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La Grotta

Aperto da InVerno, 08 Ottobre 2019, 18:54:22 PM

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InVerno

Grazie Phil, effettivamente non avevo pensato a fare quel tipo di ricerca, beh che dire... ancora più sorpreso.
Non tanto dalle dinamiche chimiche che giustamente Ipazia mette in chiaro, ma dalla proporzioni necessarie a rendere possibile queste tragedie. E' vero che la co2 è inodore, ma il corpo reagisce ad una minore quantità di ossigeno assunta fornendo dei sintomi lievi, che potrebbero anche essere confusi con affaticamento? Una stanza di 20 mq, assumendo sia stagna per qualche motivo, per essere colma di co2 anche solo al livello delle ginocchia ha bisogno di un quantitativo di gas non indifferente, non vorrei mettermi a fare calcoli, ma anche assumendo il contenitore 2x2 ad una pressione di un bar e colmo di gas per un terzo.. a occhio secondo me non ci arriva alle ginocchia. Comunque mi sembra anche abbastanza morboso voler giocare a fare Sherlock Holmes su tragedie reali di questo tipo, perciò mi fermo qui, ne terrò conto, pur non avendo alcuna esperienza in grado di illuminarmi riguardo a quale potrebbe essere il limite di queste reazioni. Canarini? Vabbè.. posso portarci una gallina...se non cagasse sarebbe anche divertente.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

InVerno

Ok si aggiunge un altro tassello, e scopro che quest'anno ho prodotto abbastanza co2 da saturare tre volte la mia cantina..e sono perfettamente vivo..(o almeno penso). Ok tengo conto del fatto che non è una camera stagna e che essendo il contenitore non chiuso ha rilasciato gradualmente questa co2 nell'arcodi dieci giorni di fermentazione. Qui secondo me il fattore da tenere in considerazione potrebbe essere la velocità con cui il gas si espande e satura i locali, cosa che avevo già tenuto in considerazione parlando del cappello che potrebbe aver rilasciato di colpo i gas, o addirittura una chiusura ermetica rilasciata di colpo, cosa che tuttavia non mi sembra pratica comune..Senza queste discriminanti, si tratta comunque di un processo che richiede giorni, giorni dove per forza di cose la porta di ingresso è aperta e chiusa e c'è un ricircolo d'aria necessario alle lavorazioni.. Mi viene in mente questo evento che avevo studiato qualche tempo fa: https://it.wikipedia.org/wiki/Eruzione_di_tipo_limnico
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Ipazia

#228
Evidentemente la cantina dei 4 malcapitati era molto più a tenuta della tua, e/o il quantitativo di mosto più abbondante in rapporto al volume saturato e/o il locale non arieggiato da giorni. Che le vinacce in un ambiente freddo trattengano molta CO2 è plausibile.
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InVerno

#229
L'uscita di Squid Game, che tutti paiono idolatrare ultimamente, è solo l'ultima iterazione di un genere. Ognuno degli appartenenti a questo genere è stato accusato di plagio da un altro, e gli autori non sono neanche troppo bravi a difendersi. Peggio: ognuno di loro ha risposto che "neanche conosceva" l'opera di cui è accusato di plagio, nonostante fosse opera ormai di successo planetario (persino Battle Royal, dopo che fù citato da Tarantino per la sua "Go Go Yubari"). Hunger games ha plagiato Battle Royal? E Squid Game ha plagiato As the Gods will?  Io la vedo un pò diversa, e chiedo, quanti hanno plagiato il Decamerone solamente ripetendone la formula narrativa e alludendovi?  La cornice del battleroyale rimane invariata dalle origine, una serie di persone vengono compresse in un ambiente limitato e i conflitti  estremi che nascono dalla lotta alla sopravvivenza fanno da metafora alla spietata società che vogliono rappresentare. E' assurdo che l'elemento di meraviglia venga destato dalla cornice del genere, anzichè dai suoi contenuti, perchè questo è ciò che rimane invariato ad ogni iterazione, è il genere stesso che per sua natura è una critica ad determinato sistema sociale, chiunque adottasse questo genere potrebbe ottenere questo minimo risultato, e Squid Game questo fa, ottiene il minimo di rappresentare un genere, senza aggiungervi nulla, anzi togliendovi quasi tutto.

Ho visto il trailer e non ho visto niente di buono, però siccome seguo la scena koreana da prima che fosse "cool" mi sono detto che era un sacrificio che dovevo fare, e purtroppo l'ho fatto. Tutta l'opera è tremendamente cosciente di sé stessa e del messaggio che vuole trasmettere, incessantemente attraverso anche flashback continui, rimarca il proprio messaggio finale sin dai primi dieci minuti. Non c'è nessun tipo di  ambiguità, è una critica al capitalismo monolitica senza spazi di luce, che sono sempre ritagliati nell'emotività dei personaggi. Per la sua integrità nel perseguire un messaggio anticapitalistico, potrebbe essere tranquillamente etichettato come film marxista. Viene presentato come violento, ma è in realtà estremamente pacifico al di là degli schizzi di sangue, ogni elemento è al suo posto e misurato al suo aspetto narrativo, sembra un soggetto scritto da uno che in libreria ha centinaia di manuali di narratologia. E l'autore probabilmente non era tanto dotto in narratologia, ma la produzione di Netflix sì, e l'ha così standardadizzato  alla metodologia narrativa corrente. Via tutte quelle asperità che avevano reso famoso in primis il manga, e poi il film da esso realizzato, Squid Game si propone di liofilizzare il genere in una pappina "V.M. 14 anni" ..

Per esempio, ed in maniera paradossale: Il punto originale del "battleroyale" è quello di non avere protagonisti, ognuno dei malcapitati è egualmente antieroe nel suo essere sventurato, questo non solo crea una struttura narrativa atipica, ma fa si sia molto difficile immaginare chi sarà l'ipotetico sopravvissuto finale. Squid Game decide di trovare un protagonista, e lo ammanta persino di un vago sentore cristiano, facendolo entrare per ultimo all'inferno ma facendolo uscire per primo in paradiso. Il senso stesso del battleroyale è completamente pervertito a logiche narratologiche spicciole. Il protagonista in SquidGame ha il valore narrativo della "lovestory" in Pearl Arbor, serve per andarsi a coccolare anche gli osservatori più pigri, è una tecnica scientemente usata per aumentare l'audience. Poco importa se un battle royale con il protagonista è come una gara sportiva col vincitore annunciato, l'importante è trasmettere il messaggio anticapitalistico, a costo di non rispettare anche le più basilari regole del gioco autoriale.

I personaggi tornano "al manga", monodimensionali e atti a rappresentare dei "tipi", non dotati di propria vita, ma la cui personalità va a crearsi in controluce col il "grande messaggio" che il film è sicurissimo di star trasmettendo ai suoi osservatori.

