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La (mia) fuga

Aperto da Apeiron, 24 Marzo 2017, 11:09:32 AM

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Apeiron

Infine ho deciso: ritorno a scrivere sul forum (a volte "tanto tempo" può essere un giorno). E "inauguro" questa nuova fase raccontando la mia storia, o più precisamente il mio rapporto con la mia malattia dell'anima, la fuga.

A 6 anni circa (anche se il mio ricordo è del tutto sfumato) so benissimo di aver imposto a me e a mio fratello maggiore (che si può dire essere il mio miglior amico...) di non fare amicizie durante le vacanze al mare perchè duravano poco (una settimana al massimo) e quindi il successivo abbandono ci avrebbe ferito (il Buddha in un certo senso mi è sempre stato vicino...). Per un lunghissimo periodo ogni volta che un mio famigliare andava via per più di qualche ora, andavo a salutarlo quasi a mo' di addio per la mia paura della separazione. Fin da bambino poi i miei interessi non coincidevano con quelli dei miei coetanei, di modo che anzichè entrare nel gruppo degli altri bambini finivo sempre per rimanere solo. La solitudine mi ha regalato un sacco di gioie e mi ha certamente aiutato a vedere le cose in modo forse "più originale e oggettivo" di molti ma allo stesso tempo mi dava la sicurezza. Nel mio mondo ero "riparato", potevo agire secondo le mie regole e potermi esprimere per quello che sono senza dover essere respinto e giudicato da nessuno. Così divenni l'archetipo del solitario, anzi del solitario malaticcio. Perchè fin dalla più tenera età continuo a ammalarmi di "piccole cose": raffreddori, sinusiti, influenze, disturbi digestivi, insonnia e mal di testa. Tutti disturbi normali o "funzionali", ossia derivati dalla mia disarmonia con la realtà. Eppure in me sento una forte volontà di affermarmi ma anche qui sono sempre combattuto: vorrei che fosse un donarmi agli altri e non un impormi. Quindi quando esercito questa mia forte volontà - specialmente in ambito intellettuale e conoscitivo - finisco per avere una delusione ancorra più grande: pochi, anzi pochissimi, veramente apprezzano questo mio lato e ancora di meno capiscono cosa voglio realmente dire - non faccio che far passare un "significato approssimato" alle mie parole. Sì perchè l'impermanenza riguarda anche il "mio mondo" dove sono al sicuro: fin da piccolo so che cesserà. Quindi per farlo sopravvivere a me, devo lasciare un'eredità e "donarlo" a tutti coloro che vorranno prendere qualcosina da esso.

Ma tutti questi buoni propositi e la sensibilità che mi caratterizzano mi creano afflizione, una forma sublime di sofferenza che caratterizza i solitari che hanno capito cosa significa esserlo. Da piccolo ero gioioso, a mio modo pieno di energie e in armonia con la realtà. Oggi invece guardo spesso la realtà con disprezzo e la mia inclinazione alla fuga è sempre presente. Anzi: mai come gli anni universitari ho avuto la tentazione di abbandonare tutto e vivere da completo eremita oppure semplicemente di "abbandonare tutto" o di perdere la lucidità. Tuttavia NO! Perchè no? perchè sento in cuor mio di avere qualcosa da dire al mondo e alle altre persone, sento che dopotutto ho un legame ch evorrei estendere a tutti gli uomini. Ma mentirei se sapessi "cosa ho da dire"! Sono una creatura che vorrebbe qualcosa ma non può nulla perchè non sa nemmeno quello che vuole. In questo senso sono una creatura misera: vorrei avere una disposizione dell'animo migliore, vorrei l'armonia ma con le mie azioni non creo altro che conflitto in me e nelle altre persone. Dunque devo fare niente? No perchè sarebbe un'altra fuga.

Così mi arrovello nei meriti universitari. Ma ho infine capito dopo l'ultimo fallimento (l'altro ieri) che i fallimenti anche qui sono inevitabili. E che ogni aspettativa in realtà nasconde un artiglio. D'altronde Hawking disse:  Le mie aspettative sono state ridotte a zero quando avevo 21 anni. Tutto da allora è stato un bonus.

