa sapere che essi offrirono a Gesù tre doni (oro, incenso e mirra) perciò vennero immaginati in tre.  Il testo non specifica neanche l'intervallo di tempo trascorso tra la nascita di Gesù e l'arrivo a Betlemme dei Magi.

Dal Vangelo di Luca  sappiamo che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme 40 giorni, cioè sino alla  presentazione  di Gesù al Tempio di Gerusalemme, poi tornarono a Nazaret.  Non si sa se la visita dei Magi sia avvenuta prima o dopo questo avvenimento.

Alcuni studiosi per armonizzare gli eventi raccontati dai Vangeli di Matteo e Luca: la visita dei Magi e la successiva "fuga in Egitto" della "santa famiglia",  ipotizzano la partenza di questa dopo la presentazione del neonato al Tempio.

Per quanto riguarda la "stella" (non un meteorite o una cometa),  dal punto di vista astronomico non può aver guidato i Magi, precedendoli, da Gerusalemme a Betlemme (le due località distano circa 10 km)  per poi fermarsi sul luogo di nascita di Gesù.
Ci sono perplessità anche per le modalità del colloquio dei Magi con il re Erode, persona astuta, che invece di far seguire segretamente da alcuni suoi informatori i Magi, chiede a questi di ritornare per informarlo sul luogo dov'è il neonato Gesù. Non si capisce neanche perché "tutta Gerusalemme" era in apprensione ed aveva  timore di questa nascita.

Ovviamente quella di Matteo (o chi per lui) non è la cronaca dell'inesistente episodio;  il racconto dell'evangelista ha un fine didascalico, dà un insegnamento, tramite la "novella teologica" dei Magi a Betlemme. In quel tempo nelle letterature religiose c'erano storie simili.

Il biblista  Mauro Pesce nel libro titolato "Inchiesta su Gesù" (scritto in collaborazione con il giornalista Corrado Augias)  evidenzia che "tutto lascia pensare che la vicenda dei Magi sia solo un artificio letterario-propagandistico. Matteo scrisse intorno all'anno 80, quando la nuova religione si stava diffondendo fuori dalla Palestina. Probabilmente il suo vangelo volle lanciare un messaggio ai non-Ebrei, dicendo che Gesù si era rivelato anche e soprattutto a loro: infatti per gli Ebrei i Magi erano 'gentili', cioè pagani; eppure, secondo Matteo, seppero dell'arrivo del Messia prima del clero di Gerusalemme'.
E' evidente lo sforzo di far quadrare la figura di Gesù con le profezie bibliche. Per esempio nel Salmo 71 (poi 72) si predice che al Messia sarebbe stato donato 'oro d'Arabia' e che "'i re degli Arabi e di Saba' (= Yemen) gli avrebbero offerto tributi".

Per argomentare sulla famiglia di Nazaret Matteo ricorre ad alcune profezie veterotestamentarie interpretandole per il suo scopo. Secondo questo evangelista il profeta Isaia predisse la venuta dei Magi per adorare il neonato Messia e identificò perfino i doni che essi avrebbero offerto: "Sorgi, splendi, o Gerusalemme: perchè è giunta la tua luce, e la gloria del Signore è sorta su di te... E le genti cammineranno alla tua luce, e i re allo splendore che sorgerà da te.... Una moltitudine di cammelli ti coprirà, i dromedari di Madian ed Efa. Tutti quelli di Saba verranno, portando oro e incenso e dando lode al Signore" (Isaia 60,1-6).

Questa profezia  sarebbe "sostenuta" da un passo del Salmo (72, 10): "I re di Tarsis e delle isole offriranno regali: i re degli Arabi e di Saba porteranno doni" (Salmo 72,10).