I due protagonisti maschili sono vittime dirette del sistema capitalistico, macchiati della pena più grave: non riuscire più a sostentare i cari.
a) Un uomo di buon cuore, che è stato licenziato da una fabbrica e si è opposto alla chiusura in uno sciopero paramilitare, perde definitivamente lavoro e famiglia ed è sommerso dai debiti
b) Un ragazzo brillante, che viene adottato dal mondo della finanza e diventa ricchissimo, viene poi tradito da quella stessa finanza e sommerso da debiti infiniti.

Alle donne va un pò meglio, finite nei debiti "per buone azioni" e perchè vittime della violenza di altri uomini (ma pensa te).
a) una defettrice della Nord Korea cerca soldi per portare con sè la famiglia e finisce nei debiti
b) una figlia che ha rovinato la sua vita uccidendo il padre, dopo che quest'ultimo aveva ucciso la madre.
Cioè la vendicatrice di un femminicidio.. questa l'hanno presa da un libro horror femminista.

In quota neri e persino disabili (al personaggio mancano tre dita) abbiamo un attore Pakistano che rappresenta praticamente i migranti, buonissimi ma talmente ingenui che li fregheresti con una banana, ed infatti per tutto il tempo da dimostrazione di quanto è buono, e di quanto è ingenuo, incapace di aderire a tutte quelle "malizie" dei cattivi. E' un "negro da Via col vento", di quel razzismo che li riconosceva inferiori, ma capaci di "buono" alle giuste condizioni, ma sempre figli di gente che si vendette per qualche pettine, e perciò facilmente raggirabili.

E' tutto dosato con il contagoccie. Gli espedienti narrativi classici vengono usati una volta e poi abbandonati, persino la varietà è artificiale e ricercata. C'è anche il "probabilmente morto ma tu non hai visto il cadavere e nella seconda stagione ti diremo che è ancora vivo", e tutta una serie di stucchevoli dejavù montati ad arte per tentare di costruire una formula perfetta che diventa immediatamente prevedibile, non lascia alcun spazio all'interpretazione, è vicinissima al confine con la propaganda e non riesce a preservare e a celebrare quei tratti distintivi del genere, anzi li perverte a logiche di consumo ed ideologiche insieme.

Netflix ci ha annunciato di capire i problemi dei poveri e di essere dalla loro parte. Grazie Netflix, uno di noi!
Squid Game mi ricorda quelle magliette di CheGuevara fatte dai bambini in Cambogia, è un paradosso, è il capitalismo che ha già deglutito e digerito il suo presunto accusatore, e te lo ripropone innocentemente come "bene di mercato". Siamo molto lontani dalla genuinità autoriale di Parasite, siamo alla produzione in serie di opere della scuola del risentimento, basta solo ripetere la formula magica e di queste robe ne possono fare dieci al mese...
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