Allo stesso modo il voler essere moralmente migliore, ossia l'essere obbediente alla Legge mi tradisce: causa il narcisismo, il credersi superiore. La sapienza cristiana, tra le altre cose, ha detto questa verità: è abbassandosi che ci si alza (kenosis): quando si capisce che non si è né speciali né migliori degli altri è il momento in cui si può davvero migliorare. Ma ahimé la kenosis è un processo pieno di ostacoli: l'ego è sempre pronto a infuriare, perchè finisce per vantarsi della stessa "kenosis" e di rinfacciare ciò agli altri - a volte inconsciamente.

Quindi cosa faccio? sogno! Ma il sogno è l'essenza stessa della fuga. La fuga è una cosa da bambino. Nell'adulto la fuga è patologica eppure la fantasia (specie quando non si hanno le doti da scrittore o artista...) è segno di un disadattamento, è il segno dell'adulto che non riesce a crescere completamente che rimane incagliato nell'adolescenza, una fase mai veramente superata (a ventitré anni su molte cose mi comporto come un ragazzo di tredici-quattordici anni, non ci posso fare nulla). Ma a differenza di moltio adulti-bambini io so di essere tale e la cosa mi crea a sua volta sofferenza, non a caso "chi accresce il sapere accresce il dolore" e con tutta la mia curiosità non ho fatto altro che spingermi nell'aumento del dolore.  

Perchè sono contrario alle dottrine? Semplice: perchè la dottrina senza esperienza non mi fa essere nulla. L'ho capito. Anzi a volte crea solo polemiche (come il povero Duc ha sperimentato l'altro ieri...), anche se in cuor mio la polemica la disprezzo. Quello che conta non sono nemmeno le regolette, l'unica cosa che può farmi uscire da questo empasse è un cambiamento della diposizione d'animo, ossia l'acquisizione dell'agape o almeno qualcosa che lo approssimi, visto che per i grandi obbiettivi io ho l'anelito ma non sono capace di realizzarli.


Sono un animo paradossale. Ho navigato nell'abisso di me stesso e ho trovato paradosso, conflitto, contraddizione, debolezza ecc. Quello che devo fare adesso è comprendere tutto ciò. Mi sto avvicinando in sostanza all'essere religioso (ma quale religione davvero è quella che fa per me?) perchè: un uomo religioso sa di essere sventurato (Wittgenstein).

N.B. Pur parlando di me credo di aver toccato temi universali. Non sono qui a chiedere consigli o pacche sulle spalle ma per capire la vostra opinione sul tema della "fuga". Non vuole nemmeno essere uno scritto psicoterapuetico o religioso. I riferimenti alle religioni sono semplicemente esperienziali e hanno come unico scopo quello di capire meglio questo tema. In sostanza la mia domanda è: come vi approcciate alla fuga nella vostra vita?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#1
Mah...hai scritto tante cose, tanti spunti interessanti, altri più personali in cui non voglio entrare. Non sono d'accordo con te che la fantasia sia necessariamente, nell'adulto, un fuga. La fantasia , per me, rivela invece la possibilità della mente umana di vivere su piani diversi di realtà. In effetti poi , il prodotto del fantasticare che prende forma artistica, non è mai 'neutro', ma induce sempre nell'osservatore , o nel lettore, fruitore, ecc. sensazioni, stati d'animo, risoluzioni che possono portare all'agire o al mutare del proprio atteggiamento verso la vita ( che è anche preludio all'agire stesso). La fantasia diviene patologica quando rimane sterile sogno personale in cui ci si culla per non affrontare la realtà. Poi chiaramente ognuno di noi ha la sua interpretazione di cos'è questa famigerata 'realtà'e proprio per questo non sarei così manicheo nello scindere fantasia e realtà. Leggendo il tuo scritto non mi sono fatto l'immagine di uno che scappa dal mondo. Infatti scrivi dei tuoi studi universitari, della tua volontà di 'riuscire' ad esprimere e lasciare qualcosa di te, del tuo bisogno di dare, ecc...Non mi sembra l'atteggiamento di uno che rifiuta la realtà, ma piuttosto che rifiuta la propria natura; in parole povere...che non si accetta totalmente ( per inciso, credo che nessuno si accetti totalmente ma, con gli anni, si arrivi ad una sorta di 'tregua armata' con se stessi...). Accettarsi vuol dire , per prima cosa, accettare di non essere perfetti e poi arrivare ad amare proprio il fatto di non esserlo, perché è l'imperfezione che ci spinge alla perfezione, che non è cosa raggiungibile dalla mente, ma che forse si può intuire, per brevi attimi, con il 'cuore'.
'Fuga' poi è un termine così generico che sarebbe applicabile in parte alla quasi totalità dell'agire umano. Non è fuga l'ossessione 'social' della gente? Non è fuga un passatempo che finisce per riempire la mente e le giornate? Non è fuga passare le serate lontano dalla moglie, al bar con gli amici? Non è fuga dedicarsi ad un hobby? Tutto può essere visto come una fuga...e tutto anche no! E' importante, secondo me, la consapevolezza di quel che si vive e la 'giusta misura'. La giusta misura è saggia in ogni azione del nostro vivere. Ci vuole la giusta misura anche nell'amore verso noi stessi , o nell'odio verso i propri difetti e le proprie debolezze o paure. La sfida è riuscire a cogliere questa misura e applicarla con volontà alla propria vita giornaliera.
E sul fatto di sognare ti lascio questa storiella:

Un uomo voleva diventare ricco e tutti i giorni andava a pregare Dio affinchè esaudisse il suo desiderio. Un giorno d'inverno, tornando dalla preghiera, vide, imprigionato nel ghiaccio che copriva la strada, un grosso portamonete, e subito si credette esaudito. Ma poiché il portamonete resisteva ai suoi sforzi, vi orinò sopra per sciogliere il ghiaccio. E fu allora che...si svegliò nel letto bagnato. Così è la nostra vita.
L'Illuminazione non è una condizione particolare dello spirito, né uno stato di coscienza trascendente: è un ridestarsi alla vita.
Il maestro Takuan stava morendo. Andò da lui un discepolo e gli chiese quale fosse il suo testamento. Takuan rispose che non ne aveva, ma il discepolo insistette:" Non hai proprio nulla...nulla da dire?".
"La vita è sogno" disse, e spirò.
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

Precisazione: tutti gli aspetti personali che ho qui trattato sono appunto "personali" e sono serviti come spunto di riflessione. In sostanza se il soggetto della narrazione fosse anche una persona diversa da me non avrebbe cambiato nulla: la riflessione infatti vuole essere universale, nel senso che credo tocchi "problemi" che consciamente o incnsciamente abbiamo tutti. Gli unici consigli che accetto sono come quelli detti da Sariputra nel suo messaggio: ossia consigli "riflessivi" che possano essere utili anche a chi non è nella mia esatta situazione, ma in una situazione in qualche modo simile.