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I nomi dei Magi

Il vangelo di Matteo   è l'unica fonte cristiana canonica  che descrive l'episodio dei Magi. Questi, quando arrivarono a Gerusalemme,  andarono ad omaggiare Erode, il re della Giudea, e gli  chiesero dove fosse 'il re che era nato', in quanto avevano 'visto sorgere la sua stella'.
Il sovrano disse loro di non conoscere la profezia di Michea (5, 1) e chiese informazioni agli scribi di corte sul luogo  di nascita del Messia: a Betlemme gli fu risposto.  Il monarca riferì ai Magi e li inviò in quel luogo esortandoli a trovare il bambino e poi  di riferire a lui i particolari dell'incontro  con il neonato Gesù, "affinché  anche lui potesse adorarlo" (Mt 2, 1 – 8).  

Guidati dalla stella,  i Magi  arrivarono a  Betlemme e si recarono nel luogo dove era nato Gesù, prostrandosi in adorazione e offrendogli in dono  oro, incenso e mirra. Poi avvertiti in sogno di non ritornare da Erode, partirono per tornare nella loro patria.

Altri riferimenti ai Magi sono in alcuni vangeli apocrifi:  Protovangelo di Giacomo, Vangelo dello Pseudo Matteo, Vangelo arabo dell'infanzia (detto anche "Vangelo siriaco dell'infanzia"), Vangelo armeno dell'infanzia. Quest'ultimo, di data incerta ma medievale, amplia gli eventi  narrati negli altri vangeli dell'infanzia e li integra con leggende della tradizione armena. Ci sono anche i nomi dei tre Magi:  [XI, 1] "Ma tre giorni dopo, il 23 e di Tebeth, cioè il 9 gennaio, ecco che i Magi d'oriente, i quali erano partiti dal loro paese mettendosi in marcia con un folto seguito, arrivarono nella città di Gerusalemme dopo nove mesi. Questi re dei Magi erano tre fratelli: il primo era Melkon, re dei Persiani, il secondo Gaspar, re degli Indi, e il terzo Balthasar, re degli Arabi. I comandanti del loro corteggio, investiti della suprema autorità, erano dodici. I drappelli di cavalleria che li accompagnavano comprendevano 12.000 uomini: 4000 per ciascun regno. Tutti venivano per ordine di Dio dalla terra dei Magi dalle regioni d'oriente, loro patria.
[XI, 2] Melkon, il primo re, aveva mirra, aloe, mussolina, porpora, pezze di lino e i libri scritti sigillati dalle mani di Dio. Il secondo, il re degli Indi, Gaspar, aveva come doni in onore del bambino del nardo prezioso, della mirra, della cannella, del cinnamono, dell'incenso e altri profumi. Il terzo, il re degli Arabi, Balthasar, aveva oro, argento, pietre preziose, zaffiri di gran valore e perle fini".

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I nomi dei Magi  /2
Nel manoscritto in lingua latina denominato "Excerpta Latina Barbari Scaligeri" , del 600 circa, sono citati i nomi dei tre Magi:  "Magi autem vocabantur Bithisarea Melichior Gathaspa".

Gaspare:  questo nome d'origine persiana significa "stimabile maestro";
Melchiorre:  dal nome ebraico Melki'or, significa "Dio è luce";
Baldassarre: nome d'origine assira, significa 'Dio protegge la sua vita'.

L' Excerpta Latina Barbari  Scaligeri è la traduzione di una cronaca greca, redatta da un cristiano di Alessandria d'Egitto tra la fine del V secolo e l'inizio del VI secolo, come variante della "Chronica Alexandrina".

La traduzione in lingua latina fu realizzata nel 750 circa da un anonimo autore merovingio (perciò"barbaro"), che non conosceva bene le lingue greca e latina e commise numerosi errori: irregolarità nei nomi propri e modifiche alla cronaca originale.

Il francese Joseph Justus Scaliger (1540 – 1601), da cui il nome "Excerpta Latina Barbari Scaligeri",  per primo denominò la cronaca "Barbarus Scaligeri" . Successivamente divenne "Excerpta Latina Barbari" a causa dell' errata traduzione.

Non si sa se c'erano i nomi dei Magi nella versione in lingua greca oppure furono aggiunti dal copista/traduttore del manoscritto.