La critica sociale della "rive gauche" (genitivo soggettivo; per ovvi motivi sociologico-commerciali non ve ne può essere altra proponibile nell'intrattenimento a larga scala) è un po' come il teorema di Pitagora: quando lo scopri è "avvincente", ma con il tempo diventa mera esecuzione (formalmente standardizzata) per un determinato e prevedibile fine. Trattandosi qui di arte, chiaramente conta molto anche il "come" qualcosa viene presentato, non solo il "cosa", per cui lo stesso "cosa" può essere (rap)presentato in modalità più o meno innovative, più o meno esplicite, più o meno vendibili, etc. con l'accumularsi crescente di film (o serie, come quella citata che non ho visto) "socialmente critici" siamo forse arrivati alla parodia capitalistica di una critica anti-capitalista, paradosso solo apparente consideranto che si tratta di arte che "deve" (o almeno vuole) comunque vendere e/o affabulare, non solo comunicare (disincanto celato nel doppio fondo di gran parte dell'"arte socialmente impegnata"; fermo restando che criticare l'arte che critica qualcosa non significa automaticamente essere entusiasti sostenitori di quel qualcosa, sempre se si resta nel disincanto, antidoto alle polarizzazioni "pro/contro" che mortificano la riflessione "pre-giudiziale", nel senso che precede eventuali giudizi).
Azzardo: nella tragedia l'antagonista indiretto è solitamente il destino avverso (quello diretto è una divinità crudele o il cattivo di turno), mentre nella critica sociale il ruolo di antagonista diretto è quello del ricco (più o meno corrotto, più o meno sadico, più o meno cinico, etc.), con la società (o meglio le regole di una certa società) a fungere non da sfondo ma da antagonista indiretto; si è dunque passati dall'impotenza (se di tragedia si tratta) nei confronti del destino all'impotenza (almeno iniziale, secondo il copione generico di tali film) nei confronti della società, entrambi pronti a richiedere vittime sacrificali per la fortuna di altri. La differenza cruciale è che mentre il destino, fatalisticamente, "guida chi lo accetta, trascina chi non lo accetta" (Seneca), la società viene criticata per proporre (plausibilmente) una presa di coscienza, forse alludendo ad un anti-fatalistico possibile cambiamento; questo, se non ho preso un abbaglio, dovrebbe/vorrebbe essere il plusvalore semantico/pedagogico/"di denuncia" dell'arte impegnata in questione. Non è affatto ironico che, fuori dalla narrazione della trama, chi in quella trama è rappresentato non possa "vedersi" sul grande schermo (diseredati, poveri, emarginati, etc. difficilmente useranno Netflix o andranno al cinema), poiché tale richiamo alla giustizia, implicito nella implicita critica sociale, è "giustamente" rivolto a chi rischia di essere ingiusto e/o a chi tale ingiustizia alimenta. La società ha una dinamica ingiusta e quindi alla società (quantitativamente parlando) facciamo vedere, in forma ovviamente romanzata, quali sono gli effetti collaterali del benessere di alcuni (pochi?) e quanto sono delicati gli ingranaggi che sostengono tale benessere, per cui la lotta per la grigia sopravvivenza quotidiana per "arrivare a fine mese" (o a "fine giornata") diventa una "battle royale", narrativamente impostata in una competizione per arrivare alla fine del gioco (con tanto di ricco montepremi che metaforicamente rappresenta... un ricco montepremi, come nei migliori romanzi di formazione e nella più spietata critica al capitalismo). Probabilmente l'utilità sociale di tale messaggio è paragonabile all'introduzione del film (non so se ci sia ancora) che ci ricorda che la pirateria è reato; ricordarlo a chi è nel cinema può aver lo scopo di: far sentire in colpa gli eventuali "pirati part-time" (che alternano cinema a pirateria); ricordare quanto sono criminali gli eventuali "amici pirati" che ci hanno detto «non vengo al cinema con te perché mi scarico il film»; farci sentire bravi perché siamo lì, anziché essere pirati, con l'impliclito invito a ritornare prossimamente. Colpa, discriminazione e approvazione, tre categorie indubbiamente sociali, che possono talvolta anche spaziare dal messaggio pre-film al contenuto dei film di critica sociale; tuttavia, si può ribaltare il significato/rappresentazione della critica leggendoci addirittura un compiacimento dello status quo (giocando a fare i critici della critica)? Recepito il messaggio che la società produce disagio (v. emarginati), che il successo è instabile (v. repentino fallimento economico), che la giustizia talvolta non è giusta per tutti (v. istinto di vendetta), etc. davvero una rappresentazione "drammaturgica" di tali meccanismi coincide con una loro critica? Il far vedere "quello che loro non vorrebbero farvi vedere" (che è ormai diventato "quello che voi volete vedere", con annesso "ghigno capitalista"), la rivincita in forma cinematografica del perdente, il riscatto del brutto/sfortunato/fallito, la redenzione del peccatore, etc. non sono forse (uscendo dallo schermo per tornare nella realtà non-cinematografica) come sognanti cartoline spedite dal carcere a chi è fuori dal carcere? Di fatto non diminuiscono la pena (in tutti i sensi) di chi è dentro, né dipingono necessariamente la pena come ingiusta, e producono in chi è fuori una forma di "disempatia" (parodiando la dispatia): "mi dispiace quando mi immedesimo in te, ma sono anche contento che sia solo un'immedesimazione temporanea, che finisce quando finisce il film (o quando mi accorgo che io sono fuori e tu dentro)". Nondimeno si potrebbe persino pensare, rovesciando sicuramente l'intento narrativo originario, che la distopia del "gioco ad eliminazione fisica" non sia altro che una perversione onirica di chi aborra e disprezza le fasce più basse della popolazione, quasi un delirio catartico di un classista benestante infastidito dall'insuccesso altrui e disposto a scommetter sulla vita altrui come su una corsa di spermatozoi (nel senso che solo uno sopravvive), secondo un atteggiamento non dissimile, guarda caso, ai personaggi benestanti che in questo tipo di trama (non mi riferisco a "Squid game", ma nel trailer ho visto soggetti ben vestiti in maschera e... magari mi sbaglio) sono il capriccioso pubblico del cruento spettacolo (una sorta di Colosseo per miliardari). Dove qualcuno (molti) vede una critica della "selettività sociale", empatizzando per gli eliminati e le pene che devono affrontare, altri (pochissimi, magari già avvezzi a "punteggi sociali", pene di morte, etc.) potrebbe anche vedere una perversa fantasia proibita, una sorta di ordalia di massa in cui il destino premierà chi merita una seconda chance (con un'inclinazione "umanista" in fondo non molto dissimile da chi, commentando un barcone affondato con il suo carico umano, osserva rigorosamente a bassa voce, come "è un rischio che loro hanno scelto di correre", che "avrebbero dovuto pensarci prima di imbarcarsi per cercare fortuna", che "tanto arrivati qui qualcuno di loro avrebbe fatto del male a qualcuno di noi", etc. contraddicendo ogni presunta empatia per forme di riscatto sociale reali, fuori dal grande schermo).
In questo tipo di cinema siamo, secondo me, comunque al "trastullo emotivo" (essenza dissimulata di gran parte dell'arte) tramite una simulata situazione di disagio e pericolo di vita, per il gusto di evasione dalla realtà e/o di una proiezione psicologica a tinte forti, quasi fosse un role-playing "al ribasso"; per questo c'è un protagonista a cui affezionarsi, perché agevola l'immedesimazione del pubblico o almeno un "legame narrativo" forte, che rende più coinvolgente la trama; mentre in una "battle royale" con alcuni protagonisti in rilievo ma senza eroe principale dichiarato, ogni spettatore può scegliere a chi affezionarsi, per inclinazione naturale, ma c'è il rischio di ritrovarsi dopo qualche minuto con il proprio beniamino fuori dai giochi, situazione piuttosto spiacevole per lo spettatore (effetto di "abbandono scenico" su cui si potrebbe lavorare per trame meno banali, ma che risulterebbero anche meno digeribili e meno gustose per molti palati).
Detto altrimenti (e più in sintesi): se non c'è ricaduta sociale della critica sociale proposta nei film (semmai sia possibile che ve ne sia), non si tratta in fondo di una vetrina ("borghese e filistea" si sarebbe detto nel secolo scorso) per un messaggio "politicamente corretto" (quindi ad ampio spettro di pubblico) per cui è ovvio che ci sia il lieto fine (seppur "aperto"), il riscatto/redenzione, che è proprio ciò che indebolisce la critica sociale che si vorrebbe proporre (edulcorando la sorte del misero protagonista che spesso finisce dall'altro lato della "barricata sociale")? Non ci si ritrova, volenti o nolenti (ancora ed inevitabilmente) nell'arte fine a se stessa, nell'arte come fruizione emotiva, come esperienza (di senso) esistenziale, forse anche come alterazione momentanea (e modaiola) dell'immaginario collettivo (già dilagano meme a tema, mi pare), ma nondimeno quasi al punto che quel film potrebbe anche essere fruibile (e magari godibile) senza scoperchiare il "prezioso" substrato di critica sociale che fieramente contiene? Fruizione ingenua, infantile ed estranea all'autentico e profondo scopo comunicativo dell'autore, si obietterà; tuttavia è anche vero che una volta inviata la suddetta cartolina, chi la legge lo farà secondo i suoi canoni, siano essi estetici, politici, sociologici o... postali. D'altronde sarebbe sensato chiedersi: mi è piaciuto (se così è) quel film perché contiene un messaggio con cui concordo, perché sa coinvolgermi suscitando emozioni e tenendomi incollato allo schermo, o per entrambi i motivi? Detto semiologicamente: mi piace il significato, il significante o entrambi (con il referente che, trattandosi di critica, è a suo modo un "a priori")? In fondo, trattandosi di cinema, c'è anche da chiedersi quale ne sia lo scopo: essere utile come "racconto formativo", essere "piacevole" (con tutte le sfumature possibili), essere piacevolmente recepibile perché rispecchia in un "bel modo" le inclinazioni dello spettatore, etc. ciascuno risponderà secondo la sua concezione di cinema.