Citazione di: Sariputra il 24 Marzo 2017, 14:41:21 PMMah...hai scritto tante cose, tanti spunti interessanti, altri più personali in cui non voglio entrare. Non sono d'accordo con te che la fantasia sia necessariamente, nell'adulto, un fuga. La fantasia , per me, rivela invece la possibilità della mente umana di vivere su piani diversi di realtà. In effetti poi , il prodotto del fantasticare che prende forma artistica, non è mai 'neutro', ma induce sempre nell'osservatore , o nel lettore, fruitore, ecc. sensazioni, stati d'animo, risoluzioni che possono portare all'agire o al mutare del proprio atteggiamento verso la vita ( che è anche preludio all'agire stesso). La fantasia diviene patologica quando rimane sterile sogno personale in cui ci si culla per non affrontare la realtà. Poi chiaramente ognuno di noi ha la sua interpretazione di cos'è questa famigerata 'realtà'e proprio per questo non sarei così manicheo nello scindere fantasia e realtà. Leggendo il tuo scritto non mi sono fatto l'immagine di uno che scappa dal mondo. Infatti scrivi dei tuoi studi universitari, della tua volontà di 'riuscire' ad esprimere e lasciare qualcosa di te, del tuo bisogno di dare, ecc...Non mi sembra l'atteggiamento di uno che rifiuta la realtà, ma piuttosto che rifiuta la propria natura; in parole povere...che non si accetta totalmente ( per inciso, credo che nessuno si accetti totalmente ma, con gli anni, si arrivi ad una sorta di 'tregua armata' con se stessi...). Accettarsi vuol dire , per prima cosa, accettare di non essere perfetti e poi arrivare ad amare proprio il fatto di non esserlo, perché è l'imperfezione che ci spinge alla perfezione, che non è cosa raggiungibile dalla mente, ma che forse si può intuire, per brevi attimi, con il 'cuore'. 'Fuga' poi è un termine così generico che sarebbe applicabile in parte alla quasi totalità dell'agire umano. Non è fuga l'ossessione 'social' della gente? Non è fuga un passatempo che finisce per riempire la mente e le giornate? Non è fuga passare le serate lontano dalla moglie, al bar con gli amici? Non è fuga dedicarsi ad un hobby? Tutto può essere visto come una fuga...e tutto anche no! E' importante, secondo me, la consapevolezza di quel che si vive e la 'giusta misura'. La giusta misura è saggia in ogni azione del nostro vivere. Ci vuole la giusta misura anche nell'amore verso noi stessi , o nell'odio verso i propri difetti e le proprie debolezze o paure. La sfida è riuscire a cogliere questa misura e applicarla con volontà alla propria vita giornaliera. E sul fatto di sognare ti lascio questa storiella: Un uomo voleva diventare ricco e tutti i giorni andava a pregare Dio affinchè esaudisse il suo desiderio. Un giorno d'inverno, tornando dalla preghiera, vide, imprigionato nel ghiaccio che copriva la strada, un grosso portamonete, e subito si credette esaudito. Ma poiché il portamonete resisteva ai suoi sforzi, vi orinò sopra per sciogliere il ghiaccio. E fu allora che...si svegliò nel letto bagnato. Così è la nostra vita. L'Illuminazione non è una condizione particolare dello spirito, né uno stato di coscienza trascendente: è un ridestarsi alla vita. Il maestro Takuan stava morendo. Andò da lui un discepolo e gli chiese quale fosse il suo testamento. Takuan rispose che non ne aveva, ma il discepolo insistette:" Non hai proprio nulla...nulla da dire?". "La vita è sogno" disse, e spirò.

Anzitutto ti ringrazio della risposta.
E anzi credo che tu abbia colto il segno di tutta la mia oscura riflessione. Dico di fuggire dalle relazioni, dal mondo del lavoro, dal Forum, dalla "realtà" e di "ritirarmi" nel mio mondo privato fatto di fantasie varie (vere e proprie avventure di vario genere con una "trama" ma che ahimé non ho il dono di riuscire a "tradurre" in una storia...) e dove sono il "re". E qui credo che bisogna fare una precisazione: nel mio mondo privato sono "il creatore-controllore" della trama e anche il protagonista. Nel mondo reale non sono di certo il "Creatore-Controllore" e nemmeno il "Protagonista" mentre tutte le aspettative che mi creo (e a cui mi attacco... di nuovo Buddha docet) continuano a farmi "cadere". Sono in sostanza intrappolato dal mio stesso "narcisismo", ossia dall'io che in ogni modo vorrebbe espandersi. Eppure filosoficamente dico il contrario: non ci si dovrebbe espandere, bisognerebbe rinunciare, controllarsi, riuscire anche nella "kenosis" ecc ecc. Così mi ritrovo scisso in tre: da un lato il mio "spirito", il mio "cuore" vorrebbe sempre il bene per me e per tutti tramite il mio "dono di me" (ma non un bene "freddo"e "incolore" bensì "caldo" e "colorato" - spero che si colga la metafora), il mio istinto vorrebbe prima di tutto il bene per me e la ragione spesso se la prende con entrambi. Risultato, proprio come dici tu fuggo da me stesso: da qui mi riconosco come uno sventurato, uno che ha bisogno di aiuto, che non ce la fa da solo perchè non riesce a superare l'empasse. Nemmeno io ritengo che sia possibile realmente accettarsi, MA proprio il riconoscere che non siamo perfetti, che non siamo migliori degli altri potrebbe proprio essere la svolta: forse è proprio attraverso questa "notte spirituale" che si impara ad accettarsi e si "rinasce" con una prospettiva differente sul mondo. Non credo che in realtà si superarà mai l'empasse, la scissione a tre che ho esposto: il cuore e gli istinti non sono conciliabili e la ragione spesso è in conflitto perfino con se stessa. Quindi la ricetta è: agire sempre per il bene e impegnarvisi sempre, ma accettare anche la propria debolezza. Ma il nemico sempre in agguato è lui: l'ego inflazionario. Proprio lui che a volte si nasconde in pensieri come "sei perfetto, sei il migliore" e a volte nei pensieri come "sei un disastro, il peggiore uomo esistente" . Bisogna, per raggiungere la tregua armata di cui parli, riuscire a svuotarsi del proprio ego.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

myfriend

Un 3d interessante.