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I doni dei Magi

"Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra" (Mt 2, 11).

Con i regali  offerti dai Magi al Bambino, l'evangelista Matteo fa realizzare la profezia di Isaia (vissuto otto secoli prima):  "Uno stuolo di cammelli ti invaderà, /dromedari di Madian e di Efa, / tutti verranno da Saba, portando oro e incenso / e proclamando le glorie del Signore"(Is  60, 6). 

Francesco Scorza Barcellona, storico del cristianesimo e delle Chiese, nel suo saggio "Oro, incenso e mirra. L'interpretazione cristologica dei tre doni e la fede dei Magi", dice che nei tre doni offerti dai Magi a Cristo c'è il riferimento alla sua regalità, alla divinità e alla condizione mortale.

La prima testimonianza dell'interpretazione cristologica dei tre doni è del teologo Ireneo (130 – 202), che dal 177 alla morte fu vescovo di Lione.

Per questo teologo nell'adorazione dei Magi partiti da lontano per  cercare il Cristo seguendo la sua stella, già annunciata da Balaam nell'Antico Testamento (Nm 24, 17), è  evidente  nei tre doni da chi andavano: la mirra a colui che sarebbe morto, l'oro al re di un regno senza fine, l'incenso a quel Dio che proprio allora si faceva conoscere in Giudea, manifestandosi anche a quelli che non lo cercavano.

Questa interpretazione cristologica  dei tre doni ebbe diffusione fra i Padri della Chiesa.

Alcuni storici  del cristianesimo e biblisti cristiani interpretano questo racconto evangelico come un espediente letterario-propagandistico. "Matteo" (o chi per lui)  lo scrisse quando la nuova religione cristiana si stava diffondendo fuori dalla Palestina per dimostrare che Cristo è il Salvatore annunciato dalle profezie per Ebrei e non Ebrei.

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I Magi non erano re

L'evangelista Matteo scrisse che  i Magi "giunsero da Oriente" ma non che erano re.

Ad affermare per primo la "quasi regalità" del Magi fu il filosofo e apologeta cristiano Tertulliano (155 – 230 circa) nel IX capitolo del suo libro titolato "Adversus Judaeos" (Contro i Giudei): "I re di Arabia e Saba gli offriranno doni. Giacché l'Oriente considerò i Magi come dei re..." ("Magos reges fere habuit Oriens")(9, 12)."Come dei re", ma non re.

"Adversus Iudaeos" è un  polemico saggio dottrinale contro gli Ebrei scritto prima dell'anno 207.

Alcuni studiosi pensano che Tertulliano riprese da Giustino l'indicazione dell'Arabia come provenienza dei Magi.

Ancora Tertulliano, nel 208 circa  nella confutazione delle tesi dell'eretico Marcione ("Adversus Marcionem") scrisse nel terzo libro: "Circa quel dono di oro, anche David dice: 'Gli sarà dato dell'oro dell'Arabia', e ancora: 'i re di Arabia e di Saba gli offriranno dei doni. Giacché l'Oriente di solito considerava i Magi come dei re'." (13, 8. Come si vede Tertulliano ripete la frase già usata in precedenza nella confutazione contro i Giudei.

Perché Tertulliano disse che i Magi erano come dei re ? Considerò profezia messianica un versetto nel salmo 71 (72, 10):
"I re di Tarsis e delle isole portino tributi;
i re di Saba e di Seba offrirano doni.
Tutti i re si prostrino a lui, 
lo servano tutte le genti".

Alcuni studiosi identificano Tarsis con l'attuale Tartessos, in Spagna; Saba, con l'antico regno di Saba, attuale Yemen;  Seba con l'Arabia. 