P.S.
Tutto questo per dire che non ho visto "Squid game", ma quando mi imbatto in film del genere, riesco agevolmente a godermeli (se è il caso) senza tenere in primo piano il messaggio di "pubblicità progresso" che contengono, preferendo fruirli come arte espressiva senza contenuti etici o politici che vorrebbero spiegarmi come il mondo dovrebbe essere (oppure hanno per oggetto di riflessione l'"acqua tiepida"); tali contenuti ci sono, indubbiamente, ma non riesco a prenderli troppo sul serio (limite mio, magari) se contestualizzati in un contesto artistico, forse perché dall'arte mi aspetto edonismo (si può dire?), a prescindere da ammiccamenti al "politicamente corretto" o a dinamiche motivazionali(?) di peccato/redenzione o a coperte di seriosa denuncia sociale messe su trame incentrante su pulsioni ludiche e/o richiami ed emozioni forti (è dai tempi di Totò che certi stilemi narrativi "nobilitano socialmente" i contenuti di molte trame, con il risultato che ormai, forse parlo solo per me, si è anestetizzati al richiamo alla "giustizia sociale" o ad "un mondo migliore", richiamo "orale" che resta da sempre confinato in un film, perché se all'uscita del cinema un mendicante ci chiede due spicci, meglio non darglieli, non è certo quella la soluzione ai suoi problemi; magari verrà reclutato in un gioco ad eliminazione e allora, forse, ci affezioneremo a lui e pagheremo per vederlo al cinema o in un reality di cui sarà protagonista... ma non c'era già un film con questa trama, uno di quelli che doveva/voleva insegnarci qualcosa? Oppure, al netto di "intenti da grancassa", voleva solo raccontarci una storia avvincente ispirandosi parossisticamente a come stanno le cose, e siamo noi a vederci un'istruttiva "morale della favola"? Certo, pur non avendolo visto, non credo che la morale di "Squid game" sia che bisogna fare l'elemosina, ma mi viene il sospetto che molta della critica sociale implicita in molti film del genere non vada a parare seriamente da nessuna parte, se non nel far sentire fortunato, o ancora meglio, "meritevole" chi in quella rappresentazione drammatica può immedesimarsi solo "per gioco"; edonismo depoliticizzato sotto coperta socialmente impegnata, come si diceva poco fa).

InVerno

#231
Cancello il post precedente (dove dicevo che non avrei risposto) rispondendo invece ad alcuni punti in particolare su cui nel frattempo ho riflettuto.
CitazioneNon è affatto ironico che, fuori dalla narrazione della trama, chi in quella trama è rappresentato non possa "vedersi" sul grande schermo  (diseredati, poveri, emarginati, etc. difficilmente useranno Netflix o andranno al cinema), poiché tale richiamo alla giustizia, implicito nella implicita critica sociale, è "giustamente" rivolto a chi rischia di essere ingiusto e/o a chi tale ingiustizia alimenta.
Nel microcosmo ideologico del film chi alimenta queste ingiustizie sono i cosidetti "VIPs", ma certamente il film non è rivolto alle loro controparti "reali", ma invece generalmente a persone che appunto come dici non sono neanche i diseredati protagonisti.
CitazioneColpa, discriminazione e approvazione, tre categorie indubbiamente sociali, che possono talvolta anche spaziare dal messaggio pre-film al  contenuto dei film di critica sociale; tuttavia, si può ribaltare il significato/rappresentazione della critica leggendoci addirittura un  compiacimento dello status quo (giocando a fare i critici della critica)?
Se intendi critica come polemica si, critica in senso esteso può anche essere un elogio ad un opera, perciò se una "opera di critica" non può essere criticata o si sostiene che sia un operazione che stride, non se ne può neanche dire bene, cioè non se ne può parlare.  Perchè non ho la possibilità  né letterale, nè astratta, di poter "ribaltare un opera", mi rimane la critica, il fatto incidentale che l'opera stessa sia a sua volta una critica, genera un buffo effetto matrioska...ma non vedo il problema: uno specchio che riflette un altro specchio genera un corridoio di riflessi, ma gli specchi continuano a "specchiare" e io non ho modo di alterarne il contenuto. Indubbiamente il rischio è quello di apparire come se si seguisse un agenda conservatrice, e qui sta la capacità di usare le parole per smarcarsi da questa accusa, sia logicamente che emotivamente.. ed è difficile riuscirci, ma bisorrebbe averlo come obbiettivo.

Citazioneguarda caso, ai personaggi benestanti che in questo tipo di trama (non mi riferisco a "Squid game",  ma nel trailer ho visto soggetti ben vestiti in maschera e... magari mi sbaglio) sono il capriccioso pubblico del cruento spettacolo  (una sorta di Colosseo per miliardari).
I "Vip" (si chiamano...... così)sono paradossali, perchè non esistono letteralmente dei miliardari che guardano dei  poveracci ammazzarsi, ma ci sono invece dei poveracci (come me) che hanno deciso letterlamente di passare delle ore della propria vita a fare esattamente ciò. Questo paradosso tuttavia non viene sfruttato, proprio perchè l'opera non ha intenzione di mettere in difficoltà chi la guarda, lo spettatore è invitato in un comodo poltroncino in prima fila da dove non può sporcarsi le mani, ma sicuramente può "lavarsele".  Va dato merito alla trama del fatto che ha amplificato i livelli di conflitto, credo in realtà si capisca anche solo dal trailer, intendendo gli uomini mascherati di rosa. Piuttosto velocemente si scopre che si tratta semplicemente di persone che, per puro caso, hanno nel gioco una altra funzione, ma gli stessi diritti: nessuno.

Citazione
mentre in una "battle royale" con alcuni protagonisti in rilievo ma senza eroe principale dichiarato, ogni spettatore può scegliere a chi affezionarsi,  per inclinazione naturale, ma c'è il rischio di ritrovarsi dopo qualche minuto con il proprio beniamino fuori dai giochi, situazione piuttosto spiacevole  per lo spettatore (effetto di "abbandono scenico" su cui si potrebbe lavorare per trame meno banali, ma che risulterebbero anche meno digeribili e meno gustose per molti palati).
Ma in realtà già Squidgame ha una serie di coprotagonisti che tentanto di rendere meno ovvio il finale e il protagonista, e se molte persone l'hanno apprezzato evidentemente non è così difficile da digerire, credo anche sia pratica comune nelle serie tv (che io conosco pochissimo) per riempire il tempo, avere più coprotagonisti. Mi pare spesso che si tenda a sottostimare chi guarda o legge per giustifica la pigrizia autoriale, sopratutto essendo prodotti "on demand" chi è lì probabilmente non si fa scoraggiare da elementi che dovrebbe comprendere già dal trailer. Può sembrare un paradosso, ma io rimango convinto che una delle "armi" più affilate nella borsa dell'autore sia quella di deludere le aspettative di chi fruisce, tuttavia se arma è, sicuramente è a doppio taglio e richiede massima attenzione durante l'utilizzo, ma il suo eventuale successo offre ricchi premi.
Citazione
ma quando mi imbatto in film del genere, riesco agevolmente a godermeli (se è il caso) senza tenere in primo piano il messaggio di "pubblicità progresso" che contengono
Generalmente tento, e anche questa volta ho tentato, di mantere in sospeso la mia incredulità fino all'ultimo atto, cerco di evitare di "pensare sopra" all'arte, di qualsiasi tipo e di rimandare le analisi al momento della "digestione", del ruminare, e del razionalizzare. Tuttavia qui secondo me ci troviamo di fronte ad un opera che "chiede" di essere criticata, nel senso che è talmente esplicita nel suo salire sul pulpito, che quasi incita ad una maggiore severità di giudizio. E' un pò come se dovessi giudicare una modella, sapendo che è una persona che cura al massimo il suo aspetto esteriore in ogni modo possibile, chi affronta il giudizio secondo me dovrebbe partire da base molto più articolata di quanto farebbe con una cassiera del supermercato che non sta in nessun modo proponendosi come modello, ma che ci ha lanciato un malizioso sorriso dopo lo scontrino.