Hai mai pensato di occuparti di psicologia?
La tua situazione è quella che gli psicologi definiscono "romanzo famigliare". Una situazione molto comune.
C'è una cosa che potresti cominciare a considerare: tu non sei il Messia e non sei nemmeno un Principe. La verità non va "posseduta". Alla verità ci si  "arrende".
Ecco...penso che dovresti considerare l'idea di "arrenderti". E di perdonare il mondo per quello che è.
Solo quando avrai perdonato il mondo per quello che è e ti sarai "arreso", potrai superare il tuo narcisismo, la presunzione di "possedere" la verità e la inclinazione a fuggire nel tuo "Regno" dove tu sei il Principe ed il Messia.
Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Apeiron

Citazione di: myfriend il 31 Marzo 2017, 11:04:40 AMUn 3d interessante. Hai mai pensato di occuparti di psicologia? La tua situazione è quella che gli psicologi definiscono "romanzo famigliare". Una situazione molto comune. C'è una cosa che potresti cominciare a considerare: tu non sei il Messia e non sei nemmeno un Principe. La verità non va "posseduta". Alla verità ci si "arrende". Ecco...penso che dovresti considerare l'idea di "arrenderti". E di perdonare il mondo per quello che è. Solo quando avrai perdonato il mondo per quello che è e ti sarai "arreso", potrai superare il tuo narcisismo, la presunzione di "possedere" la verità e la inclinazione a fuggire nel tuo "Regno" dove tu sei il Principe ed il Messia.

So di non essere né il Principe, né il Re né il Creatore del mondo (hai preso un po' le cose troppo letteralmente... appunto se conosci la psicologia, potresti benissimo vedere che ho usato molte metafore, molti termini allegorici ecc...). Ho semplicemente detto che "scappo" dalla realtà perchè non posso controllarla. Semplicemente è il mio IO che "fugge", che scappa dalla realtà e si rifugia dove sta meglio. Ma questo succede a tutti coloro che hanno un IO... nel mio caso per qualche motivo questa propensione alla fuga mi pare maggiore che in altre persone. Motivo per cui spero di riuscire come dici tu ad "arrendermi", a "svuotarmi", a raggiungere la vacuità...

Comunque anche gli animali sono narcisisti: anche loro vogliono imporre la loro vita sulla Realtà. Noi esseri umani ne siamo consapevoli e ne sono ancora più consapevoli coloro i quali il loro IO è molto "solido". Motivo per cui se rileggi quello che ho scritto il mio obbiettivo è proprio quello di liberarmi di questa tendenza...

La psicologia comunque è uno dei miei (troppi) hobby. E anch'essa è una delle mie fughe...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

davintro

in linea generale direi che la fuga, in una certa accezione, non vada vista come vigliaccheria, bensì come espressione di un dato reale fondamentale, la libertà della persona, l'idea di una singolarità irriducibile all'identificazione della persona nei vari ruoli sociali, in cui si trova a vivere, familiari, lavorativi, politici..., si fugge nel momento in cui si avverte che una certa situazione, un certo ruolo ci sta stretti, ci sembra che pretenda di assorbire una carico eccessivo di energie interiori, pretenda di identificarsi totalmente con il nostro Io, senza che l'Io non potrebbe più riconoscersi come autentico anche in altri contesti, e la libertà si ribella a ciò. E allora si sente il bisogno di stare soli, concentrarsi in se stessi per ritrovare piena consapevolezza delle proprie qualità individuali, e partire da tale consapevolezza rientrare nel "mondo", cercare di esprimere in modo nella maggior pienezza possibile noi stessi. Il sogno stesso è un'altra espressione di questa irriducibilità del soggetto ad ogni situazione oggettiva, immaginiamo perché percepiamo lo scarto tra le potenzialità interiori del vivere e il vivere come fatto reale, che non ci appaga, e questa insoddisfazione è la ragione del nostro essere dinamici e creativi. Ecco che questi tre concetti, distacco, sogno, solitudine finiscono con l'essere tra loro legati e implicati Da un certo punto di vista allora, meno male che ogni tanto si "fugge", si sogna, si sta da soli! La fuga diviene condizione paralizzante nel mom.ento in cui paralizza l'azione, ci porta a distaccarsi da un certa situazione ritenuta oppressiva senza però lasciare che l'Io, dopo essersi raccolto in sé stesso, ritrovi l'energia sufficiente per reagire e a trasformare la realtà adeguandola ai propri valori. La fuga è l'elemento "notturno", negativo della nostra libertà, la pars destruens, necessaria ma insufficiente, che richiede di essere seguita dalla fase positiva, la pars costruens nella quale riusciamo a realizzare in forme concrete la nostra personalità, il nostro talento che ci caratterizza come singolarità dotata di un'interiorità irriducibilmente libera rispetto alla società e al mondo esterno, una nuova "mattina" che segue alla notte.