Tertulliano ebbe presente  il libro del profeta Isaia:

"Cammineranno i popoli alla tua luce, / i re allo splendore del tuo sorgere".( Is 60, 3)
(...)
"Uno stuolo di cammelli ti invaderà, / dromedari di Madian e di Efa, /
tutti verranno da Saba, portando oro e incenso / e proclamando le glorie del Signore". (Is 60, 6); 


e il Salmo 68 (ex 67) :"Per il tuo tempio, in Gerusalemme, a te i re porteranno doni" (v. 30), questo versetto allude  al "regno dei cieli" e alla Gerusalemme celeste;


Il primo ad affermare che i Magi erano re fu il vescovo di Arles, Cesario (470 – 543)  nel sermone numero 136 (nell'appendice dei sermoni di Sant'Agostino): "illi Magi tres reges esse dicuntur".

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Quanti erano i Magi ?

L'evangelista Matteo non lo dice.

A Roma, in alcune  raffigurazioni  paleocristiane nelle catacombe il numero dei Magi è variabile: sono 4 nell'affresco parietale nella catacomba di Domitilla; 2 nella catacomba dedicata ai santi Pietro e Marcellino.  Le Chiese orientali ne contarono fino a dodici, come gli apostoli.

Lo storico del Medioevo Franco Cardini nel suo libro titolato " I Re Magi. Leggenda cristiana e mito pagano tra Oriente e Occidente", nella pagina 46 ha scritto: "Per quanto le fonti iconiche abbiano continuato per molto tempo a fornire un numero di magi variabile, dovette presto affermarsi però la tradizione del tre: non solo perché tre erano i tipi di dono da essi recati secondo Matteo, ma anche perché il tre era cardine della numerologia cristiana".

Fu il teologo Origene di Alessandria (d'Egitto), vissuto dal 185 al 254, ad affermare per primo  che i Magi erano tre, nella 14/esima  omelia sulla Genesi: [...] "Possunt quidem isti tres, qui pacem requirunt a verbo Dei et praevenire cupiunt pato societatem eius, figuram tenere magorum, qui ex Orientis partibus veniunt eruditi paternis libris et institutione maiorum et dicunt quia videntes vidimus natum regem, et vidimus quia Deus est cum ipso, et venimus adorare eum".

(= "Questi tre
(non i Magi,  ma  altri tre personaggi) che chiedono pace al verbo di Dio e desiderano anticipare con un patto il rapporto di amicizia con lui, possono raffigurare i Magi, i quali vengono dalle regioni d'Oriente istruiti dai libri dei loro padri e dagli insegnamenti degli antichi, e dicono: 'Abbiamo visto chiaramente che è nato il re, abbiamo visto che Dio è con lui e siamo venuti ad adorarlo' ".

I tre citati  in questa proposizione da Origene e che chiedono pace, fanno riferimento a tre individui ostili o ambigui nei confronti del patriarca Isacco (figlio di Abramo e Sara), col quale poi fanno un patto di pace (vedi Genesi 26 – 31): "Intanto Abimèlech da Gerar era andato da lui, insieme con Acuzzat, suo amico, e Picol, capo del suo esercito. Isacco disse loro: 'Perché siete venuti da me, mentre voi mi odiate e mi avete scacciato da voi?'. Gli risposero: 'Abbiamo visto che il Signore è con te e abbiamo detto: vi sia un giuramento tra di noi, tra noi e te, e concludiamo un'alleanza con te: tu non ci farai alcun male, come noi non ti abbiamo toccato e non ti abbiamo fatto se non il bene e ti abbiamo lasciato andare in pace. Tu sei ora un uomo benedetto dal Signore'. Allora imbandì loro un convito e mangiarono e bevvero.  Alzatisi di buon mattino, si prestarono giuramento l'un l'altro, poi Isacco li congedò e partirono da lui in pace".
Origene fa una comparazione simbolica fra i tre Magi e la triade Abimelec, Accuzat e Phicol.

Nel V secolo  il pontefice Leone I, detto Leone Magno (390 circa – 461), scrisse otto sermoni dedicati all'Epifania.  Nel sermone 37 egli scrisse: "Quando lo splendore della nuova stella condusse i tre magi ad adorare Gesù,..." (37, 1), basandosi sui tre doni che essi offrirono al neonato Gesù.

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