P.S. : Avendo fiducia che la maggior parte delle persone che leggerà non ha visto ciò di cui parlo, non mi sono addentrato in questioni legate alla trama ovviamente, tuttavia non so sè qualcun altro lo ha notato perchè non ho letto opinioni di nessuno,tuttavia a me è parso evidente quanto il film si regga su un equilibrio molto, molto simile a quello del Vangelo, compreso il fatto che il protagonista termina "risorgendo" e con un corpo trasmutato (non letteralmente), che penso possa essere considerata la cosidetta "pistola fumante". E questo lascia un pò straniti perchè in realtà secondo me le persone spesso non si ricordano quanto certi temi, interpretati da attori asiatici, abbiano una connotazione che stride fortemente con un modo di pensare invece che è il non plus ultra occidentale. Un opera "asiatica" che parla di competizione, rigidità sociale, classismo etc parla di un mondo reale che un occidentale conosce in maniera molto diversa, innanzitutto più mite e meno pervasiva, ma sopratutto con valori salvifici ed "escapistici" diversi.


Per il resto, plaudo al tuo intervento perchè le tue considerazioni sono state anche le mie quando ho scritto, sono sicuramente debolezze ed insicurezze nella mia impostazione, tuttavia, mi riservo il diritto di non solo deludere chi legge, ma anche me stesso :)
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 10:20:21 AM
CitazioneColpa, discriminazione e approvazione, tre categorie indubbiamente sociali, che possono talvolta anche spaziare dal messaggio pre-film al  contenuto dei film di critica sociale; tuttavia, si può ribaltare il significato/rappresentazione della critica leggendoci addirittura un  compiacimento dello status quo (giocando a fare i critici della critica)?
Se intendi critica come polemica si, critica in senso esteso può anche essere un elogio ad un opera, perciò se una "opera di critica" non può essere criticata o si sostiene che sia un operazione che stride, non se ne può neanche dire bene, cioè non se ne può parlare.  Perchè non ho la possibilità  né letterale, nè astratta, di poter "ribaltare un opera", mi rimane la critica, il fatto incidentale che l'opera stessa sia a sua volta una critica, genera un buffo effetto matrioska...
L'ambiguità delle concetto di «critica» mi pare riassumere alla perfezione uno dei suddetti interrogativi: opere come "Squid game" sono di critica sociale perché descrivono ciò che non va nella società, o sono di critica sociale nel senso che analizzano come va la società, senza che il sotteso giudizio di valore sia necessariamente negativo (un critico d'arte non è tale perché "boccia" ogni forma d'arte, ma perché l'analizza e ne rileva il valore, positivo o negativo)?
Qualcuno ha "accusato" il regista di non aver capito il senso del proprio film, sebbene il regista stesso lo abbia dichiarato esplicitamente (entrambe le informazioni tratte da qui), il che esemplifica alla perfezione il riferimento alla cartolina spedita che ognuno interpreta come vuole e come può, coniugando teoria del sospetto e post-verità (per quanto ci sia l'ombra lunga di una realtà non fittizia), non tanto perché "l'autore è morto", ma perché l'opera, in un mondo di "opinionisti col megafono" (v. Eco), è sempre più un "messaggio" che sfugge al controllo dell'autore, tanto quanto Pinocchio sfugge al controllo di Geppetto prima di trasformarsi in bambino. A proposito di trasformazioni:
Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 10:20:21 AM
è parso evidente quanto il film si regga su un equilibrio molto, molto simile a quello del Vangelo, compreso il fatto che il protagonista termina "risorgendo" e con un corpo trasmutato (non letteralmente), che penso possa essere considerata la cosidetta "pistola fumante". E questo lascia un pò straniti perchè in realtà secondo me le persone spesso non si ricordano quanto certi temi, interpretati da attori asiatici, abbiano una connotazione che stride fortemente con un modo di pensare invece che è il non plus ultra occidentale.
La 29ma funzione di Propp è "trasfigurazione dell'eroe - l'eroe assume nuove sembianze"; sarebbe interessante leggere i testi sacri come fossero trame narrative architettate da uno scrittore che attinge a dinamiche e stilemi che si confermeranno in seguito, piuttosto trasversalmente a tempi e culture. La corrispondenza cambiamento esteriore/interiore credo sia un archetipo che spazia dai cambi di look adolescenziali alla dimensione fortemente estetica e caratterizzata delle religioni passando per le narrazioni in cui l'eroe subisce/decide un mutamento esteriore per incarnare un mutamento interiore, espediente narrativo che (potrei sbagliarmi essendo ignorante in materia) forse è più tipico della cultura orientale che di quella occidentale (a memoria, poco attendibile, non ricordo emblematici cambiamenti esteriori nei "soliti noti" dell'immaginario collettivo nostrano: se non erro, Dante entra ed esce dal suo viaggio tale e quale, Ulisse invecchiato ma non trasformato, etc. mentre nelle poche letture orientali mi pare sia un tema più ricorrente, pur non potendo citare nomi a memoria, ma potrei facilmente sbagliarmi e non voglio ricamarci sopra il solito dualismo fra "rocciosità" occidentale e "stagionalità" orientale).

InVerno

#233
Sempre per dirla con Eco, l'autore di un testo non è la persona fisica, ma è la strategia testuale usata.. Per questo io a volte scherzo sulla morte dell'autore, perchè non si tratta di interpretare un testamento dove effettivamente l'unica strategia è quella di riportare le "volontà" dell'autore fisico,  quanto di rintracciare una strategia con molte più variabili e comprenderla, l'autore può "uscire da se stesso" infinitamente volte e chiudersi dentro ad un caveau narrativo, ciò che rimane è la strategia. Esopo, che scrive alla fine delle proprie favole, chiara e tonda  la morale della storia, è mai "morto"? O come la vuoi mettere tu, è assordato dai megafoni? Ci sarà sempre un margine di insicurezza, il successo di un filosofo  si misura in parte anche nel suo essere in disaccordo con tutti gli altri, e ci sono parecchi aspiranti filosofi in giro, e non mi sorprendo che qualcuno ci abbia visto una critica anticomunista, concordo con Forbes, il sospetto è quello di dissonanza cognitiva, ma è un operazione lecita, anche solo provocatoriamente. Come si dice? Scripta manent, verba volant.. e io mi interesserei di più di ciò che rimane, rispetto ai verbi che volano.