Apeiron

Citazione di: davintro il 08 Aprile 2017, 02:30:49 AMin linea generale direi che la fuga, in una certa accezione, non vada vista come vigliaccheria, bensì come espressione di un dato reale fondamentale, la libertà della persona, l'idea di una singolarità irriducibile all'identificazione della persona nei vari ruoli sociali, in cui si trova a vivere, familiari, lavorativi, politici..., si fugge nel momento in cui si avverte che una certa situazione, un certo ruolo ci sta stretti, ci sembra che pretenda di assorbire una carico eccessivo di energie interiori, pretenda di identificarsi totalmente con il nostro Io, senza che l'Io non potrebbe più riconoscersi come autentico anche in altri contesti, e la libertà si ribella a ciò. E allora si sente il bisogno di stare soli, concentrarsi in se stessi per ritrovare piena consapevolezza delle proprie qualità individuali, e partire da tale consapevolezza rientrare nel "mondo", cercare di esprimere in modo nella maggior pienezza possibile noi stessi. Il sogno stesso è un'altra espressione di questa irriducibilità del soggetto ad ogni situazione oggettiva, immaginiamo perché percepiamo lo scarto tra le potenzialità interiori del vivere e il vivere come fatto reale, che non ci appaga, e questa insoddisfazione è la ragione del nostro essere dinamici e creativi. Ecco che questi tre concetti, distacco, sogno, solitudine finiscono con l'essere tra loro legati e implicati Da un certo punto di vista allora, meno male che ogni tanto si "fugge", si sogna, si sta da soli! La fuga diviene condizione paralizzante nel mom.ento in cui paralizza l'azione, ci porta a distaccarsi da un certa situazione ritenuta oppressiva senza però lasciare che l'Io, dopo essersi raccolto in sé stesso, ritrovi l'energia sufficiente per reagire e a trasformare la realtà adeguandola ai propri valori. La fuga è l'elemento "notturno", negativo della nostra libertà, la pars destruens, necessaria ma insufficiente, che richiede di essere seguita dalla fase positiva, la pars costruens nella quale riusciamo a realizzare in forme concrete la nostra personalità, il nostro talento che ci caratterizza come singolarità dotata di un'interiorità irriducibilmente libera rispetto alla società e al mondo esterno, una nuova "mattina" che segue alla notte.

Sì la fuga di cui sto parlando io però è quella dell'ego ribelle, non la fuga "coraggiosa". Questa fuga che mi perseguita è quella che non ti fa uscire dalla "comfort zone", che nasce dalla Paura ecc. Questa fuga carica l'ego anzichè svuotarlo.

In sostanza bisogno smettere fare una fuga dell'ego ma bisogna fuggire dall'ego  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

cvc

Per liberarsi dalla stretta dell'ego che c'è di meglio che affidarsi al grande principio predicato da Epitteto, quwllo della distinzione fra ciò che dipende da noi e ciò che non dipende da noi? L'ego si ammala perchè il suo desiderio si avvinghia alle brame che non dipendono dalla nostra volontà ma dalla sorte: le ricchezze, la fama, i piaceri.  Se va invece incontro alle cose che dipendono da noi - l'opinione, il desiderare, l'avversare, lo stato d'animo - può diventare libero.
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Apeiron

@cvc,

buona idea ma la ritengo un ideale un po' irrealizzabile. Bisognerebbe però trovare il tempo di capire cosa dipende da noi ahah
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)