Riguardo all'ipotetica componente cristiana, non voglio continuare una discussione zoppa perchè non posso rivelare la trama, l'argomento non è così importante da rischiare di rovinare un ipotetica futura visione a chi sta leggendo. Specifico solo che penso sia la triangolazione di più elementi, sempre allegoricamente oltre alla pistola mi pare di aver visto anche parecchi bossoli, ma non dovrebbe sorprendere più di tanto. Non stiamo parlando di un asiatico "insulare" come poteva essere un opera giapponese, ma della Korea, che negli ultimi anni si è "occidentalizzata" a dismisura, hanno persino le spice girls vent'anni in ritardo. In generale direi però che ciò che me ha sempre attratto dell'arte asiatica è la sua immanenza. Che non mi pare di ritrovare in questo film.. sono tutti occhi a mandorla, ma gli stessi ambienti claustrofobici dei giochi, paiono invece essere una sorta di caverna, di altro/mondo..  confrontato con Parasite, che pure era ambientato in ambienti chiusi e ristretti, ma senza che mai i protagostini li trascedessero veramente, mi sembra che abbiano provato a vendermi un pezzo di sushi ma essermi ritrovato un burger.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: InVerno il 25 Ottobre 2021, 21:23:15 PM
Sempre per dirla con Eco, l'autore di un testo non è la persona fisica, ma è la strategia testuale usata..
Se abbracciamo questa visione deumanizzata dell'autore, della firma, etc. allora il rapporto fra Esopo e i megafoni degli opinionisti (che diventano tali solo perché hanno il megafono, non per "merito") è un falso problema; se non si passa dalla strategia testuale alla mano che la dirige e dalla mano alla volontà di comunicare (che talvolta si concretizza nella voce che verbalizza la strategia usata), ci si ritrova a contemplare un "rorschach" (come dico spesso). In fondo, il megafono in sé non è un affronto all'intenzione comunicativa dell'autore, ma l'opinionista che vi sta dietro potrebbe diventarlo, come nel caso del bacio di Biancaneve, palesemente non consensuale e diseducativo, o in molte altre favole malviste o "riadattate" per ammortizzare discriminazione di genere, sesso, etc. e un giorno magari si arriverà a bandire Esopo (e potrebbe già essere successo) perché qualche bimbo poco dotato di cognizione metaforica e senso della realtà potrebbe dedurne che gli animali parlino davvero, o qualcuno noterà che umanizzare gli animali lede la loro dignità, che non è affatto vero che il lupo è "cattivo", etc.
Concordo che molta della fertilità di un'opera, testuale o meno, passi per meccanismi di "attualizzazione sociologica", tuttavia, secondo me, non bisogna considerare l'opera come una tabula tendenzialmente rasa quasi "sporcata" da tratti autorali, geroglifici da interpretare ad libitum: fintanto che l'opera viene associata ad un autore umano, credo che l'auto-interpretazione dell'autore, il suo esplicitare ciò che voleva dire, dovrebbe avere un peso maggiore dell'«io ci vedo questo, tu quest'altro, non conta cosa voleva dire l'autore».
A scanso di equivoci dichiaro esplicitamente (in quanto autore di questo post...) che non sono un integralista del senso autorale: i paletti che confinano i "sensi possibili" di un'opera non possono ristringersi solo all'intenzione originaria dell'autore, poiché, come detto, è inevitabile (e proficuo) che nascano interpretazioni anche divergenti (soprattutto in opere allusive, con impliciti riferimenti ad altro, simbolismi ed allegorie, etc.), ma è comunque sensato, per me, che dei paletti ci siano, altrimenti viene meno (l'ombra de) il gesto creativo dell'autore che producendo un'opera voleva pur dire qualcosa (e se non voleva dire "sokalianamente" nulla, anche quello è un voler-dire), non solo produrre qualcosa di ambiguo a cui gli altri avrebbero dato comunque un senso, o meglio, molti sensi, anche divergenti.
Tempo fa affrontai questo discorso (i confini della legittimità esegetica) con Eutidemo a proposito della Bibbia, testo indubbiamente sui generis poiché non ha un unico autore e un'unica fase di redazione, che ha secoli di storia esegetica sedimentata sulle sue pagine, etc. e che venendo letto molto dopo la sua stesura presta il fianco ad interpretazioni metaforiche che possono metterlo in discussione dalla prima pagina all'ultima, per amor di metafora o per volerci vedere ciò che preferiamo; per cui, ad esempio, il miracolo di resuscitare Lazzaro, che oggi appare piuttosto improponibile, diventa una metafora che allude ad una nuova vita grazie a Cristo, che a sua volta potrebbe non essersi "fatto uomo" in senso letterale ma potrebbe essere inteso metaforicamente come la parte buona della nostra anima che conosce il bene e tende a ritornare a Dio, che a sua volta potrebbe essere una metafora della natura, che a sua volta potrebbe essere la metafora con cui indichiamo un insieme di leggi deterministiche, che a loro volta, metaforicamente, rappresentano... e così via, di metafora in metafora fino a fare della Bibbia un caleidoscopio di sensi (e controsensi) sempre pronti ad essere attualizzati e riformulati per far quadrare i conti (non mi riferisco qui ad Eutidemo). Se ci fosse invece il suo autore a dirci cosa intendeva dire, cosa va preso alla lettera perché è stato osservato e cosa invece è una metafora perché "i tempi non erano maturi" (o altro), ostinarsi a contraddire l'autore per volerci vedere comunque altro sarebbe non esegesi, ma ibridazione, rivisitazione, etc. tutte fertili categorie tipiche dell'attualità culturale occidentale (e forse anche orientale).
Alla fine, a farla breve, per me si tratta di distinguere il "voler significare" dal "poter significare", non perché uno sia il "senso giusto" e l'altro sia quello "sbagliato", ma perché hanno di fatto una matrice differente: il voler significare è l'input originario ed originale di un'opera, il poter significare è la risorsa di senso (metaforico e non) che l'opera mette a disposizione del fruitore (dotato o meno di megafono) per lo sviluppo di ulteriori significati. Ad esempio, "Squid game" vuole plausibilmente significare ciò che ne dice l'autore (se ci si fida delle sue dichiarazioni), ma può significare anche ciò che ne dice la critica che lo contraddice; oppure, con altro esempio, la scena di Fantozzi crocifisso in sala mensa può significare il martirio della classe impiegatizia da parte dei padroni, l'abuso di simbologia religiosa in ambiti non religiosi, l'emblematico sacrificio del protagonista rinnegato dei suoi simili, etc. ma l'autore cosa avrà voluto davvero dire, ammesso e non concesso che non si trattasse solo di una gag che voleva risultare comica senza troppe metafore da (sovra)interpretare? In altre epoche tale scena sarebbe stata censurata e condannata, proprio come oggi viene censurato (seppur con ripercussioni meno violente) "Squid game" in Cina e, forse, anche molto più vicino (dove dubito sarà la voce diretta dell'autore a sovrastare i megafoni, sebbene a volte basterebbe "la voce del buon senso", qualunque cosa significhi...).

InVerno

#235

Ma nessuno nega (retorico, ovviamente qualcuno lo fa) che quando si parli di strategia si parli anche di contesto strategico, che di fatto elimina una serie di potenziali significati dell'opera. Per esempio riguardo alla Bibbia e in particolare il nuovo testamento, se è vero che le fonti che raccontano di Gesù sono sostalziamente tutte "di parte", è anche vero che della Palestina del tempo conosciamo anche il prezzo dell'insalata al mercato, ed è solo mettendo in controluce il testo con il con-testo che riusciamo a dirimere il ventaglio delle possibilità, talvolta con esiti che possono anche stravolgere il testo, per esempio ammettendo che una data affermazione è stata fatta perchè "di parte", e cioè inadatta a chi volesse addentrarsi verso il "vero" significato dell'opera, che risiederebbe semmai nel capire perchè la realtà oggettiva come desumibile dal contesto è stata alterata e per significare quale messaggio. Perciò parlare di strategia, o di mappa, non significa perdere di vista il territorio, o se lo significa, io non sono per niente d'accordo. Sicuramente però rilevo che quando a fare da contrasto non è un contesto generico (es. Palestina primo secolo) ma un singolo individuo, le possibilità e probabilità di utilizzare accuratamente questo riscontro sono incredibilmente meno favorevoli. Nel caso di NT la differenza è diametrale, l'autore è completamente sconosciuto e rimanere solo il contesto generico, ma ipotizziamo che fossero davvero Marco o Luca gli autori, come affronteremmo il testo? Li affronteremo probabilmente non come "individui", ma li astrarremo a deus ex machina, a manifestazione del logos, a strateghi. Il paradosso è che è esistito un autore fisico, ma la miglior traccia (nel caso dell'anonimato, l'unica) da seguire per capire chi fosse è analizzare la sua strategia testuale, fino a che non si giunge al punto dove li si determina come indivisibili, questo sì, un senso "accettabile" di morte dell'autore, con un però un "plot twist": non solo è morto, ha anche raggiunto il paradiso, il mondo delle idee.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: InVerno il 27 Ottobre 2021, 13:25:11 PM
Nel caso di NT la differenza è diametrale, l'autore è completamente sconosciuto e rimanere solo il contesto generico, ma ipotizziamo che fossero davvero Marco o Luca gli autori, come affronteremmo il testo? Li affronteremo probabilmente non come "individui", ma li astrarremo a deus ex machina, a manifestazione del logos, a strateghi.
L'esempio del Nuovo Testamento è, come detto, un caso sui generis se vogliamo triangolare autore-testo-senso: nella "migliore" delle ipotesi (teologicamente parlando) gli evangelisti non vogliono dire nulla, non hanno la "mano libera", ma si limitano a raccontare/descrivere, ad essere cronisti, autori in senso letterale ma non letterario; nel "peggiore" dei casi (filologicamente parlando) hanno romanzato, se non inventato, episodi (in)verosimili proponendoli come fatti veri (quindi, giocando ad "attualizzare", la resurrezione di Lazzaro sarebbe una fake news e l'account twitter di Giovanni verrebbe censurato, spingendolo a cercare rifugio in "Truth" o altri social "indipendenti"). Se i fatti narrati nei Vangeli sono veri, non importa se l'autore si chiami Tizio o Marco, se siano quattro o cento (cosi come non importa chi sia l'autore della "stele di Rosetta"), poiché, trattandosi della biografia e delle parole di Cristo, ciò che conta è che la descrizione sia attendibile (dopo tale verifica, l'autore più che morto è irrilevante); se invece si tratta di leggende o "mezze verità", che essendo false non sono attendibili come biografia (con tutte le annesse conseguenze), anche in questo caso non conta chi le abbia scritte (come non conta chi sia l'autore di una fake news una volta accertata che sia fake, salvo volerne diffidare in futuro, ma non può essere questo il caso, trattandosi di autori che non scriveranno nulla di nuovo essendo morti, e non in senso metaforico). Diverso è il caso del Corano dove c'è un presunto autore (divino), uno scrittore (umano), un testo e un significato da indagare; in questo caso, non trattandosi di mera biografia, ma di precetti piuttosto "importanti", chi sia l'autore (divino o umano) fa molta differenza... e il suo eventuale voler dire è ciò a cui si rivolge l'esegesi coranica. Chiaramente, sia la veridicità delle narrazioni apostoliche che la dettatura del Corano da parte di un dio sono infalsificabili e, non a caso, oggetto di fede molto prima che di esegesi.
Nei film/serie come "Squid game", a differenza dei Vangeli e del Corano, la verità intesa come "oggetto" di narrazione/descrizione/documentario/inchiesta/etc. è assente (essendo dichiaratamente un'opera di fantasia, distopia, etc.), la realtà fa "solo" da musa per una trama il cui senso è in ciò che l'autore espone e, come giustamente osservi, nella strategia con cui lo espone; non si tratta di descrivere la realtà bensì di dargli (dare, non scoprire) un senso tramite una sua trasfigurazione, puntandogli contro una luce prospettica (con le inevitabili ombre che ne conseguono), proprio come avviene nella differenza fra fotografia e pittura (anche se la fotografia come arte espressiva è a cavallo fra le due, ma credo che il senso a cui alludo sia comunque chiaro).

InVerno

Citazione di: Phil il 27 Ottobre 2021, 22:06:19 PM
L'esempio del Nuovo Testamento è, come detto, un caso sui generis se vogliamo triangolare autore-testo-senso: nella "migliore" delle ipotesi (teologicamente parlando) gli evangelisti non vogliono dire nulla, non hanno la "mano libera", ma si limitano a raccontare/descrivere, ad essere cronisti, autori in senso letterale ma non letterario; nel "peggiore" dei casi (filologicamente parlando) hanno romanzato, se non inventato, episodi (in)verosimili proponendoli come fatti veri (quindi, giocando ad "attualizzare", la resurrezione di Lazzaro sarebbe una fake news e l'account twitter di Giovanni verrebbe censurato, spingendolo a cercare rifugio in "Truth" o altri social "indipendenti").
Su questo non sono d'accordo. Come minimo "vogliono dire" di essere degli apostoli, o perlomeno dei testimoni oculari, nonostante nessuno di loro lo fosse e in questo sono traditi dall'uso del greco, ma le descrizioni dei luoghi che arrivano fino alla flora vorrebbero dare ad intendere che sono testimoni oculari, non scrittori anatolici di quasi mezzo secolo "in ritardo" che mai probabilmente hanno messo piede in Palestina. E infatti per parecchio tempo si è pensato che questo fossero. Non necessariamente degli apostoli, anche se  logicamente servirebbe che lo fossero per descrivere alcuni momenti in cui nessun altro era presente, ma questo va oltre a quelli che erano i canoni storiografici  probabili del tempo, tutti gli "storici" anche propriamente detti inventavano dialoghi a cui non avrebbero mai potuto assistere. E questo dal punto di vista  della prospettiva, appena aperta la prima pagina compare la storia di Erode e la caccia agli infanti, e già scopriamo un evento che non poteva essere andato come descritto (è proprio fisicamente impossibile, e dovrebbe anche essere lampante ad un lettore coevo) e ipotizziamo che sia stato artefatto per.. "voler dire" che era un periodo di grandi cambiamenti e dinamismo sociale. In secondo luogo "vogliono dire" molto, perchè sono dei mitografi, non storici, e quindi quando parlano di "nascita verginale" attingono ad un "pool" di idee che fanno parte della mitologia, che come ricordo spesso Claude Strauss ha intelligenemente paragonato al bricolage, ovvero al riutilizzo di pezzi di ricambio accatastati nel tempo della propria "officina culturale", opposto al pensiero "ingegneristico" che fabbrica pezzi "ad hoc" per significare in maniera nuova specifici pezzi della storia. Utilizzare la "nascita verginale", magari per noi non vuol dire molto, e purtroppo non riusciremo mai a recuperare che cosa volesse dire per un lettore del tempo, ma si tratta di inserirsi immediatamente in un "genere" e "voler dire" parecchio. Ostinarsi a leggerli come cronache storiche o pseudo tali o pseudo motivate da intenti storici, non potrà che portare adelusioni, è fuori genere.. è come se un archeologo fra mille anni trovasse una bottiglia di alcool e dicesse "ah guarda questi, nel 2022 pensavano di poter mettere gli "spiriti" nelle bottiglie".....
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Phil

Citazione di: InVerno il 29 Ottobre 2021, 20:48:24 PM
Come minimo "vogliono dire" di essere degli apostoli, o perlomeno dei testimoni oculari [...] le descrizioni dei luoghi che arrivano fino alla flora vorrebbero dare ad intendere che sono testimoni oculari [...] E infatti per parecchio tempo si è pensato che questo fossero. Non necessariamente degli apostoli, anche se  logicamente servirebbe che lo fossero per descrivere alcuni momenti in cui nessun altro era presente, ma questo va oltre a quelli che erano i canoni storiografici  probabili del tempo [...]
In secondo luogo "vogliono dire" molto, perchè sono dei mitografi, non storici
Il "voler dire" degli apostoli (o presunti tali) dipende da come ci poniamo; se, come detto, adottiamo la «"migliore" delle ipotesi (teologicamente parlando)»(cit.) o «il peggiore dei casi (filologicamente parlando)»(cit.). Nel primo caso (v. tuo «come minimo...»), gli apostoli non vogliono dire nulla nel senso che la loro intenzione comunicativa (e forse anche lo stile narrativo, ma qui mi sbilancio troppo con la memoria) è quella del cronista, che vuole certamente raccontare ma non può mettere il suo "voler dire" semantico nel testo, non può spiegare il suo testo con «quello che ho voluto dire con il mio vangelo è che...» alludendo ad un significato che in quanto autore ha deciso di comunicare e di cui il testo è significante (alludo ancora, implicitamente, all'autore di "Squid game" quando esplicita cosa voleva dire con la sua serie). Se ci poniamo nel «peggiore dei casi (filologicamente parlando)» (v. tuo «in secondo luogo...») il loro testo, non essendo descrittivo della realtà, non essendo una cronaca, può voler dire qualcosa come qualunque opera di fantasia o liberamente ispirata alla realtà, ma "non vuol dire nulla" nel momento in cui si (auto)presenta come testo religioso veritativo e viene poi dimostrato filologicamente che non può esserlo (e qui sfondi una porta divelta, ma non volevo metterla troppo sul religioso; diciamo che sarebbe come, ritornando sempre a "Squid game", se il regista esordisse con «ecco come sono andate le cose nel 2010 nei sobborghi di Taiwan..." per poi narrare fatti che evidentemente non sono episodi realmente avvenuti ma perlopiù parto della sua fantasia o quantomeno rivisitati con molte "licenze poetiche"; come comunicazione di cronaca "non vorrebbe dir nulla", non avrebbe valore veritativo, e come narrazione sarebbe azzoppata dall'incoerenza di date, luoghi, nomi che sono già stati "riempiti ed occupati" dalla storia reale).

Jacopus

#239
Preso da un impeto masochista, ho letto il dibattito fra Inverno e Phil su "squid game". Il tema accarezzato da Phil al post 230 ha particolarmente attivato la mia attenzione. Ovvero la conclamata distanza fra messaggi della cultura di massa (e Netflix ne ha attualmente la leadership) e reazioni pratiche, o in altri termini, l'eventuale "potere, (nel senso tedesco di Macht), che quei messaggi modifichino la stessa struttura della società."
Questo potere, fino ai grandi totalitarismi dello scorso secolo, era evidente. Che fosse il Vangelo, o mein Kampf, o Das Kapital, poco importava . Da quei messaggi, sgocciolavano gerarchicamente, storie di beati, giornali parrocchiali, o quadri proletari e romanzi approvati dal Soviet. Il messaggio riferiva qualcosa che doveva avvenire nel mondo e nella storia. Poi, cioè dall'avvento dell'american way of life, il messaggio si è disancorato da un significato esterno, valido nella praxis. McLuhan aveva intuito qualcosa del processo, ma si era limitato a considerare medium = messaggio. È il mezzo tecnico ad essere messaggio. Nulla di esterno ad esso può incrinare il mondo della Praxis. Intuizione notevole, che sarebbe potuta piacere a Severino, ma forse, oggi siamo andati oltre perché l'equazione corretta è intrattenimento = messaggio. È ormai possibile inneggiare anche alla più feroce dittatura del popolo o dei rettiliani, ciò che conta saranno le interpretazioni, l'attesa per il sequel, i commenti sui social e i risultati al botteghino. Ecco, è questa "virtualizzazione" dei messaggi ad essere impressionante e a far sorgere la certezza della cristallizzazione delle strutture sociali dominanti, a causa dell'impossibilità di ogni critica "reale", perché ogni critica reale viene assorbita da una macchina virtuale che intrattiene ed incassa, divaricando così ogni nesso fra opera del pensiero ed azione politica.
Sia chiaro, esprimo più o meno la stessa tesi dichiarata da Inverno. La allargo solamente da Squid Game a tutto il materiale artistico (artistico?) prodotto e producibile nel mondo attuale.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.